Il commercio internazionale

Materie:Riassunto
Categoria:Geografia

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Testo

IL COMMERCIO INTERNAZIONALE.
Gli scambi commerciali internazionali degli anni ’50 sono cresciuti costantemente e hanno reso molto più intraprendenti le economie dei vari paesi industrializzati, mentre quelli sottosviluppati continuano ad occupare una posizione marginale nel commercio mondiale. La riduzione di barriere doganali, stimolata dal WTO, è stata accompagnata dalla costituzione di aree commerciali regionali aperte all’interno ma non altrettanto verso l’esterno, come UE o il NAFTA. L’evoluzione e la situazione attuale dei flussi di merci si sviluppano per 80 % all’interno della Triade (America Anglosassone, Europa occidentale e Asia orientale) e per il 75 % riguardano i prodotti industriali, mentre è calato il peso dei prodotti agricoli, energetici e minerari. I paesi sottosviluppati in pochi casi sono riusciti a coprire un ruolo rilevante nel commercio mondiale e complessivamente oggi persiste la loro situazione di dipendenza, dovuta in parte ai meccanismi dello scambio ineguale e aggravata dal fato che i paesi del Sud del mondo commerciano poco tra di loro.
1. Scambi internazionali e apertura commerciale.
Per commercio internazionale s’intende l’insieme degli scambi di beni e servizi tra paesi diversi. Per quanto riguarda le importazioni e le esportazioni di un paese, esse sono registrate nella bilancia commerciale (in cui i beni e i servizi scambiati con l’estero, insieme ai movimenti di capitale finanziario, formano la bilancia dei pagamenti, ovvero il conto nazionale in cui sono registrate tutte le transazioni economiche avvenute con l’estero; la bilancia dei pagamenti si compone di alcune sezione: la prima registra le importazioni e le esportazioni di merci ed è denominata bilancia commerciale; allo stesso modo gli scambi di servizi e di capitali sono registrati rispettivamente nella bilancia dei servizi e nella bilancia in conto capitale). Quindi è un importante indicatore della salute dell’economia nel suo complesso, fornisce indicazioni sull’andamento dell’interscambio di merci e sulla competitività internazionale dei settori produttivi di un paese. All’interno della bilancia commerciale si distinguono 3 voci:
- energia e materie prime minerarie (prodotti) in Italia è passiva, poiché importa moltissimo;
- prodotti agricoli Italia è passiva, poiché importa moltissimo;
- manufatti industriali in Italia è attiva, poiché esporta moltissimo.
Essa può essere attiva (il valore delle merci esportate è maggiore rispetto al valore delle merci importate) o passiva (il valore delle merci importate è maggiore rispetto al valore delle merci esportate).
Il commercio internazionale è il pilastro fondamentale del globalizzazione dell’economia; l’intensificazione delle relazioni internazionali dopo la 2° guerra mondiale ha portato (tra 1950 - 90) ad un incremento degli scambi mondiali di circa 9 volte in volume e 30 volte in valore. Oggi il grado d’interdipendenza delle economie dei vari paesi è tale che nessun Stato o nessuna impresa prende iniziative commerciali importanti senza tenere conto della situazione geoeconomica e geopolitica internazionale. Quasi tutti i paesi del mondo negli ultimi decenni hanno aumentato il loro grado di apertura commerciale incrementando la % di prodotto interno esportata e ricorrendo a importazioni per esigenze interne non soddisfatte da produzioni nazionali. Questa progressiva liberazione del commercio non è generalizzata e totale. In alcune aree e per dei prodotti, ci sono dazi e barriere doganali per proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza esterna. L’interdipendenza economica tra Stati è aumentata ed è dimostrazione di come uno Stato più rimanere isolato.
Esempio d’interdipendenza. L’Italia importa il Metano dall’Algeria e dalla Russia, quindi dipende da questi stati, deve avere rapporti diplomatici con ambedue e avvengono anche scambi, ma è anche dipendente. Ma può accadere anche che la Russia o l’Algeria importino dall’Italia e per questo si parla d’interdipendenza.
* Tabella. Esportazioni mondiali per grandi aree geografiche.
- Sono indicati gli scambi pagati in Dollari Americani.
- Dal 1970 al 1998 c’è stato un aumento generale delle esportazioni mondiali (da 302 a 5225).
- per quando riguarda i paesi industrializzati in generale c’è stato una diminuzione delle esportazioni mondiali, ma per quanto riguarda:
° l’America Anglosassone si è verificata una diminuzione delle esportazioni mondiali (19,7 a 17,1);
° l’Europa Occidentale si è verificata una diminuzione delle esportazioni mondiali (45,8 a 44,7);
° il Giappone a differenza si è verificata un aumento delle esportazioni mondiali (6,4 a 7,4).
- per quanto riguarda l’Europa orientale e la Russia c’è stata una diminuzione delle esportazioni mondiali.
- infine per quanto riguarda il resto del mondo(paesi del Sud del mondo) c’è stata un aumento delle esportazioni mondiali. Questi paesi hanno rapporti commerciali con i paesi del Nord del mondo, che hanno visto però una diminuzione delle esportazioni perché: i Paesi del Nord del mondo tendono alla terziarizzazione e quindi importano, i prodotti dei paesi del resto del mondo sono più vantaggiosi, in molti stati le produzioni industriali nei momenti di benessere sono consumati dallo stato stesso e con la possibilità di consumo la quota si riduce (le esportazioni sono minori) ed infine le produzioni nei paesi del Sud del mondo sono tenute a basso costo per entrare nel mercato del commercio internazionale e le produzioni non sono consumate dalla popolazione dello stato.
* Grafico. Valore % del commercio estero sul totale del PIL in alcuni paesi (1970 - 1995).
- Usa = è raddoppiato.
- Giappone = leggera diminuzione.
- Germania – Francia = leggero aumento.
- Italia, GB, Canada, Cina, India, Messico, Corea del Sud, Algeria, Vietnam = aumento considerevole, ciò significa che questi paesi hanno migliorato la qualità delle produzioni e la popolazione vive in condizioni migliori.

2. Le due tendenze recenti: globalizzazione e regionalizzazione = hanno favorito la crescita del commercio internazionale, entrambi si compensano e non si contrastano, poiché molti paesi sono all’interno di organizzazioni globali nonostante siano anche in organizzazioni regionali.
La grande crescita del commercio internazionale nel secondo dopoguerra e dopo il 1970, si spiega con la concomitanza di diversi fattori politici, economici e tecnologici.
a) il clima di distinzione politica tra paesi occidentali dal 1970 e tra l’Est e l’Ovest; l’assenza di conflitti mondiali e l’intensificazione delle relazioni diplomatica hanno favorito rapporti più importanti sulla competizione economica, che hanno creato la premessa per un progressivo abbassamento dei dazi doganali. Il clima di distinzione politica ha interessato gli stati dopo il 1945 poiché non sono più avvenuti conflitti mondiali, ma regionali.
b) il forte sviluppo dell’economia mondiale (particolarmente quella dei paesi del Nord del mondo) ha permesso l’aumentare delle produzioni, tenori di vita e di disponibilità di reddito, premessa indispensabile per un rafforzamento della domanda e dell’offerta di beni.
c) altro fattore economico rilevante, causa e conseguenza della crescita del commercio internazionale, è stato l’espansione delle imprese multinazionali e il processo di decentramento produttivo che ha prodotto una nuova divisione internazionale del lavoro. 2/3 del commercio mondiale di prodotti industriali sono gestiti da imprese multinazionali, di cui ¼ è rappresentato da scambi tra imprese appartenenti allo stesso gruppo; il ciclo di produzione di un bene (per ex. Il reperimento delle materie prime, costruzione dei semilavorati, assemblaggio finale) può essere ramificato anche su scala mondiale tra numerose imprese; la crescita delle multinazionali è derivata a volte anche dalla necessità di aggirare le barriere doganali: l’investimento diretto (costruzione filiale o l’acquisto di una azienda) in un paese che mantiene queste barriere se è permesso dal Governo locale, è una strategia che permette anche una migliore penetrazione nel mercato di quel paese.
Le imprese multinazionali hanno decentrato gli stabilimenti di produzione in diversi continenti, infatti i 2/3 dei prodotti delle multinazionali viaggiano da un continente all’altro e le imprese hanno attività in più stati, scambiano i prodotti, la tecnologia ecc e operano con questo decentramento per facilitare e aggirare le barriere doganali (dazi e tariffe che hanno incrementato il mercato). Esempio, se l’azienda X produce auto e per evitare di pagare dazi, poiché da Giappone è importata da un altro Stato, per esempio la Toyota si è insediata in uno Stato dell’EU creando lo stabilimento di produzione e in questo modo l’auto può essere venuta in Europa senza pagare dazi doganali poiché se lo stabilimento si trova per esempio in Inghilterra, trovandosi in Europa, può vendere l’auto in qualsiasi stato europeo. Se l’Inhilterra dovesse vendere l’auto alla Russia, quest’ultima attuerà i suoi dazi poiché non si trova nell’UE.
d) dal punto di vista tecnologico un ruolo centrale nella crescita del commercio internazionale dopo la 2° guerra mondiale va attribuito al miglioramento dei trasporti e delle vie di comunicazioni; l’abbattimento dei costi e la riduzione dei tempi è un vantaggio per il commercio; le nuove tecnologie delle telecomunicazioni hanno permesso la rapida circolazione di enormi quantità d’informazioni, che hanno rivoluzionato l’economia mondiale consentendo anche un più facile incontro tra domanda e offerta; si sono avvantaggiate anche le Borse merci internazionali, crocevia della commercializzazione, in cui sono quotate giornalmente centinaia di prodotti primari (metalli, petrolio, carne, cereali, caffé…) e quelle nodali (ex. Chicago per i cerali, le carni e Londra & New York per i metalli)
e) altro motivo della crescita del commercio internazionale è stato la firma nel 1947 dell’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT). Il GATT è nato per promuovere gli scambi a livello mondiale tramite l’abbattimento progressivo di ogni forma di dazio o protezionismo; nel 1995 il GATT si è trasformato in WTO e oggi vi aderiscono circa 142 / 143 paesi; il principio ispiratore del GATT – WTO è il liberoscambista e i risultati sono stati notevoli, ma il contributo alla formazione dell’attuale economia globale è di primaria importanza.
f) è stata importante la proliferazione di accordi commerciali regionali (UE e NAFTA) con lo scopo di rafforzare all’interno dell’area dell’accordo gli scambi, con protezioni più o meno consistenti verso il resto del mondo, ma sembra andare nella direzione opposta rispetto agli obbiettivi del WTO; attualmente globalizzazione e regionalizzazione del commercio internazionale convivono nel panorama economico internazionale; i due aspetti non sono del tutto contraddittori: i paesi che hanno siglato accordi regionali partecipano alle trattative del WTO per ridurre le barriere; l’appartenenza ad un’area di libero scambio è stato un forte stimolo alla crescita delle esportazioni nazionali e una sorta di tappa intermedia verso un incremento del commercio anche all’esterno dell’area; le aree regionali più potenti (ex. UE) hanno svolto un ruolo di attrazione verso i paesi limitrofi, che talvolta sono diventati membri aumentando il loro interscambio con l’estero; rimane, anche se lontano, il rischio, che questi sottoinsiemi regionali puntino all’autosufficienza o al protezionismo, producendo una frammentazione dello spazio economico mondiale piuttosto che una sua globalizzazione; la logica liberoscambista del WTO trova ostacoli anche nell’incremento dei negoziati bilaterali (tra due stati); la quota di scambi internazionali governata da questo tipo di accordi è il 20 % e riguarda i manufatti industriali; gli accordi bilaterali possono anche essere stipulati tra un paese e un’intera area di libero scambio (per ex. Tra Giappone e UE per le auto).
3. La distribuzione geografica degli scambi.
Dopo la seconda guerra mondiale il commercio internazionale ha assunto una struttura tripolare: Europa occidentale, Usa, Canada, Asia occidentale (Giappone e NIC asiatici) sono diventati poli dominati egli scambi mondiali. Altri soggetti hanno contribuito a rendere multipolare il commercio e i principali sono i paesi OPEC, la Russia, i paesi più popolosi dell’America Latina (Brasile e Messico) e la Cina. La maggioranza dei commerci (+ 80 %) resta appannaggio / entrata dei paesi sviluppati. Analizzando i commerci dei 3 poli principali notiamo che:
- oltre 45 % delle esportazioni è gestito dall’Europa occidentale, il massimo polo commerciale del mondo, che dal 1957 ha registrato un notevole aumento degli scambi interni dell’area;tra i paesi europei la Germania svolge un ruolo da leader ed è partner principale di tutti i paesi europee e orientali;
- il polo dell’America Anglosassone copre il 17 % delle esportazioni ma ha ridotto il peso degli scambi interni a causa della pressione dell’export asiatico; l’integrazione del Messico nel NAFTA non ha modificato il pesto di quest’area, poiché il paese latino – americano è interessato solo dall’1 % degli scambi mondiali.
- l’Asia orientale ha registrato i maggiori progressi nelle esportazioni fino a coprire il 21 % del total mondiale (solo il Giappone 7,5 %); quest’area dal 1980 ha rappresentato il motore principale nello sviluppo del commercio internazionale, sostenuto dal fatto che il Giappone, i NIC asiatici e la Cina hanno auto incrementi produttivi e delle esportazioni altissimi; circa il 40 % degli scambi è destinato all’interno dell’area e ciò ha permesso una maggiore integrazione tra le varie economie nazionali; la crisi finanziaria che ha colpito l’area nel 1997 ha in parte influenzato l’export, che ha poi ripreso vigore solo in alcuni paesi.
- al di fuori di questi 3 poli la Russia (legata alle fonti energetiche ed è monoproduttivi) con i paesi dell’Europa orientale, a causa dei rivolgimenti politici ed economici che sta tuttora vivendo, non si è ancora ripresa da una crisi economica che ha anche molto ridotto il commercio estero; l’area ex socialista gestisce il 3,5 % del commercio internazionale grazie alle sue esportazioni di materie prime, rispetto al 9 % del 1985.
- i paesi petroliferi del Medio Oriente gestiscono un commercio di monoesportazione, che rappresenta il 3 % del totale dell’export.
* Tabella. Esportazioni mondiali: primi 10 paesi.
- si riferisce al 1195 e al 1973.
- Usa, Giappone, Hong Kong, Cina e Corea del Sud = aumento della % delle esportazioni dal 1973 al 1995.
- Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada e Belgio – Lussemburgo (lieve) = diminuzione della % delle esportazioni dal 1973 al 1995. Questo è avvenuto perché è aumentato il consumo interno e quindi all’interno di questi Stati le condizioni di vita sono migliorate.
* Torta. Composizione merceologica delle esportazioni mondiali.
Rispetto alla composizione merceologica degli scambi vi è una notevole trasformazione. Dai grafici si può notare come il valore di prodotti agricoli sia calato un favore di quelli industriali, che rappresentano oggi ¾ del totale.
1965
1998
Produzioni industriali
57 %
75 %
- materiali e macchinari di trasporto 35,5%;
- prodotti chimici 8,5 %;
- tessile e abbigliamento 6,5 %;
- altri semilavorati 11,5 %;
- altri beni di consumo 11,5 %;
- armi e munizioni 3,5 %;
Produzioni agricole e alimentari
27 %
12 %. L’aumento della popolazione ha provocato un aumento delle produzioni, che sono consumate dalla popolazione stessa e quindi si tende ad importare.
Produzioni minerarie
16 %
13 %. È avvenuta una diminuzione delle produzioni minerarie, perché i paesi avviano la lavorazione tramite la nuova tecnologia e quindi esportano il prodotto finito e non per esempio il minerale ferroso, ma in questo caso le leghe di ferro.
4. Commercio internazionale e sottosviluppo.
L’insieme dei paesi sottosviluppati gestisce quasi il 30 % dei commerci mondiali. I 2/3 di questa quota sono coperti dai paesi dell’Asia centrale e dai paesi esportatori di petrolio. Gli altri paesi sottosviluppati partecipano marginalmente agli scambi mondiali. Con eccezione dell’Asia orientale, i paesi sottosviluppati commerciano poco tra loro per la scarsa disponibilità di tecnologia, fattore produttivo essenziale per lo sviluppo economico. La costruzione di tecnologie in loco sarebbe determinante affinché queste risulterebbero più appropriate alle esigenze interne e svilupperebbero la complementarità economica e quindi il commercio tra paesi del Sud del mondo. Invece per pochi di questi paesi (Cina e India) orientati verso uno sviluppo tecnologico parzialmente autonomo, per cui la dipendenza dalle importazioni di tecnologia dal Nord del mondo è molto marcata. Da ciò consegue che sono importate tecnologie mature non più utili nei paesi evoluti, che intanto ampliano il loro vantaggio in materia d’innovazione tecnologica. La specializzazione nei settori tecnologicamente avanzati è più importante e di maggior valore economico rispetto alale produzioni agricole e minerarie, che sono le specializzazioni più frequenti nei paesi sottosviluppati insieme alle produzioni industriali tradizionali o di basso pregio. Il possesso della tecnologia innovativa, limitato a un ristretto numeri di paesi, oltre ad essere un fondamentale fattore di sviluppo economico permette una crescita autonoma, da un vantaggio negli scambi mondiali. Il costo dei beni che contengono tecnologia avanzata tende ad aumentare più rapidamente di quello degli altri prodotti e a mantenersi elevato; queste merci sono cambiate con quantitativi crescenti di altre merci, secondo il meccanismo ineguale. Una volta che la tecnologia innovativa si diffonde, il vantaggio economico dei paesi evoluta che la possiedono diminuisce e inizia una fase di decentramento all’estero della produzione. Una tale posizione di forza negli scambi mondiali non è data dal possesso dei prodotti industriali a tecnologia matura o dei prodotti agricoli e minerari, con qualche eccezione per situazioni monopolistiche, che si verificano nel settore del grano e del petrolio. La possibilità che un paese del Sud del mondo riesca a sviluppare la propria economia e il proprio commercio estero esiste (ex. Cina e Corea del Sud), ma la maggior parte dei paesi sottosviluppati ha visto peggiorare negli anni ’80 e ’90 la propria situazione economica e commerciale. Ciò ha determinato: un divario sempre più largo tra ricchezza e povertà a libello mondiale e una persistente marginalità del Quarto Mondo, il cui ruolo nel commercio mondiale non cresce.
NB - I paesi sottosviluppati tra di loro commerciano poco e non c’è quindi un commercio fitto, perché il più delle volte producono gli stessi prodotti e quindi non è vantaggioso scambiare lo stesso prodotto.
Scheda. Il commercio internazionale fino alla prima metà del ‘900.
Nel mondo antico vi erano flussi internazionali di merci. Quasi 2 mila anni fa l’impero romano aveva già organizzato il commercio di alcuni beni (grano) su rotte di migliaia di chilometri e i commerci marittimi fenici risalgono a mille anni prima di Cristo. Dopo la caduta dell’impero romano i commerci internazionali si svilupparono in Oriente (arabi e cinesi), nell’area baltico – scandinava e in quella mediterranea, presso popoli che hanno mantenuto fino ad oggi una tradizionale abilità commerciale. Le merci trasportate erano “preziose” (seta e spezie). Con l’epoca delle scoperte geografiche si svilupparono i trasporti di carichi pesanti su lunga distanza. Il più importante flusso fu rappresentato dal commercio triangolare dell’Atlantico centro – settentrionale: tra Gran Bretagna, Africa occidentale e America settentrionale. Si trasportavano manufatti dalla GB all’Africa, dove erano scambiati con schiavi neri, che venivano trasportati e veduti in America, da dove ripartivano le navi per l’Europa cariche di cotone, tabacco e altri prodotti di piantagione. Tutti i paesi colonizzatori diedero impulso al commercio internazionale, che si sviluppò con la rivoluzione industriale. Dal 1750 in Europa arrivavano le materie prime in grande quantità per essere lavorate ed esportare i manufatti verso le colonie. Agli inizi del 1900, il commercio internazionale era controllato da alcuni paesi europei (GB), dopo il 1914, cominciarono ad emergere nei traffici internazionali due nuove potenze economiche (Giappone e Usa) e il ruolo dominante della GB si ridimensionava, ma allo stesso tempo si sviluppava il commercio di nuove risorse (petrolio) e nuovi prodotti industriali per permettere l’ampliamento del volume dei traffici.
Scheda. Dal GATT al WTO.
- L’accordo GATT (General Agreement on Tarifs and Trade) è stato siglato a Ginevra nel 1947 e fu voluto dagli Usa per affermare il principio in materia di commercio internazionale e rappresentò un pilastro del nuovo ordine economico postbellico.
- Nello stesso periodo (1848) nacque l’Organizzazione Europea di Cooperazione (OECE poi trasformata in Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico OCSE allargata agli Usa) sorta inizialmente per gestire la distribuzione ai paesi europei dei fondi del Piano Marshall, ottenuti in cambio di un’apertura commerciale verso gli Usa.
- L’accordo del GATT si fonda sulla non discriminazione commerciale e sulla multilateralità. Prevede che gli accordi, che regolano le relazioni commerciali siano stipulati nella maniera più generalizzata possibile. Questi accordi sono stipulati in un’Assemblea Generale che si riunisce periodicamente in negoziati di lunga durata (Round) e dal 1947 si sono avuti 7 Round (Kennedy Round 1962 – 1968, Tokyo Round 1973 – 80, Uruguay Round 1986 – 1993, Millemium Round 1995 – tuttora). Grazie a questi accordi il livello medio delle imposizioni doganali sui prodotti industriali è sceso tra il 1940 – 1998 dal 40 % al 4 %.
- L’accordo ha portato alla sostituzione del GATT con l’Organizzazione mondiale el commercio (World Trade Organisation WTO) dotata di maggiori poteri di controllo (pratiche di concorrenza sleale come il dumping, la vendita all’estero a prezzo più basso rispetto a quello interno) e di gestione delle controversie tra gli aderenti. Il WTO può applicare anche sanzioni al paese che trasgredisce le regole. Le maggiori critiche all’accordo provengono da una parte dei paesi del Quarto Mondo, timorosi di vendersi invasi da eccedenze agricole dei paesi sviluppati o dalle tecnologie arretrate delle loro multinazionali, senza che la nuova possibilità di esportare nel Nord del mondo prodotti a basso costo possa controbilanciare la situazione. Tale timore deriva dal fatto che la possibilità teorica di competere sui mercati mondiali è contraddetta dalla debolezza strutturale delle economie di questi paesi, modificabile solo in tempi medio – lunghi. La libertà generalizzata di commercio è stata oggetto di forti critiche (durante il Millemium Round nella riunione di Seattle negli Usa i movimenti politici contrari al libero commercio si sono organizzati). Fino ad ora, se in generale è stata la regola, così come l’obbligo di estendere a tutti le condizioni commerciali applicate al paese che gode del trattamento più favorevole (clausola della nazione più favorita), non sono mancate clausole rispondenti a logiche diverse come il sistema delle preferenze generalizzate, che ha permesso l’istituzione in paesi del Sud del mondo di dazi volti a proteggere l’industria nascente senza che vi fosse una ritorsione doganale, o la clausola di salvaguardia, che ha permesso di ripristinare limitazioni doganali qualora si siano create condizioni di grave pregiudizio per la propria economia. Gi strumenti di protezione commerciale che il WTO cerca di combattere sono:
° le barriere visibili; tra le prime il dazio (innalzamento dei prezzi dei prodotti importati) è lo strumento più noto, ma anche quello che si è ridotto nel secondo dopoguerra. In crescita è l’uso del contingentamento (determinazione della quantità di prodotti scambiabili nel corso di un anno).
° le barriere invisibili; distinguiamo le barriere burocratiche, quelle tecnico – normative (norme tecniche cui deve rispondere il prodotto importato, per esempio in materia di sicurezza, di salvaguardia dell’ambiente) e le barriere fiscali interne (fanno leva sulle differenze d’imposizione fiscale indiretta, per esempio sulle difformità di aliquote IVA).
Scheda. Gli accordi commerciali regionali.
Gli accordi commerciali regionali sono di vario tipo e coinvolgono gli aderenti a libello d’integrazione molto differenti, poiché possono essere semplici accordi di libero scambio che prevedono l’abolizione di dazi tra paesi membri; se vieni istituito un dazio comune verso l’estero si tratta una unione doganale. I livelli d’integrazione sono anche superiori e non riguardano il trasferimento di merci anche di capitali, servizi, imprese e persone e si tratta di un mercato unico o comune. Se sono istituite politiche economiche comuni (agricole, fiscali, monetarie ecc), con cessione all’organismo sovranazionale di quote di potere decisionale dei singoli membri, si tratta di un’unione economica. L’UE è un organizzazione economica regionale, ne fanno parte quasi tutti i paesi dell’Europa Occidentale e sono numerose le richieste di adesione da parte di paesi limitrofi. Per contrapporti all’UE è nato nel 1993 il NAFTA (accordo nordamericano di libero scambio) tra Usa, Canada e Messico, per creare un mercato composto da circa 370 milioni di persone. Un altro accordo commerciale è l’ANSEAN (Associazione delle nazioni dell’Asia di Sud – Est), fondata nel 1967 che ha svolto un ruolo importante nell’incremento dei commerci tra i paesi membri e che nel 1993 ha promosso l’istituzione dell’AFTA per creare un’area di libero scambio nel Sud – Est asiatico entro il 2003. Numerosi sono gli accordi commerciali con minor peso o poco riusciti: ALAC (Associazione di libero commercio, in America Latina, è naufragato, in parte sostituito dal MERCORSUR, Mercato comune del Cono Sud, composto da Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay per attuare un’area di libero scambio), mentre in Africa sono presenti l’UDEAC (Unione doganale ed economica dell’Africa centrale) e l’UMA (Unione del Maghreb arabo).
Esempio regionale. La produzione e il commercio di droga.
La droga è una sostanza che modifica l’attività mentale delle persone. Essa comprende prodotti venduti legalmente (alcol, tabacco, caffé) e prodotti vietati dalla legge (marijuana, hashish, oppio, eroina, cocaina, crack, ecstasy). All’interno dei prodotti vietati dalla legge si disgiungono le droghe: pesanti (sostanze che danno dipendenza fisica) e leggere (sostanze che non danno dipendenza fisica). Tra le droghe illegali occorre distinguere quelle tradizionali (derivate da piante) da quelle sintetiche (ridotte in laboratorio). Attualmente il 95 % delle droghe illegali è costituito da droghe ricavate da piante. Le foglie di coca, la canapa e i papaveri da oppio sono coltivati nei paesi sottosviluppati. Una grande parte della produzione non è per uso interno al paese produttore, ma sono diventate merci preziose per l’esportazione, molto di più del caffé o del cacao. Questo fenomeno è legato alla globalizzazione dell’economia. I piccoli agricoltori la cui attrezzatura è manuale o costituita da animali da tiro, non possono più competere con gli agricoltori dei paesi ricchi, i cui metodi sono basati su sistemi meccanizzati, motorizzati e chimici. Gli agricoltori poveri che coltivano grano, cereali o riso nelle regioni tropicali ottengono meno prodotto rispetto ai prodotti agricoli del bacino di Parigi, della Pianura Padana p del delta del Mississippi. Per questo molti agricoltori sono passati o alla produzione specializzata di prodotti tropicali (caffé, banane e gomma, che i paesi ricchi non riescono a produrre a causa del clima temperato) o alla produzione di oppio, coca o canapa indiana (che in molte aree sono gli unici prodotti molto redditizi). Il risultato è che milioni di contadini, che tradizionalmente coltivavano prodotti legali, sono passati negli ultimi anni a quelli illegali. Oggi 1 milione e mezzo di contadini in Bolivia, Perù e Colombia dipendono dalla produzione delle foglie di coca. Il passaggio dalla droga dal produttore agricolo al consumatore finale porta nelle tasche di chi la smercia un enorme guadagno. Quando la droga arriva dai paesi sottosviluppati ai grandi mercati di consumo (Usa e Europa occidentale) il prezzo è aumentato di migliaia di volte. Il volume d’affari annuale del mercato delle droghe illegali è stimato intorno al 400 / 500 miliardi di dollari, circa 1/10 dell’intero giro d’affari del commercio internazionale (è maggiore di quello el petrolio e dei prodotti alimentari). La polizia riesce a sequestrare non più del 10 % delle spedizioni illecite di droga. I tipi di traffico sono determinati dal tipo di droga, dal paese di origine e dalla grandezza del mercato dei consumatori:
- il traffico di cocaina inizia nelle regioni andine per finire in Nordamerica ed Europa (la via di distribuzione passa dall’America centrale, Messico e Carabi, che sono divenute importanti rotte attraverso il Sudamerica , l’Africa e l’Europa orientale);
- il traffico di eroina ha origine nell’Asia sudorientale e sudoccidentale, mentre il resto viene dalla Colombia e dal Messico (la via di distribuzione coinvolge Cina, Malaysia, Thailandia e paesi africani per ragioni di trasporto; la via contrabbandata in Europa passa attraverso Pakistan, Iran e Turchia lungo la rotta dei Balcani anche se si sta diffondendo il contrabbando tramite altri Stati dell’Asia centrale come Turkmenista, Uzbekistan);
Stabilire il profitto annuale delle organizzazioni che gestiscono il narcotraffico è difficile, poiché il denaro guadagnato illegalmente tende a scomparire nell’economia legale (“riciclaggio di denaro sporco”). Il riciclaggio avvenire tramite operazioni finanziarie tramite capitali acquisiti illegalmente per eliminare i segni di provenienza. Per le organizzazioni criminali è la fase più importante del processo (il più redditizio). Il Financial Action Task Force, organismo nato nel 1989 per volere dei Governi dei paesi sviluppati, stima che ogni anno in Europa e negli Usa sono riciclati 85 milioni di dollari (10 % del valore di tutta l’economia italiana).
*Torta. La divisione dei profitti annuali del traffico di droga.
54 % = Vendita nei paesi consumatori;
20,5 % = Intermediatori nazionali;
20,5 % = Trafficanti internazionali;
5 % = Produttori.
*Carta. La geografia della droga.
Le rotte marittime sono uguali a quelle del traffico del commercio della droga. La droga quando è ancora materia prima viaggia per le rotte marittime, mentre quanto il prodotto è finito viaggia in “prima classe” utilizzando l’aereo.
Scheda. Le teoria: vantaggi comparati e scambio ineguale.
La dinamica dei rapporti economici e commerciali tra i paesi può essere spiegata partendo dai rapporti di scambio, che si realizzano tra economie diverse. Supponiamo che:
A) alcuni paesi sono specializzati nella produzione di beni primari (prodotti agricoli o minerari), corrispondono ai paesi sottosviluppati e fosse specializzato nell’esportazione del caffé dato che può produrlo a costi minori rispetto ad altri prodotti;
B) altri invece altri sono specializzati nelle produzioni di manufatti industriai, corrispondono ai paesi sviluppati e fosse specializzato nell’esportazione di carta, avrebbe gli stessi vantaggi del paese sottosviluppato che esporta caffé.
→ Gli economisti classici spiegarono questa specializzazione con la legge dei vantaggi comparati, ovvero quando due economie in contatto tra loto, ognuna ha interesse di specializzarsi nella produzione più vantaggiosa sulla base dei costi interni, entrambe tratterebbero beneficio dallo scambio reciproco di prodotti. Queste formulazioni riprese prima della metà del 1900, dalla moderna teoria neoclassica del commercio internazionale (tenendo conto dei fattori di produzione, ovvero capitale, tecnologia e spirito imprenditoriale) ha riscoperto i benefici che derivano dal libero scambio. Questa teoria ha delle contraddizioni:
- lo scambio di prodotti tra economie diverse ha determinato un crescente divario tra i paesi sviluppati, sempre più ricchi, mentre i paesi sottosviluppati sempre più poveri;
- i paesi sottosviluppati (sempre più poveri), tendenzialmente specializzati nella produzione agricola e di materie prima, hanno dovuto esportare quantità crescenti dei propri prodotti per poter importare la stessa quantità, in termini di valore, di prodotti industriali proventi dai paesi industrializzati;
- il vantaggio relativo, ce è il fondamento della teoria classica del commercio internazionale, non è un dato fisso e immutabile, ma dipende dalla disponibilità di risorse (il vantaggio cresce con il capitale e le tecnologie: quindi il vantaggio dello scambio non si divide equamente tra i partner, ma va a remunerare in misura crescente i fattori produttivi di cui dispongono i paesi più sviluppati).
A) questo paese è specializzato nella fornitura di beni primari agricoli e vende i suoi prodotti per finanziare l’acquisto di beni industriali;
B) quest’altro paese è specializzato nell’esportazione di prodotti industriali e acquista prodotti agricoli per soddisfare la domanda della propria popolazione industriale
Il prezzo di vendita di entrambi i prodotti non è soggetto a oscillazioni dovute a manovre speculative, ma dipende dall’operare delle leggi della domanda e dell’offerta.
La legge dei vantaggi comparati, per entrambi i paesi lo scambio dovrebbe essere egualmente vantaggioso, poiché c’è una diversa disponibilità di risorse. In realtà i due prodotti scambiati hanno un valore diverso: il bene industriale incorporerà più tecnologia, più capitale investito in macchinari e avrà un valore superiore a quello del bene primario e tale valore è destinato a crescere a causa del continuo progresso tecnologico e della crescente sostituzione di capitale (macchine) al lavoro. In queste condizioni l’economia esportatrice di beni primari dovrà cedere una quantità sempre più superiore di prodotti per poter ottenere in cambio beni industriali di analogo valore. A parità di prezzo dei beni commercializzati, lo scambio tra le due economie sarà ineguale, a svantaggio del paese sottosviluppato.
SCAMBIO INEGUALE. (diffusa per i prodotti minerari e agricoli, tende a penalizzare i paesi in via di sviluppo )
Se X e Y producono bici = non scambierebbero mai lo stesso prodotto.
Ma se Z produce auto e X (o Y) vuole acquistare un auto deve produrre un quantità ingente di bici, che sono prodotte con una meccanica semplice non in grado di evolversi, mentre bisogna tener conto che le auto cambiano continuamente poiché la loro tecnologia si evolve: quindi se X (o Y) vuole acquistare un’auto costerà molto.
VANTAGGI COMPARATI (teoria applicata nel periodo della colonizzazione).
La Francia aveva suddiviso le colonie in base alla latitudine e come gli stati africani favorevoli per la coltivazione dell’arachide (per poi produrre olio e burro). Il Ciad esportava in Francia il prodotto finito, poiché inizialmente non era difficile sostenere i costi per i macchinari, ma oggi non è possibile poiché i prezzi aumentano = Scambio ineguale.
Lo stesso per l’Olanda che scelse di produrre il caucciù in Malaysia.
* Tabella. Evoluzione degli indici annuali di alcune materie prime e dei prodotti industriali (1980 = 100) (dal 1970 al 1990).
I termini di scambio per i prodotti primari (agricoli e minerari) hanno subito una progressiva flessione in rapporto ai prodotti industriali. I paesi sottosviluppati, se sono rimasti specializzati nella produzione di minerali e beni agricoli, sono stati costretti ad aumentare l’ammontare delle proprie esportazioni per ottenere la stessa quantità di prodotti industriali.
- Te, Caffè, Cacao = apice ’85 – diminuzione nel ’90.
- Prodotti industriali = aumento considerevole di 2 volte e mezzo in un arco di tempo di 20 anni.
Quindi per avere un prodotto industriale non c’è bisogno per esempio di 1 quintale di caffé, ma di 1 quintale e mezzo.
- Stagno = apice nel ’81, ma nel ’90 si è abbassato, ciò significa che è stato sostituito in questo ultimo dato con un'altra produzione, poiché è diminuito.
È analogo quello del Petrolio, oggi si sta cercando di sostituirlo con altri fonti e di conseguenza il prezzo diminuisce e ciò valse anche per lo stagno.

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