Heart of darkness

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Testo

Joseph Conrad

Per Joseph Conrad (1857/1924) il momento della verità giunge allorché l’uomo si trova di fronte ad una situazione morale in cui il normale codice di comportamento al quale egli si è finora affidato non è più applicabile, non ha più significato né valore; in momenti del genere l’uomo o trae vigore e salute dalla valutazione esatta delle proprie qualità e dalla propria solitudine, o s’avvia al naufragio nel “cuor della tenebra”. Il profondo pessimismo di Conrad tardò ad essere pienamente inteso a causa dei poco attendibili commenti scritti dal romanziere stesso sulle proprie opere. Talvolta lo scrittore sembra voler proporre come chiave della sua visione etica le oneste virtù dei marinai – la fedeltà, la lealtà, l’abnegazione; altre volte ricorre ad ampollose e vuote astrazioni. Il primo importante romanzo di Conrad è The nigger of the Narcissus, 1897: la vicenda è un’indagine sull’inevitabile corruzione inerente in ogni tipo di società umana. La società è necessaria, ma inevitabilmente corruttrice. Questo tema, che ricorre continuamente nell’opera di Conrad, è anche il motivo dominante di Nostromo. Qui egli dimostra come gli “interessi materiali” corrompano ogni relazione umana e come il tentativo di sottrarsi a essi, attraverso la solitudine, sfoci inesorabilmente nell’autodistruzione. Ogni alternativa a quelli che egli ci presenta come fattori di corruzione si risolve in un peggioramento. Conrad è conservatore in quanto convinto che non si possa sfuggire alla condizione umana, con tutto quello che implica, e che ogni tentativo di riforma politica sia pura follia. In Heart of Darkness lo scrittore rappresenta le piaghe del colonialismo africano dell’Ottocento con vivida evidenza, e tuttavia il Congo che egli descrive è un Congo dell’anima, un paesaggio spirituale. Anche l’idealismo è per Conrad una forza corruttrice, e la solitudine può condurre l’idealista a riconoscersi, con orrore, nel proprio opposto morale, nel “socio segreto”.
La società è necessaria, ma corruttrice; la solitudine è inevitabile, ma distruttiva. Non c’è quasi romanzo in Conrad dove non si ritrovi questo motivo, e se nelle prefazioni egli non ha mai ammesso fino in fondo il pessimismo da cui è permeata la sua visione del mondo, è stato perché ha tentato di nascondere ai lettori le vere implicazioni del proprio pensiero.

Heart of Darkness

“Heart of Darkness” fu iniziato a scrivere nel dicembre del 1898 e terminato nel febbraio del 1899. Il manoscritto è conservato presso la Yale University Library. Il racconto fu pubblicato per la prima volta con il titolo “The Heart of Darkness” nei numeri di febbraio, marzo e aprile 1899 del Blackwood’s Edinburgh Magazine. La editio princeps con il titolo definitivo fu pubblicata il 13 Novembre 1902in Inghilterra presso la stessa Blackwood.
“Heart of Darkness” è un romanzo breve emozionante e profondo, lucido e disorientante; compresso al massimo, pregnante e per struttura e per implicazioni; sfuggente con destrezza. Tocca problemi di politica e di psicologia, di etica e di religione, di ordine ed evoluzione sociale. “Heart of Darkness” può essere apparentato a una molteplicità di “tradizioni”, generiche e tecniche, tra cui la satira politica, il racconto di viaggio, l’odissea psicologica, la meditazione autobiografica e la favola dell’uomo isolato.
Impiegato della società belga del Congo nel 1890, Conrad è un osservatore sensibile delle menzogne, degli intrighi, delle brutalità circostanti; questa esperienza fornisce la materia prima del libro, che tuttavia non è solo frutto di una semplice esperienza, bensì di un’esperienza meditata profondamente.

Analisi tratta dal testo di O. Lagercrantz, “In Viaggio con Cuore di Tenebra”

Una iolla da crociera, la Nellie, è all’ancora nell’estuario del Tamigi. È una sera d’estate, cinque signori di mezz’età hanno in programma una gita, ma devono aspettare il riflusso. Il capitano Charles Marlow racconterà una storia destinata ad occupare tutto il libro. Ci troviamo a cielo aperto e questo dà un senso di libertà; sorge quasi un vago ricordo dei tempi antichi. Mentre Marlow racconta si fa buio.
Il prologo viene raccontato da uno dei gentiluomini presenti a bordo. Ci sono buoni motivi per credere che si tratti dello stesso Conrad. Tutt’intorno alla Nellie sono ancorate bettoline dalle vele rosse, ondeggianti nella marea che sta salendo. Qualcuno ha tirato fuori una scatola di domino, ma l’atmosfera è meditativa e del gioco non se ne fa nulla. Lo scopo di questo prologo è far sì che noi lettori ci sentiamo avvolti nell’abbraccio sicuro della realtà. La iolla può essere vista come un’immagine simbolica dell’Inghilterra stessa, ormeggiata nel mare del mondo, inaffondabile grazie alla costante attenzione di abili primi ministri e con una venerabile polena all’estremità prodiera, la regina Vittoria, dal 1876 anche Imperatrice delle Indie. L’Inghilterra si trova all’apice del potere. Ma il secolo si sta avviando al tramonto e non mancano segni inquietanti e grida d’allarme. La nube scura che incombe su Londra ha la sua funzione simbolica. Quella che attende i cinque gentiluomini è una gita di piacere, ma il viaggio cui il lettore viene invitato è assai diverso.
Tutti i presenti a bordo si sono in precedenza guadagnati da vivere in mare, ma quattro di loro hanno adesso occupazioni sulla terraferma. Soltanto Marlow è ancora attivo sul mare. Egli siede ora a poppa, appoggiato alla mezzanella con le gambe incrociate. Il suo volto è scavato, di un pallore giallastro. Marlow è una maschera che Conrad tiene davanti al proprio viso. Ma Marlow è anche un simbolo. Seduto così immobile, curiosamente incantato dalle proprie parole, è l’immagine dell’ispirazione, della concentrazione che accompagna il momento creativo.
Marlow racconta un’avventura successa qualche anno addietro. Una volta era diventato navigatore d’acqua dolce (freshwater sailor) e aveva assunto il ruolo di capitano su un vaporetto fluviale in Africa. Aveva viaggiato risalendo il corso del fiume, e quando era giunto al punto estremo oltre il quale la navigazione non era più possibile, aveva incontrato “il poveretto” (the poor chap). I quattro compagni della Nellie hanno già ascoltato i racconti di Marlow molte volte, e sanno che essi sono di solito sconclusionati (inconclusive) e non si stupiscono quando egli ripete per due volte che ciò che sperimentò laggiù fu qualcosa di nebuloso, oscuro, pietoso e comunque difficile da penetrare. Il racconto di Marlow è un reportage che descrive la caccia ad una preda scomparsa, e il capitano comincia narrando di come ricevette l’incarico e di come febbrilmente si preparò ad esso. Le sue esperienze africane somigliano molto da vicino a quelle dello stesso Conrad, e Cuore di Tenebra è perciò anche un’autobiografia ove non si sa mai con certezza che cosa sia autentico ricordo e che cosa sia stato invece inventato. Marlow motiva in modo piuttosto particolareggiato la propria assunzione in Africa, come se ne provasse vergogna. La scarsità di posti di comando nella flotta commerciale viene indicata come uno dei motivi di quella scelta. Un altro è che il capitano sin dalla fanciullezza aveva fantasticato sugli spazi bianchi delle carte geografiche del globo. Marlow era rimasto stregato dal fiume. Il viaggio di cui sta per narrare è un inghiottimento oltre un viaggio. Marlow è narratore lesto. Sintesi ardite e scavalcamenti a lunghi passi. Non sosta mai presso le proprie immagini. L’esperienza africana ha ribollito nella sua fantasia cento e più volte. Marlow racconta che, dopo aver ottenuto con la direzione della Grande Compagnia tramite una zia egli aveva attraversato la Manica per recarsi in una città del continente a firmare il contratto. È la capitale del Belgio, che nella vita di Conrad corrisponde al “sepolcro imbiancato” di Marlow. Nella città viveva per l’esattezza una donna, Marguerite Poradowska, moglie di un parente di Conrad. Era stata lei a mediare il contatto con la Compagnia. Bruxelles si chiamerà “la città-sepolcro” oppure “la città dei morti” per tutta la durata del racconto, il nome geografico è sostituito da un nome allegorico. Esistono alcuni nomi concreti in Cuore di tenebra – Marlow, Kurtz, il Tamigi. Ma in generale il nostro viaggio si svolge attraverso un’allegoria. Ci sono il Fiume, il Direttore, i Pellegrini, l’Arlecchino, il Manichino. La “città dei morti” è il nome che si suol dare a un cimitero. Ma in un disegno allegorico può anche essere il luogo ove dimorano i morti viventi. Le società moderne sono minacciate dall’interno contemporaneamente dal marciume dell’ipocrisia e dall’odio che prepara una nuova guerra. Marlow, quando fa visita alla zia che l’ha aiutato, la presenta come una vecchia sciocca, satura di vuote frasi tratte dal baule del vocabolario ufficiale del tempo.
All'inizio il racconto di Marlow è piuttosto disordinato, segnato da frequenti sbalzi temporali. Ma quando nella Città Sepolcrale si presenta negli uffici della Compagnia, egli si concentra. Conrad è pronto per il primo pezzo di bravura. L’ufficio non è difficile da trovare, poiché ha sede nell’edificio più importante della città. Marlow lo ritrova in una viuzza stretta, ove regna un silenzio mortale. Un gran numero di finestre è munito di persiane. Venetian blinds è il termine inglese, che richiama alla mente la cecità; questo, unitamente al silenzio, dice qualcosa sull’essenza della ricchezza. Attraverso la fessura di un grande doppio portone socchiuso, Marlow scivola all’interno del palazzo. Marlow sale per uno scalone nudo come il deserto, apre una porta e si trova davanti due donne vestite di nero, con cuffie bianche in testa. Esse siedono su sedie impagliate e sferruzzano con filo di lana nero. Una, la più anziana, è grassa, l’altra è snella e indossa un abito asessuato. È lei ad alzarsi per andare incontro a Marlow. Si muove come una sonnambula, Marlow è quasi sul punto di scansarla quando invece si accorge che la donna è proprio diretta verso di lui. Le due donne sono portiere. Dopo essere stato introdotto con l’aiuto della magra nel cuore del palazzo, dove incontra il capo, che fa una rapida apparizione nel racconto solo in forma di una “pinguedine in redingote”, e dopo aver firmato il contratto, Marlow ripassa davanti alle due donne. È come se la donna sapesse tutto dei visitatori. Nel momento in cui Marlow sente l’impulso di salutarle con le parole che i gladiatori romani solevano indirizzare nell’arena all’imperatore, esse si trasformano. Cuore di Tenebra s’intitola il romanzo. Ci stiamo dunque avviando. Mentre ancora si trova all’interno del grande edificio silenzioso, Marlow arriva a fare altre due osservazioni. L’impiegato che lo guida alla stanza ove avrà luogo la visita medica loda l’attività della Compagnia in Africa ma si ritrae davanti all’ipotesi di recarsi egli stesso laggiù. “Non sono così stupido come sembro, disse Platone ai suoi discepoli”, trapelano rischi misteriosi. Il medico non degna di grande attenzione lo stato di salute di Marlow, ma domanda di potergli misurare la testa e tira fuori un calibro. Egli è evidentemente un seguace di Lombroso. Quando Marlow gli chiede ironicamente se misura anche i crani di quelli che tornano indietro, il medico risponde precisando che non li rivede quasi mai.
Non è difficile percepire il brivido che corre attraverso la narrazione. Marlow dice che spesso, laggiù in Africa, gli capitò di ripensare alle due donne. Gli pareva che sferruzzassero un caldo drappo funebre – a warm pall. È un’immagine che stupisce. Sono dunque le due donne, nonostante tutto, divinità del destino che, senza nemmeno esserne consce, condannano le mire che la Compagnia rappresenta? Le parole “Morituri te salutant” erano state usate dal padre di Conrad, Apollo Korzeniowskij, come motto per una sua raccolta di poesie. Il viaggio – davanti alle due donne sferruzzanti ci diventa ormai chiaro – riguarda anche l’animo umano e le sue zone oscure.
Marlow s’imbarca su un piroscafo francese per raggiungere il suo posto di lavoro in Africa e arriva alla foce del grande fiume. Insieme con Marlow stiamo per affrontare il viaggio “nel” e “sul” fiume, e non avremo modo di evitare questa doppia prospettiva. Quando Marlow mette piede per la prima volta sul suolo africano, gli si offre subito un esempio di come agisce il colonialismo. Di tanto in tanto accade che uomini neri si avvicinino con i loro canotti al piroscafo lanciando grida, gli occhi lucenti e i corpi nudi, pieni di vitalità, e Marlow riflette che quegli uomini non hanno bisogno di scuse per trovarsi là. E comincia a comprendere che è lui ad averne invece bisogno. Cuore di Tenebra è una protesta impetuosa, ma anche un gioco illusorio. Già prima che Marlow prenda la parola a bordo della Nellie, Conrad riflette sulla storia e sulla potenza dell’impero britannico. Qui, dalla foce del Tamigi, sono partite le navi che hanno costruito l’impero mondiale. Di qui sono salpati impugnando la spada ma anche la fiaccola, conquistatori di ogni sorta. Sono stati avidi d’oro, di potere e di gloria, ma hanno anche sentito l’obbligo di diffondere la luce della civiltà, “una scintilla del sacro fuoco”, come Conrad scrive addirittura. Vittoria e disfatta sono messe a confronto. Una valutazione di ambivalenza di fronte alla maestà imperialistica. Ma anche la conferma che l’avidità che caratterizzava la Città sepolcrale non esisteva soltanto sul continente. Anche Marlow comincia il suo racconto con un ardito viaggio nel tempo. Il Tamigi che scorre sotto la chiglia della Nellie conduce i suoi pensieri Tevere e a Roma. Marlow muove all’indirizzo dell’impero romano un attacco violento, che ha i bagliori di una rabbia che compare ogniqualvolta in Conrad si venga a parlare dei soprusi di una grande potenza. Il paragone fra Roma e l’Inghilterra faceva parte dell’arsenale comune a tutti i critici dell’impero. Marlow/Conrad si premura comunque di sottrarre l’Inghilterra alla condanna, benché questa sia palesemente e intenzionalmente formulata in termini generali e riguardi la conquista del mondo nel complesso. Già nella città sepolcrale, nell’anticamera ove siedono le due donne sferruzzanti, Marlow studia una carta dell’Africa su cui sono segnate tutte le colonie dei paesi europei. Egli ribadisce che gli Inglesi si differenziano dagli altri colonizzatori per la loro efficienza. Per convincere gli ascoltatori della sua natura patriottica, conclude il suo sfogo affermando che l’unica cosa che può redimere un uomo onesto verso la conquista della terra è un’idea. Marlow riconosce dunque che una legittimazione del potere è necessaria perché chi partecipa alla marcia di conquista non si ritrovi in difficoltà con la propria coscienza. Dalla foce del fiume egli parte a bordo di un piccolo piroscafo alla volta della stazione commerciale che si chiama Stazione Inferiore e che rappresenta uno stadio preparatorio. Essa corrisponde, nel viaggio compiuto da Conrad, a Matadi, sede del governo dello stato libero del Congo. Il capitano del piroscafo è svedese ed esprime tutto il suo disprezzo per i funzionari della Compagnia. Alla fine, il capitano assicura che provvederà a far sbarcare i quattro colli di Marlow. Ragionevolmente si può immaginare che ora Marlow se ne stia sulla terraferma circondato da un consistente bagaglio e da portatori negri tutti indaffarati. Ma Marlow in Cuore di Tenebra è peculiarmente solo, come se il mondo si ritraesse e lasciasse in campo soltanto le immagini che ci condurranno avanti nel racconto. Marlow risale lungo la sponda del fiume e raggiunge presto un posto di lavoro che dà un’impressione di trascuratezza e disorganizzazione. Si sta costruendo una ferrovia. Il lettore associa l’immagine a quella di un animale colpito a morte. Un corno suona e immediatamente dopo esplode una detonazione nella roccia che però non viene intaccata. Salendo lungo il sentiero, Marlow ode dietro di sé un lieve tintinnio e vede sei negri che procedono in fila indiana lungo il pendio. Essi portano sul capo piccole ceste piene di terra e sono legati l’uno all’altro con collari di ferro e catene. Il contrasto fra questi negri e gli uomini liberi sui loro canotti non potrebbe essere più grande. Gli uomini hanno un aspetto deperito, le costole si distinguono una ad una. Le ginocchia somigliano a nodi fatti su una corda. I petti ansimano. Gli occhi hanno lo sguardo fisso, di un’indifferenza mortale.
Quando ora, a bordo della Nellie, racconta dei prigionieri negri, Marlow affila il tono ironico che ha impiegato fin dall’inizio. Quelli che vede sul sentiero sono “delinquenti” perché hanno trasgredito qualche disposizione di un contratto stipulato tra loro e la grande Compagnia. Dopo l’incontro sul sentiero, Marlow ha bisogno di calmare i suoi nervi e cerca un po’ d’ombra in un boschetto. Il boschetto è pieno di moribondi. Si tratta di lavoratori neri che certamente non hanno commesso alcun crimine, ma sono malati e quindi inabili al lavoro. Il boschetto rappresenta il servizio sanitario e sociale fornito dalle autorità. I lavoratori hanno il permesso di morire in libertà. Marlow rammenta che dentro a quel boschetto ombroso fu colpito dal rumore di una vicina cascata. È “l’immagine divina” che Marlow ha in sé a far nascere simili idee. Il sussurro cosmico solleva i lavoratori moribondi dal tempo e dallo spazio, e li ricongiunge a tutti i figli del dolore. Marlow osserva le figure emaciate e immobili, ridotte quasi a scheletri. Un giovane giace disteso con una spalla poggiata ad un albero e solleva palpebre pesanti per guardare il visitatore. Intorno al collo porta un filo di lana bianca. Il filo al collo del giovane è inspiegabile. Ma sta lì come segno. Marlow si era poco fa immaginato che le donne sferruzzanti nella città sepolcrale stessero lavorando a un drappo funebre. Il suo filo di lana è bianco come se la morte avesse perso colore. Marlow non fa commenti né sul moribondo né sul filo di lana, si sente soltanto impotente. La prima associazione di Marlow, quando scopre dove è capitato, riguarda l’inferno. Dopo aver esaminato più da presso gli abitanti di questo cerchio infernale, dirà che il tutto somigliava a un dipinto raffigurante un massacro o una pestilenza. Con il trasferimento dei prigionieri e il boschetto dei moribondi Marlow ha montato due pilastri di sofferenza stabile nel suo racconto. Capanne di fango e uomini senza protezione sono facilmente schiacciati da chi possiede le armi, ma questa violenza non è possibile senza il potere sulle parole. Le crudeltà succedono dietro falsi sipari di parole tipo terrorista, comunista, anarchico.
Marlow lascia il boschetto della morte e si avvia lungo il declivio per raggiungere gli edifici della Compagnia. Lungo il percorso incontra un bianco. Marlow lo chiama il Manichino (a hairdresser’s dummy). Dalle labbra del Manichino, Marlow sente pronunciare per la prima volta il nome di Kurtz. Kurtz è un agente che opera nell’alto corso del fiume, nell’autentica zona dell’avorio, e di là spedisce verso la costa più avorio di tutti gli altri agenti messi insieme. Egli ha il più profondo rispetto per l’abilità di Kurtz e lascia intendere che essa è fonte d’invidia e ostilità all’interno della Compagnia. Marlow dice che quando quell’uomo elegante gli apparve davanti egli lo scambiò inizialmente per “una visione”, tanto era lo splendore del suo abbigliamento. Raddoppiato, è facile capirlo, dal ricordo dei miserabili che Marlow ha appena lasciato. “Una visione” dice Marlow, e a ragione. Insieme al Manichino sorgono immagini della storia della civiltà. Egli tiene i conteggi della Compagnia nella stessa condizione esemplare in cui tiene i suoi abiti, e Marlow lo rispetta per questo. Ma il Manichino paga la sua perfezione con la freddezza d’animo. Gli abiti sono uno dei mezzi che utilizza per tenere a distanza il dolore. Egli prova odio verso i neri perché con il loro chiasso e la loro negligenza gli impediscono di registrare con precisione le sue cifre. Marlow ha lodato gli Inglesi per la loro efficienza. Il Manichino è senza dubbio efficiente ma non sfugge per questo alla condanna. La sua funzione simbolica sta nell’indicare che dietro le regole, gli abiti, le cifre elevate ad ideale, il corpo vivo muore e si trasforma in legno – in Manichino.
Marlow rimane dieci giorni presso il Manichino. Marlow si lamenta per quella perdita di tempo. Se ne riparte, poi, alla testa di una carovana di sessanta portatori stracarichi. Il suo piroscafo è in attesa trenta miglia più a monte del fiume, che a causa delle cascate non è navigabile nel suo corso inferiore. La natura ha messo un efficace lucchetto all’enorme e ricco entroterra, una barriera volta quasi a “fermare il progresso”. I neri venivano costretti a trasportare sulle spalle tutto quanto doveva arrivare nell’entroterra. Marlow passa abbastanza affrettatamente attraverso la descrizione della marcia insieme a portatori neri spesso cocciuti. Marlow fa sì che il paesaggio subisca qualcosa come un processo di scolorimento. Nessun uccello canta, nessun villaggio è popolato. Lui stesso non suda, né sente freddo. Tutto quello che non serve alla scopo della sua narrazione è tolto di mezzo.
Sotto il massacro degli esseri umani si colloca il massacro degli animali – elefanti marini, bufali, tartarughe giganti, foche, balene. Il prezzo di oli, profumi, pellicce, sostanze afrodisiache stabilisce quali animali dovranno morire. È il mercato libero che decide. L’uomo ha considerato e continua a considerare la terra come un articolo di consumo. Non era soltanto l’avorio ciò che i bianchi cercavano in Africa. C’erano molti altri prodotti – dagli esseri umani alla gomma – da prendere in considerazione. Ma Conrad sceglie come simbolo dominante in Cuore di Tenebra l’avorio, che ha il candore dell’innocenza. La prima informazione che riceviamo su Kurtz è che costui è, fra gli agenti della Compagnia, quello che riesce a procurare la più ingente quantità di avorio. Quando Marlow alla fine riesce a raggiungerlo, trova Kurtz in possesso di un incredibile numero di zanne. Ma Kurtz è stato trasformato in quello cui ha sempre dato la caccia. Quando Marlow lo vede la prima volta, osserva che la testa di Kurtz è calva, come lucidata. Il suo corpo è smunto. Egli somiglia, dice Marlow, a “un’animata immagine di morte, scolpita in vecchio avorio”, Kurtz è diventato cittadino a pieno titolo della Città sepolcrale. L’avidità l’ha consumato fino all’osso e ha lasciato soltanto lo scheletro.
La prima cosa che Marlow osserva quando raggiunge la Stazione Centrale, è un certo numero di uomini bianchi con lunghi bastoni in mano che si muovono , dice, languidly. È il caldo che fa questi effetti, ma Marlow tira via il sole e lascia soltanto l’apatia, la prova che i colonizzatori sono inefficienti e inetti. Marlow li ribattezza Pellegrini. Marlow presume che i bastoni che hanno in mano siano il simbolo della loro avidità e pensa che se li portino anche a letto. Quegli uomini sono falsi pellegrini, mentre Marlow è un pellegrino autentico. Marlow e il suo creatore amano il linguaggio ironico. Più Marlow è turbato da qualcosa, più pungente suona la sua ironia. Sui Pellegrini domina il Direttore, un uomo dagli occhi freddi. Con quello sguardo sapeva colpire in profondità come una scure, dice Marlow con una punta d’antipatia. Quando si trova per la prima volta davanti al Direttore, viene trattato con sfrontata indifferenza. L’uomo, dice Marlow, ha un’espressione curiosamente furtiva intorno alle labbra, qualcosa che somiglia a un sorriso eppure non lo è. Il Direttore trae la sua autorità dalla sua salute. In Africa, la gran parte dei bianchi viene colpita da malattie. Il Direttore è passato indenne e in piena salute attraverso tre periodi contrattuali, nove anni dunque. Egli è un essere umano trasformato in bestia, ma senza l’innocenza della bestia. Incute timore. Marlow e noi stessi percepiamo, quando ci troviamo di fronte al Direttore, che ci stiamo avvicinando alla tenebra più profonda, al male.
Il vaporetto risale il corso del fiume per andare alla ricerca di Kurtz. A bordo ci sono una trentina di uomini appartenenti a una tribù di cannibali, arruolati come taglialegna. Marlow sta di vedetta per avvistare legna secca. I taglialegna ricevono il salario sotto forma di filo d’ottone, valuta corrente all’interno del continente africano. L’intenzione è che si comperino del cibo con quel filo. I cannibali patiscono la fame. I taglialegna illustrano un lato del meccanismo di oppressione che viene raramente discusso – la violenza contro il tempo. I taglialegna non sono ancora pronti per l’economia basata sul filo d’ottone, ne sono confusi e deperiscono. Sono capaci e volenterosi, ma vengono inseriti in un sistema che li schiaccerà. Il fiume è ampio, pieno di banchi di sabbia con ippopotami e coccodrilli stesi nel sole, e di tronchi infilati insidiosamente nel fondo melmoso. Per Marlow il canale navigabile è anche la rappresentazione figurata di un avanzamento spirituale. Egli illustra la difficoltà a trovare la strada giusta con l’immagine di un uomo bendato che guida un furgone su una strada accidentata. Marlow è teso. Deve sorvegliare il fuochista, il timoniere, lo scandagliatore che sta a prua. E intanto osserva gli alberi secolari ammassati lungo le rive. Ora che Marlow se ne sta ritto sul ponte del vaporetto e osserva gli alberi enormi scivolargli davanti e ascolta il rumore della pesante ruota a poppa, gli torna alla mente il rimorchiatore di Bombay. Il suo piroscafo gli pare simile a uno scarabeo che striscia pigramente sul pavimento del portico formato dagli imponenti alberi che si innalzano lungo le rive.
Quando la spedizione si trova a una novantina di km dalla Stazione Interna, viene scoperta sulla riva del fiume una capanna di paglia abbandonata. C’è un’ordinata pila di legna su cui qualcuno ha scritto: “Legna per voi. Affrettatevi. Avvicinatevi con cautela”. C’è minaccia di pericolo presso il luogo ove dimora Kurtz. Presso la porta si trova un libro. L’esemplare è privo di copertina, consunto e sudicio, ma il proprietario doveva esserci affezionato, giacchè il dorso è ricucito con del filo bianco ancora pulito. Si tratta di un libro che parla della solidità di catene e funi a bordo. Marlow dichiara esplicitamente che il libro è noioso e i diagrammi illustrativi repellenti. La pila di legno viene imbarcata e il Direttore, insieme al suo seguito, chiama a gran voce Marlow perché si spicci. Controvoglia, Marlow si infila in tasca il libro.
Due giorni dopo l’episodio del libro, quando manca soltanto un miglio alla Stazione Interna, il vaporetto subisce un attacco. Una mattina di nebbia, intorno all’imbarcazione all’ancora in mezzo al fiume, sale un grido acuto proveniente dalla riva, e Marlow osserva che il cammino verso Kurtz è disseminato di cose terribili. Un paio d’ore dopo, l’aria si riempie d’improvviso di frecce. Marlow si comporta con la calma controllata che ci si aspetta dall’eroe bianco in viaggio d’avventura, ma in realtà la sua coscienza sta di nuovo scendendo verso gli inferi. Nel descrivere la battaglia, Marlow isola abilmente alcuni dettagli. Lo scandagliatore a prua, che si getta a terra ma non molla lo scandaglio immerso nella corrente! Il silenzio, prima che i Pellegrini si armino di fucile. Per mettersi al riparo, Marlow chiude il portello della cabina di manovra, ma in un attimo di distrazione il timoniere lo spalanca di nuovo. È la sua fine. Marlow con una mano tiene il timone e con l’altra suona la sirena, che terrorizza gli aggressori che scappano urlando. Dalla ferita del timoniere sgorga sangue e le scarpe di Marlow ne sono intrise. Marlow ordina a uno dei Pellegrini di prendere il timone e lui si strappa come un pazzo i lacci delle scarpe. Marlow ora è deluso perché è convinto che quella zona di terra sia in mano ai selvaggi e che quindi non ci sia più Kurtz. La figura di quest’ultimo si delinea lentamente. Le informazioni più importanti su di lui ci arrivano solo alla fine. La consapevolezza in Marlow che non potrà mai sentire la voce di Kurtz gli provoca una delusione così grande che lui stesso la giudica eccessiva. , gli pare come di aver perso il proprio scopo nella vita. Era un dolore paragonabile a quello manifestatosi nell’urlo dei selvaggi.
Siamo in viaggio verso Kurtz. Per Marlow si tratta di esorcizzare e vincere anche Kurtz. Non appena lo scorge, osserva quanto il suo aspetto sia vorace. Egli spalanca la bocca come se volesse inghiottire tutta l’aria, tutta la terra, tutta la folla che ha di fronte.
Esaminando la stazione attraverso il suo cannocchiale, Marlow vede un edificio cadente mezzo sepolto tra l’erba alta. Davanti alla costruzione strane costruzioni fatte con teschi umani, anche se Marlow se ne accorgerà solo più tardi. Sulla sponda del fiume c’è un uomo bianco con un cappello che fa segni col braccio. È un individuo di circa 25 anni, capelli biondi e occhi celesti, ciarliero. Indossa un abito accuratamente rappezzato con stoffe dai colori più diversi. È il legittimo proprietario del libro Tawson, e Marlow lo capisce subito. Quando gli dà il libro, il giovane è così contento che vorrebbe gettarsi fra le braccia di Marlow e baciarlo. Marlow battezza l’uomo l’Arlecchino. Arlecchino nella commedia dell’arte è colui che combina intrighi, il servo sfacciato, l’astuta canaglia. Ma è stata anche una figura connessa con la morte. Qui è il sosia di Marlow e di Conrad, è un esiliato dell’Europa orientale, come Conrad. Marlow lo tratta con tenerezza. L’Arlecchino non chiede alla vita nient’altro che l’avventura. I due sono come padre e figlio; il figlio protetto dalla sua giovinezza e innocenza, dove non è costretto ad assumersi responsabilità, e il padre – Marlow – alla ricerca di un significato della cui esistenza comunque dubita. Quest’ultimo decide di salvare l’Arlecchino dalla malvagità del Direttore; gli fornisce un paio di scarpe e il dono è anche simbolo dell’intimità che si è creata fra i due. Poco dopo Arlecchino viene inghiottito dalla jungla e in questo modo Marlow si libera dal culto dell’eroe e dall’idealismo della sua giovinezza; è diventato un uomo maturo. Prima di sparire, l’Arlecchino lo istruisce su Kurtz. Kurtz aveva iniziato come mercante pioniere nella giungla, scambiando avorio con le sue mercanzie. Quando la sua riserva di merci era finita, era passato a procurarsi l’avorio con la violenza. È arrivato ad assumere la carica di dio e capo per una tribù che lo idolatra e ubbidisce a ogni suo minimo gesto. È stato Kurtz a ordinare l’attacco contro al vaporetto perché vuole slegarsi dalla compagnia e dominare da solo. Nonostante l’acquisito ruolo di capo, Kurtz non è in buona salute.
Kurtz, su incarico della Società Internazionale per la Soppressione dei Costumi Selvaggi, ha redatto uno scritto che dovrebbe servire da guida per l’attività futura della Società. È questo a cui alludeva il fabbricante di mattoni, quando chiamava Kurtz un membro della nuova “cricca della virtù”. Egli ci informa che il padre di K. È per metà francese e sua madre per metà inglese; K. Stesso ha simpatie per l’impero britannico e che a dispetto del nome tedesco egli parla di preferenza l’inglese. Arlecchino fa anche un resoconto sullo scritto di K.; è dovere dei bianchi cristiani esportare i propri costumi più progrediti, la propria religione, le proprie istituzioni e il proprio sistema politico a tutti i popoli del mondo, per diffondere così la felicità e la pace. Improvvisamente compaiono il Direttore e i Pellegrini che stanno portando una barella su cui c’è K. Si ode un grido acuto: sono uomini nudi e armati di lance e frecce che si avvicinano alla barella per tentare di riappropriarsi di Kurtz. Questo li convince che è di sua volontà che se ne sta andando e i selvaggi tornano nella foresta. Il gruppo con la barella si avvicina al vaporetto; qualcuno sta portando le armi di K. Marlow guarda e capisce qual è la differenza tra gli uomini bianchi e i selvaggi: semplicemente armi migliori.
Kurtz viene portato a bordo. Al tramonto i sudditi di Kurtz scendono alla spiaggia. Tra loro c’è una donna ricoperta di gioielli che, alzando le braccia al cielo, invoca il ritorno di Kurtz, ma questi la tradisce, così come ha tradito se stesso. Kurtz, nel frattempo, è all’interno e sta litigando col Direttore per l’avorio; ma si sta anche consumando fra il desiderio di ritornare in Europa e la bramosia di rimanere. Quando scende la notte riesce a trascinarsi fuori dalla cabina. Strisciando si incammina per ricongiungersi ai neri. Ora dunque è lui a strisciare come facevano i capi tribù. Marlow si allontana da solo per riprendere il fuggitivo; lo raggiunge in prossimità dei fuochi. Kurtz gli si erge di fronte, è alto, muto e un po’ vacillante. Marlow si trova in una situazione straordinariamente pericolosa: sa che se Kurtz si ricongiunge ai selvaggi, lui e la spedizione di salvataggio saranno trucidati. Marlow è deciso ad impedire quel ricongiungimento. Kurtz, poi, durante il viaggio di ritorno sul fiume, affiderà il suo libello a Marlow perché non cada nelle mani del Direttore. Le notizie raccolte da Marlow su K. mostrano come l’uomo, in veste di capo della tribù selvaggia, si sia abbandonato pienamente a piaceri proibiti. Ora, in quest’attimo decisivo, la reazione di Marlow nei confronti di Kurtz è divisa in due. Egli crede che Kurtz sia tentato di ricongiungersi alla stirpe selvaggia perché brama di poter soddisfare ancora passioni innaturali. Marlow scopre che non si può appellare a lui in nome di qualche divinità celeste o altro, perché è completamente solo; gli dice semplicemente “Vi perderete” e aggiunge che il suo successo in Europa è assicurato. Sul piano superficiale Kurtz deve scegliere tra una carriera europea e una africana; sceglierà la prima. Ma dietro a questo, egli lotta per tenere insieme la propria anima. Si lascia convincere da Marlow a tornare indietro. Marlow non aveva soltanto lottato con Kurtz in una situazione pericolosa. Aveva anche guardato dentro se stesso. Anche Kurtz è un sosia di Marlow, e le tentazioni cui è stato esposto, Marlow stesso le ha sperimentate.
Comincia il viaggio di ritorno. Durante la notte, Marlow si confida con Kurtz, ma questi sta morendo e non ha molto da dire. Marlow lo chiama miserabile ciarlatano, ma lo vede anche come un demone disperato, prigioniero delle tenebre. Nell’attimo in cui Kurtz muore – alcuni minuti dopo aver pronunciato le sue ultime parole Orrore! Orrore! – nessuno è presente. La sua morte viene annunciata durante la cena dal servitore del Direttore. Il vaporetto sta scendendo rapidamente il fiume e l’avventura di Marlow si avvia alla conclusione.
Quando Kurtz muore il romanzo ritorna con un balzo in Europa. Quel che è successo è che Marlow si è ammalato ed è stato costretto a rescindere il proprio contratto. Lo stesso era accaduto a Conrad. In Cuore di Tenebra Marlow passa sotto silenzio la malattia e la dispensa dall’incarico. Trascorre più di un anno prima che Marlow faccia ritorno alla Città Sepolcrale, che ora, dopo l’esperienza africana, gli appare ancor più rispondente al paragone biblico. Nella Città sepolcrale, Marlow riceve la visita di un giornalista che chiama Kurtz “caro collega”. Si tratta di un tipo sgradevole, dalle sopracciglia dritte e setolose, i capelli tagliati a spazzola e il monocolo. Un tedesco, a giudicare dalle apparenze. L’uomo informa Marlow che Kurtz possedeva uno straordinario talento oratorio, che era capace di elettrizzare le folle, e che sarebbe stato un magnifico capo per un partito estremista.
La commissione più importante di Marlow nella Città sepolcrale riguarda la fidanzata di Kurtz. Marlow intende restituirle lettere e foto che fanno parte del materiale avuto da Kurtz. È al tramonto che Marlow compie la visita. Quando la fidanzata entra nella stanza, è tutta vestita di nero. Per lei Kurtz non è morto. Egli è il suo salvatore, colui che si sacrifica nella barbara jungla africana, l’esempio, il crociato.È la terza volta che Kurtz ci si presenta in forma di fantasma uscito dall’oltretomba. La prima volta, quando Marlow offrì in sacrificio la scarpa zuppa di sangue, la seconda quando raggiunse Kurtz in prossimità dei fuochi selvaggi. Ora, la sua ombra esce dal sepolcro di un cimitero, vegliata con amorevole dedizione. Il colloquio che segue tra Marlow e la Fidanzata è tragedia e farsa insieme. Marlow ha detto di odiare la menzogna perché gli sembra che abbia un sapore di morte. Ad un certo punto la donna costringe Marlow a dire le ultime parole dette da Kurtz. Marlow mostra di possedere volontà e presenza di spirito. E mente senza esitazione, dichiarando che l’ultima parola di Kurtz fu il nome di lei. La donna si lascia sfuggire un grido di incomprensibile trionfo e di dolore ineffabile. Il romanzo cominciava con la descrizione di una nube scura che sovrastava Londra verso occidente. Ora, quando si conclude, la foce del fiume appare sbarrata da un banco di nuvole e il tranquillo corso del Tamigi sembra condurre verso il cuore di una tenebra infinita. La Fidanzata è un grave caso di estraniamento. Ella è costretta a basare la propria vita sulla menzogna. Possiede una grande capacità di devozione e fedeltà.

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