APOLLONIO RODIO

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Testo

APOLLONIO RODIO
In genere i poeti alessandrini attingevano alla tradizione epica per ricavarne non un ampio poema volto all'esaltazione di gesta eroiche, ma un componimento breve e raffinato; a questi fa eccezione Apollonio Rodio. Apollonio Rodio nacque ad Alessandria d'Egitto intorno al 290 a.C. e soggiornò a lungo a Rodi (da qui l'appellativo di Rodio). L'unica altra notizia certa della sua vita è che divenne direttore della Biblioteca.
Apollonio Rodio viene generalmente visto in contrapposizione con il suo ex maestro, Callimaco; in realtà questa rivalità è per alcuni aspetti solo apparente. Apollonio aveva in effetti uno stile molto diverso da quello dì Callimaco, e riteneva di poter scrivere un’opera di carattere epico in età ellenistica. Scrisse effettivamente un’opera gigantesca, le Argonautiche, unico poema ellenistico a noi pervenuto. Non gli riuscì di raggiungere l'acme della poesia in ogni punto dell’opera (era questo il suo intento), ma il III libro è rispondente ai canoni ellenistici e anzi supera per bellezza le opere di molti poeti a lui contemporanei. Paradossalmente Apollonio Rodio, che non voleva assolutamente essere vox dell’ellenismo, ne diventa una sorta di emblema.
Le Argonautiche
Sono un poema in esametri lungo circa seimila versi divisi in quattro libri. Narra le vicende della spedizione degli Argonauti, dalla partenza da Iolco fino al ritorno in Grecia. Il I, il II (che descrivono il viaggio di andata nella terra della Colchide) e il IV (dedicato al ritorno in patria) sono molto pesanti, ma il terzo, che racconta l'amore tra Giasone e Medea, è considerato uno dei capolavori dell'ellenismo. Eccettuato il terzo libro, si può affermare che Apollonio non si inserisce a viva forza nel mito, mutandolo o spezzandolo, ma lo mantiene sostanzialmente inalterato; ad esempio, il poema inizia con la descrizione dei partecipanti alla spedizione, che ricalca l'elenco delle navi che presero parte alla guerra di Troia contenuto del II libro dell'Iliade. Giasone viene messo in evidenza (è l'ultimo ad essere nominato), ma di lui sono descritti i tratti più umani; non è presentato come anhr, ma nemmeno come uomo emblema dell'ellenismo; ha dei sentimenti, ma non c’è uno scavo psicologico profondo. Egli vuole raggiungere il proprio fine (conquistare il vello d'oro), ma non scavalca il suo mondo sentimentale (come invece fece Enea). Giasone resta freddo (mentre il Giasone di Euripide ha un suo mondo sentimentale in cui crede), a metà strada tra uomo e eroe.
Il III libro è incentrato su Medea e sul suo amore per Giasone. Eeta, re dei Colchi e padre di Medea, impone a Giasone durissime prove da affrontare prima di entrare in possesso del vello d'oro con la speranza che il greco muoia nel corso delle prove. Ma Medea, colpita da una freccia di Eros, s’innamora a prima vista di Giasone; la ragazza trascorre una notte agitata da angoscianti sogni, nei quali la vergine fedele al padre si scontra con la donna colpita dalla passione per l'amato. Nella mente di Medea balena anche l'idea del suicidio, ma il bel ricordo della vita trascorsa la fa tornare sui suoi passi e, momento dopo momento, matura l'idea di salvare Giasone, procurandogli delle pozioni indispensabili per superare la prova. Il mattino seguente Medea, con il cuore che le sobbalza in petto (cuore reso con kardia, a rilevare la fisicità del sentimento di Medea), incontra Giasone che si avvia per affrontare la prova e, offrendogli le pozioni, gli confessa il suo amore. E Giasone la rassicura dai suoi timori assicurando che la porterà con sé in Grecia, dove, onorata da tutti per l'aiuto reso agli Argonauti, vivrà per sempre accanto a lui: questo è il suo pegno d'amore. Poi Giasone, grazie all'aiuto di Medea, supera la prova.
Nel corso del terzo libro emergono dei concetti particolari. Innanzitutto quello della maledizione, che colpisce non solo il diretto interessato ma anche la sua famiglia e i suoi figli. Assume un valore particolare anche la memoria del passato; il ricordo assume una connotazione personale ed è privo di qualsiasi valore educativo (il contrario avviene nel mondo latino, dove il ricordo è sempre oggettivo e si riferisce alle gesta di tutto il popolo, sia belliche che sociali). Si riscontrano anche delle caratteristiche peculiari dell'ellenismo, come lo scendere nel particolare (ad esempio quando Apollonio, anziché parlare di generici alberi, specifica di quali alberi si tratta, querce e pioppi) o l'azione ripetuta molte volte per aumentare il paqoV e la tragicità dell'azione. E' invece tipico di Apollonio il gusto per l'avventura e per l'esotico, e si sofferma a descrivere posti nuovi, distanti e lontani (sullo sfondo c'è lo sviluppo commerciale raggiunto dall'ellenismo). Questa voglia di conoscere è però diversa dalla voglia di fare esperienza (swfrosunh) di Ulisse. Il gusto per l'elemento naturalistico non si limita al livello descrittivo, ma si presenta anche come interesse sentimentale nei confronti della natura. Non è questa una novità per il mondo greco: la partecipazione sentimentale verso la natura la riscontriamo in Omero e Saffo (1a quale, addirittura, diventava natura); anche se in Apollonio non c'è un annullarsi dell'elemento umano nell'elemento naturalistico, ci si arriva vicino sul piano del sentimento.
o o o
Dal 260 al 247 non solo diventa il secondo direttore della biblioteca di Alessandria, succedendo a Zenòdoto, ma anche precettore di Tolemèo II.
Si reca a Rodi dopo una lite con Callimaco, evidenziata dall’"Ibis", e l’insuccesso delle "Argonautiche".
Pubblica una seconda edizione delle "Argonautiche", ma è un’ipotesi poco credibile.
Ha un’intensa attività filologico-letteraria (con poemi su fondazioni di città, epigrammi e saggi), ma è famoso soprattutto per le "Argonautiche".
"Argonautica" - Con i suoi quattro libri formati da 5.833 esametri complessivamente è il quarto poema epico pervenutoci per intero dopo "Iliade", "Odissea" ed "Eneide". Riporta la leggenda degli Argonauti ed il tentativo di Giasone di riportare in Grecia dalla Còlchide il vello d’oro posseduto da Eeta, padre di Medèa e dio del sole, tentativo che riesce con la magia di Medea. Precedenti notevoli si possono rintracciare sia nei tre tragici che in Pindaro. Di notevole importanza l’invocazione ad Apollo nel l. I e quella di Eràto, musa della poesia amorosa, nel l. III.
Caratteristiche: motivo dominante è l’amore, non freddo, ma profondo, mutevole, possessivo, quale quello di Medea. Giasone, problematico ed incerto, è un po’ il simbolo di un’epoca. Nel poema si notano interessi per luoghi lontani, ma anche per l’orrido, il macabro, il prodigioso; gli dei, invece, hanno un qualcosa di benestante e di salottiero, con gli stessi modi degli umani mortali. Apollonio in esso etichetta tutto, cioè ne cerca le cause e ne dà la motivazione, mentre per la lingua attinge ad Omero, Esiodo ed ai prosatori ionici e contemporanei.
CRITICA
GARZYA - Il poema ricalca materia, tecnica narrativa e strutture dell’epos omerico ed il mito, sempre alla base dell’opera, non ha altro contenuto se non quello favolistico e leggendario. Ha singoli momenti felici ("Il sogno di Medea"), ma manca di forza unitaria e sembra così confermare la teoria callimachea dell’impossibilità di un carme continuo.
SBORDONE - L’opera manca di omogeneità: vi sono imitazioni omeriche e pedanterie erudite ed in ciò Apollonio è profondamente alessandrino. Riesce soprattutto nelle scene brevi, nelle descrizioni di scorcio, negli episodi.
CANTARELLA - Il poema è il documento di un continuo compromesso fra la tradizione omerica ed il desiderio di originalità. Esso in effetti è tutto episodico, frammentario e per di più senza poesia, la sola che avrebbe potuto galvanizzare un personaggio scialbo come Giasone che supera tutte le prove con l’aiuto di Medea, non un eroe e nemmeno un uomo, mentitore, profittatore, spergiuro, senza nemmeno il merito del seduttore perchè Eros fa tutto per lui. Unica, autentica gemma del poema la morte di Ila rapita dalla ninfa della fonte del l. I.

Riflessi su... -> VIRGILIO - l’opera di Apollonio è il presupposto dell’"Eneide", mentre Giasone e Medea le brutte copie di Enea e Didone
-> VALERIO FLACCO - il cui unico merito è quello di aver scritto un’"Argonautica" in ll. 8, incompiuta.

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