La solidarietà in Leopardi e nella"Ginestra"

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Testo

Anno 1999/2000
Cioni Valentuna
Classe V°B
Italiano
Sviluppo del concetto di solidarietà in Leopardi e ne “La Ginestra”:
Questa lirica sembra voler racchiudere in un’ultima sovraumana prova espressiva il senso più riposto della poesia e del pensiero leopardiani e, insieme, vuol essere un estremo messaggio di solidarietà umana. Essa “è l’espressione più lontana possibile dalla poesia che rasserena e distacca dalla realtà dei problemi massimi dell’uomo. E non inganni la stessa gentile e disadorna bellezza del “fiore che i deserti consola”, perché la sua consolazione è in verità assai singolare, se essa presenta una virile immagine dell’uomo sottratto a tutte le illusioni, e tutte le speranze, a tutti gli inganni mitologico-religiosi e invitato -anzi comandato- a romper per sempre una concezione di accettazione della forza che lo opprime e una concezione boriosa e retorica della propria sorte privilegiata e immortale, accettando solo coraggiosamente la verità della sua tragica e innocente situazione e combattendo tutti i suoi vani sforzi di velarla e colorirla con cieli metafisici e facili paradisi in terra, che costituiscono altrettante prove della sua disperata, istintiva coscienza del male che lo assedia e lo limita e lo spinge a simili deliri della mente e della fantasia. Né l’uomo può accettare il soave profumo di quel fiore come una gentile grazia consolatrice della poesia rifiutandone il perentorio invito ad un diverso comportamento, magari riducendo questo ad un rilancio di cristiana pazienza e di fraternità di miseri, senza comprendere l’aspetto eversivo che quella stessa solidarietà sostiene e ad essa conduce con implacabile e trascinante consequenziarietà. Poiché quella solidarietà è duramente impiantata nella nozione di un interesse comune faticosamente attuabile solo accettando l’itinerario che ad essa conduce con coraggio di verità e volontà.
Alla fine non c’è speranza, ma volontà disperata disillusa, faticosa, e la ginestra più che simbolo della poesia tout court, è simbolo della poesia di un amore severo che chiede all’uomo tutto quanto il poeta afferma fino alla stessa nozione pratica di una poesia, nata solo da un impegno supremo che congiunge nell’atto poetico verità persuasa, esperienza e volontà rinnovatrice. E così può colorarsi -con superba padronanza dei mezzi linguistici e tecnici(le stanze, d’inusitata lunghezza e di completa libertà formale, alternano i toni d’altissima poesia, ai passaggi lirici)- di toni perentori, affettuosi, sdegnosi e irridenti, di prospettive di immagini e paesaggi che possono passare dallo spalancarsi vertiginoso di sterminate visioni dell’infinità dei mondi e dalla severa dolcezza di una bellezza vitale (il lido di Napoli e i suoi aspetti affascinanti) alla scabro e concreto paesaggio desolato, come una crosta terrestre lacerata e scagliosa: il formidabile paesaggio della campagna vesuviana.
Nella Ginestra il suo ininterrotto atteggiamento protestatorio sfocia in una proposta attiva, poiché ha avvertito che era necessario oltrepassare i limiti di una morale individualistica. Il poeta torna a credere, come già nella sua giovinezza, che l’uomo ha bisogno di un’idea da predicare e realizzare.
Il cieco meccanicismo della natura permane, ma l’uomo ne costituisce, come coscienza, la grande eccezione; e fra la natura e l’uomo, negando la natura meccanica, ricava la forza morale per reagire, e la contrapposizione lo porta ad estirpare il male del terreno della società dove egli può decidere della propria sorte. Potrà crearsi uno spazio tutto suo: .
Un disegno che si progetta contro la natura è un atto di liberazione: l’uomo non potrà non esser schiavo dell’onnipotente matrigna, ma non sarà schiavo di sé stesso. Contro l’immenso regno della inesorabile necessità, si farà portatore di nuovi valori da costruire nelle dimensioni del piccolo regno che gli è proprio.
La natura-matrigna è per Leopardi l’assoluta realtà, di struttura meccanica, destituita di valori; ma per noi è una grandiosa metafora che, tradotta nel linguaggio odierno, indica l’esistenza di un’eterna forza negativa condizionante che nessun nuovo ordinamento della società riuscirà ad eliminare, perché è radicata nella finitezza dell’uomo, che è immerso in una realtà sconfinata. Finitezza non solo corporea e temporale, ma soprattutto dell’intelligenza, della capacità di azione, di realizzazione, di resistenza ai mali morali e alle ripetute sconfitte.
, questa è la bella espressione leopardiana che irrompe nel sistema del pensiero dell’autore stesso, spezzando la catena di natura-infelicità-malvagità degli uomini, e che indica una meta e un impegno per liberare l’uomo dalla corruzione egoistica. Vi è espresso il bisogno di un calore di vita autentica da riportare nell’ambiente sociale inariditosi nei secoli, creando strutture in cui l’uomo possa dialogare con altri uomini e liberarsi dai limiti mortificanti di un tormentato individualismo.
Al polo opposto dell’atteggiamento eroico si colloca la noia leopardiana, che è il momento non evitabile, spesso ricorrente e certamente insidioso, per l’uomo moderno quando diventa consapevole, ripiegandosi su se stesso, della propria individuale impotenza di fronte all’incommensurabilità delle forze ostili della natura della società; ma il progetto di fratellanza universale apre un campo infinito dove tutti possono trovare il loro posto di fatica, decidendo di resistere al male.
Leopardi non può nell’intimo dell’animo e nei suoi sogni solitari, non aspirare ad un mondo migliore purificato dalla virtù. Ma su lui grava la certezza dell’immutabilità della legge della natura, nemica agli uomini, e reagisce con durezza estrema definendo tutto il secolo superbo e sciocco. Gli altri parlano ed agiscono in nome di un progresso collettivo della società; egli conosce solo quel processo interiore, indipendente dalle condizioni storiche della società, che nascendo dalla consapevolezza della propria miseria porta l’individuo ad un’esigenza di nobiltà morale, trovando la giustificazione della vita insignificante in un lucido coraggio, in una strenua coerenza con se stesso. La conclusione è questa: il messaggio politico contenuto nella Ginestra non rappresenta una fase conclusiva di uno sviluppo riconoscibile. Se togliamo la famosa pagina dello Zibaldone tante volte citata, e citata anche in questo discorso, da tutti i componimenti che poggiano sul materialismo leopardiano e destinati al pubblico non è concesso di ricavare un’idea politica progressiva. Questo ideale comporta l’immediata rivalutazione delle virtù dell’uomo, considerate non naturali ma acquisto dell’uomo stesso in un futuro processo storico.
All’interno però dell’aspra società contraddittoria è doveroso creare, rinnovando gli istituti, uno spazio umano dai confini sempre più ampi in cui radicare quei valori che l’uomo stesso ha elaborato nella sua faticosa esperienza storica, ma che sono negati, soprattutto oggi, dal gigantesco macchinismo industriale e da tutti i conflitti materiali e morali che questo inevitabilmente provoca.
Certamente la convinzione di una società contemporanea negativa - convinzione già espressa nel 1818 nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica e coltivava poi con amarezza per lunghi anni - costituisce il terreno che prepara la successiva convinzione filosofica di una natura meccanica, antiprovvidenziale. Ma il momento decisivo per tale passaggio è determinato dalla posizione esistenziale dell’uomo scoperta dal Leopardi, per cui l’uomo, considerata l’opposizione insanabile fra i bisogni materiali e morali e le condizioni della realtà in cui vive, è un essere per sua essenza contraddittorio, e quindi destinato a necessaria infelicità.
Al di sotto della società costituita, che certamente aggrava le delusioni, le sofferenze e gli egoismi individuali, esiste un livello primario, cioè la natura, che determina l’asocialità della stessa società. Il Leopardi quindi sviluppa la sua requisitoria non solo contro quel tipo di società definita borghese, ma contro la società tout court, passata e futura, perché la società non è altro che una faccia della natura. Il Leopardi materialista trovava nella natura meccanica il fondamento certo per dare valore di verità assoluta al principio: nella società umana esistono elementi congeniti e necessari di corruzione; e perciò una società sana e equilibrata è pura utopia. Però il progetto di fratellanza universale introduce, un motivo nuovo che il poeta fa sgorgare direttamente dall’immutabilità della natura, eterna nemica e causa di eterne contraddizioni.
Con questo nuovo motivo viene alterata la precedente coerenza del pensiero materialistico leopardiano che stabiliva, come abbiamo visto, la ferrea catena di: natura contraddittoria-felicità-iniquità umana. La violenza e l’ingiustizia sono eterne nella società. Ma la Ginestra pone la premessa per un’apertura politica del pensiero leopardiano, perché l’appello ad una solidarietà universale, che l’autore ritiene necessaria, rinnega le dure conclusioni della Palinodia e l’inno Ad Arimane. Le ingiustizie provocate dall’uomo nella società devono essere eliminate, e per questo si rende necessaria anzitutto l’azione per diffondere le verità che convincano gli uomini a considerarsi realmente fratelli.
Il problema che la Ginestra pone all’individuo è di trovare rapporti armonici con gli altri uomini, nonostante l’ostilità della natura che non favorisce la virtù. Se è doveroso realizzare il progetto di fratellanza, questo comporta la necessità di una fede per un’idea capace di radicarsi resistendo alle pressioni di un mondo negativo. La profonda moralità del Leopardi, riaffermata per tutta la vita e in nome della quale egli rifiutò di accettare il male del mondo, doveva concludersi con un implicito invito a tutti gli uomini coscienti perché agissero in nome della verità.
Per tutta la vita, Leopardi, fu animato dalla volontà di comunicare il suo messaggio ai contemporanei: si sforzò di gridarlo quando capì che non volevano intenderlo. Prese di petto il mondo moderno e lo giudicò. A tutti (ed anche a noi) si rivolse per ammonire che la negatività del mondo non ci esonera in alcun modo dalla responsabilità di resistere al male del mondo. Anche in faccia alla morte, ormai conclusa la favola dolorosa o tragica della vita, non è inutile la protesta.
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