Il nome della rosa di Umberto Eco

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale

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Testo

IL NOME DELLA ROSA
1) DATI EDITORIALI
AUTORE: Umberto Eco
TITOLO: IL NOME DELLA ROSA
LUOGO DI PUBBLICAZIONE: Milano
EDITORE: Bompiani – I Grandi Tascabili”
DATA DI EDIZIONE: 1986
2) BREVE PRESENTAZIONE DELL’AUTORE
E’ nato ad Alessandria il 5 Gennaio 1932. Ha frequentato il liceo classico e l’università a Torino, laureandosi in filosofia a 22 anni, con una tesi sull’estetica in San Tommaso d’Aquino. E’ stato per alcuni anni funzionario della RAI, curando tra l’altro una rubrica pungente e firmandosi per questo con uno pseudonimo. E’ docente di estetica e semiotica all’università dal 1971 e collaboratore di svariati quotidiani e riviste, italiane e straniere.
Il suo esordio come romanziere è avvenuto nel 1980 con “Il nome della rosa”, che gli ha dato un grande e inatteso successo in Italia e non solo. In effetti fino ad allora Eco aveva pubblicato solo opere saggistiche, tra cui “Opera aperta” nel 1962, “Diario minimo” nel 1963, “Apocalittici ed integrati” nel 1964, “La struttura assente” nel 1968, “Trattato di semiotica generale” nel 1975, “Il superuomo di massa” nel 1976, “Lector in fabula” nel 1979, “Sette anni di desiderio” nel 1983. Negli anni ’90 ha scritto inoltre “La ricerca della lingua perfetta” e “Cant e la scimmia”.
Dopo “Il nome della rosa” ha scritto altri due romanzi: “Il pendolo di Foucalld” del 1988 e “L’isola del giorno prima” del 1995, che però non hanno avuto il grandioso successo della sua prima opera narrativa.
Gli argomenti a cui ha dedicato le sue ricerche riguardano la teoria della comunicazione e tutti i fenomeni legati alla civiltà di massa: televisione, giornali, radio, pubblicità, fumetti (ha scritto un saggio sulla lingua dei Puffi).
E’ un grande collezionista di libri, in particolare quelli rari e antichi; si calcola che ne abbia più di 40.000. Inoltre ama scrivere i suoi libri al computer: ne ha fatto molto uso nell’ideazione de “Il nome della rosa”.
3) ESPOSIZIONE SINTETICA DELLA VICENDA
Nel novembre del 1327 arriva in una ricca abbazia benedettina del Nord Italia (probabilmente in Liguria) un frate francescano di origine inglese, Guglielmo da Baskerville; è accompagnato dal giovane novizio Adso da Melk. Guglielmo deve svolgere un delicato incarico: favorire i contatti fra gli alti esponenti degli ordini religiosi per ricomporre la frattura fra papato e impero, sostenitore dei francescani.
Durante la sua settimana di permanenza, nell’abbazia avviene una serie di misteriosi delitti. La causa di queste morti viene chiarita solo nell’ultimo giorno, dopo laboriose e difficili indagini da parte del francescano. Ecco in sistesi ciò che è accaduto: Adelmo da Otranto, un monaco ancora giovane eppure già famoso come grande maestro miniatore, aveva avuto un rapporto sessuale con Berengario da Arundel, cioè l’aiuto bibliotecario. Berengario era innamorato di Adelmo e questi gli si concesse solo perché l’aiuto bibliotecario gli aveva promesso di mostrargli un libro particolare. Il giovane miniatore si era piegato ad un peccato della carne per accontentare una voglia dell’intelletto. Sentendo poi i sensi di colpa, si era suicidato, buttandosi da una finestra della biblioteca.
Nel frattempo Venanzio da Salvemec, traduttore dal greco e dall’arabo e devoto ad Aristotele era riuscito ad entrare nel Finis Africae, cioè nel luogo della ricchissima biblioteca dell’abbazia dove erano nascosti i libri ritenuti maledetti. Qui riesce a sottrarre un libro “strano” e comincia a leggerlo. Ma arrivato nelle cucine, che si trovano proprio sotto la biblioteca, muore. Qui lo trova Berengario; non sa cosa fare e si carica il corpo in spalla e lo butta in un orcio di sangue, pensando che tutti si convincessero che era annegato. Poi con il libro, che ormai ha incuriosito anche lui, va nell’ospedale per leggerlo. Dopo un po’, non si sente molto bene e va nei bagni per cercare di star meglio. Ma muore nella vasca, lasciando il libro incustodito. Severino da Sant’Emmerano, il padre erborista, che aveva cura dei balnea, dell’ospedale e degli orti, ritrova il libro. Viene ucciso nell’ospedale con un colpo alla testa da Malachia da Hildesheim, il bibliotecario per volere di Jorge da Burgos, un vecchio frate cieco che lo manipolava abilmente. Malachia però non resiste alla tentazione di aprire il libro e muore in chiesa davanti agli occhi di tutti i frati. L’ultimo assassinato è l’Abate, che si spegne lentamente soffocato in una stanza segreta della biblioteca.
Tutti questi omicidi a catena sono stati architettati da Jorge per motivi ideologici: impedire la lettura di una copia del secondo libro della Poetica di Aristotele, dove l’autore vede le disposizioni al riso come una forza buona. Secondo Jorge la conoscenza dell’arte comica avrebbe avuto effetti eversivi, in quanto il riso avrebbe distrutto il principio di autorità e sacralità del dogma.
Al centro di tutte queste morti c’è dunque un libro pericoloso, sia dal punto di vista ideale che materiale. Jorge, per evitare che questo testo potesse essere letto da chiunque, aveva cosparso le pagine della Poetica di Aristotele con un veleno particolare, sottratto all’erborista Severino. Quando un lettore sfogliava le pagine del libro, toccava inavvertitamente il veleno e, quando appoggiava il dito sulla lingua per girare il foglio, lo ingeriva e ovviamente moriva. Jorge non si considerava responsabile di tutti questi delitti e attribuiva la causa delle morti unicamente alla “vana curiosità” e alle colpe di ciascun frate.
Durante una lite notturna nel Finis Africae tra Guglielmo e Jorge, Adso fa cadere una candela accesa su una pergamena. Ciò dà origine ad un enorme e spettacolare incendio, che in pochi giorni distrugge l’intera abbazia. Dopo questi drammatici avvenimenti Adso e Guglielmo sono costretti a separarsi; Adso si ritira nel monastero di Melk e non ha più notizie di Guglielmo, fino a quando scopre che è morto durante la celebre Peste Nera.
4) PRESENTAZIONE E ANALISI DEI PERSONAGGI PRINCIPALI
Guglielmo da Baskerville
Il protagonista è Guglielmo da Baskerville. La sua descrizione è posta nel prologo del libro: questo ad indicare che la voce narrante, Adso, lo ritiene un personaggio di fondamentale importanza. E’ un frate francescano di circa cinquant’anni, originario delle isole britanniche; la sua origine si coglie nei suoi tratti somatici di uomo magro alto, magro, con capelli biondi e lentiggini. Costui è “nordico” anche nella mentalità, è uno spirito pragmatico, molto attento alla realtà; il suo modo di pensare riflette le idee filosofiche di Ruggero Bacone e di Guglielmo di Occam.
Tale personaggio rimane in mente soprattutto per le sue caratteristiche intellettuali, quelle di un uomo esperto nei più vari campi del sapere (filosofia, teologia, politica, lingue, botanica, ecc.); ma anche perché è estremamente curioso. La curiosità nel Medio Evo non era una qualità adatta ad un bravo monaco, perché un monaco fedele aveva già la risposta a tutte le sue domande, perché conosceva la verità. Altra cosa che rimane molto impressa nella mente del lettore è la seguente: quest’uomo possiede la capacità di passare da momenti di grande attività, dove la sua energia vitale pare inesauribile, a momenti di totale inerzia, che passa sdraiato sul suo giaciglio in cella, pronunciando solo qualche piccola parola. Per questa particolarità il suo discepolo Adso è portato spesso a sospettare che fosse sotto l’effetto di qualche pianta capace di dare delle visioni.
E’ un uomo di intelligenza straordinaria, dotato di grandi conoscenze teoriche, ma interessato anche agli aspetti pratici e tecnici del sapere, in un’epoca in cui la tecnologia muoveva i suoi primissimi passi. Questi riteneva che il futuro si sarebbe orientato in questa direzione, producendo una serie di macchine e di strumenti meravigliosi. Fin dall’inizio appare come un personaggio molto sottile e acuto, al punto di riuscire ad individuare il nome e le fattezze di un cavallo fuggito dall’abbazia, senza averlo mai visto prima, basandosi solo su ipotesi ben fondate.
Queste sue doti si rivelano in pieno quando riuscirà a scoprire la causa per la quale muoiono in serie alcuni frati, sventando il progetto diabolico messo in atto da Jorge.
Un’ultima cosa. Non è un uomo freddo o insensibile: nutre una profonda amicizia e anche pietà verso Ubertino da Casale, un affetto quasi paterno per Adso da Melk, amore per la sua terra d’origine.
Jorge da Burgos
La figura dell’antagonista rispetto a Guglielmo è quella di Jorge, un monaco ormai anziano di origine spagnola. E’ piccolo, ha un corpo deforme e sgraziato, una deformità che incute quasi paura a vederlo; è rimasto inoltre cieco in età giovanile.
Jorge ha una grande autorità all’interno dell’abbazia ed è in realtà il vero bibliotecario, in quanto Malachia è totalmente sottomesso alla sua volontà. Costui ha una visione delle cosa molto tetra, ritiene che il mondo sia ormai decaduto, vecchio e vicinissimo al momento del Giudizio finale.
Si sente investito di una missione divina: conservare il più a lungo possibile le verità di fede così come erano state elaborate fino a quel momento. Non c’è più nulla da sapere, tutto è già stato rivelato dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa; non è più possibile che il sapere proceda oltre e ogni cosa deve rimanere com’è, fissata in un ordine ritenuto divino.
E’ inoltre fermamente contrario al riso: secondo lui la conoscenza dell’arte comica avrebbe avuto effetti eversivi, in quanto il riso avrebbe distrutto il principio di autorità e sacralità del dogma.
Adso da Melk
Adso è un ragazzo che accompagna fedelmente Guglielmo, facendogli da segretario e scrivano. E’ un giovane novizio e rivela in sé le caratteristiche di ogni adolescente: una certa ingenuità, freschezza mentale, un grande entusiasmo in ogni cosa che fa, impulsività ed emotività, desiderio di vedere, di imparare e di fare esperienze nuove. Queste suo interessamento viene alla luce soprattutto quando chiede ad Ubertino da Casale delle informazioni sulle vicende della Chiesa e sul cammino di fede da seguire.
Ha coscienza di accompagnare un uomo non comune e cerca di apprendere da lui quanto più possibile. Nel rapporto tra Guglielmo e Adso si mette in evidenza da parte dell’autore il classico rapporto maestro-allievo, che in certi momenti sembra un rapporto tra padre e figlio, tra maturità e giovinezza, tra saggezza e inesperienza.
Adso è indirizzato alla vita monastica e non ha dubbi sulla sua vocazione, ma spesso ci appare più come un ragazzo comune che come un monaco convinto. Infatti non rifiuta nemmeno di aprirsi all’esperienza amorosa, seppure una sola volta. Incontra una ragazza che presta servizio all’abbazia e tra i due nasce una profonda attrazione. Questo incontro arricchirà l’esperienza umana del giovane monaco ed anche quella della ragazza, la quale può, in questo caso, darsi ad un amore da lei scelto e svincolato dalla prostituzione. La successiva condanna al rogo della giovane come strega, farà vivere ad Adso dei momenti di profondissima amarezza.
In confronto al sua maestro nutre una profonda ammirazione ed appare molto più chiuso, medievale, quasi dogmatico. Sempre nel prologo, quando descrive Guglielmo, fa notare che il suo precettore ha abitudini parche, non veglia mai oltre compieta (dopo le sei di sera), che ha sempre le mani sporche di qualche sostanza, che è interessato alle macchine, ecc. Si nota anche una punta di rimprovero nelle parole del ragazzo, che non riesce a capire l’interesse del maestro verso la tecnologia e l’attività manuale.
Bernardo Gui
Bernardo Gui è il capo della legazione pontificia che si incontra con i rappresentanti della parte imperiale. Durante la sua permanenza all’abbazia svolge la funzione di inquisitore e lo fa con una durezza ed una crudeltà implacabili.
Il suo obiettivo reale è la buona riuscita della sua funzione politica ed è disposto a rincorrerlo ad ogni mezzo pur di mettere in difficoltà i suoi avversari; tra i mezzi da lui impiegati vi sono anche i processi che condannano senza tanti scrupoli degli innocenti.
Ubertino da Casale
È un vegliardo, dai grandi occhi azzurri, calvo, con la bocca sottile e rossa, la pelle candida e i lineamenti dolcissimi. Nutre una profonda amicizia verso Guglielmo e, quando questi gli si presenta dinanzi quasi all’improvviso dopo molti anni di lontananza, è colto da tale sorpresa e commozione che non riesce a trattenere il pianto. E’ un uomo molto combattivo ed ardente ed ha avuto una vita dura e avventurosa.
Fu uno dei fondatori del movimento dei francescani “spirituali”, cioè quella parte di francescani convinta che un monaco del loro ordine non deve possedere nulla, né personalmente, né come convento, né come ordine. Affermava la povertà di Cristo e per questo condannava la ricchezza terrena della chiesa del tempo; per questo tale movimento fu accusato dal papato di eresia. Ubertino fu ricercato come eretico, ma riuscì a essere lasciato libero di abbandonare l’ordine e fu accolto dai benedettini.
Quando la spedizione papale di Bernardo Gui arriva nell’abbazia e in seguito scopre l’appartenenza di Remigio e Salvatore ai dolciniani, Ubertino, su consiglio di Michele da Cesena e di Guglielmo, scappa per non essere ucciso dai delegati del papa.
Morirà due anni più tardi ucciso misteriosamente.
Remigio da Varagine
E’ il cellario dell’abbazia. Non è una figura importante per il fine della storia, ma per capire la mentalità dell’epoca. Egli infatti da giovane era stato un dolciniano (vedi Analisi del tempo e dell’ambiente) e per questo motivo si era rifugiato nell’abbazia in questione insieme al suo compagno Salvatore. Questa sua appartenenza alla setta eretica gli costa molto quando viene processato da Bernardo Gui. Viene condannato alla tortura, seguita dalla morte.
Salvatore
E’ un monaco amico e compagno di Remigio, che incontrò nella setta eretica dei dolciniani. E’ un personaggio molto strano, che mi ricorda molto il Gurdulù de “Il cavaliere inesistente”. Gurdulù non aveva una precisa coscienza di sé e del mondo e tendeva ad identificarsi con tutto ciò che gli sta attorno; questo fatto risultava chiaro dalla molteplicità di nomi con cui veniva identificato.
Salvatore non parla latino, ma un insieme di dialetti europei, che aveva imparato vagabondando con i dolciniani e con Remigio. Quando viene inquisito da Bernardo Gui, per cercare di salvarsi tenta di metaforizzarsi, non proclama più la sua fede e non ha esitazioni nell’incriminare il suo compagno Remigio.
I monaci
Tra i personaggi vanno ricordati nel loro insieme anche i vari componenti della comunità monastica, al cui interno incontriamo i tipi umani più diversi, come ad esempio l’avido abate, i frati intellettuali e ambiziosi, i frati illetterati e umili, i frati trasgressori, eccetera.
Come in ogni gruppo di conviventi esistono tra loro diversi rapporti: amicizia, fraternità, accordo, a volte attrazione, ma anche invidie, gelosie e rivalità.
5) ANALISI DELL’AMBIENTE E DEL TEMPO
Ambiente
La storia si svolge nel Nord Italia, probabilmente in Liguria.
Le vicende si svolgono quasi per intero all’interno di una abbazia benedettina, ricostruita in tutte le sue tipiche strutture: chiesa, chiostro, scriptorium, biblioteca, ospedale, cucine e i vari ambienti in cui si svolgono i lavori manuali.
Prevalgono nella narrazione i luoghi chiusi e un ruolo particolare è svolto dalla biblioteca, posto su cui è puntata la maggiore attenzione. Essa è ospitata in un massiccio torrione di forma ottagonale ed ha nell’interno una disposizione complicatissima, in modo da costituire un vero e proprio labirinto. E’ quindi un luogo ideato più per conservare i libri che per leggerli accessibili, conformemente ad una idea un po’ chiusa del sapere posseduta dai chierici medievali.
L’abbazia nella varietà dei suoi ambienti può essere vista come una specie di microcosmo, di luogo in cui si riassume tutto lo spirito di un’epoca, nel nostro caso l’epoca medievale.
Tempo
“Il nome della rosa” è ricchissimo di eventi e di colpi di scena e questi accadono in un tempo piuttosto ristretto: nell’arco di una settimana. L’autore si è calato per intero nella vita dell’abbazia, facendo scandire gli avvenimenti di ogni giorno secondo il succedersi regolare delle ore canoniche della preghiera, che portano i suggestivi nomi di mattutino, laudi, prima, terza, sesta, nona, vespro e compieta.
I fatti vanno collocati all’inizio del Trecento (1327), un’epoca in cui prosegue la lunga contesa tra Papato e Impero sui rispettivi poteri. Tempo prima papa Clemente V aveva trasferito la sede papale ad Avignone. Nel 1314 a Francoforte viene eletto supremo reggitore dell’impero Ludovico di Baviera, mentre ad Avignone il papa elegge imperatore Federico d’Austria. Ci si trova così in una situazione particolare: c’erano due imperatori per una sola sede e un solo papa per due imperatore. Due anni dopo diventa papa Giovanni XXII, che non riconosce nessuno dei due imperatori e rimane il capo supremo della Chiesa. Nel 1322 Ludovico il Bavaro batte il rivale Federico e viene scomunicato da Giovanni XXII. Immediatamente l’imperatore denuncia il papa come eretico.
In Italia la potenza e la ricchezza del clero è evidente più che in ogni altro paese. Di qui la nascita di movimenti di uomini che vogliono una vita più povera e la conseguente polemica con i religiosi corrotti. In quegli anni in particolare l’ordine francescano è diviso in due correnti: i “conventuali” e gli “spirituali”, guidati da Michele da Cesena. Gli “spirituali” erano convinti che un monaco del loro ordine non deve possedere nulla, né personalmente, né come convento, né come ordine; affermano la povertà di Cristo e per questo condannano la ricchezza terrena della chiesa; i “conventuali” invece sostenevano che il singolo frate non deve possedere nulla, ma che l’ordine può.
L’imperatore trova dei naturali alleati negli spirituali, perché questa tesi indebolisce le pretese temporali dei papi: se Cristo era povero, anche la Chiesa dovrebbe esserlo, rinunciando alla sua influenza in campo politico, che spetterebbe di diritto all’imperatore.
Un altro strumento di cui la chiesa si serve per mostrare il suo potere è il tribunale dell’inquisizione, cioè quel tribunale che ha la competenza di stabilire dove finisce l’ortodossia e dove inizia l’eresia.
Le eresie sono un fenomeno molto comune in questo periodo storico. Di particolare importanza nel testo è la setta eretica di fra Dolcino. Fra Dolcino era un sacerdote che viveva nella diocesi di Novara; ma derubò il sacerdote che si occupava di lui e fuggì. A Trento cominciò la sua predicazione ereticale: diceva che egli solo era l’unico e vero apostolo di Dio, che ogni cosa doveva essere in comune nell’amore e che si poteva avere dei rapporti indifferentemente con tutte le donne. Inoltre lottava contro la proprietà privata in nome della povertà; per questo saccheggiava i villaggi e compiva delle scorrerie.
6) TECNICHE NARRATIVE
La voce narrante è quella di Adso che, in età ormai avanzata, racconta vicende accadute quando era un novizio, quindi ad un’età adolescenziale. Per questo si può dire che il romanzo è tutto un flash-back.
Costui riferisce, in prima persona, fatti ai quali ha assistito personalmente in compagnia del maestro Guglielmo. Il suo punto di vista è duplice; presenta infatti talvolta gli avvenimenti con gli occhi dell’uomo adulto e maturo, mentre altre lascia spazio al modo ingenuo e curioso di osservare i fatti che è tipico dei giovani.
Adso è il narratore dunque, ma ciò non significa che Eco si identifichi con lui; è facile rendersi conto che il portavoce dell’autore è Guglielmo. Quest’ultimo riflette nei suoi discorsi e nel suo pensiero una grande apertura intellettuale, tipica dell’uomo moderno.
Il narratore è onnisciente, perché conosce fin dall’inizio quale sarà il punto finale degli avvenimenti. Accade però che l’esito delle indagini non sia dichiarato se non alla fine, in modo tale che Adso possa rivivere momento per momento l’intricato svolgersi dei delitti, dimenticando quasi la sua condizione di onniscienza.
Da questo si deduce che gli avvenimenti sono presentati seguendo lo schema della fabula, cioè seguendo l’ordine cronologico dei fatti.
L’andamento narrativo non è uniforme, poiché a pagine in cui si ha tutto un susseguirsi quasi frenetico di azioni, si alternano molte altre parti che sospendono il ritmo e si dilungano in riflessioni e divagazioni di varia natura. Queste affrontano per esempio tematiche storiche, filosofiche, teologiche, scientifiche, tecnologiche… e sono usate da Eco come pretesto per sfoggiare la vastità della sua cultura.
Un’ultima puntualizzazione. All’inizio del romanzo si trovano alcune pagine in corsivo, che portano il titolo particolarmente ironico di “Naturalmente, un manoscritto”. In queste pagine l’autore afferma di aver trovato un antico documento scritto contenente la storia di Adso. Quella del manoscritto è chiaramente una finzione narrativa, molto usata specialmente dagli autori ottocenteschi come Manzoni e Walter Scott.
7) STILE E SCELTE LINGUISTICHE
Nel romanzo coesistono parti narrative che si alternano a delle lunghe digressioni, di tipo filosofico, teologico, storico eccetera, che non sfigurerebbero in un libro di saggistica. La compresenza di questi due aspetti è comprensibile in un autore come Eco, che non è solo romanziere, ma che è soprattutto un intellettuale e un teorico delle letteratura.
La narrazione è condotta quasi ovunque con una notevole chiarezza, con abbondanza di particolari e con uno stile leggibile e piuttosto invitante per il lettore. Non mancano però dei passi che sono di lettura molto meno agevole, in quanto l’autore si dilunga nella discussione sottile e dettagliata di difficili questioni teoriche.
Va aggiunto che “Il nome della rosa” è anche un libro alleggerito in diversi punti da un tono di sottile ironia, che creano un clima di intesa e complicità tra lo scrittore e il lettore.
Eco ha dichiarato paradossalmente che nessuna frase del suo romanzo è sua. Si tratta ovviamente di un’affermazione esagerata, ma che conferma un dato reale; cioè che nel testo sono frequentissime le citazioni e le parafrasi derivate da una grande quantità di autori: per esempio l’Apocalisse, i Vangeli, il Cantico dei Cantici, i Padri della Chiesa e diversi altri filosofi antichi e medievale. Eco è convinto infatti che i libri dialogano tra loro e ogni libro è figlio di tutti quelli che lo hanno preceduto.
8) SEGNALAZIONE DEI MOMENTI PIU’ SIGNIFICATIVI DELLA STORIA
• Avventura amorosa di Adso e della ragazza.
Attraverso questa esperienza si può intravedere quale fosse lo stato di miseria in cui vivevano gli strati inferiori della popolazione. Una giovane e bella ragazza del villaggio è costretta a prostituirsi con dei vecchi e a volte orridi frati, in cambio di poche frattaglie.
• I secoli nei quali avvengono le vicende sono caratterizzati dal diffondersi di numerosi gruppi ereticali, che si oppongono alla dottrina della Chiesa, a volte anche in modo violento (fra Dolcino). Questo è un segno del profondo malessere dei ceti svantaggiati nei confronti del potere e della ricchezza materiale della Chiesa. Con il pretesto della critica teologica si cercava in realtà di colpire la bramosia di ricchezze a cui si abbandonava il mondo ecclesiastico. Anche l’abbazia concede ospitalità ad alcuni esponenti di movimenti ereticali, come ad esempio Ubertino da Casale, il cellario e Salvatore.
• Al centro del romanzo si svolge un drammatico processo, condotto dall’inquisitore Bernardo Gui, contro alcune persone sospettate di eresia. Il sospetto non è sufficiente a salvare questi sventurati, perché nei processi inquisitori si era condannati anche senza prove. Questo dimostra il fanatismo religioso presente in molti uomini di Chiesa dell’epoca e la loro mania di vedere ovunque manifestazioni diaboliche. Davanti ad un uomo come Bernardo Gui anche la persona più innocente (per esempio la ragazza di Adso) è già condannata in partenza.
• Visitando l’abbazia, Guglielmo scopre che Nicola il fabbro ha in comune con lui l’interesse per gli esperimenti scientifici.
L’interesse per la scienza non era in quei tempi molto diffuso e solo pochi intellettuali si dedicavano a ricerche in questo campo; il pensiero invece che dominava molti altri era quello dell’attesa dell’imminente arrivo dell’Anticristo e della fine del mondo.
9) INDIVIDUAZIONE DELLA TEMATICA PRINCIPALE E DI ALTRE TEMATICHE AD ESSA COLLEGATE
Ciò che costituisce l’ossatura, il sostegno di tutta l’azione è l’indagine di un detective che deve scoprire un segreto. Quindi alla base di tutto vi è una ricerca di verità, un percorso conoscitivo realizzato con grande cura e con un metodo preciso: quello della decifrazione dei segni.
Eco, studioso di semiotica, considera il mondo come un libro aperto, che parla appunto mediante dei segni; essi non sono però immediatamente comprensibili e richiedono un paziente lavoro di svelamento. Questo concetto è espresso fin dall’inizio, con una suggestiva immagine: ora vediamo le cose “per speculum et in aenigmate”, cioè in maniera oscura ed è necessario quindi che sui dati si eserciti “l’umile preghiera della decifrazione”. Guglielmo porta al successo la sua esplorazione proprio affidandosi a tale metodo, componendo un puzzle senza trascurare nemmeno i minimi dettagli, facendo tesoro di tutte le informazioni disponibili.
Alla fine l’uomo non deve pretendere di raggiungere delle verità assolute, deve essere cosciente dei suoi limiti e accettarli serenamente; in fondo, difficilmente raggiungiamo le cose e conosciamo solo dei nudi nomi: “nomina nuda tenemus” è la constatazione che chiude il romanzo.
10) INTERPRETAZIONE DELLE INTENZIONI DELL’AUTORE
Credo che l’autore con il suo romanzo voglia suggerire un invito alla tolleranza e alla libertà di pensiero.
Gli uomini come Jorge sono molto pericolosi, poiché sono convinti che la loro verità sia l’unica esistente e non accettano la discussione e lo spirito critico. Egli pensa che un libro che tratta della commedia e del riso abbia un potere distruttivo; il riso per lui è fonte di dubbio, rende futile ciò che è serio, centrale ciò che è marginale, modesto ciò che è grande ed è quindi capace di sovvertire tutti i valori, facendo crollare anche l’edificio della fede e del dogma. Per porre rimedio a ciò Jorge fa di tutto per nascondere i libri “pericolosi”.
Tutto questo non serve, perché il pensiero umano ha bisogno, per procedere, di rivelare le idee, di metterle in luce e discuterle, anziché nasconderle. Eco rivela con questo una mentalità di tipo illuminista: i libri e le idee possono rendere migliore il mondo, se la loro conoscenza viene estesa il più possibile a tutti.
Se Jorge è timoroso del riso e delle sue conseguenze, Guglielmo afferma addirittura che di tutto si può ridere, anche della verità. Il riso diventa così l’atteggiamento migliore con cui accostarsi alla conoscenza: ciò significa procedere con salutare leggerezza e quasi con divertimento, senza prendersi troppo sul serio. Si evita allora di diventare presuntuosi e di avere la pretesa di poter creare delle verità immutabili. E’ difficile per noi uomini conoscere il senso generale del mondo; accontentiamoci delle piccole certezze che raggiungiamo volta per volta. “Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci della passione insana per la verità”
11) COMMENTO PERSONALE SUL LIBRO LETTO
“Il nome della rosa” è un romanzo insolito; è ricco di riflessioni anche impegnative, ma riesce allo stesso tempo ad essere leggibilissimo. La trama è costruita con grande abilità e, quando il lettore entra nei fatti, non riesce più a staccarsene, ha un forte desiderio di vedere come prosegue la storia e scoprire quali saranno le prossime mosse dell’”assassino” e quali saranno quelle del frate investigatore. Si è dunque in presenza di un giallo; ma “il nome della rosa” non è solo questo. E’ possibile infatti leggerlo su diversi piani, come romanzo gotico, romanzo storico, romanzo filosofico, romanzo-saggio ecc. ed ogni lettore può seguire la traccia che più lo interessa. Per quanto riguarda la lettura sul piano del giallo, “Il nome della rosa” non è esattamente un romanzo giallo. Infatti nel romanzo poliziesco, l’investigatore alla fine è un vincitore, che riesce anche ad anticipare le mosse dell’assassino. Nel romanzo di Eco, Guglielmo risolve sì il mistero, ma non riesce ad interrompere la serie di delitti di cui si occupa. Alla fine è quindi un perdente, nel senso che non riesce ad anticipare le mosse dell’avversario.
Mi sembra sorprendente la soluzione di aver costruito un giallo intorno ad un libro, anzi intorno ad un’idea, e di aver escogitato delle riflessioni così inattese intorno al ridere. Concordo con l’autore quando dice che è meglio che i dotti facciano a gara con le arguzie e l’umorismo, piuttosto che con i metodi degli inquisitori.
Un’altra cosa in cui mi trovo in disaccordo con Jorge è il fatto che costui si pensi in diritto di decidere per gli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato. Penso che sia molto importante leggere il più possibile, siano questi testi educativi ed impegnativi oppure solo un modo per trascorrere piacevolmente il tempo. Ritengo giusto leggere di tutto; sta dopo alla singola persona decidere cosa apprendere e cosa invece è forse meglio “lasciar perdere”. Inoltre Jorge non accetta la discussione e lo spirito critico, poiché è convinto che la verità di cui si crede portatore sia l’unica esistente. Il confrontarsi con gli altri è per me invece essenziale per la formazione del carattere di una persona e non ritengo per nulla formativo l’apprendere, senza nemmeno domandarsi se ciò sia giusto oppure sbagliato.
A lettura ultimata, il personaggio che più mi è rimasto nella memoria è Guglielmo da Baskerville; con lui Eco ci ha dato una figura un po’ in anticipo sui tempi e che è interessante sia come intellettuale, sia per il suo carattere di uomo calmo, riflessivo e sempre imprevedibile.

CONFRONTO TRA GUGLIELMO DA BASKERVILLE E SHERLOCK HOLMES
GUGLIELMO
SHERLOCK
D
Aveva abitudini parche
Aveva abitudini tranquille e regolari
U
Qualche volta passava tutta la giornata muovendosi per l’orto (…) e lo vidi aggirarsi per la cripta del tesoro (…). Altre volte stava un giorno intero nella sala grande della biblioteca (…). Un giorno lo trovai che passeggiava nel giardino senza alcun fine apparente.
Qualche volta passava la giornata al laboratorio di chimica; altre volte, se ne stava dalla mattina alla sera in sala anatomica e , di quando in quando, faceva lunghissime passeggiate, specialmente nei quartieri più miserabili della città
U
La sua energia pareva inesauribile, quando lo coglieva un eccesso di attività. Ma di tanto in tanto (…) recedeva in momenti di inerzia e lo vidi stare per sul suo giaciglio in cella, pronunciando a malapena qualche monosillabo senza contrarre un solo muscolo del viso. In quelle occasioni appariva nei suoi occhi un’espressione vacua e assente, e avrei sospettato che fosse sotto l’impero di qualche sostanza vegetale capace di dare visioni, se la palese temperanza che regolava la sua vita non mi avessero indotto a respingere questo pensiero.
La sua energia pareva inesauribile, quando lo coglieva un accesso di attività; ma, di tanto in tanto, (…) se ne stava sul divano del salotto, pronunciando a malapena qualche monosillabo senza contrarre un solo muscolo del viso, dal mattino alla sera. In quelle occasioni avevo notato un’espressione vuota e assente nei suoi occhi e avrei sospettato che facesse uso di qualche stupefacente, se la palese temperanza e l’igiene che regolavano la sua vita non m’avessero indotto a respingere una simile ipotesi
U
Era dunque l’apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l’attenzione dell’osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po’ adunco conferiva al suo volto l’espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò. Anche il mento denunciava in lui una salda volontà (…)
Il suo fisico, di per se stesso, era tale da attirare l’attenzione dell’osservatore più superficiale. La statura di Holmes superava il metro e ottanta ed egli era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti, salvo in quei periodi di torpore di cui ho fatto cenno; il naso, affilato e un po’ adunco, conferiva al viso un’espressione vigilante e decisiva. Anche il mento, quadrato e pronunciato, denotava in lui un salda volontà.
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Durante il periodo che trascorremmo all’abbazia gli vidi sempre le mani coperte dalla polvere dei libri, dall’oro delle miniature, ancora fresche, da sostanze giallastro (…). Pareva non potesse pensare se non con le mani (…): ma anche quando le sue mani toccavano cose fragilissime (…), egli possedeva, mi parve, una straordinaria delicatezza di tatto, la stessa che egli usava nel toccare le sue macchine.
Aveva le mani sempre macchiate d’inchiostro e di sostanze chimiche, eppure possedeva una straordinaria delicatezza di tatto, come avevo osservato vedendolo manipolare i suoi fragili strumenti.
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E’ un personaggio molto sottile e acuto, al punto di riuscire ad individuare il nome e le fattezze di un cavallo fuggito dall’abbazia, senza averlo mai visto prima, basandosi solo su ipotesi ben fondate.
… il suo sapere era talmente vasto e profondo che spesso egli mi sbalordiva con le sue osservazioni.
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Non tralasciava nessun particolare, nemmeno il più piccolo
E nessuno si rompe il cervello con minutissimi particolari, a meno che non abbia degli ottimi motivi per farlo
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E’ un uomo esperto nei più vari campi del sapere (filosofia, teologia, politica, lingue, botanica, ecc.) e di intelligenza straordinaria, dotato di grandi conoscenze teoriche, ma interessato anche agli aspetti pratici e tecnici del sapere.
La sua ignoranza era notevole quanto la sua cultura. In fatto di letteratura contemporanea, di filosofia e di politica, sembrava che Holmes sapesse poco o nulla
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Pensa che sia molto importante leggere il più possibile, siano questi testi educativi ed impegnativi oppure solo un modo per trascorrere piacevolmente il tempo. Ritiene giusto leggere di tutto; sta dopo alla singola persona decidere cosa apprendere e cosa invece è forse meglio “lasciar perdere”.
“Ora che mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle”

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