Cap. 1 "I Promessi Sposi"

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Data:10.10.2005
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Testo

Quel ramo del lago di Como, rivolto a sud, tra due catene di monti ininterrotti costellato di sporgenze e rientranze secondo l’avanzare e del rientrare della costa; quasi improvvisamente si restringe assumendo l’aspetto di un fiume, avente a destra un promontorio e a sinistra un’altra riviera, le rive del fiume si uniscono da un ponte sembra rendere ancora più evidente allo sguardo questo cambiamento, e indica il punto in cui deve terminare il lago e inizia il fiume Adda, per riprendere di nuovo la forma di lago quando le rive si allontanano di nuovo, e le acque si allargano distese formando nuove rientranze e nuove sporgenze.
La riviera formata dal deposito di tre grandi torrenti, respinge verso il lago appoggiato da due monti vicini in fila, uno chiamato San Martino, l’altro invece con un termine lombardo chiamato “Resegone”, dalle sue molte cime in fila, in verità lo fanno somigliare ad una grossa sega: tanto che, non c’è una persona che nel vederlo per la prima volta, purché si trovi di fronte, magari dalle mura di Milano rivolte a nord, non lo riconosca subito, per quella sua forma caratteristica, in quella lunga e ampia catena di monti dalle forme più comuni e dai nomi poco conosciuti.
Per un buon tratto la costiera sale con una pendenza dolce e continua, poi in colline e piccole valli, in salite e in pianure secondo la forma dei due monti e il lavorio d’erosione delle acque. La parte più bassa rotta dalle foci dei torrenti, è fatta da sabbia e ciottoli; il rimanente è cosparso da campi e vigne, ville e cascine; da qualche altra parte dei boschi si allungano su per la montagna. Lecco la principale di quelle terre e che dal nome a tutto il territorio, si trova poco distante dal ponte, sulla riva del lago, viene anzi a trovarsi quando questi s’ingrossa è un gran paese ai tempi di Manzoni e che si avvia a diventare città. Ai tempi in cui accaddero questi avvenimenti narrati nel romanzo quel paese già di una certa importanza era anche una fortezza, e aveva per questo un prestigio di ospitare un capitano e il vantaggio di avere dei soldati spagnoli (che insegnavano la morale alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavano (picchiavano) di tanto in tanto le spalle a qualche marito e a qualche genitore che interveniva in difesa delle proprie donne) che in autunno si sparpagliavano nelle vigne per rubare l’uva e aiutare i contadini nel lavoro della vendemmia.
Da una parte all’altra di quei borghi, dalle colline fino alla riva del lago si snodavano ancora strade e stradine più o meno ripide; avvolte fra due muri, da cui alzando gli occhi non si vede che uno scorcio di cielo e qualche cima di una montagna; ogni tanto elevate su pianori aperti: da questo punto la vista si allarga a vedute quasi ampie, ma sempre diverse a seconda del punto da cui si guarda.
Dove si vede una parte del lago, dove un altro, dove una lunga distesa di quell’ampia e variegata conca d’acqua; da queste è un lago che alle estremità sembra chiuso, oppure piuttosto si perde tra file di montagne che vanno e vengono più ristrette o più allargate e che riflettono capovolte nell’acqua con i paesetti allungati sulle rive; dall’altra parte c’è un ramo di un fiume, poi si allarga e si forma di nuovo il lago, poi si restringe ancora diventando fiume che scorre come un lucido serpente tra le montagne che lo circondano. Il luogo stesso da dove si ammira questo paesaggio è uno spettacolo da ogni parte la m montagne alle cui valdesi passeggia, con le sue vette, le sue alture distinte e ben vedenti, cambia aspetto ad ogni passo aprendosi e arricchendosi d’ogni cime e montagne, sicché ciò che prima sembrava un solo monte, si presenta come un sistema di monti.
L’aspetto piacevole e familiare attenua la sprezza dei luoghi e adorna sempre più la bellezza delle altre vedute. Per uno di questi viottoli, ritornava felicemente dalla passeggiata di ritorno a casa, sul venire della sera del 7 novembre 1628, Don Abbondio un prete che di tanto in tanto leggeva il breviario e tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario e lo metteva dietro la schiena e proseguiva guardando a terra e buttando i ciottoli che intralciavano il passaggio, verso il muro. Apri nuovamente il breviario per recitare un altro salmo. Alla curva della stradina queste si percorreva per altri sessanta passi, e poi si divideva in due stradine ancora più piccole, qui c’era un tabernacolo con figure d’anime e fiamme del Purgatorio, qui c’era una cosa che Don Abbondio non voleva assolutamente vedere, due uomini che alquanto improbabile aspettavano una persona, che doveva essere sicuramente lui. Essi avevano attorno al collo una reticella verde che si andava a posare sulla spalla sinistra poi avevano una cintura lucida di cuoio con delle pistole attaccate; pensolava dal collo un piccolo corno con dentro della polvere da sparo, mentre dalle tasche cadevano un manico di un gran coltello; portavano dei pantaloni grandi e goffi, uno spadone, che si costituivano come gli individui della specie de’Bravi, che al tempo di Manzoni era scomparso. Fin dall’otto aprile 1583 l’illustrissimo sig. Carlo D’Aragon, era a conoscenza della insostenibile miseria in cui viveva la città di Milano, a causa dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dopo di questo si pensava che i bravi fossero scomparsi per sempre. L’illustrissimo ed eccellentissimo Juan Fernandez de Velasco il 5 giugno 1593, anch’egli infortunato di quanti danni facciano i bravi. Proprio quando Don Abbondio si avvicino lui senti dai due che esplicitamente che l’aspettato era proprio lui, infatti, si allontanarono dal muro e si avvicinarono al curato. I Due incalzarono subito il discorso dicendo spensieratamente “Signor curato”, e Don Abbondio rispose sempre indifferentemente, nel frattempo riprese l’altro bravo dicendo se aveva intenzione di far sposare Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Uno dei due bravi fece capire che quel matrimonio tra quei due non si doveva fare né il giorno seguente né mai..
Don Abbondio non era nato con un cuor di leone, fin da piccolo comprese che a quei tempi la peggior condizione era essere un animale senza zanne e senza artigli, in pratica indifeso; c’era chi prima di commettere un delitto si rifugia in un convento dove gli sbirri non possono arrivare. Don Abbondio non voleva difendere gli oppressi o con questi si sentiva in privato. Don Abbondio pensa a cosa dire a Renzo come spiegare quel misero No. Pensa di andare a riferire tutto agli interessati; ma si avviò verso casa infilò la chiave nella toppa e appena entrato dentro casa chiama Perpetua che sicuramente si stava cimentando a preparare la cena e la tavola. Perpetua era la serva di Don Abbondio, affezionata e fedele; Perpetua capisce subito che il curato è scosso da qualcosa di molto grave perché sa che Perpetua giura ma sa che in seguito non sa mantenere il giuramenti fatti.
Infine il curato si sfoga, ma quando deve dire il nome di colui che ha organizzato questa cosa Don Abbondio si accerta che Perpetua non lo confessi con nessuno.

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