Una Donna

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Testo

“Una donna”, sibilla Aleramo
“ Introduzione all’autrice
Del romanzo "Una donna" (1906), il primo, complesso frutto della scrittura di Sibilla Aleramo, è stata fatta una pluralità di letture, con un punto di partenza sempre autobiografico. Lo sono i personaggi: il padre, la madre, il marito, il figlio, il profeta sono state persone che hanno fatto parte della vita della scrittrice, ma lo è anche il tempo: la fine del secolo e suoi bilanci non esaltanti; l’ansia per le novità che si annunciavano: i primi tentativi d’organizzazione, anche in campo assistenziale e formativo, mentre gli abbozzi d’industrializzazione acuivano incomprensioni e contrasti fra regioni. Un’inquietudine epocale dunque, su cui si erano innestate per Sibilla traumatiche esperienze. Il passaggio dal mondo del lavoro, al quale era stata avviata dal padre, ad un matrimonio riparatore dopo la violenza subita, e la successiva chiusura in una condizione odiata l’aveva resa partecipe di una condizione femminile che vedeva la donna condannata alla tutela di tradizioni e in cui era richiesto l’annientamento di sé. Da queste vicende individuali ed epocali era nata l’esigenza della scrittrice a cercare un riscatto attraverso la scrittura, prime dell’impegno del giornalismo attivo sul fronte del femminismo poi, dopo aver interrotto il legame con il coniuge e con il figlio, per mezzo del romanzo. E’ doveroso, però, precisare che "Una donna" non è soltanto un’autobiografia, un racconto delle proprie vicende, ma principalmente un romanzo, ossia un meccanismo narrativo in cui l’esperienza vissuta è diventata struttura e personaggi, un meccanismo originale per fare della propria quotidianità è, ormai segnata dalla passione per l’avventura intellettuale, un oggetto d’arte attraverso la scrittura in modo da additare la propria esperienza quale parametro per tutte le altre donne. Uno stame autobiografico e autodefinitorio percorre non solo il primo romanzo ma tutte le prove della scrittrice, fino alle più tarde, nel flusso dinamico di un vissuto che diventa narrazione, un vissuto ormai irrinunciabile avviata ad essere testimone della propria vicenda di "donna e poeta". Dal "Passaggio" al "Frustino" ad "Andando e stando" fino alle prove più tarde di "Un amore insolito", diario di una manciata d’anni segnata dall’esperienza della guerra e dall’ultimo eccezionale amore per un giovane di vent’anni, tutta la scrittura si nutre del valore di testimonianza e di memoriale che a lei Sibilla Aleramo ha sempre, fedelmente affidato. Se in "Una donna" era prevalsa la rivendicazione sociale di un ruolo femminile paritario a quello maschile, al "Passaggio" (la seconda prova narrativa) presiede l’interiorizzazione dell’esperienza alla base del primo romanzo dando vita ad una prosa lirica, forse eccessivamente enfatica mentre dopo "Gioie d’occasione" (raccolta di scritti vari) e "Andando e stando" (elaborazione d’incontri significativi della propria esperienza d’intellettuale) realizzava alla terza prova narrativa importante: "Amo dunque sono". Questo romanzo, che ha forma d’epistolario, testimonia la congenialità della scrittrice con un genere letterario attraverso il quale può attingere al mito di Sibilla, generatrice d’energie poetiche in coloro che ha incontrato. In questa prova narrativa, per altro poco riuscita, che mescola impulso diaristico a finzione epistolare, l’Aleramo sperimenta il linguaggio che sarà delle ultime opere significative: i "Diari".Con il "Diario di una donna", "Inediti" 1945-1960 e con "Un amore insolito", "Diario" 1940-1944, l’Aleramo trova il linguaggio per raccontare la vicenda del proprio io, sempre inesauribilmente alla ricerca di un tu, di un altro, disposto ad ascoltare la storia di un essere solitario alla ricerca della libertà d’essere se stessa, in una coerenza che si tinge di straordinaria fedeltà, se non agli uomini che ha incontrato, certamente alla propria vocazione di scrittrice.
e Biografia
Rina Faccio (riproduzione qui a fianco), conosciuta con il nome di Sibilla Aleramo, nasce ad Alessandria il 14 Agosto del 1876. A causa dell’attività lavorativa del padre cambiò spesso città fino a stabilirsi a Porto Civitanova Marche dove cominciò a lavorare presso uno stabilimento industriale. All'età di quindici anni è sedotta da un collega e per riparare al danno nel 1893 si sposano. Ciò segnò in modo indelebile la sua esistenza, proiettata magistralmente nel romanzo autobiografico Una donna, nel quale critica il rapporto coniugale definito oppressivo e frustrante. Nell’apice drammatico della sua esistenza finì con il tentare il suicidio e quando si riprese cominciò a concretizzare le sue aspirazioni umanitarie e socialistiche, iniziando anche a scrivere racconti e articoli giornalistici. Erano gli anni 1898-1910: Sibilla scrisse che il femminismo si concentrava ora nelle letteratura e nella spiritualità, nella rivendicazione della diversità femminile; credeva infatti in una spiritualità femminile e cioè nel fatto che tra uomo e donna c'è una spiritualità diversa. Le donne sono intuitive e hanno un contatto più rapido con l'universo producendo così una poesia sconosciuta al mondo maschile. Nel 1899 si trasferisce a Milano dove dirige il giornale L ’Italia femminile.
Nel 1902 la sua relazione amorosa con il poeta Damiani la spinse ad abbandonare la famiglia e a trasferirsi a Roma. Qui legò una nuova relazione con G. Cena, direttore di una rivista e animatore d’iniziative democratiche e unitarie. A Roma entrò in contatto con l’ambiente intellettuale e artistico .
Nel 1906 pubblicò Una donna che rappresentava un concentrato di tutti i modi positivi e negativi che lei nel corso della sua carriera modulerà in forme diverse; dall’autobiografismo pieno d’autocontemplazione. Intensificò la sua attività femminista e unitaria soprattutto promovendo l'istruzione del mezzogiorno (Agropontino, Maccarese ancora paludosi e malsani). Tra il 1913 e il 1914 si trovò a Parigi, dove entrò in contatto personalità di spicco della cultura internazionale, come Apollinaire e Verhaeren. Durante la grande guerra incontrò Campana, con cui ebbe una relazione tempestosissima.
Conobbe Emilio Cecchi, con il quale mantenne una grande amicizia, e poi Marinetti e D'Annunzio col quale instaurò una corrispondenza. Dopo la relazione con Cena ne ebbe altre più o meno lunghe per lo più con intellettuali e artisti fino a quando non incontrò il giovane Matacotta al quale restò legata dal 1936 al 1946. Narrò tutti i suoi amori nelle sue opere evidenziando il fatto che la vita e la letteratura fossero legate in modo inscindibile. Nel 1919 esce Il passaggio, una nuova tessera romanzesca aggiunta alla costruzione mitologizzante del proprio personaggio. Del 1921 è la prima raccolta di liriche, Momenti. Fra il ‘20 e il ‘23 è a Napoli, dove scrive un poema drammatico dedicato a D’Annunzio, Enmione. Aderisce al manifesto antifascista degli intellettuali promosso da Croce. Nel 1927 esce il romanzo epistolare Amo dunque sono. Del 1929 è la raccolta Poesie. Un anno pubblica un volume di prose varie, Gioie d’occasione. Parallelamente escono tra il 1932 e il 1938 un romanzo, Il frustino, e un’altra raccolta di poesie, Si alla terra, così come una nuova serie di prose Orsa minore che ha per sottotitolo la frase indicativa di una non rimossa vena autobiografica, Note di taccuino.
Nel dopoguerra Sibilla si iscrive al PCI e abbandona il filone letterario dedicato ad un autobiografismo leggendario e affabulatorio, per dedicarsi ad un impegno politico e sociale sempre più intenso, un impegno che la porterà a fare lunghi viaggi nei paesi dell’Est e a collaborare con Case del Popolo e circoli ricreativi. Iniziano in questo periodo le collaborazioni all’Unità ed a Noi donne. Nel 1947 pubblica tutte le sue poesie nel volume Selva d’amore, cui fa seguire nel 1956 la nuova raccolta Luci della mia sera, in cui grandeggia l’enfasi della nuova militanza, in una dimensione tutta corale. In quegli ultimi anni, in cui cerca di dimenticarsi e mimetizzarsi nella folla dei destini minimi, annota nel suo diario un pensiero quasi testamentario con sconsolata ironia: "Ho fatto della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avuto così modo di creare in poesia". Dopo una lunga malattia, morì a Roma il 13 gennaio 1960.
Fortuna
Che cosa rimane all’umanità intera dopo la sua morte? Qual’è stata la considerazione che i critici (ed il lettori) ebbero di questa grande scrittrice? Certamente l’aspetto più importante della sua vita e che, più di tutti, solca i tempi nella mitizzazione della sua figura è senz’alto la sua adesione al femminismo. L’Aleramo stessa, in una prosa del 1911 ("Apologia dello spirito femminista", compresa nel volume "Andando e stando"), scriveva: " Il femminismo, movimento sociale, È stato una breve avventura, eroica all’inizio, grottesca sul finire, un’avventura da adolescenti, inevitabile ed ormai superata". L’istanza femminista si era ora riversata sul lato letterario e spirituale, sulla rivendicazione della "diversità” femminile e della necessità della "libera estrinsecazione dell’energia femminile". Negli anni del suo apprendistato, l’Aleramo era stata attiva nel movimento per l’emancipazione della donna, collaborando a riviste e giornali, e partecipando alle campagne più significative, come quelle per il voto alle donne e per la pace, contro l’alcolismo, la prostituzione, la tratta delle bianche. Nell’accogliere la direzione del giornale "L’Italia femminile", un settimanale fondato dalla socialista Emilia Mariani, imprime un carattere più politico e d’attualità. E’ in questo periodo che entra in contatto con molte attiviste di rilievo del movimento femminista, tra le quali Alessandrina Ravizza, ricordata in seguito in "Una donna". Nel romanzo, stesso è evidente il fatto che siamo ancora in una cultura intrica d’ideologie socialiste, umanitarie e soprattutto femministe. Sibilla Aleramo, inoltre, intensificò il suo impegno nel movimento femminista e nelle iniziative umanitarie, dalla creazione delle scuole nell’Agro romano, alla partecipazione al Comitato per promuovere l’istruzione nel Mezzogiorno. Fu presente al I congresso femminile nazionale indetto dal Consiglio nazionale delle donne italiane. Pubblicò diversi articoli sulla "Tribuna", articoli concernenti il movimento femminista. L’autrice di "Una donna" è la femminista militante, la progressista battagliera, la narratrice essenziale e oggettiva. La sua fama ha travalicato i decenni ed è giunta sino a noi con la fama dei grandi narratori antichi. Da poco le è stato dedicato anche un film diretto da Michele Placido intitolato “Un viaggio chiamato amore” in memoria della relazione dell’autrice con il giovane poeta Dino Campana. La stessa famosa attrice, interprete dell’Aleramo, Laura Morante ha commentato a proposito della figura che si accingeva ad impersonare: “Confesso che mi ispira sentimenti contrastanti. In alcuni momenti è toccanti, in altri insopportabile. E’ una donna di pulsioni, ma nel raccontarle è sincera, anche a costo di mostrarsi irritante. Si autocelebra senza pudore, con candore, però racconta le umiliazioni subite. E’ una persona forse non profonda ma molto generosa”.
“Sibilla Aleramo”, continua l’attrice, “è stata una delle prime scrittici femministe, ma ha uno strano inconscio bovarista: s’innamora sempre d’artisti a quali è disposta a concedere tutto a patto di essere consacrata. Per molti anni, pur essendo una grafomane, non scrive un libro, ma vive amore assoluti.”
Una donna ricca interiormente più d’ogni altro e proprio per la sua ricchezza sentimentale Sibilla Aleramo è uno dei personaggi più affascinanti che hanno attraversato la storia del ‘900.
U Trama e temi
Il libro Una donna di Sibilla Aleramo è uno dei primi libri femministi usciti nel nostro paese ed è una testimonianza della condizione femminile nella prima metà del XX secolo nell’Italia del Sud. Attraverso la narrazione, l’autrice esprime dei concetti molto forti sul ruolo della donna nella società, ma molto più nella famiglia e nella vita privata. Non diario, non romanzo, né autobiografia, Una donna potrebbe forse definirsi “esercizio d’autoanalisi” in forma letteraria: probabilmente una severa, a tratti spietata, riflessione sul proprio vissuto e su come avrebbe potuto o dovuto essere. La protagonista, privilegiata per nascita, più colta e più ricca delle sue coetanee, dopo un’infanzia serena e un’adolescenza vivace, trasferitasi con la famiglia in un paesino del meridione si trova, suo malgrado, invischiata nella logica del matrimonio “obbligato” con un ottuso e tracotante “ragazzetto” del luogo che l’aveva insidiata e di cui lei stessa, per un tempo brevissimo, s’era ritenuta innamorata. Da questo matrimonio subito rivelatosi tragicamente sbagliato, nasce il figlio che per dieci anni sarà, a suo dire, l’unico vincolo che la tiene legata alla vita. La solitudine, la repulsione per la cruda e animalesca sessualità del marito, la soffocante atmosfera del paese, la spingeranno a ritenere se stessa già quasi morta e, infine, dopo il tentato suicidio, a trovare conforto nella scrittura. I destini familiari la condurranno a Roma dove, giovane redattrice di una rivista velleitariamente femminista, inizierà il suo doloroso percorso d’autocoscienza. Quando si trasferisce a Roma, scopre la lettura, la pratica della scrittura, i conflitti sociali, ma anche il mondo politico e culturale delle donne: "Per la prima volta sentivo intera la mia indipendenza morale". Infine, ritornata al paese con il marito colpito da una malattia “infamante”, ma pur sempre deciso a soggiogarla e a reprimerne le richieste di separazione, prenderà la decisione della fuga verso il nord, sola, senza il figlio amato. In questa storia, a tratti limpida ed emblematica narrazione di un percorso di coscienza storica e di liberazione personale, si innestano le figure di un padre apparentemente illuminato, libero pensatore, dai caratteri fascinosi e moderni, che delega alla figlia appena adolescente una parte non marginale della direzione della fabbrica e di un marito che si comporta con la moglie, né più né meno di qualsiasi uomo della sua epoca: egoista e cieco di fronte alla sua disperazione e al destino oscuro che l’attende dopo il volontario esilio nella follia. Vi é poi la figura della madre stessa (“e per la prima volta ella mi era apparsa come una malata: una malata cupa che non vuol essere curata, che non vuol dire nemmeno il suo male”) paradigma femminile in disfacimento, senza ombra di riscatto dalla propria debolezza, che trova rifugio nel progressivo oblio della ragione. La madre rappresenta infatti ciò che lei non vuole essere, ma che purtroppo è destinata a diventare se non interrompe la strada che tutte le donne sono destinate a seguire. Infine, il marito: ottuso, incolto, legato indissolubilmente ai rituali della violenza e del possesso, incapace, per carattere e tradizione, di superarli se non per qualche sporadico e confuso momento. E la protagonista, sempre più consapevole della propria alterità, assiste attonita e impotente alla repressione d’ogni suo impulso vitale, quindi, attraverso l’osservazione, pur confusa e superficiale, delle vite diverse degli operai della fabbrica paterna, della miserabile esistenza delle popolane romane e dei movimenti delle classi lavoratrici, rialza il capo e trova il coraggio di fuggire per ritrovare se stessa e dare corpo ai propri ideali. Dalla narrazione, così prepotentemente intimista e universale ad un tempo, traspare il vero motore della scelta finale d’affrancamento: il bisogno di quell’autodeterminazione che in ogni creatura, maschile o femminile, consente l’espressione di un’esistenza appagante che nulla deve spartire con il senso di semplice, doverosa sopravvivenza. “ Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici. Ognuno portava la sua menzogna, rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili o dannose, quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla paurosa grandezza del nostro atterrare”.
i Struttura
Il testo di duecentoventi pagine si compone di ventidue capitoli brevi, organizzati in tre parti, disposti a narrare la vicenda biografica ed il percorso di coscienza della protagonista, dagli anni dell’infanzia fino al tempo della scrittura del romanzo stesso. Tutto il romanzo è divisibile in tre macrosequenze: la parte prima (cap. I-IX) racconta l’incrinarsi, nella fanciulla, di quel patto d’amore e confidenza che l’aveva resa “libera e gagliarda”; la rinuncia all’infanzia, la ripetizione, nelle esperienze del femminile (matrimonio, la maternità, gli interni del quotidiano, il tentato suicidio), del destino della madre. La parte seconda (X-XIX) ripercorre l’itinerario della nuova nascita, che, attraverso l’esperienza nel mondo politico e culturale delle donne, la porta alla scrittura letteraria. La parte terza (XX-XXII), in ultimo, conduce il racconto della vicenda (la separazione dal figlio e dal marito, la scelta di vivere per sé) e preannuncia il progetto di un libro-verità, manifestazione, nelle forme creative della parola poetica, di una donna rinnovata. L’ordine progressivo della vicenda biografica, scandito dalla successione dei ventidue capitoli, è dunque infranto dalla tripartizione del narrato, legata al tempo della scrittura, che consente all’Aleramo, di flettere il vissuto a riprodurre la fasi di un percorso interiore di coscienza. Gli eventi biografici si presentano, così, rielaborati nel testo in tre tematiche maggiori: l’amore, la solitudine e la scrittura. Il patto di speranzoso amore che la figlia stringe con il padre idealizza il ricordo dell’infanzia in “un sogno bello”, all’assoluta presenza di una felicità intangibile; un sogno d’armoniosa indivisibilità che, infranto dal tradimento del padre, sembra ripetersi nel rapporto con il figlio per palesarsi, già nel capitolo VII, come progressiva morte a se stessa. Al silenzio della madre, dopo la ripetizione del suo gesto di morte che, insieme, è il rifiuto del suo destino, la protagonista contrappone la solitudine, una taciturnità che consente l’ascolto di e sé e la possibilità di dedicarsi alla pratica della scrittura. E’ qui che prende corpo il grande tema, appunto, della scrittura: possibilità di “vivere il proprio pensiero”, luogo di nuova nascita. All’annunciarsi di questa nuova condizione, corrisponde la prefigurazione chimerica di un libro indispensabile, capace di mostrare “al mondo intero l’anima femminile moderna”.
v Personaggi e sistema
Il romanzo di S. Aleramo può essere considerato per molti aspetti una sorta d’autobiografia, e si può benissimo riscontrare ciò attraverso un esame dei personaggi del romanzo stesso. Tutti coloro, infatti, che intervengono nella storia possono essere messi in parallelo con molte delle persone che hanno fatto concretamente parte della vita dell’autrice; alcuni esempi sono il padre della protagonista, il marito e alcuni dei suoi amanti (infatti un uomo importante che ha condizionato particolarmente la vita di Sibilla Aleramo stessa fu Dino Campana, un suo celebre amore). L’autrice, però, volendo spesso generalizzare le atroci esperienze della protagonista, sottolineando il fatto che la maggior parte delle donne del tempo subiva gli stessi supplizi, non vuole dare una specifica caratterizzazione fisica a qualsiasi personaggio incontrato, ma, al contrario, focalizza di più la sua attenzione sulla loro psicologia. Ovviamente il personaggio intorno al quale ruota tutta la vicenda è un alter ego della Aleramo, ovvero una donna che lotta continuamente nella sua vita per far sì che il “gentil sesso” possa ottenere una certa libertà nei confronti degli uomini che fungono, invece, da tiranni a discapito delle loro compagne spesso indifese. La protagonista, che narra personalmente la storia della sua vita, è un personaggio sicuramente dinamico, poiché cambia, nel corso della storia, molte delle sue idee a proposito dell’emancipazione e, in particolar modo, della maternità; è una donna di ferree ideologie e d’aspetto abbastanza piacevole, anche se all’inizio del romanzo l’autrice ricorda il periodo della propria infanzia, descrivendosi quasi come un “maschiaccio” con i capelli corti, sempre indaffarata ad aiutare il padre a portare avanti la sua grande fabbrica. Successivamente con il matrimonio però la sua vita cambia, e soprattutto la libertà che aveva prima di studiare , di uscire e di dedicarsi ai suoi passatempi le è ristretta da un uomo che, superficialmente vedeva all’inizio come dolce, comprensivo e di piacente aspetto. Al contrario è lui il vero antagonista, quell’uomo violento e possessivo che costringe la propria donna ad una vita di stenti e di continue paure. Un altro personaggio che può essere considerato una spalla dell’antagonista, anche se da un solo punto di vista ideologico, è la madre della donna stessa; la sua esperienza, infatti, traumatica, il fatto che a causa della sua vita infelice accanto ad un uomo che non l’amava più diventa pazza, influenzano particolarmente la donna che, non volendo ricadere negli stessi errori di sua madre, prende decisioni, alcune volte, dolorose per far prevalere in lei quel sentimento fondamentalmente egoistico che le era mancato. Inizialmente la madre è descritta come una donna molto bella e fragile, dagli occhi grandi e la carnagione chiara; poi, dal momento in cui la sua pazzia aumenta e deve essere rinchiusa in un manicomio, il suo viso perde l’espressività di prima e la donna acquista delle caratteristiche infantili non soltanto da un punto di vista fisionomico, ma anche nel modo di parlare e di esprimersi.
Ad affiancare però la protagonista è presente un personaggio che l’aiuta fortemente a rendere più stabili le sue idee d’emancipazione: il figlio. Questi è particolarmente attaccato a sua madre. Cresciuto si renderà perfettamente conto di quanto lei possa soffrire accanto ad un marito che lui stesso non ama; è però l’unica ragione di vita per sua madre e per questo ha potuto evitare un ulteriore tentato suicidio da parte sua. Il suo appoggio involontario lo ha però reso vittima di una vita probabilmente difficile e infelice al fianco del solo padre, dopo che sua madre ha preferito andarsene e cercare la libertà lontano dalla propria famiglia.
Successivamente, difatti, la protagonista si trasferisce definitivamente nella città di Torino al fianco di suo padre, un uomo al quale lei stessa è sempre stata molto vicina; inizialmente lo vede quasi come un esempio da seguire soprattutto in campo lavorativo, poi come un appoggio morale sul quale può fare sempre affidamento. Si sente molto legata alla figura di quell’uomo colto, severo e potente, anche se nella sua adolescenza si è sentita tradita pure da lui nel periodo in scopre l’esistenza di una sua amante. Quindi questo personaggio funge da completamento alla protagonista, come i suoi amanti e amici avuti dopo il matrimonio; conoscendoli infatti la donna è venuta a contatto con compagni più dolci e comprensivi che non fanno altro che convincerla e spronarla, implicitamente e involontariamente, a trovare qualcosa di nuovo e di meglio per vivere una vita serena e tranquilla. L’alter ego dell’Aleramo riesce, così, a ritrovare negli altri parte di se stessa. Sono presenti anche numerosi personaggi secondari, tra i quali spiccano soprattutto la suocera e la cognata che riflettono in particolar modo l’ottusità e la cattiveria che si diffondono facilmente in un paesino di campagna dove la cultura non gode della dovuta importanza.
E’ necessario, infine, sottolineare la presenza di un agente non umano, ovvero dell’oggetto del desiderio che muove tutta l’azione: l’emancipazione, la libertà, la voglia d’essere indipendente, che s’identificano nel lavoro di giornalista e scrittrice che la protagonista svolge momentaneamente nella città di Roma.
o Luoghi e Tempi
Il racconto si svolge principalmente in tre città: Milano, un paesino del Mezzogiorno e Roma.
Milano è il simbolo della libertà e dell’ingenuità delle bambine che ancora non comprendono la complessità dell’universo femminile e l’ingrato futuro cui sono destinate. E’ proprio ciò che accade alla protagonista, che qui passa la sua fanciullezza spensierata, libera e nello stesso tempo felice per questa sensazione. Più avanti si ricorderà di questo periodo come di un sogno bellissimo, che sfortunatamente la dura realtà tenderà a far svanire. Successivamente, per seguire gli avvicendamenti lavorativi del padre, si trasferisce in un anonimo paesino del Mezzogiorno.
Questo è, al contrario della rinomata provincia del nord, simbolo della consapevolezza delle donne del loro ruolo nella società che considerano “un carcere strano”, in cui l’unica nobiltà è la rassegnazione. Simbolo di questa condizione è la protagonista che, sposatasi giovane è picchiata e rinchiusa dentro casa dal marito per un fatto di gelosia; quest’ultimo, come se ciò non bastasse, non le concede neanche un minimo di considerazione e di rispetto, neanche dopo la nascita del loro figlio. Tutto questo la porta a preferire la morte ad una vita di miserie e d’ingiuste rassegnazioni.
Si trasferisce, infine nella capitale: Roma. La città eterna rispecchia la solitudine delle donne e la loro frustrazione nei confronti di una vita ingiusta: come conseguenza di tutto ciò si afferma il femminismo, movimento sorto per rivendicare la parità giuridica, politica e sociale delle donne rispetto agli uomini.
Quindi i luoghi del romanzo sono significativi perché, a causa delle varie esperienze della donna, acquistano accezioni negative o positive. La città è dunque il simbolo di libertà ed emancipazione, e ha perciò caratteristiche positive per l’autrice; il piccolo paesino meridionale, essendo invece il simbolo dell’ottusità e della chiusura mentale, è una sorta d’ambiente antagonista, e d’opposizione al desiderio d’indipendenza dell’autrice. Ape quanto riguarda, invece, le descrizioni di questi luoghi, ciò che prevale di più nella città è la presenza di persone acculturate, impegnate nel proprio lavoro e sempre indaffarate, mentre gli abitanti del paesino meridionale, svolgono lavori molto semplici e manuali e , per propria tradizione, tendono spesso a basarsi molto sui pregiudizi e sulle calunnie. La narrazione di tutta la vicenda si incentra dunque sui continui spostamenti della donna, che si distribuiscono per tutto il lungo tempo narrativo. In generale, la storia raccontata dalla protagonista stessa non è altro che un lungo flash back nel quale il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza occupano uno spazio minore rispetto agli avvenimenti più recenti accaduti. Per questo l’autrice, parlando della sua giovinezza si serve dell’imperfetto, trattandosi di un ricordo bello ed idealizzato, scrivendo il racconto attraverso un linguaggio articolato e fluido per indicare la spensieratezza di quel periodo.
Il tempo storico del romanzo è contemporaneo al momento in cui l’autrice scrive e corrisponde quindi ai primi anni del ‘900, periodo caratterizzato dalle prime insurrezioni femministe per la parità tra i sessi.
Stile
Lo stile adottato dalla scrittrice risulta alquanto semplice e spontaneo, per nulla pedante: ciò conferisce alla pagina una certa modernità sul piano sintattico. Ancora letterariamente acerba l’Aleramo presenta alcune ingenuità lessicali, soprattutto nell’aggettivazione: difetti consueti in una scrittrice giovanissima, autodidatta, “venuta su in un cantuccio di provincia” (Emilio Cecchi, prefazione ad Una donna).Da ricondurre alla suddetta inesperienza la mancanza di un’unità stilistica: ad un italiano colloquiale e dimesso si affiancano espressioni piuttosto auliche.
Peculiare la presenza d’incisi e interrogative retoriche: ” Perché nella maternità adoriamo il sacrifizio ? Donde è scesa a noi quest’inumana idea dell’immolazione materna ?”
Nell’analizzare lo stile di Sibilla Aleramo non può essere sottovalutato l’attività giornalistica della stessa scrittrice, come testimoniano i numerosi interventi su Vita moderna e su altre riviste per un pubblico femminile, sino ad arrivare alla direzione del settimanale milanese Italia femminile; si può cogliere anche il riflesso di modelli anglosassoni, quali testi sull’emancipazione della donna, espressioni del movimento femminista.
Non fu certo l’inquieto e fremente “femminismo” che trasuda da quelle pagine (inimmaginabili per l’Italia d’inizio secolo, ma pur sempre zeppe d’esclamativi e di parole zuccherose e ottocentesche) a decretare il successo, la modernità, l’impudenza del romanzo e, quindi, la fama della sua autrice; bensì l’insanabile dicotomia tra la maternità vissuta in mezzo a carne e sangue (“...quelle membra che erano uscite da me, io le pensava istintivamente animate dall’identico mio soffio…”), gridata, sospirata con sdolcinato ardore e la decisione finale di abbandonare all’educazione del marito ripudiato la tanto amata creatura: “Ora per ora sentivo di amarlo in modo sempre più delirante…”.

3

Esempio



  


  1. A

    facolta di scierza della comunicazione, devo scrivere un saggio sull'autobiografia