Mafia italiana

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Testo

La Mafia
Datare le origini del potere criminale nel nostro Paese è impresa ardua, se non impossibile. Più semplice definirne la natura che rappresenta una peculiarità tutta italiana. Questo non vuol dire che in altri paesi non esistano forme di criminalità organizzata, ma è soprattutto in Italia che il sistema dell’illegalità si è storicamente definito in precise organizzazioni, ciascuna con proprie caratteristiche e precisi radicamenti regionali.
Il fenomeno di gran lunga più diffuso - e che negli anni dell’emigrazione è stato esportato soprattutto oltreoceano, in paesi ricchi come gli Stati Uniti – è quello della mafia siciliana che va anche sotto il nome di Cosa nostra. Fenomeni di criminalità organizzata, con varie ramificazioni, esistono da più di un secolo anche in
o Campania (la camorra),
o in Calabria (la ‘ndrangheta)
o e da tempi molto più recenti anche in Puglia (la sacra corona unita).

La Mafia Siciliana
La nascita della mafia siciliana coincide con la nascita dello Stato moderno e rappresenta uno stratificarsi di potere in alternativa alla debolezza mostrata dal radicamento del potere legale dello Stato stesso. Sono tante e tali le trasformazioni subite dall’organizzazione criminale dell’isola che è oggi impresa ardua stabilire una continuità diretta tra la mafia borbonica e quella attuale.
La capacità di crescita mostrata da Cosa nostra sta tutta nella sua capacità di inquinare i rapporti sociali con la violenza, ma soprattutto nella sua abilità a mimetizzarsi nelle pieghe del sistema di potere vigente e a scendere a patti con esso: una tattica, questa, che le ha garantito lunghissimi anni di impunità.
Lo scontro violento tra Cosa nostra e Stato si verificherà, infatti, soltanto negli anni Novanta del secolo appena passato (gli anni dello stragismo mafioso) ed è un aspetto della storia della mafia siciliana ancora tutto da indagare, specialmente nei suoi risvolti e nelle alleanze che sottintende.

\La vita di Cosa Nostra (la parola mafia è un termine letterario che non viene mai usato dagli aderenti a questa organizzazione criminale) è disciplinata da regole rigide non scritte ma tramandate oralmente, che ne regolamentano l'organizzazione e il funzionamento ("nessuno troverà mai elenchi di appartenenza a Cosa Nostra, né attestati di alcun tipo, né ricevute di pagamento di quote sociali"), e così riassumibili, sulla base di quanto emerge dal lungo interrogatorio del Buscetta, uno dei piu’ noti pentiti di Mafia.
- La cellula primaria è costituita dalla "famiglia", una struttura a base territoriale, che controlla una zona della città o un intero centro abitato da cui prende il nome (famiglia di Porta Nuova, famiglia di Villabate e così via).
- La famiglia è composta da "uomini d'onore" o "soldati" coordinati, per ogni gruppo di dieci, da un "capodecina" ed è governata da un capo di nomina elettiva, chiamato anche "rappresentante", il quale è assistito da un "vice capo" e da uno o più "consiglieri".
- Qualora eventi contingenti impediscano o rendano poco opportuna la normale elezione del capo da parte dei membri della famiglia, la "commissione" provvede alla nomina di "reggenti" che gestiranno pro tempore la famiglia fino allo svolgimento delle normali elezioni.
- L'attività delle famiglie è coordinata da un organismo collegiale, denominato "commissione" o "cupola", di cui fanno parte i "capi-mandamento" e, cioè, i rappresentanti di tre o più famiglie territorialmente contigue. Generalmente, il "capo mandamento" è anche il capo di una delle famiglie, ma, per garantire obiettività nella rappresentanza degli interessi del "mandamento" ed evitare un pericoloso accentramento di poteri nella stessa persona, talora è accaduto che la carica di "capo mandamento" fosse distinta da quella di "rappresentante" di una famiglia.
- La commissione è presieduta da uno dei capi-mandamento: in origine, forse per accentuarne la sua qualità di primus inter pares, lo stesso veniva chiamato "segretario" mentre, adesso, è denominato "capo". La commissione ha una sfera d'azione, grosso modo, provinciale ed ha il compito di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra all'interno di ciascuna famiglia e, soprattutto, di comporre le vertenze fra le famiglie.
- Da tempo (le cognizioni del Buscetta datano dagli inizi degli anni '50) le strutture mafiose sono insediate in ogni provincia della Sicilia, ad eccezione (almeno fino ad un certo periodo) di quelle di Messina e di Siracusa.
- La mafia palermitana ha esercitato, pur in mancanza di un organismo di coordinamento, una sorta di supremazia su quella delle altre province, nel senso che queste ultime si adeguavano alle linee di tendenza della prima.
- Non meno minuziose sono le regole che disciplinano l' "arruolamento" degli "uomini d'onore" ed i loro doveri di comportamento.
I requisiti richiesti per l'arruolamento sono: salde doti di coraggio e di spietatezza (si ricordi che Leonardo Vitale divenne "uomo d'onore" dopo avere ucciso un uomo); una situazione familiare trasparente (secondo quel concetto di "onore" tipicamente siciliano, su cui tanto si è scritto e detto) e, soprattutto, assoluta mancanza di vincoli di parentela con "sbirri".
La prova di coraggio ovviamente non è richiesta per quei personaggi che rappresentano, secondo un'efficace espressione di Salvatore Contorno, la "faccia pulita" della mafia e cioè professionisti, pubblici amministratori, imprenditori che non vengono impiegati generalmente in azioni criminali ma prestano utilissima opera di fiancheggiamento e di copertura in attività apparentemente lecite.
- Il soggetto in possesso di questi requisiti viene cautamente avvicinato per sondare la sua disponibilità a far parte di un'associazione avente lo scopo di "proteggere i deboli ed eliminare le soverchierie". Ottenutone l'assenso, il neofita viene condotto in un luogo defilato dove, alla presenza di almeno tre uomini della famiglia di cui andrà a far parte, si svolge la cerimonia del giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. Egli prende fra le mani un'immagine sacra, la imbratta con il sangue sgorgato da un dito che gli viene punto, quindi le dà fuoco e la palleggia fra le mani fino al totale spegnimento della stessa, ripetendo la formula del giuramento che si conclude con la frase: "Le mie carni debbono bruciare come questa santina se non manterrò fede al giuramento".
- Lo status di "uomo d'onore", una volta acquisito, cessa soltanto con la morte; il mafioso, quali che possano essere le vicende della sua vita, e dovunque risieda in Italia o all'estero, rimane sempre tale
- L' "uomo d'onore", dopo avere prestato giuramento, comincia a conoscere i segreti di Cosa Nostra e ad entrare in contatto con gli altri associati.
In ogni caso, le conoscenze del singolo "uomo d'onore" sui fatti di Cosa Nostra dipendono essenzialmente dal grado che lo stesso riveste nell'organizzazione, nel senso che più elevata è la carica rivestita maggiori sono le probabilità di venire a conoscenza di fatti di rilievo e di entrare in contatto con "uomini d'onore" di altre famiglie.
- Ogni "uomo d'onore" è tenuto a rispettare la "consegna del silenzio": non può svelare ad estranei la sua appartenenza alla mafia, né, tanto meno, i segreti di Cosa Nostra; è, forse, questa la regola più ferrea di Cosa Nostra, quella che ha permesso all'organizzazione di restare impermeabile alle indagini giudiziarie e la cui violazione è punita quasi sempre con la morte.
- All'interno dell'organizzazione, poi, la loquacità non è apprezzata: la circolazione delle notizie è ridotta al minimo indispensabile e l' "uomo d'onore" deve astenersi dal fare troppe domande, perché ciò è segno di disdicevole curiosità ed induce in sospetto l'interlocutore.
- Quando gli "uomini d'onore" parlano tra loro, però, di fatti attinenti a Cosa Nostra hanno l'obbligo assoluto di dire la verità e, per tale motivo, è buona regola, quando si tratta con "uomini d'onore" di diverse famiglie, farsi assistere da un terzo consociato che possa confermare il contenuto della conversazione. Chi non dice la verità viene chiamato "tragediaturi" e subisce severe sanzioni che vanno dalla espulsione (in tal caso si dice che l' "uomo d'onore è posato") alla morte.
Così, attraverso le regole del silenzio e dell'obbligo di dire la verità, vi è la certezza che la circolazione delle notizie sia limitata all'essenziale e, allo stesso tempo, che le notizie riferite siano vere.
- Il mafioso, come si è accennato, non cessa mai di esserlo quali che siano le vicende della sua vita.
L'arresto e la detenzione non solo non spezzano i vincoli con Cosa Nostra ma, anzi, attivano quell'indiscussa solidarietà che lega gli appartenenti alla mafia: infatti gli "uomini d'onore" in condizioni finanziarie disagiate ed i loro familiari vengono aiutati e sostenuti, durante la detenzione, dalla "famiglia" di appartenenza; e spesso non si tratta di aiuto finanziario di poco conto, se si considera che, come è notorio, "l'uomo d'onore rifiuta il vitto del Governo" e, cioè, il cibo fornito dall'amministrazione carceraria, per quel senso di distacco e di disprezzo generalizzato che la mafia nutre verso lo Stato.
- Unica conseguenza della detenzione, qualora a patirla sia un capo famiglia, è che questi, per tutta la durata della carcerazione, viene sostituito dal suo vice in tutte le decisioni, dato che, per la sua situazione contingente, non può essere in possesso di tutti gli elementi necessari per valutare adeguatamente una determinata situazione e prendere, quindi, una decisione ponderata. Il capo, comunque, continuando a mantenere i suoi collegamenti col mondo esterno, è sempre in grado di far sapere al suo vice il proprio punto di vista, che però non è vincolante, e, cessata la detenzione, ha il diritto di pretendere che il suo vice gli renda conto delle decisioni adottate.
- Durante la detenzione è buona norma, anche se non assoluta, che l'uomo d'onore raggiunto da gravi elementi di reità non simuli la pazzia nel tentativo di sfuggire ad una condanna: un siffatto atteggiamento è indicativo della incapacità di assumersi le proprie responsabilità.
Adesso, però, sembra che questa regola non sia più seguita, e, comunque, che non venga in qualche modo sanzionata, ove si consideri che sono numerosi gli esempi di detenuti sicuramente uomini d'onore, che hanno simulato la pazzia
- Anche il modello di comportamento in carcere dell'uomo d'onore, descritto da Buscetta, è radicalmente mutato negli ultimi tempi.
Ricorda infatti Tommaso Buscetta che in carcere gli "uomini d'onore" dovevano accantonare ogni contrasto ed evitare atteggiamenti di aperta rivolta nei confronti dell'autorità carceraria.
- Unica deroga al principio della indissolubilità del legame con Cosa Nostra è la espulsione dell'uomo d'onore, decretata dal "capo famiglia" o, nei casi più gravi, dalla "commissione" a seguito di gravi violazioni del codice di Cosa Nostra, e che non di rado prelude all'uccisione del reo. L'uomo d'onore espulso, nel lessico mafioso, è "posato".
- Ma neanche l'espulsione fa cessare del tutto il vincolo di appartenenza all'organizzazione, in quanto produce soltanto un effetto sospensivo che può risolversi anche con la reintegrazione dell'uomo d'onore.Pertanto l'espulso continua ad essere obbligato all'osservanza delle regole di Cosa Nostra.
- L'uomo d'onore posato non può trattenere rapporti con altri membri di Cosa Nostra, i quali sono tenuti addirittura a non rivolgergli la parola
Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è l'assoluto divieto per l'"uomo d'onore" di fare ricorso alla giustizia statuale. Unica eccezione, secondo il Buscetta, riguarda i furti di veicoli, che possono essere denunziati alla polizia giudiziaria per evitare che l'uomo d'onore, titolare del veicolo rubato, possa venire coinvolto in eventuali fatti illeciti commessi con l'uso dello stesso; naturalmente, può essere denunciato soltanto il fatto obiettivo del furto, ma non l'autore.

I Delitti della Mafia
Moltissimi sono i delitti terribili commessi dalla Mafia a partire dal dopo guerra fino ai giorni nostri. Di questi, quelli che si ricordano anche per la fama e l’importanza delle vittime sono:
27/7/1993: a Roma, un’autobomba esplode nel piazzale antistante il vicariato, dietro la basilica di San Giovanni in Laterano. Poco dopo un’altra autobomba esplode davanti alla chiesa del Velabro. Lo stesso giorno a Milano, un’autobomba parcheggiata in via Palestro provoca cinque morti: quattro vigili urbani accorsi sul posto e un extracomunitario che dormiva su una panchina.
27/5/1993: a Firenze, esplode un’autobomba in via dei Georgofili, cinque morti.
19/7/1992, ore 13:45: strage di via D'Amelio (Palermo), muoiono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna poliziotto ad aver perso la vita in un attentato della mafia.
23/5/1992, ore 17:58: strage di Capaci (sull'autostrada Palermo-Punta Raisi), muoiono Giovanni Falcone, già magistrato a Palermo, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, superstite l'agente Giuseppe Costanza che viaggiava sull'automobile guidata da Falcone.
29/8/1991: ucciso Libero Grassi, imprenditore che rifiuta di pagare il pizzo agli esattori della mafia.
5/8/1985: Antonino Cassarà, vicequestore di Palermo e l’agente di polizia Roberto Antiochia.
29/7/1983: autobomba di via Pipitone Federico (Palermo) muoiono il capo dell’ufficio istruzione del tribunale Rocco Chinnici, due carabinieri della scorta e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
3/9/1982: Palermo. Strage di via Carini. Uccisi il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo, l'autista che li seguiva sull'auto di servizio.
30/4/1982: Pio La Torre, segretario del P.C.I. siciliano e il suo autista Rocco Di Salvo. Il giorno dopo il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa è nominato prefetto di Palermo.
6/8/1980: Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo. Aveva appena firmato sessanta ordini di cattura contro altrettanti mafiosi, dopo che i suoi sostituti si erano rifiutati di farlo.
6/1/1980: il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella, politico della sinistra democristiana.
25/9/1979: a Palermo il giudice istruttore Cesare Terranova e il suo autista, il maresciallo di polizia Lenin Mancuso.
21/7/1979: Boris Giorgio Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo.
1/5/1947: massacro di Portella della Ginestra (collina vicino Palermo), la banda Giuliano apre il fuoco su una folla di contadini che celebra la festa del lavoro: 11 morti e 56 http://digilander.libero.it/inmemoria/foto/gined.jpgferiti.
I BOSS Mafiosi
I boss mafiosi piu’ famosi e tristemente noti alle cronache dei giornali sono:
Bernardo Provenzano (1933 - latitante)
Nato il 31 gennaio 1933 a Corleone, da sempre "Binnu 'u tratturi" è uno dei capi più misteriosi di Cosa Nostra, per la mancanza di notizie certe sul suo conto. Pur essendo attualmente in cima alla lista dei grandi latitanti, non e’ stato ancora catturato e la polizia lo considera il capo di Cosa Nostra
Salvatore Riina detto "Totò u curtu", nacque a Corleone il 16 novembre 1930.
Trascorse ventitre anni di latitanza, in assoluta libertà e per lo più a Palermo, nonostante le tracce lasciate dal matrimonio nell'aprile del 1974 con Antonietta Bagarella e dai battesimi dei suoi quattro figli. Fu arrestato dagli uomini del ROS dei Carabinieri il 15 gennaio 1993. Già condannato con sentenza passata in giudicato dalla Corte di cassazione a due ergastoli, a lui vengono anche attribuiti tutti gli omicidi eccellenti decisi da Cosa Nostra negli ultimi decenni. Attualmente è imputato in tutti i più importanti processi per mafia in corso nel nostro paese, a partire da quelli per le stragi in cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino.
Leoluca Bagarella (1942 - in carcere dal 24/6/1995)
Luchino, fratello di Antonietta, la moglie di Salvatore Riina, nacque il 3 febbraio del 1942 a Palermo. A partire dagli anni Sessanta, fu un esponente di primo piano dei corleonesi e uno tra i killer più spietati. Dopo l'arresto di Riina, divenne uno dei più importanti boss di Cosa Nostra, La sua latitanza ebbe termine il 24 giugno 1995, quando venne arrestato dalla DIA.
Giovanni Brusca (1957 - in carcere dal 20/5/1996)
Nato a Palermo il 20 maggio del 1957, " divento’ presto un killer feroce e responsabile di diverse decine di omicidi.. E' ormai tristemente noto come il boia di "Capaci", vale a dire l'uomo che azionò il telecomando che fece esplodere l'autostrada lungo la quale transitavano in auto il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta. Dopo l'arresto di Riina e Bagarella prese il comando dell'ala militare dei corleonesi, in accordo con Bernardo Provenzano. Fu arrestato il 20 maggio 1996 a Cannitello, in provincia di Agrigento
Benedetto (Nitto) Santapaola (1938 - in carcere dal 18/5/1993)
Benedetto "Nitto" Santapaola nacque il 4 giugno del 1938 in una famiglia di modeste condizioni sociali, fu uno dei capi mafia più potenti e sanguinari della Sicilia orientale.
Fu lui che organizzò l'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo. Condannato all'ergastolo per la strage della circonvallazione, per quella di via Carini, invece, Santapaola fu riconosciuto colpevole in primo grado ma assolto in appello; successivamente la Corte di cassazione decise di far ripetere il processo. Nel 1982 si diede alla latitanza e dopo undici anni di latitanza, fu catturato all'alba del 18 maggio 1993.

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