Mezzo secolo di incubo nucleare e di corsa agli armamenti

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Mezzo secolo di incubo nucleare e di corsa agli armamenti
Doveva essere migliore degli altri il nostro XX secolo. Non ha fatto in tempo a dimostrarlo… Conflitti tra etnie, nazionalismi, genocidi, guerre civili, dittature e totalitarismi: le vittime del Novecento ammontano a circa 170 milioni di persone. Il secolo delle grandi rivoluzioni scientifiche e della definitiva affermazione della democrazia passerà alla storia come uno dei più sanguinosi nella vicenda dell'uomo.
Alla fine di questo millennio, che celebra i suoi successi scientifici e tecnologici, vige ancora, quindi, un tragico principio: quello secondo cui il fine giustifica i mezzi.
Quaranta milioni di morti fu il tragico bilancio della seconda guerra mondiale: un carico di dolore che non ci ha insegnato assolutamente nulla. Il misterioso e atroce gioco dei potenti continua a svolgersi senza nessuna interruzione, usando come pedina la vita dell’uomo.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’umanità intera sperò che l’incubo dei conflitti armati fosse finalmente cancellato dalla faccia della terra. Fu un autentico errore di valutazione, perché l’istinto di combattere fa parte della stessa natura dell’uomo, il quale non esita a ricorrere alle armi ed alla violenza, dimostrando una volta di più di essere “ancora quello della lancia e della fionda”: un uomo senza tempo, assetato di morte e di guerra.
Per questa ed altre più complesse ragioni, a circa cinquant’anni da quell’evento, osservando la realtà del pianeta, ci possiamo accorgere che la guerra è ancora tra noi, in tutti i suoi terribili aspetti.
Per nostra fortuna, la tensione internazionale che ha causato decenni di guerra fredda tra blocco occidentale e blocco orientale, tra “mondo americano” e “mondo sovietico” è stata in parte superata dai recenti eventi internazionali, quali la caduta del muro di Berlino, la riunificazione della Germania, la collaborazione per la ricerca di un autentico equilibrio nucleare. Purtroppo, però, i cannoni non hanno mai cessato di sparare; o meglio, le loro testate a corta gittata hanno ceduto il posto ad altri più sofisticati mezzi di morte, come i missili aria-aria o aria-terra. Non è dunque mai finita la guerra, neanche negli anni della cosiddetta “distensione”, durante i quali le grandi potenze non hanno fatto altro che accumulare sempre più sofisticati mezzi militari, in una corsa agli armamenti senza precedenti. La corsa al riarmo, quindi, aggravata dal continuo perfezionamento di tecnologie di guerra fondate sull’uso dell’energia nucleare, sta raggiungendo livelli incontrollabili. Una fiorente industria della guerra ci ha ormai assuefatto all’ideologia dell’equilibrio delle forze. Oggi, infatti, è fortemente radicata un'ideologia del potere che sa intendere la pace solo come equilibrio di forze contrapposte. In conformità a tale visione la bomba atomica può essere considerata, paradossalmente, una “benedizione” toccata all’umanità: solo grazie alla sua abissale potenza distruttrice e all’infinito orrore che essa ha suscitato, infatti, non si sono più combattute le guerre universali.
Il 6 agosto del 1945 per piegare la resistenza giapponese gli americani decisero di impiegare per la prima volta un ordigno atomico. Un nuovo, micidiale strumento di distruzione fece così il suo ingresso nella storia dell’uomo. Nei decenni successivi, Usa e Urss scatenarono una corsa al riarmo per dotare i propri arsenali di armi sempre più potenti. L’incubo di una guerra nucleare tenne il mondo intero con il fiato sospeso. Nel novembre del 1989 la caduta del muro di Berlino pose fine, tra l’altro, anche alla sfida nucleare tra le due superpotenze: una minaccia che ha ipotecato, quindi, le nostre vite per decenni. Ma quelle migliaia di testate che potevano distruggere il nostro pianeta sono rimaste nei silos: adesso rappresentano un’eredità costosa e difficile da gestire.
I primi accordi per la riduzione degli armamenti nucleari risalgono agli Anni 70. Le due superpotenze sembrarono impegnarsi seriamente sulla via del disarmo. Ma i problemi, ormai, erano altri: la decisione di alcune potenze regionali, come ad esempio l’India, di dotarsi di armi atomiche, il traffico di materiali fissili e le contaminazioni provocate dalle scorie radioattive rappresentarono i nuovi fattori di rischio e di instabilità.
Mentre sto scrivendo questo tema, il pianeta terra brulica di bombardieri, sommergibili, rampe mobili sotterranee, gonfie di missili intercontinentali, che ci avvolgono in una ragnatela fittissima di armi nucleari. Satelliti-spia, meccanismi di allarme elettronico, sistemi missilistici teleguidati e puntati sulle nostre città, sulle nostre scuole, sulle nostre case: un sinistro ronzio, silenzioso e docile, costantemente sul punto di scattare e provocare stragi di dimensioni colossali. Un arsenale militare stimato per difetto attorno ai 20.000 megatoni è come una gigantesca polveriera in grado di esplodere da un momento all'altro.
Si parla di “rischio calcolato”, ma il calcolo è fatto prevalentemente in termini di morte, una macabra ed agghiacciante contabilità di cadaveri potenziali. La macchina bellica nucleare sembra ormai avviata ad una crescita incontrollabile, a una corsa verso un traguardo cui in realtà nessuno vuole arrivare. L'assurdo, infatti, sembra proprio questo: la «superarma» nucleare è considerata il deterrente indispensabile contro un eventuale attacco nemico. In una guerra atomica, infatti, i fattori imponderabili sono ridotti al minimo rispetto alle guerre convenzionali: i missili non mancano mai il bersaglio, la loro carica distruttiva è nota con buona approssimazione. Calcolando le potenzialità di due arsenali nucleari, la natura dei sistemi di difesa e di risposta al «primo colpo», la guerra può, paradossalmente, essere vinta a tavolino. Dunque è necessario disporre di bombe sempre più potenti e micidiali, per essere sicuri di non doverle mai usare. Come dire: produrre di più per essere sicuri di produrre inutilmente!
Nel frattempo però, se il principio è accolto da entrambe le «parti», diviene inevitabile una corsa a chi arriva per primo, per poter accumulare un vantaggio netto e consistente, e negoziare finalmente in una posizione di forza. Se questo divario non diventa mai per uno dei contendenti sufficientemente rassicurante e per l'altro sufficientemente deterrente, i due continueranno a correre, a correre in modo sconsiderato. Si arriva così al risultato incredibile che il potenziale distruttivo cresce sino a diventare eccedente, rispetto al numero ed alla consistenza delle forze in campo.
È quanto sta accadendo proprio oggi: alla generazione delle bombe A, a fissione, con un nucleo di uranio o plutonio, e H, a fissione e fusione, con due nuclei di isotopi di idrogeno, sta succedendo la bomba a neutroni (ERW), dove agli effetti esplosivi e termici s'aggiungono in misura rilevante gli effetti dovuti alla radiazione di neutroni veloci. In quest'ultimo caso il raggio d'azione della bomba s'allarga considerevolmente; la tecnologia militare compie così un grosso «balzo in avanti», mentre già si considera come «prospettiva interessante» il riuscire ad alloggiare altre bombe in orbite spaziali. La corsa continua, anche se le testate nucleari attualmente esistenti bastano per distruggere ogni forma di vita umana sulla terra.
Oggi, quindi, mentre in ogni parte del mondo si ripropongono sempre più numerose le marce e le manifestazioni per la pace, c'è chi elabora e realizza sofisticatissime armi da guerra, c'è chi dedica un'intera vita allo studio e alla realizzazione della "bomba N", o al neutrone, un'altra, temibile arma nucleare. È questa forse la più micidiale arma inventata in questi ultimi anni, capace di un enorme potere distruttivo e che, se usata in guerra, può provocare lo spopolamento dell'intero globo. La caratteristica di questa bomba è, infatti, quella di colpire gli uomini, risparmiando le cose. Così, dove fosse sganciata la bomba al neutrone, la popolazione sarebbe distrutta nel giro di pochissimo tempo e resterebbero città e villaggi disabitati, perfettamente intatti e neppure inquinati, perché la bomba N possiede anche un bassissimo potere di inquinamento radioattivo.
(Una strage calcolata) Proviamo ad analizzare alcuni dati. Uno studio portato a termine dall'Office of Technology Assessment contiene esemplificazioni dettagliate sugli effetti civili di un conflitto nucleare. Vi si ipotizza, fra l'altro, che una bomba A da un megaton, equivalente a un milione di tonnellate di tritolo, cento volte più grande della bomba esplosa a Hiroshima, esploda nel centro della città americana di Detroit. L'esplosione aprirebbe nel suolo un cratere profondo sessanta metri e largo trecento. Nel raggio di due chilometri ci sarebbe distruzione totale, con la morte di circa settantamila persone (di giorno il numero potrebbe addirittura triplicarsi). Sino ad un raggio di circa quattro chilometri, metà della popolazione residente, vale a dire centoventimila persone, morirebbe schiacciata dalle macerie, bruciata viva, intossicata dalla radioattività, mentre l'altra metà si troverebbe a soffrire ustioni gravissime, dispersa fra le macerie, contaminata e difficilmente curabile. Fino a sette o otto chilometri gran parte degli edifici risulterebbe gravemente danneggiata: altri ustionati, altri incendi, altre rovine.
Alfred Kastler, premio Nobel per la fisica nel 1966, affermò che una guerra fra gli Stati Uniti e la Russia potrebbe arrivare a distruggere completamente circa due milioni di chilometri quadrati di territorio abitato (quasi sette volte l'Italia), contaminando gravemente una zona circostante dieci volte più estesa, dove perirebbe sicuramente almeno la metà della popolazione. Ciò non significherebbe la distruzione immediata della razza umana, ma una devastazione gigantesca di strutture sanitarie, di mezzi di trasporto e comunicazione, di ogni forma di organizzazione sociale. La conclusione di Kastler fu gelida: «I sopravvissuti invidieranno il destino dei morti». D'altra parte, egli aggiunse, con il ritmo che è proprio dell'attuale corsa agli armamenti l’uomo è in grado di cancellare completamente, con un conflitto nucleare generalizzato, ogni traccia della sua presenza sulla terra.
Se tutto questo è vero, s'impone una considerazione piuttosto amara: la guerra atomica è ormai parte integrante delle principali strategie militari. Essa è molto di più che un'ipotesi remota: è un principio e una dottrina, che orienta scelte di fondo, determina bilanci, impone una escalation irreversibile degli armamenti, condizionando in maniera sempre più pesante la politica interna e la politica estera degli Stati più potenti e indirettamente di tutti gli altri. E se un conflitto nucleare può essere vinto senza combattere (proprio questo sembra l'unico modo per vincerlo completamente), è troppo dire che questa guerra di fatto è già cominciata?
(Ideologia della forza e cultura della pace) A questa analisi, che qualcuno potrà giudicare allarmistica, si può obiettare che realisticamente, finché permane un vero equilibrio delle forze, un conflitto atomico non ci sarà, come finora non c'è stato, poiché esso non rientra negli interessi immediati dei contendenti. Vi sono però, innegabili, dei fattori di rischio che stanno crescendo e sui quali vale la pena di riflettere.
Ancora Kastler ricordò i pericoli legati al continuo perfezionamento degli ordigni nucleari ed al fenomeno, addirittura più grave, della cosiddetta «proliferazione orizzontale», vale a dire dell'aumento, spesso incontrollabile a livello internazionale, degli Stati che riescono a «fabbricare l'atomica». Su questo campo è davvero guerra aperta: fughe di notizie, spionaggio sfrenato, interessi occulti da parte delle superpotenze stanno favorendo la costruzione di armi nucleari da parte di Stati apparentemente insospettabili e che non sembrerebbero avere urgenti problemi di difesa militare.
Di questo passo può accadere di tutto, come ha affermato il fisico americano Edward Teller: è impossibile, egli ha detto, che un gruppo di terroristi riesca a costruire l'atomica eludendo ogni controllo internazionale, ma è possibilissimo che un governo che dispone di tale ordigno possa in segreto consegnarlo loro per scopi destabilizzanti. D'altra parte occorre arrivare proprio così lontano per ipotizzare situazioni concrete di rischio? Se un governo è in grado di provocare un'esplosione nucleare per delega, le garanzie politiche che esso offre sull'uso dei suoi stessi armamenti sono davvero tanto alte? È per di più giusto, oltre che sicuro, concentrare nelle mani di poche persone la possibilità di prendere, nel giro di pochi secondi, decisioni che sono fatali per l'intera umanità?
Oltre ai limiti del fattore umano, poi, occorre tener ben presenti i limiti, spesso esorcizzati dagli scienziati, delle macchine. È proprio vero che l'unica tecnologia invulnerabile sia quella che presiede ad un allarme atomico? Abbiamo dinanzi innumerevoli prodotti della tecnica e non ci è difficile accorgerci, molto semplicemente, che essi possono rompersi, possono impazzire. Non solo il dito dell'uomo su un bottone, ma anche il programma di un computer sono riusciti più di una volta a combinare grossi guai. Perché nasconderci che una guerra atomica potrebbe scoppiare un giorno all'insaputa di tutti?
Il problema di fondo, comunque, non è tecnico né politico, ma, prima di tutto, morale e culturale: ogni protesta contro i rischi di un conflitto atomico sarà respinta come un'ingenuità utopistica, finché continuerà a dominare un'ideologia del potere che sa intendere la pace solo come equilibrio di forze contrapposte. Quando nei rapporti tra i popoli trionfa la logica del possesso e del dominio, la politica rischia di diventare una sublimazione retorica posta sotto tutela militare. Allora da questo tunnel davvero non si esce, e non rimane altro da fare che essere sempre un po' più armati degli altri. Ma la ricerca di una pace che arrivi solo a sancire la nostra superiorità è spudoratamente in malafede. Una società che vuol far credere di lavorare per la pace accumulando solo ordigni di morte e rifugi antiatomici, senza preoccuparsi piuttosto e in primo luogo di praticare la giustizia e di educare i suoi giovani alla generosità, al sacrificio, alla disponibilità, al servizio, all'amore degli altri, può riprodurre solo e sempre violenza. In fondo, un’umanità del genere crede ancora che l'unico baluardo contro la pace sia la paura; per questo, nonostante le sue terribili e avanzatissime tecnologie, resta una società primitiva.
La guerra atomica equivale ad una vera e propria intenzione di farla finita con la specie umana: risponde, cioè, ad una volontà di sovvertire l’ordine delle cose e il corso della storia e quindi significa una sorta di negazione della dignità dell’uomo, una sopraffazione dei suoi diritti all’esistenza e alla piena realizzazione. Ciò che resta da fare pertanto è solo evitare con tutti i mezzi possibili che essa scoppi. Ma, a tal fine, non sono sufficienti le marce della pace: occorre contribuire a rimuovere le cause della conflittualità.
Quasi in contrapposizione a quanto detto, peraltro, si muove la medicina e la ricerca scientifica in generale. Infatti, oltre a far luce su aspetti sempre più particolari della vita umana e della realtà fisica in cui è inserita, mettono a fuoco le condizioni che consentirebbero all’uomo di condurre meglio la sua esistenza. Si tratta pertanto, anche ai fini dell’allontanamento definitivo della minaccia della guerra atomica, di far sì che le scoperte della scienza siano effettivamente rivolte e destinate al miglioramento della vita umana e non già a favorire una tecnologia di sfruttamento e di morte.
Essere pacifisti è un dovere civile e un atto di intelligenza, di razionalità; ma ogni tanto, regolarmente, disperatamente, specie di fronte ad avvenimenti recenti quali la tragedia balcanica, ci si chiede che cosa conti la ragione, che cosa contino le lezioni della storia se non sono bastati i quaranta milioni di morti dell’ultimo conflitto mondiale a toglierci il gusto di uccidere per una differenza di etnia o di religione.
Occorre fare in modo che la pace non rimanga soltanto un valido argomento per discussioni, tavole rotonde, interviste, marce o altre simili manifestazioni, ma diventi una profonda esigenza, sentita da tutti e condivisa anche e soprattutto da chi ancora fabbrica e realizza armi, con la stessa tranquillità con cui costruirebbe un giocattolo.
Un notevole pericolo per la pace nel mondo rappresentò negli anni 60’ l’isola di:
CUBA
“Questa è l’isola più bella che occhi umani abbiano mai veduto”
Cristoforo Colombo
Stato dell’America centrale, con 10.000.000 circa di abitanti, repubblica popolare comunista dal 1959, a seguito della rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro. Cuba è l’ultimo dei cinque paesi del mondo retti da un regime socialista insieme a Cina, Vietnam, Corea del nord e Laos. Dal 1962 dopo un duro scontro tra USA e URSS essa è stabilmente appoggiata all’Unione Sovietica che invia contributi per cinque miliardi di dollari all’anno, petrolio tecnologia e armi e acquista a prezzi particolarmente favorevoli i prodotti dell’isola . L’assistenza sovietica è stata assicurata fino ai tempi di Gorbaciov del quale Fidel Castro disapprovava apertamente quel processo di riforma politica che è noto con il nome di perestrojka. Dopo la frantumazione dell’URSS nel 1991 per Cuba e per il regime di Fidel Castro incominciano grossi problemi, e non solo politici. Viene varato un piano di rigidezza nazionale per risparmiare su ogni tipo di risorsa. Nel 1992, quando incominciano a scarseggiare alimenti e benzina, viene permesso agli stranieri di commerciare nell’isola. Ma questa prima apertura non basta, e nell’estate del 1993 , Castro è costretto a legalizzare il dollaro e ad aprire a capitali stranieri. Egli cerca di portare avanti una riforma “alla cinese”, cambiando le regole dell’economia di stato, ma non modificando il regime politico socialista, che rimane a partito unico e senza libere elezioni .
RISULTATI E PROBLEMI
Casa, lavoro, scuola, cibo, vesti per tutti : questi sono i vanti della nuova Cuba. Ma non tutti i problemi sociali sono stati risolti, com’è naturale. Per esempio il problema della casa è stato affrontato la proprietà di appartamenti non direttamente abitati ma dati in affitto, e stabilendo l’ammontare di questo al 10% del reddito familiare, mentre è in corso un piano edilizio per la costruzione concesse alle famiglie in usufrutto gratuito. Tuttavia il 60% della popolazione vive nei centri urbani, e ciò costituisce un problema serio che, tra l’altro, ostacola i programmi di decentramento necessari all’attuazione dei piani agricoli.
Ugualmente, nel giro di pochi anni Cuba ha risolto alla radice il problema dell’analfabetismo con una campagna massiccia di alfabetizzazione, i risultati accertati da una commissione dell’UNESCO, sono stati eccellenti e su quella base si è costruito un sistema scolastico e di educazione permanente degli adulti che ha poche corrispondenze al mondo. Tuttavia le pur affollate e severe università non riescono a sfornare il numero necessario di medici, insegnanti, ingegneri ecc. e le ristrettezze finanziarie non consentono di dotare gli istituti delle attrezzature indispensabili per formare tecnici forniti delle conoscenze adeguate al grande sforzo che il pianeta sta compiendo. L’ossessiva necessità di “accumulare” il capitale necessario ad un decollo industriale , chiave di volta del futuro cubano, ha indotto il governo ad una serie di misure per il contenimento dei consumi privati. Anche se tutti concordano che il medio tenore di vita e quello dei consumi alimentari è senza confronto superiore a quello di vent’anni fa, è certamente seccante dover fare la coda per ottenere con la tesserale camicie, i pantaloni, i chili di carne e di riso, i sandali di cuoio e gli altri generi di prima necessità cui ogni cubano ha diritto, ma che gli determinano un severo limite dal quale non può debordare. L’egualitarismo ha dei difetti. Uno dei più imbarazzanti è quello di avere in tasca più moneta di quella di avere in tasca più moneta di quella che si possa spendere, giacché i consumi privati sono inquadrati nella rigida gabbia dei piani economici che in vista di un futuro migliore, chiama la gente di oggi a sacrifici e a limitazioni che non sempre è disposta a sopportare volentieri.
Il progresso scientifico non ha portato con sé solo vantaggi, ma anche spiacevoli sorprese, forse troppo elementari e prevedibili per i cervelloni che hanno pensato solo ai vantaggi economici delle loro invenzioni. UNO DEI TANTI E’ L’INQUINAMENTO. Particolarmente sentito è quello dell’aria che potrebbe compromettere la stessa esistenza umana.
L'INQUINAMENTO DELL'ARIA
L'atmosfera terrestre non è mai stata immutabile, ma nell’ultimo secolo la velocità dei cambiamenti è stata elevatissima.
GLI EFFETTI
1) Smog (fumo e nebbia)
2) Buco nell'ozono
3) Effetto serra
4) Piogge acide
MODIFICHE NELL'ATMOSFERA
Le modifiche veloci sono avvenute non nella quantità dei componenti principali dell'atmosfera (azoto, ossigeno, gas nobili), ma sono dovuti ad aumenti nel contenuto di alcuni costituenti minori:
• anidride carbonica CO2
• monossido di carbonio CO
• metano
• ossido e diossido di azoto
• diossido di zolfo
• ozono
• altri componenti clorofluorocarburi
MODO IN CUI LE SOSTANZE INQUINANTI SONO IMMESSE NELL'ATMOSFERA
In seguito a:
1) Fenomeni meccanici con emissioni di particelle, fumi e polveri. Le cause principali sono industrie, cave, miniere, cementifici, forni
2) Reazioni chimiche attivate dalle industrie. Le cause principali sono raffinerie, industrie chimiche, ceramiche, metallurgiche
3) Combustioni, che immettono CO2, Co e tutti gli altri componenti minori dell'atmosfera. Se la combustione è incompleta essa è ancora più dannosa. Le cause sono industrie, riscaldamento domestico, autoveicoli e agricoltura

gli allevamenti emettono metano
LE COMBUSTIONI
L'ozono:
• è uno dei prodotti principali delle reazioni chimiche
• è utile per neutralizzare le radiazioni ultraviolette nella stratosfera
• è un pericoloso problema se si accumula in prossimità del suolo
• è segnalata la sua presenza da indicatori biologici (ci sono alcuni vegetali particolarmente sensibili)
RIMEDI
1) Targhe alterne
2) Depuratori
3) Energie alternative
4) Combustibili non inquinanti
5) Favorire la circolazione di biciclette
LE CONSEGUENZE
1) Effetti sulla salute (irritazioni agli occhi e disturbi respiratori)
2) Danni ai monumenti in pietra e bronzo
3) Danni alla vita animale e vegetale (macchie necrotiche sulle foglie)
ALCUNI GRAVI DISASTRI
• 1930: VALLE DELLA MOSA presso LIEGI (Belgio)
L'inversione termica causò l'intrappolamento degli agenti inquinanti causando la morte di 60 persone
Inversione termica ==> si ha quando una massa di aria fredda è intrappolata da una massa di aria calda
• 1948: DISASTRO DI DONORA a sud di PITTSBURGH (USA)
Metà della popolazione si ammalò e morirono 20 persone
• 1952: LONDRA
La cosiddetta "nebbia nera" causò la morte di 400 persone
LE PIOGGE ACIDE
A partire dagli anni '70 si impone all'attenzione generale questo problema
A
• moria di boschi nella Germania federale
• moria di pesci d'acqua dolce in Scandinavia
COME SI REALIZZA LA PIOGGIA ACIDA?
• La pioggia acida ha origine nelle interazioni tra OSSIDI DI AZOTO e ANIDRIDE SOLFOROSA. Attraverso varie reazioni questi gas possono trasformarsi in pochi giorni in ACIDO NITRICO e ACIDO SOLFORICO solubili in acqua. Quando piove il vapor acqueo si trasforma in acqua e gli acidi cadono a terra con essa ==> piogge acide
• Prima le acque piovane erano a PH neutro. Rispetto a quel PH l'acidità negli USA è oggi aumentata di 4 volte dal 1900
• L'ossido di azoto e l'anidride solforosa sono prodotti dall'uso di combustibili fossili, che vengono usati nelle centrali termoelettriche e nelle fonderie
LE CONSEGUENZE
Alterazioni degli ecosistemi. Purtroppo non si sanno ancora con precisione tutte le conseguenze. Quelle note sono:
• Acidificazione consistente degli ecosistemi di acqua dolce (USA, Groelandia, Scandinacia)
• Danni alle foreste
IL BUCO NELL'OZONO
• Nel 1985 alcuni scienziati annunciarono che sopra l'Antartide si era aperto un buco nella fascia dell'ozono, grande come gli Stati Uniti. All'inizio sembrava un fenomeno naturale, ma oggi sappiamo che la causa è l'uomo.
• Per ora la distruzione dell'ozono è visibile sopra l'Antartide, dove il buco fa la comparsa ogni primavera (da loro è autunno). Questo succede dal 1975, data dalla quale i livelli dell'ozono in Antartide si sono ridotti del 50%.
LE RESPONSABILITA' DELL'UOMO
• E' da attribuire a prodotti di sintesi, introdotti nei processi industriali dal 1928. La prima è stata la General Motors. Questi prodotti:
• sono contenuti negli spray, nei liquidi contenuti nei frigoriferi per raffreddare e nei solventi
• nella bassa atmosfera sono virtualmente inerti e non tossici.
• la loro inerzia gli permette di giungere nella stratosfera, dove sono esposti alle radiazioni luminose che rompono le loro molecole

le molecole liberano cloro che funge da catalizzatore
c
ciascun atomo di cloro elimina parecchie migliaia di molecole di ozono
• Nell'Artide e nell'Antartide le basse temperature accelerano questi cicli catalitici del cloro
• Anche se è possibile eliminare i clorofluorocarburi, i danni ormai fatti potranno essere eliminati totalmente solo nel giro di un secolo
• La gravità della situazione ha indotto a redigere il protocollo di Montreal nel 1987

molte nazioni (Canada, Svezia, Norvegia, USA, Germania) si impegnano a dimezzare le dimissioni di clorofluorocarburi
L'EFFETTO SERRA
• E' prodotto da più fattori.
• I gas serra:
• sono relativamente trasparenti alla luce del sole
• intrappolano il calore impedendone la dispersione.
• sono:
• anidride carbonica ==> è responsabile di più della metà del calore intrappolato in superficie
• metano
• clorofluorocarburi
FATTORI DI ALLARME
• Il ritiro dei ghiacci indica un aumento di temperatura di circa 0.5°C nel giro di 100 anni
• Le ultime analisi testimoniano un incremento della concentrazione di anidride carbonica e metano
CAUSE DELL'AUMENTO DI CONCENTRAZIONE DELL'ANIDRIDE CARBONICA...
1. Combustioni fossili
2. Deforestazione tramite gli incendi
...E DEL METANO
1. Microrganismi delle discariche
2. Perdite durante l'estrazione di petrolio
3. Allevamenti bovini
4. Termiti
5. Risaie, tramite i processi di decomposizione per le concimazioni ad opera della microflora
LE PREVISIONI
L'incremento demografico significa un aumento della domanda di energia, riso e carne

c'è un aumento della concentrazione di metano e dell'anidride carbonica
c
aumenta l'effetto serra
LE CONSEGUENZE
Nessuno sa ipotizzarle e ci sono delle opinioni differenti:
1. aumento del manto vegetale perché aumenta l'anidride carbonica (fotosintesi)
2. incremento dell'assorbimento dell'anidride carbonica degli oceani
3. aumento della temperatura sulla Terra

aumento dell'evaporazione degli oceani

maggiore piovosità

si respinge in parte il calore solare, bilanciando così l'aumento di calore e di temperatura
RISPOSTE AL PROBLEMA
1. Risparmio energetico
2. Fonti di energia alternativa, per esempio eolica, solare, delle maree
3. Arresto della deforestazione
Spargimento nell'alta atmosfera di polveri che impediscono ai raggi del sole di penetrare
La protagonista indiscussa della seconda metà del nostro secolo è l’energia nucleare, una costante minaccia per la tranquillità della terra e dell’uomo
ENERGIA NUCLEARE
L’atomo che costituisce la materia è un insieme complesso di protoni e neutroni che formano il nucleo e di elettroni che gravitano intorno a questo nucleo. La materia, a livello infinitamente piccolo. Non si lascia manipolare facilmente poiché le forze che tengono insieme i differenti componenti dell’atomo sono molto tenaci. Vi sono però alcuni elementi, come l’uranio fissile, che si trasformano spontaneamente liberando una considerevole energia sotto forma di calore.
La fissione nucleare
La fissione o scissione nucleare consiste nella disintegrazione del nucleo dell’atomo mediante il bombardamento per mezzo di piccolissime particelle (neutoni) che lo colpiscono e lo spezzano in due nuclei più leggeri. I prodotti della scissione hanno una massa più piccola di quella del nucleo originale: ciò significa che durante il processo una parte della materia si è trasformata in energia.
Se la quantità di materiaòe fissile è sufficiente, durante la fissione si liberano altri neutroni capaci, a loro volta, di colpire nuovi nuclei e così via; si innesta una catena che può essere tenuta sotto controllo.
L’elemento fissile usato per la produzione di energia è l’Uranio 235 che è presente però solo in piccola percentuale (circa il 7 per mille) nell’uranio naturale. L’uranio naturale deve perciò essere arricchito in modo che la percentuale di Uranio 235 arrivi intorno al 3%. Ciò significa che per preparare una tonnellata di uranio arricchito bisogna estrarne almeno quattro: di esse ne rimarranno tre, contenenti uranio impoverito, che costituiscono pur sempre un materiale radioattivo che attualmente non trova largo impiego e deve essere in parte accantonato. La quantità rimanente di uranio non arricchito viene utilizzata nei reattori autofertilizzanti.
L’uranio 235 costituisce il combustibile che, introdotto nei reattori, svilupperà, mediante la fissione nucleare, una notevole quantità di energia.
Nei reattori autofertilizzanti, ancora di limitata diffusione, non solo viene prodotta energia, ma anche nuovo combustibile nucleare. Durante la fissione si ottiene infatti il Plutonio, un materiale fissile non presente in natura.
Anche il Torio, altro elemento abbastanza diffuso, viene trasformato in un altro materiale che può subire la fissione e quindi produrre energia.
Le centrali nucleari
Il principio di funzionamento di una centrale nucleare è abbastanza semplice: nel reattore o core, dove si trova il combustibile nucleare, avviene la fissione controllata e da questo processo si sviluppa una grande quantità di energia sotto la forma di calore.
Il calore generato viene utilizzato per la produzione di vapore che, espandendosi in una turbina, fa ruotare un alternatore ad essa collegato ottenendo quindi energia elettrica
L’installazione delle centrali nucleari provoca forti opposizioni da parte di larghi strati dell’opinione pubblica di numerosi Paesi temendone la pericolosità sia durante il funzionamento sia per lo smaltimento delle scorie radioattive.
E proprio il problema delle scorie risulta essere il più scottante specialmente dopo l’entrata in funzione dei reattori autofertilizzanti. Le soluzioni finora adottate finora, come il seppellimento dei materiali radioattivi racchiusi in contenitori di piombo in fosse marine o in miniere di sale abbandonate, non sono certo soddisfacenti.
Inoltre, gravi incidenti nelle centrali nucleari di Three Mile Island (USA 1979) e Cernobyl (ex URSS 1986), hanno indotto ad una riflessione molto critica anche coloro i quali, pur essendo contrari in linea di principio alle centrali nucleari ma erano disposte ad accettarle come un male necessario (mancanza di emissioni atmosferiche inquinanti).
La fusione nucleare
La fusione nucleare consiste nell’unione di nuclei di atomi leggeri per formare nuclei più pesanti; in un certo senso è il processo inverso di quello precedentemente descritto della scissione nucleare. Quando due nuclei leggeri (ad esempio l’idrogeno) sono spinti con forza l’uno contro l’altro, possono saldarsi o fondersi insieme e formare un solo nucleo il quale però risulta un po’ meno pesante della somma degli altri due. La quantità di materia mancante risulta trasformata in energia.
Questa reazione avviene con continuità sul Sole e sulle altre stelle ad una temperatura di alcuni milioni di gradi; la luce ed calore che giungono a noi ne sono gli effetti visibili.
Gli scienziati sono finora riusciti a realizzare la fusione nucleare lenta e controllata solamente in laboratori sperimentali (esempi di fusione nucleare non controllata sono le bombe ad idrogeno).
La causa principale sta nell’identificazione di un materiale solido capace di resitere alle altissime temperature (alcuni milioni di °C) occorrenti alla reazione.
Il problema continua ad essere oggetto di appassionata ricerca da parte di scienziati di tutto il mondo: se e quando verrà risolto si potrà disporre di enormi quantità di energia derivante da materiali, come l’idrogeno, abbondanti in natura e, quel che più conta, senza il pericolo di scarichi e scorie inquinanti.
L’alternativa al processo di fusione nucleare sopra descritta è la fusione a freddo che alcuni ricercatori affermato di aver sperimentato ma siamo ancora lontani dal poterne parlare come applicazione sperimentale (in Italia è stato dichiarato di aver ottenuto la fusione a freddo nel laboratorio del Gran Sasso).
LA LETTERATURA
Il DECADENTISMO
Per Decadentismo si indica quel movimento letterario, nato nell'ambiente parigino alla fine dell'Ottocento, con un preciso programma espresso da manifesti e organi di stampa come il periodico "Le Decadent". Il Decadentismo è caratterizzato da un senso di disfacimento e da un'idea di un prossimo crollo, di un imminente cataclisma epocale.
Alla base della visione del mondo decadente vi è un irrazionalismo misticheggiante.
Viene radicalmente rifiutata la visione positivistica. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possono dare la vera conoscenza della realtà, misteriosa ed enigmatica. L'anima decadente è perciò tesa verso il mistero, l'Inconoscibile. Se il mistero della realtà non può esser colto attraverso la ragione, altri sono i mezzi mediante cui il decadente può attingere ad esso. Questi sono tutti gli stati di alterazione mentale come la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, o stati causati dall’uso di droghe e alcol. Inoltre vi sono altre forme che permettono l'esperienza dell'ignoto: l'annullamento nella vita del gran Tutto, il confondersi nella vibrazione stessa della materia (questo atteggiamento è stato definito panismo e ricorrerà particolarmente in D'ANNUNZIO).
Tra i momenti privilegiati per i decadenti vi è soprattutto l'arte, suprema illuminazione. Da questo culto religioso dell'arte ha avuto origine il fenomeno dell'estetismo. L'esteta assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali ma il bello. L'arte quindi rifiuta ogni rappresentazione della realtà storica e sociale e diviene arte pura, poesia pura.
Tra le tecniche espressive più usate dai decadenti bisogna ricordare la musicalità: la parola non vale tanto nel suo significato logico quanto come pura fonicità, per il suo valore evocativo.
I decadenti fanno molto uso della metafora, espressione di una visione simbolica del mondo e la sinestesia, fusione di sensazioni. (Le Corrispondenze di Baudelaire presentano un valore pionieristico).
La malattia è uno dei temi principali del Decadentismo che se da una parte si pone come metafora di una condizione storica dall'altro diviene una condizione privilegiata, segno di nobiltà e distinzione. La malattia affascina i decadenti perché rievoca l'immagine della morte, tema dominante e ossessivo. Una voluttà morbosa di annientamento, un'attrazione irresistibile per il nulla percorre le pagine della letteratura decadente. AI fascino della malattia e della morte si contrappongono tendenze opposte: il vitalismo, l'esaltazione della pienezza vitale che vede il suo massimo teorico in Nietzsche.
Nascono quindi alcune figure ricorrenti:
L'artista maledetto, che profana tutti i valori e le convenzioni della società;
L'esteta, che vuole trasformare la sua vita in un'opera d'arte;
L'inetto a vivere, che è escluso dalla vita e si rifugia nelle sue fantasie, compensatrici di una realtà frustante;
Il fanciullino, portatore di una visione fresca e ingenua che scopre le cose nella loro vergine essenza;
GABRIELE D'ANNUNZIO

L’ESTETISMO E LA SUA CRISI
L'esordio letterario di D’Annunzio avviene sotto il segno di due grandi scrittori: Carducci e Verga. Le prime liriche, Primo vero e Canto novo, si rifanno a Carducci, la raccolta Terra Vergine al Verga.
Oltre alla metrica barbara egli riprende di Carducci anche il senso della comunione con una natura solare e vitale. Ma questi temi sono portati al limite estremo in cui si presagisce il futuro panismo superomistico. Terra Vergine si rifà alla Vita dei Campi. Anche D’Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra, l'Abruzzo. Ma non vi è nulla dell'impersonalità verghiana, della lotta per la vita, del gusto documentario, della visione positivistica del Verismo.
I versi degli anni Ottanta, l'Intermezzo di rime, l'Isotteo, la Chimera, sono il frutto della fase dell'estetismo dannunziano che si esprime nella formula "Il Verso è tutto". L'arte diventa il supremo valore, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. In questa fase D’Annunzio crea la figura dell'esteta, dell'uomo superiore che si rifugia dalla mediocrità borghese. Questo personaggio è una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell'Italia dopo l'unità, che tendevano ad emarginare l'artista togliendogli quella posizione privilegiata di cui aveva goduto nelle epoche precedenti. Ben presto però il D’Annunzio si rende conto dell'intima debolezza dell'esteta che non sa realmente opporsi alla borghesia in ascesa: il suo isolamento, lungi dall'essere un privilegio, diventa sterilità e impotenza. L'estetismo entra quindi in crisi. Il primo romanzo scritto da D’Annunzio è il Piacere. Al centro dell'opera vi è la figura dell'esteta, Andrea Sperelli, il quale non è altro che un doppio dell’autore che proietta in questo personaggio la sua crisi e il senso d'insoddisfazione. Questa crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la donna. L'eroe e diviso tra due donne, Elena Muti, la donna fatale che incarna l'erotismo passionale e Maria Ferres, che rappresenta la possibilità di riscatto e di elevazione spirituale. Alla fine Andrea rimane solo e disperato.

I ROMANZI DEL SUPERUOMO
D’Annunzio riprende alcuni motivi del pensiero di Nietzsche: il rifiuto del conformismo borghese, dell'etica della pietà e dell'altruismo, l'esaltazione dello spirito dionisiaco, della volontà di potenza. Egli accentua questi motivi con un carattere antiborghese, aristocratico. L'autore vagheggia un'aristocrazia capace di elevarsi a forme superiori di vita attraverso il culto del bello. Il motivo del superuomo è quindi interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di alcuni esseri eccezionali di imporre la propria volontà sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il nuovo personaggio di D’Annunzio, aggressivo, energico, vitalistico, non elimina la figura dell'esteta ma la ingloba in sé. L'esteta non si accontenta più di vagheggiare la bellezza ma si propone di imporre la propria volontà sul mondo vile e meschino quale è quello borghese.
Il Trionfo della morte rappresenta questa fase di transizione. L'eroe, Giorgio Aurispa, è un esteta simile ad Andrea Sperelli. Travagliato da una malattia interiore va alla ricerca di un nuovo senso della vita. Questa ricerca lo porta a riscoprire le radici della sua stirpe: insieme con la donna amata si ritira in un villaggio abruzzese, dove riscopre il volto primordiale della sua gente, le credenze magico-superstiziose, il fanatismo religioso esaltato. Di fronte a questo mondo barbaro e primitivo il raffinato esteta appare disgustato e rifiutato. Egli trova una soluzione nello spirito dionisiaco di un'immersione nella pienezza della vita, ma l'eroe non è ancora pronto a realizzare questo progetto: si oppongono le forze oscure della sua psiche, prevalgono sulla volontà di una vita gioiosa e piena le forze negative della morte. Alla fine l'eroe si ucciderà, trascinando con sé la “Nemica”.
Il suicidio di Giorgio Aurispa è come il sacrificio rituale che libera D’Annunzio dal peso delle problematiche negative sino a quel momento affrontate. Le Vergini delle rocce segnano una svolta radicale. D’Annunzio non vuole più proporre l'eroe tormentato e debole ma l'eroe forte e sicuro. Il romanzo è stato definito come il manifesto politico del superuomo. L'eroe, Claudio Cantelmo, vuol portare a compimento l'ideale latino e generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l'Italia a destini imperiali. Ma anche qui alla fine prevalgono la decadenza, il disfacimento, la morte.
Il Fuoco si propone invece come “manifesto artistico” del superuomo, in cui l'eroe cerca di creare un'opera perfetta, fusione di poesia, danza e musica e attraverso di essa vuole creare un nuovo teatro. Ma le forze oscure che si oppongono all'eroe si concretizzano puntualmente in una donna che incarna l'attrazione dell’autore per il disfacimento e la morte.
Nel 1910 viene pubblicato Forse che sì forse che no, in cui finalmente si realizza la volontà eroica del protagonista. D’Annunzio si presenta come celebratore di un simbolo della realtà moderna, dinamica e aggressiva, la macchina.
Ancora una volta si oppone all'eroe la Nemica ma questa volta il protagonista trova una via di liberazione.

LE OPERE DRAMMATICHE
L'ideologia superomistica ha un peso determinante nell'approdo di D’Annunzio al teatro, che avviene a partire dal 1896 con la Città morta. Il teatro viene inteso come potente strumento per la diffusione del verbo superomistico. La drammaturgia dannunziana si allontana però dal teatro borghese e realistico che raffigurava fedelmente la vita quotidiana, egli ambisce ad un teatro di poesia che trasfiguri e sublimi la realtà e metta in scena personaggi d'eccezione.
Molte opere si rifanno ad argomenti di storia (Francesca da Rimini, Parisina, Sogno di un tramonto d’autunno, La nave) o al mito classico (Fedra). Altre sono ambientate nel presente (La Città morta, La gloria, La Gioconda, Più che l’amore), alcune sono tragedie politiche come la Gloria, che si basa sul contrasto tra un vecchio dittatore e un giovane che tenta di scalzarlo, o la Nave, che esalta la conquista imperialistica sul mare. Anche nelle tragedie alla volontà superomistica si oppongono forze che agiscono in senso contrario. L'eroe trova nella donna la “Nemica” che ostacola la sua missione.
A parte si colloca La figlia di Iorio, definita dall’autore stesso una “tragedia pastorale”, ambientata nell'Abruzzo primitivo, magico e superstizioso, in cui domina il gusto decadente per il barbarico e il fascino esercitato dal popolo contadino visto come emblema dell'irrazionale.

Lavoro svolto da:
Ciaramella Francesco
(classe III D)

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Mezzo secolo di incubo nucleare e di corsa agli armamenti
Doveva essere migliore degli altri il nostro XX secolo. Non ha fatto in tempo a dimostrarlo… Conflitti tra etnie, nazionalismi, genocidi, guerre civili, dittature e totalitarismi: le vittime del Novecento ammontano a circa 170 milioni di persone. Il secolo delle grandi rivoluzioni scientifiche e della definitiva affermazione della democrazia passerà alla storia come uno dei più sanguinosi nella vicenda dell'uomo.
Alla fine di questo millennio, che celebra i suoi successi scientifici e tecnologici, vige ancora, quindi, un tragico principio: quello secondo cui il fine giustifica i mezzi.
Quaranta milioni di morti fu il tragico bilancio della seconda guerra mondiale: un carico di dolore che non ci ha insegnato assolutamente nulla. Il misterioso e atroce gioco dei potenti continua a svolgersi senza nessuna interruzione, usando come pedina la vita dell’uomo.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’umanità intera sperò che l’incubo dei conflitti armati fosse finalmente cancellato dalla faccia della terra. Fu un autentico errore di valutazione, perché l’istinto di combattere fa parte della stessa natura dell’uomo, il quale non esita a ricorrere alle armi ed alla violenza, dimostrando una volta di più di essere “ancora quello della lancia e della fionda”: un uomo senza tempo, assetato di morte e di guerra.
Per questa ed altre più complesse ragioni, a circa cinquant’anni da quell’evento, osservando la realtà del pianeta, ci possiamo accorgere che la guerra è ancora tra noi, in tutti i suoi terribili aspetti.
Per nostra fortuna, la tensione internazionale che ha causato decenni di guerra fredda tra blocco occidentale e blocco orientale, tra “mondo americano” e “mondo sovietico” è stata in parte superata dai recenti eventi internazionali, quali la caduta del muro di Berlino, la riunificazione della Germania, la collaborazione per la ricerca di un autentico equilibrio nucleare. Purtroppo, però, i cannoni non hanno mai cessato di sparare; o meglio, le loro testate a corta gittata hanno ceduto il posto ad altri più sofisticati mezzi di morte, come i missili aria-aria o aria-terra. Non è dunque mai finita la guerra, neanche negli anni della cosiddetta “distensione”, durante i quali le grandi potenze non hanno fatto altro che accumulare sempre più sofisticati mezzi militari, in una corsa agli armamenti senza precedenti. La corsa al riarmo, quindi, aggravata dal continuo perfezionamento di tecnologie di guerra fondate sull’uso dell’energia nucleare, sta raggiungendo livelli incontrollabili. Una fiorente industria della guerra ci ha ormai assuefatto all’ideologia dell’equilibrio delle forze. Oggi, infatti, è fortemente radicata un'ideologia del potere che sa intendere la pace solo come equilibrio di forze contrapposte. In conformità a tale visione la bomba atomica può essere considerata, paradossalmente, una “benedizione” toccata all’umanità: solo grazie alla sua abissale potenza distruttrice e all’infinito orrore che essa ha suscitato, infatti, non si sono più combattute le guerre universali.
Il 6 agosto del 1945 per piegare la resistenza giapponese gli americani decisero di impiegare per la prima volta un ordigno atomico. Un nuovo, micidiale strumento di distruzione fece così il suo ingresso nella storia dell’uomo. Nei decenni successivi, Usa e Urss scatenarono una corsa al riarmo per dotare i propri arsenali di armi sempre più potenti. L’incubo di una guerra nucleare tenne il mondo intero con il fiato sospeso. Nel novembre del 1989 la caduta del muro di Berlino pose fine, tra l’altro, anche alla sfida nucleare tra le due superpotenze: una minaccia che ha ipotecato, quindi, le nostre vite per decenni. Ma quelle migliaia di testate che potevano distruggere il nostro pianeta sono rimaste nei silos: adesso rappresentano un’eredità costosa e difficile da gestire.
I primi accordi per la riduzione degli armamenti nucleari risalgono agli Anni 70. Le due superpotenze sembrarono impegnarsi seriamente sulla via del disarmo. Ma i problemi, ormai, erano altri: la decisione di alcune potenze regionali, come ad esempio l’India, di dotarsi di armi atomiche, il traffico di materiali fissili e le contaminazioni provocate dalle scorie radioattive rappresentarono i nuovi fattori di rischio e di instabilità.
Mentre sto scrivendo questo tema, il pianeta terra brulica di bombardieri, sommergibili, rampe mobili sotterranee, gonfie di missili intercontinentali, che ci avvolgono in una ragnatela fittissima di armi nucleari. Satelliti-spia, meccanismi di allarme elettronico, sistemi missilistici teleguidati e puntati sulle nostre città, sulle nostre scuole, sulle nostre case: un sinistro ronzio, silenzioso e docile, costantemente sul punto di scattare e provocare stragi di dimensioni colossali. Un arsenale militare stimato per difetto attorno ai 20.000 megatoni è come una gigantesca polveriera in grado di esplodere da un momento all'altro.
Si parla di “rischio calcolato”, ma il calcolo è fatto prevalentemente in termini di morte, una macabra ed agghiacciante contabilità di cadaveri potenziali. La macchina bellica nucleare sembra ormai avviata ad una crescita incontrollabile, a una corsa verso un traguardo cui in realtà nessuno vuole arrivare. L'assurdo, infatti, sembra proprio questo: la «superarma» nucleare è considerata il deterrente indispensabile contro un eventuale attacco nemico. In una guerra atomica, infatti, i fattori imponderabili sono ridotti al minimo rispetto alle guerre convenzionali: i missili non mancano mai il bersaglio, la loro carica distruttiva è nota con buona approssimazione. Calcolando le potenzialità di due arsenali nucleari, la natura dei sistemi di difesa e di risposta al «primo colpo», la guerra può, paradossalmente, essere vinta a tavolino. Dunque è necessario disporre di bombe sempre più potenti e micidiali, per essere sicuri di non doverle mai usare. Come dire: produrre di più per essere sicuri di produrre inutilmente!
Nel frattempo però, se il principio è accolto da entrambe le «parti», diviene inevitabile una corsa a chi arriva per primo, per poter accumulare un vantaggio netto e consistente, e negoziare finalmente in una posizione di forza. Se questo divario non diventa mai per uno dei contendenti sufficientemente rassicurante e per l'altro sufficientemente deterrente, i due continueranno a correre, a correre in modo sconsiderato. Si arriva così al risultato incredibile che il potenziale distruttivo cresce sino a diventare eccedente, rispetto al numero ed alla consistenza delle forze in campo.
È quanto sta accadendo proprio oggi: alla generazione delle bombe A, a fissione, con un nucleo di uranio o plutonio, e H, a fissione e fusione, con due nuclei di isotopi di idrogeno, sta succedendo la bomba a neutroni (ERW), dove agli effetti esplosivi e termici s'aggiungono in misura rilevante gli effetti dovuti alla radiazione di neutroni veloci. In quest'ultimo caso il raggio d'azione della bomba s'allarga considerevolmente; la tecnologia militare compie così un grosso «balzo in avanti», mentre già si considera come «prospettiva interessante» il riuscire ad alloggiare altre bombe in orbite spaziali. La corsa continua, anche se le testate nucleari attualmente esistenti bastano per distruggere ogni forma di vita umana sulla terra.
Oggi, quindi, mentre in ogni parte del mondo si ripropongono sempre più numerose le marce e le manifestazioni per la pace, c'è chi elabora e realizza sofisticatissime armi da guerra, c'è chi dedica un'intera vita allo studio e alla realizzazione della "bomba N", o al neutrone, un'altra, temibile arma nucleare. È questa forse la più micidiale arma inventata in questi ultimi anni, capace di un enorme potere distruttivo e che, se usata in guerra, può provocare lo spopolamento dell'intero globo. La caratteristica di questa bomba è, infatti, quella di colpire gli uomini, risparmiando le cose. Così, dove fosse sganciata la bomba al neutrone, la popolazione sarebbe distrutta nel giro di pochissimo tempo e resterebbero città e villaggi disabitati, perfettamente intatti e neppure inquinati, perché la bomba N possiede anche un bassissimo potere di inquinamento radioattivo.
(Una strage calcolata) Proviamo ad analizzare alcuni dati. Uno studio portato a termine dall'Office of Technology Assessment contiene esemplificazioni dettagliate sugli effetti civili di un conflitto nucleare. Vi si ipotizza, fra l'altro, che una bomba A da un megaton, equivalente a un milione di tonnellate di tritolo, cento volte più grande della bomba esplosa a Hiroshima, esploda nel centro della città americana di Detroit. L'esplosione aprirebbe nel suolo un cratere profondo sessanta metri e largo trecento. Nel raggio di due chilometri ci sarebbe distruzione totale, con la morte di circa settantamila persone (di giorno il numero potrebbe addirittura triplicarsi). Sino ad un raggio di circa quattro chilometri, metà della popolazione residente, vale a dire centoventimila persone, morirebbe schiacciata dalle macerie, bruciata viva, intossicata dalla radioattività, mentre l'altra metà si troverebbe a soffrire ustioni gravissime, dispersa fra le macerie, contaminata e difficilmente curabile. Fino a sette o otto chilometri gran parte degli edifici risulterebbe gravemente danneggiata: altri ustionati, altri incendi, altre rovine.
Alfred Kastler, premio Nobel per la fisica nel 1966, affermò che una guerra fra gli Stati Uniti e la Russia potrebbe arrivare a distruggere completamente circa due milioni di chilometri quadrati di territorio abitato (quasi sette volte l'Italia), contaminando gravemente una zona circostante dieci volte più estesa, dove perirebbe sicuramente almeno la metà della popolazione. Ciò non significherebbe la distruzione immediata della razza umana, ma una devastazione gigantesca di strutture sanitarie, di mezzi di trasporto e comunicazione, di ogni forma di organizzazione sociale. La conclusione di Kastler fu gelida: «I sopravvissuti invidieranno il destino dei morti». D'altra parte, egli aggiunse, con il ritmo che è proprio dell'attuale corsa agli armamenti l’uomo è in grado di cancellare completamente, con un conflitto nucleare generalizzato, ogni traccia della sua presenza sulla terra.
Se tutto questo è vero, s'impone una considerazione piuttosto amara: la guerra atomica è ormai parte integrante delle principali strategie militari. Essa è molto di più che un'ipotesi remota: è un principio e una dottrina, che orienta scelte di fondo, determina bilanci, impone una escalation irreversibile degli armamenti, condizionando in maniera sempre più pesante la politica interna e la politica estera degli Stati più potenti e indirettamente di tutti gli altri. E se un conflitto nucleare può essere vinto senza combattere (proprio questo sembra l'unico modo per vincerlo completamente), è troppo dire che questa guerra di fatto è già cominciata?
(Ideologia della forza e cultura della pace) A questa analisi, che qualcuno potrà giudicare allarmistica, si può obiettare che realisticamente, finché permane un vero equilibrio delle forze, un conflitto atomico non ci sarà, come finora non c'è stato, poiché esso non rientra negli interessi immediati dei contendenti. Vi sono però, innegabili, dei fattori di rischio che stanno crescendo e sui quali vale la pena di riflettere.
Ancora Kastler ricordò i pericoli legati al continuo perfezionamento degli ordigni nucleari ed al fenomeno, addirittura più grave, della cosiddetta «proliferazione orizzontale», vale a dire dell'aumento, spesso incontrollabile a livello internazionale, degli Stati che riescono a «fabbricare l'atomica». Su questo campo è davvero guerra aperta: fughe di notizie, spionaggio sfrenato, interessi occulti da parte delle superpotenze stanno favorendo la costruzione di armi nucleari da parte di Stati apparentemente insospettabili e che non sembrerebbero avere urgenti problemi di difesa militare.
Di questo passo può accadere di tutto, come ha affermato il fisico americano Edward Teller: è impossibile, egli ha detto, che un gruppo di terroristi riesca a costruire l'atomica eludendo ogni controllo internazionale, ma è possibilissimo che un governo che dispone di tale ordigno possa in segreto consegnarlo loro per scopi destabilizzanti. D'altra parte occorre arrivare proprio così lontano per ipotizzare situazioni concrete di rischio? Se un governo è in grado di provocare un'esplosione nucleare per delega, le garanzie politiche che esso offre sull'uso dei suoi stessi armamenti sono davvero tanto alte? È per di più giusto, oltre che sicuro, concentrare nelle mani di poche persone la possibilità di prendere, nel giro di pochi secondi, decisioni che sono fatali per l'intera umanità?
Oltre ai limiti del fattore umano, poi, occorre tener ben presenti i limiti, spesso esorcizzati dagli scienziati, delle macchine. È proprio vero che l'unica tecnologia invulnerabile sia quella che presiede ad un allarme atomico? Abbiamo dinanzi innumerevoli prodotti della tecnica e non ci è difficile accorgerci, molto semplicemente, che essi possono rompersi, possono impazzire. Non solo il dito dell'uomo su un bottone, ma anche il programma di un computer sono riusciti più di una volta a combinare grossi guai. Perché nasconderci che una guerra atomica potrebbe scoppiare un giorno all'insaputa di tutti?
Il problema di fondo, comunque, non è tecnico né politico, ma, prima di tutto, morale e culturale: ogni protesta contro i rischi di un conflitto atomico sarà respinta come un'ingenuità utopistica, finché continuerà a dominare un'ideologia del potere che sa intendere la pace solo come equilibrio di forze contrapposte. Quando nei rapporti tra i popoli trionfa la logica del possesso e del dominio, la politica rischia di diventare una sublimazione retorica posta sotto tutela militare. Allora da questo tunnel davvero non si esce, e non rimane altro da fare che essere sempre un po' più armati degli altri. Ma la ricerca di una pace che arrivi solo a sancire la nostra superiorità è spudoratamente in malafede. Una società che vuol far credere di lavorare per la pace accumulando solo ordigni di morte e rifugi antiatomici, senza preoccuparsi piuttosto e in primo luogo di praticare la giustizia e di educare i suoi giovani alla generosità, al sacrificio, alla disponibilità, al servizio, all'amore degli altri, può riprodurre solo e sempre violenza. In fondo, un’umanità del genere crede ancora che l'unico baluardo contro la pace sia la paura; per questo, nonostante le sue terribili e avanzatissime tecnologie, resta una società primitiva.
La guerra atomica equivale ad una vera e propria intenzione di farla finita con la specie umana: risponde, cioè, ad una volontà di sovvertire l’ordine delle cose e il corso della storia e quindi significa una sorta di negazione della dignità dell’uomo, una sopraffazione dei suoi diritti all’esistenza e alla piena realizzazione. Ciò che resta da fare pertanto è solo evitare con tutti i mezzi possibili che essa scoppi. Ma, a tal fine, non sono sufficienti le marce della pace: occorre contribuire a rimuovere le cause della conflittualità.
Quasi in contrapposizione a quanto detto, peraltro, si muove la medicina e la ricerca scientifica in generale. Infatti, oltre a far luce su aspetti sempre più particolari della vita umana e della realtà fisica in cui è inserita, mettono a fuoco le condizioni che consentirebbero all’uomo di condurre meglio la sua esistenza. Si tratta pertanto, anche ai fini dell’allontanamento definitivo della minaccia della guerra atomica, di far sì che le scoperte della scienza siano effettivamente rivolte e destinate al miglioramento della vita umana e non già a favorire una tecnologia di sfruttamento e di morte.
Essere pacifisti è un dovere civile e un atto di intelligenza, di razionalità; ma ogni tanto, regolarmente, disperatamente, specie di fronte ad avvenimenti recenti quali la tragedia balcanica, ci si chiede che cosa conti la ragione, che cosa contino le lezioni della storia se non sono bastati i quaranta milioni di morti dell’ultimo conflitto mondiale a toglierci il gusto di uccidere per una differenza di etnia o di religione.
Occorre fare in modo che la pace non rimanga soltanto un valido argomento per discussioni, tavole rotonde, interviste, marce o altre simili manifestazioni, ma diventi una profonda esigenza, sentita da tutti e condivisa anche e soprattutto da chi ancora fabbrica e realizza armi, con la stessa tranquillità con cui costruirebbe un giocattolo.
Un notevole pericolo per la pace nel mondo rappresentò negli anni 60’ l’isola di:
CUBA
“Questa è l’isola più bella che occhi umani abbiano mai veduto”
Cristoforo Colombo
Stato dell’America centrale, con 10.000.000 circa di abitanti, repubblica popolare comunista dal 1959, a seguito della rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro. Cuba è l’ultimo dei cinque paesi del mondo retti da un regime socialista insieme a Cina, Vietnam, Corea del nord e Laos. Dal 1962 dopo un duro scontro tra USA e URSS essa è stabilmente appoggiata all’Unione Sovietica che invia contributi per cinque miliardi di dollari all’anno, petrolio tecnologia e armi e acquista a prezzi particolarmente favorevoli i prodotti dell’isola . L’assistenza sovietica è stata assicurata fino ai tempi di Gorbaciov del quale Fidel Castro disapprovava apertamente quel processo di riforma politica che è noto con il nome di perestrojka. Dopo la frantumazione dell’URSS nel 1991 per Cuba e per il regime di Fidel Castro incominciano grossi problemi, e non solo politici. Viene varato un piano di rigidezza nazionale per risparmiare su ogni tipo di risorsa. Nel 1992, quando incominciano a scarseggiare alimenti e benzina, viene permesso agli stranieri di commerciare nell’isola. Ma questa prima apertura non basta, e nell’estate del 1993 , Castro è costretto a legalizzare il dollaro e ad aprire a capitali stranieri. Egli cerca di portare avanti una riforma “alla cinese”, cambiando le regole dell’economia di stato, ma non modificando il regime politico socialista, che rimane a partito unico e senza libere elezioni .
RISULTATI E PROBLEMI
Casa, lavoro, scuola, cibo, vesti per tutti : questi sono i vanti della nuova Cuba. Ma non tutti i problemi sociali sono stati risolti, com’è naturale. Per esempio il problema della casa è stato affrontato la proprietà di appartamenti non direttamente abitati ma dati in affitto, e stabilendo l’ammontare di questo al 10% del reddito familiare, mentre è in corso un piano edilizio per la costruzione concesse alle famiglie in usufrutto gratuito. Tuttavia il 60% della popolazione vive nei centri urbani, e ciò costituisce un problema serio che, tra l’altro, ostacola i programmi di decentramento necessari all’attuazione dei piani agricoli.
Ugualmente, nel giro di pochi anni Cuba ha risolto alla radice il problema dell’analfabetismo con una campagna massiccia di alfabetizzazione, i risultati accertati da una commissione dell’UNESCO, sono stati eccellenti e su quella base si è costruito un sistema scolastico e di educazione permanente degli adulti che ha poche corrispondenze al mondo. Tuttavia le pur affollate e severe università non riescono a sfornare il numero necessario di medici, insegnanti, ingegneri ecc. e le ristrettezze finanziarie non consentono di dotare gli istituti delle attrezzature indispensabili per formare tecnici forniti delle conoscenze adeguate al grande sforzo che il pianeta sta compiendo. L’ossessiva necessità di “accumulare” il capitale necessario ad un decollo industriale , chiave di volta del futuro cubano, ha indotto il governo ad una serie di misure per il contenimento dei consumi privati. Anche se tutti concordano che il medio tenore di vita e quello dei consumi alimentari è senza confronto superiore a quello di vent’anni fa, è certamente seccante dover fare la coda per ottenere con la tesserale camicie, i pantaloni, i chili di carne e di riso, i sandali di cuoio e gli altri generi di prima necessità cui ogni cubano ha diritto, ma che gli determinano un severo limite dal quale non può debordare. L’egualitarismo ha dei difetti. Uno dei più imbarazzanti è quello di avere in tasca più moneta di quella di avere in tasca più moneta di quella che si possa spendere, giacché i consumi privati sono inquadrati nella rigida gabbia dei piani economici che in vista di un futuro migliore, chiama la gente di oggi a sacrifici e a limitazioni che non sempre è disposta a sopportare volentieri.
Il progresso scientifico non ha portato con sé solo vantaggi, ma anche spiacevoli sorprese, forse troppo elementari e prevedibili per i cervelloni che hanno pensato solo ai vantaggi economici delle loro invenzioni. UNO DEI TANTI E’ L’INQUINAMENTO. Particolarmente sentito è quello dell’aria che potrebbe compromettere la stessa esistenza umana.
L'INQUINAMENTO DELL'ARIA
L'atmosfera terrestre non è mai stata immutabile, ma nell’ultimo secolo la velocità dei cambiamenti è stata elevatissima.
GLI EFFETTI
1) Smog (fumo e nebbia)
2) Buco nell'ozono
3) Effetto serra
4) Piogge acide
MODIFICHE NELL'ATMOSFERA
Le modifiche veloci sono avvenute non nella quantità dei componenti principali dell'atmosfera (azoto, ossigeno, gas nobili), ma sono dovuti ad aumenti nel contenuto di alcuni costituenti minori:
• anidride carbonica CO2
• monossido di carbonio CO
• metano
• ossido e diossido di azoto
• diossido di zolfo
• ozono
• altri componenti clorofluorocarburi
MODO IN CUI LE SOSTANZE INQUINANTI SONO IMMESSE NELL'ATMOSFERA
In seguito a:
1) Fenomeni meccanici con emissioni di particelle, fumi e polveri. Le cause principali sono industrie, cave, miniere, cementifici, forni
2) Reazioni chimiche attivate dalle industrie. Le cause principali sono raffinerie, industrie chimiche, ceramiche, metallurgiche
3) Combustioni, che immettono CO2, Co e tutti gli altri componenti minori dell'atmosfera. Se la combustione è incompleta essa è ancora più dannosa. Le cause sono industrie, riscaldamento domestico, autoveicoli e agricoltura

gli allevamenti emettono metano
LE COMBUSTIONI
L'ozono:
• è uno dei prodotti principali delle reazioni chimiche
• è utile per neutralizzare le radiazioni ultraviolette nella stratosfera
• è un pericoloso problema se si accumula in prossimità del suolo
• è segnalata la sua presenza da indicatori biologici (ci sono alcuni vegetali particolarmente sensibili)
RIMEDI
1) Targhe alterne
2) Depuratori
3) Energie alternative
4) Combustibili non inquinanti
5) Favorire la circolazione di biciclette
LE CONSEGUENZE
1) Effetti sulla salute (irritazioni agli occhi e disturbi respiratori)
2) Danni ai monumenti in pietra e bronzo
3) Danni alla vita animale e vegetale (macchie necrotiche sulle foglie)
ALCUNI GRAVI DISASTRI
• 1930: VALLE DELLA MOSA presso LIEGI (Belgio)
L'inversione termica causò l'intrappolamento degli agenti inquinanti causando la morte di 60 persone
Inversione termica ==> si ha quando una massa di aria fredda è intrappolata da una massa di aria calda
• 1948: DISASTRO DI DONORA a sud di PITTSBURGH (USA)
Metà della popolazione si ammalò e morirono 20 persone
• 1952: LONDRA
La cosiddetta "nebbia nera" causò la morte di 400 persone
LE PIOGGE ACIDE
A partire dagli anni '70 si impone all'attenzione generale questo problema
A
• moria di boschi nella Germania federale
• moria di pesci d'acqua dolce in Scandinavia
COME SI REALIZZA LA PIOGGIA ACIDA?
• La pioggia acida ha origine nelle interazioni tra OSSIDI DI AZOTO e ANIDRIDE SOLFOROSA. Attraverso varie reazioni questi gas possono trasformarsi in pochi giorni in ACIDO NITRICO e ACIDO SOLFORICO solubili in acqua. Quando piove il vapor acqueo si trasforma in acqua e gli acidi cadono a terra con essa ==> piogge acide
• Prima le acque piovane erano a PH neutro. Rispetto a quel PH l'acidità negli USA è oggi aumentata di 4 volte dal 1900
• L'ossido di azoto e l'anidride solforosa sono prodotti dall'uso di combustibili fossili, che vengono usati nelle centrali termoelettriche e nelle fonderie
LE CONSEGUENZE
Alterazioni degli ecosistemi. Purtroppo non si sanno ancora con precisione tutte le conseguenze. Quelle note sono:
• Acidificazione consistente degli ecosistemi di acqua dolce (USA, Groelandia, Scandinacia)
• Danni alle foreste
IL BUCO NELL'OZONO
• Nel 1985 alcuni scienziati annunciarono che sopra l'Antartide si era aperto un buco nella fascia dell'ozono, grande come gli Stati Uniti. All'inizio sembrava un fenomeno naturale, ma oggi sappiamo che la causa è l'uomo.
• Per ora la distruzione dell'ozono è visibile sopra l'Antartide, dove il buco fa la comparsa ogni primavera (da loro è autunno). Questo succede dal 1975, data dalla quale i livelli dell'ozono in Antartide si sono ridotti del 50%.
LE RESPONSABILITA' DELL'UOMO
• E' da attribuire a prodotti di sintesi, introdotti nei processi industriali dal 1928. La prima è stata la General Motors. Questi prodotti:
• sono contenuti negli spray, nei liquidi contenuti nei frigoriferi per raffreddare e nei solventi
• nella bassa atmosfera sono virtualmente inerti e non tossici.
• la loro inerzia gli permette di giungere nella stratosfera, dove sono esposti alle radiazioni luminose che rompono le loro molecole

le molecole liberano cloro che funge da catalizzatore
c
ciascun atomo di cloro elimina parecchie migliaia di molecole di ozono
• Nell'Artide e nell'Antartide le basse temperature accelerano questi cicli catalitici del cloro
• Anche se è possibile eliminare i clorofluorocarburi, i danni ormai fatti potranno essere eliminati totalmente solo nel giro di un secolo
• La gravità della situazione ha indotto a redigere il protocollo di Montreal nel 1987

molte nazioni (Canada, Svezia, Norvegia, USA, Germania) si impegnano a dimezzare le dimissioni di clorofluorocarburi
L'EFFETTO SERRA
• E' prodotto da più fattori.
• I gas serra:
• sono relativamente trasparenti alla luce del sole
• intrappolano il calore impedendone la dispersione.
• sono:
• anidride carbonica ==> è responsabile di più della metà del calore intrappolato in superficie
• metano
• clorofluorocarburi
FATTORI DI ALLARME
• Il ritiro dei ghiacci indica un aumento di temperatura di circa 0.5°C nel giro di 100 anni
• Le ultime analisi testimoniano un incremento della concentrazione di anidride carbonica e metano
CAUSE DELL'AUMENTO DI CONCENTRAZIONE DELL'ANIDRIDE CARBONICA...
1. Combustioni fossili
2. Deforestazione tramite gli incendi
...E DEL METANO
1. Microrganismi delle discariche
2. Perdite durante l'estrazione di petrolio
3. Allevamenti bovini
4. Termiti
5. Risaie, tramite i processi di decomposizione per le concimazioni ad opera della microflora
LE PREVISIONI
L'incremento demografico significa un aumento della domanda di energia, riso e carne

c'è un aumento della concentrazione di metano e dell'anidride carbonica
c
aumenta l'effetto serra
LE CONSEGUENZE
Nessuno sa ipotizzarle e ci sono delle opinioni differenti:
1. aumento del manto vegetale perché aumenta l'anidride carbonica (fotosintesi)
2. incremento dell'assorbimento dell'anidride carbonica degli oceani
3. aumento della temperatura sulla Terra

aumento dell'evaporazione degli oceani

maggiore piovosità

si respinge in parte il calore solare, bilanciando così l'aumento di calore e di temperatura
RISPOSTE AL PROBLEMA
1. Risparmio energetico
2. Fonti di energia alternativa, per esempio eolica, solare, delle maree
3. Arresto della deforestazione
Spargimento nell'alta atmosfera di polveri che impediscono ai raggi del sole di penetrare
La protagonista indiscussa della seconda metà del nostro secolo è l’energia nucleare, una costante minaccia per la tranquillità della terra e dell’uomo
ENERGIA NUCLEARE
L’atomo che costituisce la materia è un insieme complesso di protoni e neutroni che formano il nucleo e di elettroni che gravitano intorno a questo nucleo. La materia, a livello infinitamente piccolo. Non si lascia manipolare facilmente poiché le forze che tengono insieme i differenti componenti dell’atomo sono molto tenaci. Vi sono però alcuni elementi, come l’uranio fissile, che si trasformano spontaneamente liberando una considerevole energia sotto forma di calore.
La fissione nucleare
La fissione o scissione nucleare consiste nella disintegrazione del nucleo dell’atomo mediante il bombardamento per mezzo di piccolissime particelle (neutoni) che lo colpiscono e lo spezzano in due nuclei più leggeri. I prodotti della scissione hanno una massa più piccola di quella del nucleo originale: ciò significa che durante il processo una parte della materia si è trasformata in energia.
Se la quantità di materiaòe fissile è sufficiente, durante la fissione si liberano altri neutroni capaci, a loro volta, di colpire nuovi nuclei e così via; si innesta una catena che può essere tenuta sotto controllo.
L’elemento fissile usato per la produzione di energia è l’Uranio 235 che è presente però solo in piccola percentuale (circa il 7 per mille) nell’uranio naturale. L’uranio naturale deve perciò essere arricchito in modo che la percentuale di Uranio 235 arrivi intorno al 3%. Ciò significa che per preparare una tonnellata di uranio arricchito bisogna estrarne almeno quattro: di esse ne rimarranno tre, contenenti uranio impoverito, che costituiscono pur sempre un materiale radioattivo che attualmente non trova largo impiego e deve essere in parte accantonato. La quantità rimanente di uranio non arricchito viene utilizzata nei reattori autofertilizzanti.
L’uranio 235 costituisce il combustibile che, introdotto nei reattori, svilupperà, mediante la fissione nucleare, una notevole quantità di energia.
Nei reattori autofertilizzanti, ancora di limitata diffusione, non solo viene prodotta energia, ma anche nuovo combustibile nucleare. Durante la fissione si ottiene infatti il Plutonio, un materiale fissile non presente in natura.
Anche il Torio, altro elemento abbastanza diffuso, viene trasformato in un altro materiale che può subire la fissione e quindi produrre energia.
Le centrali nucleari
Il principio di funzionamento di una centrale nucleare è abbastanza semplice: nel reattore o core, dove si trova il combustibile nucleare, avviene la fissione controllata e da questo processo si sviluppa una grande quantità di energia sotto la forma di calore.
Il calore generato viene utilizzato per la produzione di vapore che, espandendosi in una turbina, fa ruotare un alternatore ad essa collegato ottenendo quindi energia elettrica
L’installazione delle centrali nucleari provoca forti opposizioni da parte di larghi strati dell’opinione pubblica di numerosi Paesi temendone la pericolosità sia durante il funzionamento sia per lo smaltimento delle scorie radioattive.
E proprio il problema delle scorie risulta essere il più scottante specialmente dopo l’entrata in funzione dei reattori autofertilizzanti. Le soluzioni finora adottate finora, come il seppellimento dei materiali radioattivi racchiusi in contenitori di piombo in fosse marine o in miniere di sale abbandonate, non sono certo soddisfacenti.
Inoltre, gravi incidenti nelle centrali nucleari di Three Mile Island (USA 1979) e Cernobyl (ex URSS 1986), hanno indotto ad una riflessione molto critica anche coloro i quali, pur essendo contrari in linea di principio alle centrali nucleari ma erano disposte ad accettarle come un male necessario (mancanza di emissioni atmosferiche inquinanti).
La fusione nucleare
La fusione nucleare consiste nell’unione di nuclei di atomi leggeri per formare nuclei più pesanti; in un certo senso è il processo inverso di quello precedentemente descritto della scissione nucleare. Quando due nuclei leggeri (ad esempio l’idrogeno) sono spinti con forza l’uno contro l’altro, possono saldarsi o fondersi insieme e formare un solo nucleo il quale però risulta un po’ meno pesante della somma degli altri due. La quantità di materia mancante risulta trasformata in energia.
Questa reazione avviene con continuità sul Sole e sulle altre stelle ad una temperatura di alcuni milioni di gradi; la luce ed calore che giungono a noi ne sono gli effetti visibili.
Gli scienziati sono finora riusciti a realizzare la fusione nucleare lenta e controllata solamente in laboratori sperimentali (esempi di fusione nucleare non controllata sono le bombe ad idrogeno).
La causa principale sta nell’identificazione di un materiale solido capace di resitere alle altissime temperature (alcuni milioni di °C) occorrenti alla reazione.
Il problema continua ad essere oggetto di appassionata ricerca da parte di scienziati di tutto il mondo: se e quando verrà risolto si potrà disporre di enormi quantità di energia derivante da materiali, come l’idrogeno, abbondanti in natura e, quel che più conta, senza il pericolo di scarichi e scorie inquinanti.
L’alternativa al processo di fusione nucleare sopra descritta è la fusione a freddo che alcuni ricercatori affermato di aver sperimentato ma siamo ancora lontani dal poterne parlare come applicazione sperimentale (in Italia è stato dichiarato di aver ottenuto la fusione a freddo nel laboratorio del Gran Sasso).
LA LETTERATURA
Il DECADENTISMO
Per Decadentismo si indica quel movimento letterario, nato nell'ambiente parigino alla fine dell'Ottocento, con un preciso programma espresso da manifesti e organi di stampa come il periodico "Le Decadent". Il Decadentismo è caratterizzato da un senso di disfacimento e da un'idea di un prossimo crollo, di un imminente cataclisma epocale.
Alla base della visione del mondo decadente vi è un irrazionalismo misticheggiante.
Viene radicalmente rifiutata la visione positivistica. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possono dare la vera conoscenza della realtà, misteriosa ed enigmatica. L'anima decadente è perciò tesa verso il mistero, l'Inconoscibile. Se il mistero della realtà non può esser colto attraverso la ragione, altri sono i mezzi mediante cui il decadente può attingere ad esso. Questi sono tutti gli stati di alterazione mentale come la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, o stati causati dall’uso di droghe e alcol. Inoltre vi sono altre forme che permettono l'esperienza dell'ignoto: l'annullamento nella vita del gran Tutto, il confondersi nella vibrazione stessa della materia (questo atteggiamento è stato definito panismo e ricorrerà particolarmente in D'ANNUNZIO).
Tra i momenti privilegiati per i decadenti vi è soprattutto l'arte, suprema illuminazione. Da questo culto religioso dell'arte ha avuto origine il fenomeno dell'estetismo. L'esteta assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali ma il bello. L'arte quindi rifiuta ogni rappresentazione della realtà storica e sociale e diviene arte pura, poesia pura.
Tra le tecniche espressive più usate dai decadenti bisogna ricordare la musicalità: la parola non vale tanto nel suo significato logico quanto come pura fonicità, per il suo valore evocativo.
I decadenti fanno molto uso della metafora, espressione di una visione simbolica del mondo e la sinestesia, fusione di sensazioni. (Le Corrispondenze di Baudelaire presentano un valore pionieristico).
La malattia è uno dei temi principali del Decadentismo che se da una parte si pone come metafora di una condizione storica dall'altro diviene una condizione privilegiata, segno di nobiltà e distinzione. La malattia affascina i decadenti perché rievoca l'immagine della morte, tema dominante e ossessivo. Una voluttà morbosa di annientamento, un'attrazione irresistibile per il nulla percorre le pagine della letteratura decadente. AI fascino della malattia e della morte si contrappongono tendenze opposte: il vitalismo, l'esaltazione della pienezza vitale che vede il suo massimo teorico in Nietzsche.
Nascono quindi alcune figure ricorrenti:
L'artista maledetto, che profana tutti i valori e le convenzioni della società;
L'esteta, che vuole trasformare la sua vita in un'opera d'arte;
L'inetto a vivere, che è escluso dalla vita e si rifugia nelle sue fantasie, compensatrici di una realtà frustante;
Il fanciullino, portatore di una visione fresca e ingenua che scopre le cose nella loro vergine essenza;
GABRIELE D'ANNUNZIO

L’ESTETISMO E LA SUA CRISI
L'esordio letterario di D’Annunzio avviene sotto il segno di due grandi scrittori: Carducci e Verga. Le prime liriche, Primo vero e Canto novo, si rifanno a Carducci, la raccolta Terra Vergine al Verga.
Oltre alla metrica barbara egli riprende di Carducci anche il senso della comunione con una natura solare e vitale. Ma questi temi sono portati al limite estremo in cui si presagisce il futuro panismo superomistico. Terra Vergine si rifà alla Vita dei Campi. Anche D’Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra, l'Abruzzo. Ma non vi è nulla dell'impersonalità verghiana, della lotta per la vita, del gusto documentario, della visione positivistica del Verismo.
I versi degli anni Ottanta, l'Intermezzo di rime, l'Isotteo, la Chimera, sono il frutto della fase dell'estetismo dannunziano che si esprime nella formula "Il Verso è tutto". L'arte diventa il supremo valore, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. In questa fase D’Annunzio crea la figura dell'esteta, dell'uomo superiore che si rifugia dalla mediocrità borghese. Questo personaggio è una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell'Italia dopo l'unità, che tendevano ad emarginare l'artista togliendogli quella posizione privilegiata di cui aveva goduto nelle epoche precedenti. Ben presto però il D’Annunzio si rende conto dell'intima debolezza dell'esteta che non sa realmente opporsi alla borghesia in ascesa: il suo isolamento, lungi dall'essere un privilegio, diventa sterilità e impotenza. L'estetismo entra quindi in crisi. Il primo romanzo scritto da D’Annunzio è il Piacere. Al centro dell'opera vi è la figura dell'esteta, Andrea Sperelli, il quale non è altro che un doppio dell’autore che proietta in questo personaggio la sua crisi e il senso d'insoddisfazione. Questa crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la donna. L'eroe e diviso tra due donne, Elena Muti, la donna fatale che incarna l'erotismo passionale e Maria Ferres, che rappresenta la possibilità di riscatto e di elevazione spirituale. Alla fine Andrea rimane solo e disperato.

I ROMANZI DEL SUPERUOMO
D’Annunzio riprende alcuni motivi del pensiero di Nietzsche: il rifiuto del conformismo borghese, dell'etica della pietà e dell'altruismo, l'esaltazione dello spirito dionisiaco, della volontà di potenza. Egli accentua questi motivi con un carattere antiborghese, aristocratico. L'autore vagheggia un'aristocrazia capace di elevarsi a forme superiori di vita attraverso il culto del bello. Il motivo del superuomo è quindi interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di alcuni esseri eccezionali di imporre la propria volontà sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il nuovo personaggio di D’Annunzio, aggressivo, energico, vitalistico, non elimina la figura dell'esteta ma la ingloba in sé. L'esteta non si accontenta più di vagheggiare la bellezza ma si propone di imporre la propria volontà sul mondo vile e meschino quale è quello borghese.
Il Trionfo della morte rappresenta questa fase di transizione. L'eroe, Giorgio Aurispa, è un esteta simile ad Andrea Sperelli. Travagliato da una malattia interiore va alla ricerca di un nuovo senso della vita. Questa ricerca lo porta a riscoprire le radici della sua stirpe: insieme con la donna amata si ritira in un villaggio abruzzese, dove riscopre il volto primordiale della sua gente, le credenze magico-superstiziose, il fanatismo religioso esaltato. Di fronte a questo mondo barbaro e primitivo il raffinato esteta appare disgustato e rifiutato. Egli trova una soluzione nello spirito dionisiaco di un'immersione nella pienezza della vita, ma l'eroe non è ancora pronto a realizzare questo progetto: si oppongono le forze oscure della sua psiche, prevalgono sulla volontà di una vita gioiosa e piena le forze negative della morte. Alla fine l'eroe si ucciderà, trascinando con sé la “Nemica”.
Il suicidio di Giorgio Aurispa è come il sacrificio rituale che libera D’Annunzio dal peso delle problematiche negative sino a quel momento affrontate. Le Vergini delle rocce segnano una svolta radicale. D’Annunzio non vuole più proporre l'eroe tormentato e debole ma l'eroe forte e sicuro. Il romanzo è stato definito come il manifesto politico del superuomo. L'eroe, Claudio Cantelmo, vuol portare a compimento l'ideale latino e generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l'Italia a destini imperiali. Ma anche qui alla fine prevalgono la decadenza, il disfacimento, la morte.
Il Fuoco si propone invece come “manifesto artistico” del superuomo, in cui l'eroe cerca di creare un'opera perfetta, fusione di poesia, danza e musica e attraverso di essa vuole creare un nuovo teatro. Ma le forze oscure che si oppongono all'eroe si concretizzano puntualmente in una donna che incarna l'attrazione dell’autore per il disfacimento e la morte.
Nel 1910 viene pubblicato Forse che sì forse che no, in cui finalmente si realizza la volontà eroica del protagonista. D’Annunzio si presenta come celebratore di un simbolo della realtà moderna, dinamica e aggressiva, la macchina.
Ancora una volta si oppone all'eroe la Nemica ma questa volta il protagonista trova una via di liberazione.

LE OPERE DRAMMATICHE
L'ideologia superomistica ha un peso determinante nell'approdo di D’Annunzio al teatro, che avviene a partire dal 1896 con la Città morta. Il teatro viene inteso come potente strumento per la diffusione del verbo superomistico. La drammaturgia dannunziana si allontana però dal teatro borghese e realistico che raffigurava fedelmente la vita quotidiana, egli ambisce ad un teatro di poesia che trasfiguri e sublimi la realtà e metta in scena personaggi d'eccezione.
Molte opere si rifanno ad argomenti di storia (Francesca da Rimini, Parisina, Sogno di un tramonto d’autunno, La nave) o al mito classico (Fedra). Altre sono ambientate nel presente (La Città morta, La gloria, La Gioconda, Più che l’amore), alcune sono tragedie politiche come la Gloria, che si basa sul contrasto tra un vecchio dittatore e un giovane che tenta di scalzarlo, o la Nave, che esalta la conquista imperialistica sul mare. Anche nelle tragedie alla volontà superomistica si oppongono forze che agiscono in senso contrario. L'eroe trova nella donna la “Nemica” che ostacola la sua missione.
A parte si colloca La figlia di Iorio, definita dall’autore stesso una “tragedia pastorale”, ambientata nell'Abruzzo primitivo, magico e superstizioso, in cui domina il gusto decadente per il barbarico e il fascino esercitato dal popolo contadino visto come emblema dell'irrazionale.

Lavoro svolto da:
Ciaramella Francesco
(classe III D)

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