Calandrino e l'elitropia

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Categoria:Italiano

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Testo

Calandrino e l’elitropia Decameron, VIII giornata, IV Novella, narrata da Elissa
Sommario
Riassunto pagina: 1
Tema della novella pagina: 2
Fortuna, natura, ingegno e onestà pagina: 3
Personaggi pagina: 4
Ambienti pagina: 5
Analisi formale del testo pagina: 6
Commento di autori celebri pagina: 7
Confronto Dante – Boccaccio pagina: 8

Riassunto
Dopo la novella di Panfilo la regina Lauretta disse a Elissa di continuare con la propria novella (la terza della giornata). Questa narra di Calandrino, un uomo semplice, pittore per professione. Calandrino ha come grandi amici Bruno e Buffalmacco, che si divertono a prenderlo in giro. Anche Maso del Saggio vuole deriderlo e, raggiunto Calandrino in chiesa comincia a narrare, prima di Berlinzone che si trovava nella contrada di Bengodi, terra dove il cibo abbonda, poi della Elitropia, una pietra che trova a Mugnone, e avrebbe la particolare virtù di rendere invisibile la persona che la possiede. Udite queste cose, Calandrino va a cercare Bruno e Buffalmacco e gli racconta tutto quello che ha udito. Bruno e Buffalmacco decidono possa essere una buona occasione per sbeffeggiarlo. Si accordano per partire domenica e andare a Mugnone. Una volta là, passano tutta la giornata a cercare invano la pietra. Verso ora di cena Bruno e Buffalmacco fanno finta di non vedere Calandrino, per fargli credere che abbia trovato la pietra, e gli elargiscono calci e lanciano sassi. Poi tornano a Firenze. Calandrino ancora invisibile li segue. Tornato a casa, sua moglie, Tessa, lo vede e lo rimprovera per il suo ritardo. Calandrino, credendo che la donna abbia rotto l’incantesimo della elitropia, la malmena. Bruno e Buffalmacco entrano in casa di Calandrino e, facendo finta di non sapera che cosa sia successo, chiedono dov’era finito e perché picchiasse Tessa. Raccontato tutto Bruno e Buffalmacco fanno riappacificare Calandrino e Tessa, raccontando che le donne fanno decadere il potere della pietra. Calandrino, come al solito, crede a tutto quello che gli viene raccontato.
Tema della Novella
La Ottava giornata, retta da Lauretta, ha per tema le beffe fatte o da una donna a un uomo o da un uomo a una donna o da un uomo a un altro uomo. Anche in questo caso l'ambientazione è quasi sempre toscana. In sei novelle su dieci (prima, seconda, quarta, settima, ottava, decima) le beffe sono a sfondo erotico, ma nella prima, nella seconda e nella decima (Dioneo questa volta sta al tema) al tema erotico si sovrappone, sino a prevalere, quello economico. Le quattro novelle di contenuto non erotico (terza, quinta, sesta, nona) sono tutte fiorentine. In una (la quinta) si racconta di come tre giovani traggano che a un giudice marchigiano venuto a esercitare la propria professione a Firenze; nelle altre tre, protagonisti sono due «dipintori» o pittori, Bruno e Buffalmacco, e la vittima è in due casi Calandrino (nella terza e nella sesta) e nel terzo maestro Simone, un medico venuto da Bologna che con un inganno viene «gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi» (nona). Calandrino è un personaggio caro a Boccaccio: non solo compare qui due volte, ma sarà protagonista di altre due novelle nella giornata successiva. Nelle due novelle in cui qui Calandrino è vittima degli scherzi dei due amici, viene convinto, in una (la terza), a cercare una pietra che rende invisibili (cfr. T 12) e, nell'altra (la sesta), a ricomperare, per timore della moglie, un porco che in realtà gli hanno rubato Bruno e Buffalmacco ma che tutti sono indotti a pensare egli abbia donato a una giovane amante.
La novella è scandita in tre sequenze distinte, che danno vita a tre scene di grande vividezza drammatica: 1. i preliminari della beffa, di cui è architetto Maso del Saggio, e che si svolgono in San Giovanni; in questa parte domina nettamente il dialogo; 2. la ricerca della pietra magica lungo il Mugnone; qui sul dialogo prevalgono fazione e il movimento; 3. il ritorno a casa di Calandrino e lo svanire dell’illusione di possedere la pietra; torna a prendere il predominio il dialogo.
La prima sequenza
Nella prima sequenza l’abilità illusionistica di Maso del Saggio appare analoga a quella di frate Cipolla: anche qui la beffa consiste nel far credere ad una persona semplice le realtà più strampalate e inverosimili. Torna il gioco di far apparire prodigioso ciò che è comunissimo (i macigni di Mentisci, con cui si fanno macine da farina, annoverati tra le pietre magiche); torna pure la costruzione labirintica della parola, che sembra dire il contrario di ciò che afferma in realtà. Ricompare il tema della parola illusionistica che sa costruire una realtà parallela a quella effettuale e farla apparire più vera di questa. Si affaccia però un motivo nuovo, quello del paese di Bengodi. È un motivo che ha radici profonde nelle credenze popolari e nel folklore: il sogno del paese dell'abbondanza, dove è possibile mangiare a sazietà, è chiaramente la proiezione fantasticamente rovesciata di un mondo, dove quotidianamente i ceti inferiori dovevano lottare con la fame.
La seconda sequenza
Nella seconda sequenza, la ricerca della pietra lungo il Mugnone, si traduce in azione la beffa
semplicemente architettata nella prima. Quello della beffa è un motivo che ha un'importanza centrale nel Decameron. Nella beffa trionfa al massimo grado la virtù dell'«industria, dell'intelligenza attiva, che è il valore centrale della civiltà mercantile e urbana di cui Boccaccio è l'interprete. La beffa può funzionare solo grazie al calcolo accorto, alla sapiente preparazione pratica, all'abilità e prontezza nell'agire, alla capacità illusionistica della parola. A ben vedere, però, l'intelligenza dispiegata nella beffa giocata a Calandrino è diversa da quella usata per superare un ostacolo, fuggire una difficoltà, ottenere un vantaggio, che sono i casi di industria sin qui incontrati. Nella beffa di Maso, Bruno e Buffalmacco si ha un esercizio puro dell'intelligenza, assolutamente gratuito e fine a se stesso. Diversa è la beffa di frate Cipolla ai danni dei contadini, messa in opera per ottenere un vantaggio. L'intelligenza si misura solo con se stessa. Un beffatore è come un puro artista, che si compiace solo di esercitare la sua arte. senza alcun altro fine.
Attraverso la beffa l'intelligenza, come si è avuto modo di osservare, crea una sorta di realtà parallela a quella effettuale. È una realtà prodotta interamente dall'uomo, di cui egli ha pieno dominio, che può manipolare a piacere. L'uomo, in questo mondo fittizio che egli stesso crea, ha una sorta di onnipotenza divina. La beffa, insomma, diviene metafora della capacità dell'uomo di costruire e dominare il reale, attraverso l'intelligenza, la parola e l'azione. Si vede qui in embrione un motivo che sarà centrale nel Rinascimento,l'esaltazione della qualità demiurgica dell'uomo, creatore del suo mondo.
La terza sequenza (anche Personaggi)
Nella terza sequenza viene alla luce un aspetto nuovo di Calandrino. Non è solo lo sciocco credulone, facile preda dell'intelligenza dei benfattori: nell'accanimento con cui batte la moglie emerge un suo fondo violento e maligno. È un lato del suo carattere che si poteva già sospettare nella sua insofferenza per il lavoro e nel progetto di usare la pietra magica per derubare i cambiatori di moneta. Non solo, ma a ben vedere Calandrino è pronto a comportarsi in modo disonesto verso Bruno e Buffa1macco, quando, convinto di possedere la pietra, si guarda bene dal rivelarlo agli amici: evidentemente intenderebbe tenerla tutta per sé. Nella violenza contro la moglie si manifesta poi il pregiudizio misogino,la convinzione superstiziosa che le donne facciano perdere la virtù alle cose. E, se si tiene presente che il Decameron è un libro dedicato alle «carissime donne., che alle donne leva sovente
le più alte lodi, esaltandone le qualità eroiche, questo comportamento di Calandrino si offre nella prospettiva di un'implicita quanto dura condanna. L'emergere di tutti questi lati negativi fa si che la figura di Calandrino assuma maggior spessore, e che egli si offra quale "antieroe" per eccellenza nel mondo decameroniano.
Fortuna, natura, ingegno e onestà
Vi sono «due ministre del mondo» spiega Pampinea: la fortuna e la natura. Da esse l'uomo è condizionato, con esse deve fare i conti in un conflitto che dura tanto quanto la vita umana. Le vicende umane «stanno nelle mani» della fortuna, spiega ancora Pampinea in un altro luogo. La fortuna muta le cose umane, volgendole come lei crede. Comunque sia, la fortuna ha un peso decisivo nelle vicende umane, determinando anzitutto la condizione sociale (c'è chi nasce povero e chi ricco) e poi sottoponendo l'individuo al rischio continuo dell'imprevisto, sino al ribaltamento delle situazioni. Al tema carnevalesco della ruota della fortuna si aggiunge la percezione storica di una situazione di crisi e di rapidi cambiamenti economici e sociali: è questo il momento delle grandi bancarotte dei banchieri fiorentini, e l'autore stesso assistette a diversi mutamenti, anche negativi, nelle attività finanziarie del padre. D'altra parte questi rovesciamenti prodotti dalla fortuna possono essere negativi, ma anche positivi, e si tratta di riuscire a scampare dai primi e ad approfittare dei secondi, come nell' esempio di Andreuccio: si tratta insomma di saper utilizzare l'ingegno. L'ingegno può servire non solo a contrastare la cattiva sorte o ad approfittare della buona, ma anche a controllare, almeno in parte, la natura. Questa determina anzitutto il temperamento individuale: se spetta alla fortuna l'origine sociale dell'individuo, è la natura che gli dà uno specifico carattere Cosicché natura e fortuna possono essere in conflitto. Ma la natura condiziona l'uomo soprattutto attraverso le sue spinte pulsionali, corporali, materiali. Boccaccio parla più volte, nella Introduzione alla Quarta giornata, delle «forze della natura» che bisogna imparare a riconoscere e a rispettare. I moralisti che censurano il Decameron. L'eros è un aspetto serio e importante della vita, che merita ogni considerazione.
chiudono gli occhi ipocritamente di fronte alla realtà. Ciò non significa che bisogna sottoporsi incondizionatamente alla spinta dell'istinto. È necessaria anche una resistenza: essa assume l'aspetto dell'«onestà», che è una virtù eminentemente sociale, e della «gentilezza», che è invece una virtù individuale. Boccaccio dunque conduce una lotta su due fronti: anzitutto, e con maggiore energia, sul fronte della ipocrisia e della censura sociale, rivendicando i diritti della natura e i propri di scrittore che ne riconosce l'importanza; in secondo luogo, contro l'irragionevolezza dell'eccesso, in favore di una convivenza sociale a forte impronta utopica, più libera, ma non anarchica
Un altro modo di controllare fortuna e natura è dato dall'ingegno individuale, cioè dall' avvedutezza, dall' attività intelligente, dall' «industria» del singolo. Se «onestà» e «gentilezza» sono «virtù», l'ingegno è una forza che può essere a disposizione sia della «virtù» che del suo contrario. Nella guerra di tutti contro tutti aperta dalla concorrenza economica della nascente borghesia, l'ingegno è una forza anzitutto necessaria
. Di per sé l'ingegno non ha una intrinseca eticità: è uno strumento che può essere utilizzato in direzioni opposte (immorali o morali), ma nella sua neutralità etica è comunque positivo perché dà all'uomo una possibilità in più nel conflitto con la fortuna e con la natura. Nei confronti dell'ingegno l'autore ha un atteggiamento simile a quello tenuto verso le «forze della natura»: di riconoscimento e di rispetto. Anche se la preferenza dell'autore va verso l'impiego dell'ingegno nel senso dell'onestà e della gentilezza, come mostrano soprattutto nelle novelle di motto e di beffa, mettendo alla berlina la ingenuità di Calandrino.
Personaggi
Calandrino personaggi
Protagonista di quattro novelle del Decamerone giornata VIII, novelle 3a e 6a; giornata IX, novelle 3a e sa). Pittore fiorentino dei primi decenni del sec. XIV (Nozzo di Perino detto C.), a cui forse si attribuivano tradizionalmente ingenuità e sciocchezze, Calandrino è divenuto nelle pagine del Boccaccio il prototipo della sciocchezza umana, la più completa antitesi di quello spirito di accortezza e di intelligenza mondana, che si incarna in tanti personaggi del Decamerone. Non è però la sua una sciocchezza inerte, una stupidità rassegnata e tranquilla: ché il brav'uomo è sempre pieno di vita e ricco di iniziative, né sa trattenersi dall'accarezzare voglie non sempre lecite e dall'almanaccare sui modi di soddisfarle e tanto meno tralasciare di far partecipi dei suoi disegni e delle sue fantasticherie i pittori Bruno e Buffalmacco, i due amiconi, di cui egli non può fare a meno e che non possono a lor volta fare a meno di lui, vittima necessaria e fatale delle loro beffe. Dalle sue trovate perciò nascono quasi tutti i suoi guai: i due burloni non hanno che da attendere che egli caschi nelle loro braccia e da secondare con un'arte tanto più grande quanto meno appariscente la sciocchezza di lui e gli inevitabili sviluppi dei casi. Alla fine Calandrino, beffato, deve ancora ricorrere a loro per evitare guai peggiori e, senza mai sospettare dell'inganno patito, ringraziarli di quanto essi fanno per lui o pregarli per riavere la 10m amicizia. Eppure, nonostante tutto, Calandrino ritiene di essere furbo E' nessuna lezione può servire a farlo ricredere o a distoglierlo dai suoi propositi; nemmeno gli giovano i rimproveri della moglie, che ben lo conosce e di cui egli ha una .paura reverenziale, pur vagheggiando di tempo in tempo qualche strappo ai suoi doveri di marito! Si intrecciano in tal modo i casi paradossali e pur logici dell'avventura dell"'elitropia", la pietra che avrebbe la virtù di rendere invisibili, il grande sogno e ia grande delusione di Calandrino, il quale dopo essersi veduto mercé di essa, ricco oltre misura, si ntrova in casa con un carico di pietre senza valore e si sfoga battendo furiosamente la moglie; e quelli, quasi altrettanto complicati, del porco, che gli amici rubano al disgraziato e che egli passa per aver rubato... a se medesimo; Quelli del suo innamoramento, che finiscono anch'essi con una amara delusione e con le busse della moglie; e Quelli, più decisamente farseschi, della novella in cui si narra come egli si lasciasse persuadere di essere in stato interessante. Non si può non ridere, e pure, nel riso stesso, non provar:e un certo senso di pietà di fronte a tanta dabbenaggine e a tante disavventure: ne riesce più compiuta la figura di questo personaggio, che nelle situazioni paradossali in cui viene a trovarsi serba una sua nota di umanità.
Buffalmacco
Buffalmacco, Buonamico Soprannome di Bonamico di Martino da Firenze (Toscana, prima metà del XIV secolo), pittore italiano. Di questo importante artista, probabilmente fiorentino, documentato tra il 1315 e il 1340, attivo dapprima a Firenze, poi ad Arezzo e infine a Pisa, danno notizia diverse fonti storico-artistiche del XIV-XVI secolo; Buffalmacco compare inoltre come personaggio di alcune novelle del Decameron del Boccaccio, nella veste di pittore furbo e burlone. Gli è attribuito il grandioso ciclo di affreschi con il Trionfo della Morte, il Giudizio Universale e la Tebaide, nel Camposanto di Pisa (1340-1343 ca.), capolavoro dell'arte pisana e uno dei più splendidi cicli pittorici italiani del Trecento. Per la mobile strutturazione a comparti scenici, per la dinamicità e la forza espressiva delle figure, il ciclo del Camposanto manifesta l'appartenenza di Buffalmacco a un filone minoritario, non giottesco dell'arte fiorentina (al pari di altri artisti a lui contemporanei, quali il Maestro del Codice di San Giorgio o il Maestro di Figline): da cui la sua partenza da Firenze, egemonizzata nel primo Trecento da Giotto e dai suoi allievi, per cercare fortuna in altri centri toscani. Sono attribuiti a Buffalmacco anche affreschi nel Battistero di Parma e una tavola con San Giovanni Battista in trono (Christ Church, Oxford).
Ambienti
La novità del Decameron è la rappresentata della città e della società cittadina. Domina la Firenze contemporanea, familiare e quotidiana; entrano in scena addirittura personaggi viventi, noti a tutti. Boccaccio qui privilegia il registro comico, adeguato all’ambientazione borghese e popolare di queste novelle ispirate al tema della beffa e dell'astuzia. La fiorentinità vi si esprime soprattutto nella caratterizzazione sociale dei personaggi, nei comportamenti liberi e arditi, nell'arguzia della lingua, nella vivacità dei gesti. Il rapporto tra lo spazio urbano e i singoli personaggi si concretizza essenzialmente nella tendenza alla teatralità della rappresentazione.
Un esempio: la Novella di Calandrino e l’elitropia. Calandrino, come Bruno e Buffalmacco, è un pittore realmente vissuto nella prima metà del Trecento. La caratterizzazione professionale di Calandrino è sottolineata nella sua prima apparizione all'interno della chiesa di San Giovanni, dove egli è «attento a riguardare le dipinture e gli intagli
del tabernacolo». A questo realistico interno cittadino si contrappone idealmente, come accade anche nella novella di frate Cipolla, la geografia favolosa e burlesca di luoghi fantastici, qui del paese di Bengodi. L'alterazione fantasiosa delle prospettive spaziali non fa dimenticare a Calandrino che il vero luogo della ricchezza fiorentina è rappresentato dalle banche, che egli fantastica di svaligiare avvicinandosi non visto alle «tavole dei cambiatori». I movimenti dei personaggi sono sempre scanditi da una rapida, ma precisa geografia urbana: «per la porta San Gallo usciti e nel Mugnone discesi cominciarono ad andare in giù della pietra cercando». Il greto assolato del Mugnone è lo scenario di una beffa che assume aspetti surreali e che continua sulla strada del ritorno, dal Mugnone «infino alla porta a San Gallo». Il rientro in città, «le guardie de' gabellieri» che fingono di non vedere Calandrino, la casa vicina al canto della Macina, il quartiere deserto nell'ora del desinare, l'interno domestico con la fiera battitura della moglie sono altrettanti scenari realistici perfettamente funzionali i al movimento dei personaggi e al compimento della beffa.
Analisi formale del testo
Boccaccio cominciò a scrivere il Decameron subito dopo la fine della peste che colpì Firenze dalla primavera all' autunno dell' anno 1348 finendo tra il 1351 e il 1353. Diversi racconti dovevano circolare prima della conclusione dell' opera. Infatti nella introduzione alla Quarta giornata l'autore si difende dalle accuse di alcuni lettori, che evidentemente ne conoscevano già un certo numero, benché il Decameron non fosse stato ancora terminato. TI titolo Decameron vuoI dire" dieci giornate". Viene dal greco: deca significa "dieci", mentre meron "giorno". Il libro deve aiutare e consolare le donne (alle quali, come vedremo, è dedicato) suggerendo comportamenti capaci di dare una soluzione positiva alle loro pene d'amore. ogni novella è presentata da una rubrica che ne riassume il contenuto. Abbiamo così, in totale, dieci rubriche di giornate e cento rubriche di novelle (come le cento cantiche della divina Commedia). Mentre nel Proemio e nella Introduzione che apre la Prima giornata è l'autore a parlare in prima persona, le novelle sono raccontate da dieci novellatori. Accanto alla voce dell' autore, che ritorna poi altre due volte, nella Introduzione alla Quarta giornata e nelle Conclusioni finali, compaiono dunque quelle dei dieci narratori dei racconti. Nel complesso, l'opera risulta perciò strutturata a tre livelli. TI primo è costituito da una sorta di "super-cornice", in cui protagonista e narratore è l'autore che espone - all'inizio, al centro e alla fine del libro -le proprie opinioni. A sua volta poi la "cornice" serve da contenitore delle cento novelle, in cui protagonisti sono i personaggi delle trame narrate. Nel libro compare tuttavia anche una novella raccontata dall' autore nella Introduzione alla Quarta giornata. Questo racconto, che fa parte della "supercornice", è il centounesimo dell' opera. Tale eccezione infrange la regola per cui le novelle dovrebbero essere esposte solo dai dieci novellatori in modo da formare il numero perfetto di cento; ma non deve stupire. In realtà,
nel vasto e vario mondo boccacciano, l'eccezione costantemente accompagna la regola. la cornice serve a mediare, connettere o disgiungere, e talora a commentare, le varie novelle.lnoltre essa rappresenta l'atmosfera in cui le novelle vengono raccontate, quella orribile della peste con la disgregazione dei costumi che essa produce, e quella, che vi si oppone, ispirata a criteri di ordine e di gentilezza, della brigata giovanile che cerca conforto e rifugio nel contado.
Il testo è una novella cioè un componimento narrativo, per lo più in prosa, di tono realistico ma a carattere avventuroso e fantastico, spesso con intenti morali o didascalici. Come in tutte le novelle del Decameron, anche in questa troviamo un lessico che aderisce al tema della novella. Il lessico è infatti comico con qualche traccia elegiaca nell’ultima parte, quella in cui Calandrino picchia Tessa, la moglie. Lo stile comico è preponderante e ci permette di dividere la novella in due forme comiche. La comicità “di parole” nel discorso di Maso del Saggio, che accumula indiscriminatamente banalità presentate come eventi prodigiosi ed espressioni che suonano come cariche di significati straordinari e sono invece puri suoni privi di senso (come ad esempio “millanta”). Nella seconda parte della novella abbiamo invece una comicità “di cose”: il grottesco saltare qua e là di Calandrino, le sue vesti piene di pietre, la lapidazione a cui viene sottoposto lungo il ritorno, l’immagine del ritorno nella casa piena di pietre; tutto è affidato alle azioni che avvengono con una sequenza quasi cinematografica; l’autore non interviene mai per commentare gli eventi, si limita ad esporli. L’unico commento indiretto lo troviamo nell’ultima parte, quando Calandrino picchia Tessa. Dato l’alto valore attribuito alle donne (l’opera è dedicata a loro) questo gesto può essere ritenuto una critica a Calandrino, critica potenziata dal tono elegiaco delle parole (“il diavol ti reca” oppure “malvagia femina”). Per quanto concerne la focalizzazione, ossia il punto di vista dal quale il narratore considera i fatti narrati e i personaggi, essa è a zero, ossia il narratore è onnisciente, cioè un narratore che guida dall’alto l’azione e ne conosce perfettamente lo sviluppo ma che comunque non giudica i personaggi. Il narratore è principalmente di secondo livello (Elissa), ma diventa di terzo quando Maso del Saggio parla di Berlinzone.
Commento di autori celebri
Il Boccaccio vezzeggia la lingua da innamorato. Diresti ch'ei vedesse in ogni parola una vita che le fosse propria, né bisognosa altrimenti d'essere animata dall'intelletto. (Foscolo).
La Fontaine ha riso nel Boccaccio - dove Shakespeare si sciolse in lacrime. (De Musset).
Ciò che muove il mondo del Decamerone non è Dio né la scienza, ma è l'istinto e l'inclinazione naturale, vera e violenta reazione contro il misticismo. (De Sanctis).
Il Decàmeron, la commedia umana di Giovanni Boccaccio, è la sola opera comparabile per universalità alla Commedia Divina di Dante. (Carducci).
Quello che noi chiamiamo allegra, gaia, è la sua sintassi... Boccaccio è come Giorgione. Nei colori e nelle parole hanno filtrato raggi del sole di maggio. (E. D'Ors).
Confronto Dante - Boccaccio
Dante è il poeta del Medioevo e, nel contempo, la sua posizione universale gli dà connotati astorici.
Boccaccio, invece, potremmo definirlo "il cantore dei mercanti", comunque il poeta del "non-sogno".
Traccia gli itinerari inerenti i due poeti con solo i riferimenti richiesti dalla traccia.
Dante e Boccaccio, due poeti, l'uno posto alla fine di un'epoca, l'altro nel pieno di una realtà storica che si andava sempre più consolidando, quella dei mercanti. Sebbene le loro opere appaiano ai nostri occhi come elaborati assai differenti, entrambe hanno saputo resistere all'instabilità dei secoli, giungendo in quest'era così presa dalle sue freneticità, mantenendo intatte le loro caratteristiche. Questo è ciò che le rende ancor più magnifiche. Pur appertenendo a realtà storiche assai lontane dalla nostra, le opere di Dante si propongono come classici; oserei dire che la "Divina Commedia" è per gli amanti della letteratura ciò che per noi cristiani è la Bibbia, un componimento sacro, che di per sé, infatti, pone come elemento principale proprio Dio.
Al contrario, Boccaccio, "scavalca" questi canoni per immergersi completamente nella realtà quotidiana. Detto così potrebbe apparire svantaggioso per lui narrare fatti della sua epoca, appunto perché non rimarrebbero più attuali dopo un certo periodo e invece proprio in questo aspetto Boccaccio si rende attualissimo. I mercanti, protagonisti indiscussi delle sue opere, pensano unicamente al guadagno, il loro Dio è il denaro, vivono nel peccato. Un esempio evidente di quanto detto è ben rappresentato da una delle novelle del "Decamerone" in cui un mercante, Ser Ciappelletto, in punto di morte, chiede di parlare con un prete per confessarsi ma, invece di chiedere il perdono di Dio, pensa solo a salvare la sua classe sociale e per far ciò non risparmia neppure inutili falsità. Non ha paura di Dio, non s'interessa di quello che potrebbe essere il suo giudizio ed eventualmente il suo castigo in seguito al tipo di vita condotto.
Quest'ultima è una delle diversità più evidenti tra i due poeti ma è chiaro quanto abbia influenzato il diverso contesto storico. Dante si posiziona in un'epoca, il Medioevo, in cui Dio è fondamentale, l'uomo vive in relazione ad esso, lo teme se necessario, lo venera, segue i suoi insegnamenti, non vive nell'eccesso. Boccaccio, invece, si colloca in un periodo, potremmo dire, del tutto opposto. L'uomo vuole reallizzare se stesso nell'ambito terreno, vuole circondarsi di ricchezze, vuole impostare un rapporto con Dio basato su una relazione che non sia fatta di inutili paure, una relazione molto vicina a quella che potrebbe essere una semplice amicizia.
Forse ciò che li rende così attuali implica l'unione delle loro caratteristiche; amiamo Dante perché ci porta fuori dalla realtà della vita, ci insegna come giungere a questa tanto sognata perfezione. Amiamo Boccaccio perché ci porta ad una realtà che forse è in parte anche nostra, in una società in cui domina il capitalismo, in cui il denaro, per forza di cose, si è posto come qualcosa di necessario, che non può e non deve mancare e che, come spesso avviene, ci fa dimenticare i valori importanti, quali proprio la religione, il rapporto con Dio, che tanto occupa l'opera di Dante.
Oltre all'aspetto puramente religioso, Dante è il poeta della virilità, dell'amore idealizzato, puro. Boccaccio è il poeta del piacere, dell'amore fisico, amante dei beni materiali. Potremmo sconfinare nel "peccato" leggendo le opere di quest'ultimo e ripurificarci l'anima spaziando fra i canti della Divina Commedia di Dante.

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Calandrino e l’elitropia

Esempio



  


  1. giovanna

    CALANDRINO E LE SUE OPERE

  2. paola

    lavori di gruppo sul decameron