La bomba atomica

Materie:Appunti
Categoria:Fisica
Download:1374
Data:05.03.2001
Numero di pagine:40
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
bomba-atomica_2.zip (Dimensione: 111.73 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_la-bomba-atomica.doc     177.5 Kb


Testo

CE
In questa ricerca tratteremo il funzionamento e le potenzialità dannose di un’arma che sfrutta un processo chimico nato per produrre energia, ma che si è rivelato produttore di catastrofi: la BOMBA ATOMICA.
Andremo prima ad analizzare le trasformazioni chimiche su cui si basa il suo funzionamento, quindi la bomba vera e propria, per poi passare infine a dimostrarne le capacità distruttive nella storia.
L’energia nucleare si basa sulle potenzialità dell’atomo, capace di generare una quantità enorme di energia.Vi sono due modi per produrre energia sfruttando gli atomi: mediante la FISSIONE NUCLEARE e la FUSIONE NUCLEARE.

LA FISSIONE NUCLEARE

La fissione dell'Uranio consente di sottolineare due aspetti essenziali di tutti i processi di fissione nucleare. In primo luogo la quantità di energia prodotta da ogni singola fissione è molto grande; in termini pratici, la reazione di 1 kg di uranio 235 sviluppa 18,7 milioni di kilowatt/ora in forma di calore. Secondo, il processo di fissione innescato dall'assorbimento di un neutrone dal primo nucleo di uranio 235 continua in modo autonomo: in seguito alla disgregazione di ciascun nucleo di uranio si creano 2 o 3 neutroni, che provocano in rapida sequenza la fissione di altrettanti nuclei di uranio 235, ciascuno dei quali a sua volta si spezza in due frammenti, con produzione di neutroni e sviluppo di energia; si realizza in questo modo un processo a catena che produce continuamente energia nucleare.
Solo lo 0,7% dell'uranio presente in natura è uranio 235; il resto è costituito dall'isotopo non fissile uranio 238, che ha una concentrazione di alcune parti per mille, talmente bassa da essere inessenziale ai fini dei processi di reazione nucleare. Una quantità qualsiasi di uranio naturale, dunque, non è in grado di sostenere una reazione a catena, poiché la percentuale di U 235, il solo isotopo in grado di dare luogo a un processo di fissione in seguito a bombardamento con neutroni, è troppo piccola. La probabilità di produzione del processo di fissione in uranio naturale può però essere aumentata fino a cento volte, se i neutroni prodotti (troppo veloci per intercettare i pochi nuclei di U 235) vengono rallentati mediante una serie di collisioni elastiche con nuclei leggeri, quali idrogeno, deuterio o carbonio. Praticamente, ciò equivale a immergere l'uranio naturale in acqua pesante, un'acqua la cui molecola è composta da ossigeno e deuterio.
Nel dicembre del 1942, all'università di Chicago, il fisico italiano Enrico Fermi riuscì a produrre la prima reazione nucleare a catena controllata, utilizzando frammenti di uranio naturale distribuiti all'interno di un blocco di grafite pura (una forma di carbonio). Nella pila, o reattore nucleare di Fermi, la grafite fungeva da moderatore per rallentare i neutroni, rendendo così possibile la reazione a catena.

L’URANIO

L’Uranio è un elemento metallico radioattivo, di simbolo U, e numero atomico 92, usato come combustibile nei reattori nucleari. L'uranio appartiene alla serie degli attinidi della tavola periodica. Fu scoperto nel 1789 dal chimico tedesco Martin Heinrich Klaproth, in un campione di pechblenda, e prese nome dal pianeta Urano.
Pastiglie di uranio
Proprietà
L'uranio fonde a circa 1132 °C, bolle a 3818 °C, ha densità relativa 19,05 alla temperatura di 25 °C, e peso atomico 238,029. Esiste in tre diverse forme cristalline: in una forma stabile a temperatura ambiente; alla temperatura di 668 °C, in una forma modificata, caratterizzata da densità leggermente minore e da cristalli tetragonali, duri e fragili. A 774 °C raggiunge la forma cubica a corpo centrato, facilmente lavorabile e plastica, resa stabile mediante l'aggiunta di piccole quantità di molibdeno.
Diffusione
In natura l'uranio non si trova allo stato libero, ma solo sotto forma di ossido o sale complesso, in minerali come la pechblenda e la carnotite. L'uranio puro è formato per più del 99% dall'isotopo uranio 238, meno dell'1% dall'isotopo fissile uranio 235 e da tracce di uranio 234.
Estrazione
Yellow Cake
Il metodo classico di estrazione dell'uranio prevede che la pechblenda venga triturata e mescolata con acido solforico e nitrico. L'uranio si scioglie e forma il solfato di uranile, mentre il radio e gli altri metalli del minerale vengono precipitati come solfati. Aggiungendo idrossido di sodio, si precipita il diuranato di sodio (Na2U2O7 · 6H2O), noto anche come ossido giallo di uranio (yellow cake). Per ottenere l'uranio dalla carnotite, il minerale viene finemente polverizzato e mescolato con soda e potassa calde, che sciolgono l'uranio, il radio e il vanadio. Dopo aver eliminato le sabbie inutili, il composto viene trattato con acido solforico e cloruro di bario. Una soluzione caustica e alcalina aggiunta al liquido precipita l'uranio e il radio in forma concentrata.
I minerali di uranio sono presenti in tutto il mondo; in particolare, depositi di pechblenda, il minerale più ricco di uranio, si trovano principalmente in Canada, Repubblica democratica del Congo e Stati Uniti. La maggior parte dell'uranio degli Stati Uniti deriva dalla carnotite presente in Colorado, Utah, New Mexico, Arizona e Wyoming. Un minerale detto coffinite, scoperto nel 1955 in Colorado, contiene fino al 61% di uranio. Depositi di coffinite si trovano in Wyoming e Arizona.
Usi
Dopo la scoperta della fissione nucleare, l'uranio divenne un metallo di importanza strategica, utilizzato principalmente per la produzione di energia nei reattori nucleari e nelle armi nucleari.
LA FUSIONE NUCLEARE

Oltre che nel processo di fissione di un nucleo pesante, anche nel processo di fusione di due nuclei leggeri si sviluppa energia nucleare. L'energia irradiata dal Sole , ad esempio, si sprigiona per le reazioni di fusione tra nuclei di idrogeno che avvengono all'interno della stella.
La prima fusione nucleare artificiale fu realizzata all'inizio degli anni Trenta, mediante il bombardamento di un bersaglio di deuterio, con nuclei di deuterio ad alta energia accelerati da un ciclotrone; ma, poiché era richiesta molta energia per accelerare i nuclei, l’energia prodotta fu molto meno di quella consumata. Un rilascio di energia positivo fu ottenuto per la prima volta negli anni Cinquanta, con le sperimentazioni sulle armi nucleari da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia. In questo caso il bilancio energetico fu positivo, ma il rilascio di energia fu breve e incontrollato, e non fu quindi utilizzabile per la produzione di elettricità.
A rendere particolarmente difficile la fusione nucleare è il fatto che il processo avviene per unione di due particelle, che per potersi avvicinare devono vincere la naturale repulsione, causata dalle cariche elettriche uguali. Per avvicinare le particelle bisogna dar loro molta energia, riscaldando del gas reagente fino alla temperatura di 50 milioni di gradi. In un gas costituito dagli isotopi pesanti dell'idrogeno, deuterio e tritio, ogni evento di fusione

rilascia un'energia pari a 17,6 MeV, che si manifesta dapprima come energia cinetica del nucleo di elio 4 e del neutrone prodotti, e quindi si trasforma in energia termica, determinando un rapido riscaldamento del gas circostante.
I due maggiori problemi tecnici della realizzazione della fusione nucleare su larga scala sono il riscaldamento del gas ad altissima temperatura, e il confinamento dei nuclei reagenti.
Un problema complesso è anche quello della cattura dell'energia sprigionata e della sua conversione in elettricità. Per temperature superiori ai 100.000 °C, gli atomi di idrogeno sono completamente ionizzati. Il gas reagente si trova cioè nello stato della materia detto plasma, che consiste in una miscela di cariche libere positive e negative, complessivamente neutra. Perché il processo sia efficiente è necessario confinare il plasma entro uno spazio ridotto, così da aumentare il più possibile il numero degli eventi di fusione. Per confinare il plasma si possono usare due tecniche.
Il confinamento magnetico si basa sulla reazione deuterio-trizio; il plasma è racchiuso in un reattore a forma di ciambella e isolato da un fortissimo campo magnetico. Anche se non vengono prodotte scorie radioattive, nel reattore c’è radioattività, per l’emissione di neutroni.
Il confinamento inerziale si basa sulla reazione deuterio-deuterio, che è più pulito di quello deuterio-trizio. Si ottiene colpendo delle piccole masse di deuterio con dei raggi laser, che produrrebbero delle piccole esplosioni di fusione.
In seguito ai successi degli esperimenti condotti in diversi laboratori con piccoli tokamak, all'inizio degli anni Ottanta ne vennero costruiti due di grandi dimensioni, di cui uno all'università di Princeton, negli Stati Uniti, e l'altro nell'ex Unione Sovietica.
Le ricerche nel campo della fusione fanno progressi, ma la prospettiva di un utilizzo pratico di questa fonte di energia pare ancora lontana.
I vantaggi dell'energia ricavata dalla fusione, quando si riuscirà a trovare il metodo efficace per produrla e renderla utilizzabile, saranno:
Una fonte inesauribile di combustibile (il deuterio dell'oceano);
Un basso rischio di incidente all'interno del reattore, che conterrebbe quantità minime di combustibile;
Residui molto meno radioattivi di quelli della fissione.

LA BOMBA ATOMICA
P r e m e s s a
Prima che venisse sviluppata la prima bomba atomica, gli scienziati si resero conto della possibilità di sfruttare una reazione diversa dal processo di fissione come fonte di energia nucleare; se ne rese conto per primo Albert Einstein, come dimostra la lettera spedita al presidente degli Stati Uniti Roosevelt. Invece di utilizzare l'energia liberata dalla reazione a catena del materiale fissile, le armi nucleari possono sfruttare l'energia sviluppata dalla fusione di elementi leggeri, ad esempio gli isotopi di atomi come l'idrogeno, che si uniscono a formarne uno più pesante (per questa ragione le armi basate sulle reazioni di fusione nucleare sono spesso chiamate bombe all'idrogeno, o bombe H). Dei tre isotopi dell'idrogeno esistenti, i due più pesanti, cioè il deuterio e il trizio, sono più instabili e quindi si combinano più facilmente per formare elio. Anche se la quantità di energia liberata per singola reazione nucleare è minore nel processo di fusione che in quello di fissione, 0,5 kg del materiale con peso atomico inferiore contengono un numero di atomi di gran lunga maggiore.
La prima bomba nucleare fu sperimentata il 16 luglio 1945 nel New Messico.Si chiamava bomba A e sfruttava la forza contenuta nel nucleo di Uranio o Plutonio, nei quali veniva innescato il processo di fissione nucleare; a differenza dei reattori nucleari per la produzione di energia, nelle bombe atomiche l'energia viene prodotta istantaneamente e in modo altamente esplosivo.
COME FUNZIONA
La bomba atomica di tipo A (a fissione) si basa sul fatto che se un elettrone colpisce un atomo di un materiale pesante quest'ultimo si fraziona in due parti e in più libera due elettroni che mantengono la reazione a catena e soprattutto libera un'energia enorme. Nel uranio che si trova in natura questa reazione avviene naturalmente ma viene frenata del fatto che, essendo l'uranio non completamente puro, la reazione si ferma immediatamente e solo pochi atomi si trasformano in energia. Poi c'è da considerare il fatto che molti elettroni riescono a sfuggire dalla pezzo di uranio (Questa reazione da la radioattività).
Nelle bombe nucleari si ha uranio purissimo e parzialmente modificato da precedenti reazioni nucleari, c'è anche da contare il fatto che quest'uranio deve avere un volume abbastanza grosso da tamponare la dispersione di elettroni e, anche se dopo ripetuti interventi, l'uranio mantiene sempre un po' di scorie che impedisco la reazione. Quando la massa del nostro materiale radioattivo sale abbastanza da assicurare un equilibrio tra le reazioni avvenute e quelle fallite si dice che la massa è critica, cioè che può provocare una reazione a catena capace di far esplodere l'oggetto. Nelle bombe nucleari i due pezzi dello stesso oggetto si trovano distanti tra loro e solo nel momento in cui viene innescata le due parti si uniscono dando luogo a un'esplosione nucleare.
Ci sono due modi di trasformare una massa subcritica in una critica o anche ipercritica:
Il metodo balistico: le due metà del materiale esplosivo sono ai capi di un cilindro in mezzo a loro c'è il vuoto. Quando la bombo viene innescata esplodono due cariche di esplosivo convenzionale che scagliano le due metà una contro l'altra. Di colpo le due meta compongono una massa ipercritica compressa che automaticamente esplode. Questo metodo si può utilizzare solo se si utilizza uranio-235. Questo tipo di bomba è stata usata nella seconda guerra mondiale Hiroshima e Nagasaki.
Il secondo metodo si basa sul fatto che una massa subcritica, se fortemente compressa, può trasformarsi in una massa critica o ipercritica. Questo tipo di bomba è di forma sferica, nel centro di essa c'è il materiale fissibile (uranio-235 o plutonio), nello strato sotto la corazza c'è invece dell'esplosivo chimico. Quando viene innescata l'esplosivo esplode creando un’onda d'urto verso il centro della bomba che comprime molto rapidamente il materiale fissibile finche non raggiunge una massa ipercritica e quindi esplode.
Un metodo per ridurre la massa e far uso di un riflettore che non è altro che uno strato di un materiale che riflette gli elettroni in modo da limitare le fughe. Una bomba nucleare composta da uranio 235 e 238 il peso senza riflettore è di 48km, invece, con il riflettore, la massa si abbassa fino a raggiungere i 21kg.
Invece le bombe atomiche di tipo H si basano sul principio contrario alla fissione, cioè la fusione. Per innescare la reazione della fusione ci vogliono enormi temperature che si ottengono soltanto nelle più potenti bombe A. Allora si è escogitato un metodo per cui la reazione nucleare viene innescata da una bomba A che innesca la fusione tra atomi di idrogeno (o suoi isotopi) che libera molta più energia della fissione creando una bomba ancora più potente.
L'idrogeno puro non poteva essere utilizzato per questa reazione quindi si penso di usare il deuterio con una certa percentuale di tritio. Il tritio a quel tempo (anni 50) costava circa 1.600.000 dollari al kg. La prima esplosione di una bomba H fu George, che fu anche la prima fissione sulla terra. Dopo di George esplose Mike, una bomba basata su deuterio e tritio che aveva bisogno di un sistema refrigerante che mantenesse la massa esplosiva a -250° pesante 65 tonnellate. Mike sviluppò un'energia pari a 10 megaton (10 milioni di tonnellate di tritolo) cioè mille volte la bomba sganciata su Hiroshima. Le bombe a isotopi dell'idrogeno furono presto abbandonate. Al posto dell'idrogeno si pensò di produrre bombe H con il litio-6 che, oltre ad essere solido, costava circo 70 volte di un isotopo dell'idrogeno. La prima bomba a litio-6 fu Bravo.
Questo tipo di bomba emette una grande quantità di radiazioni. La potenza di bravo è di 15 megaton, emettendo 770 volte le radiazioni di Hiroshima. Le bombe H sono le principali usate nei missili balistici americani. La massima potenza sviluppata da una bomba H è di 20 megaton.
D A N N I
Prima di tutto vogliamo smentire alcune informazioni false che vengono divulgate. Secondo qualcuno l’esplosione di una bomba N (Che è una raffinazione dalla bomba H) uccide soltanto le persone vicine al luogo di detonazione, senza intaccare gli edifici circostanti.
Gli americani hanno creato una specie di scala per definire gli effetti delle radiazioni:
Invalidità permanente immediata (IP)
Dose da 19000 a 9000 rads: il personale diventerà invalido entro 5 minuti dall'esposizione e, per qualsiasi compito, rimarrà invalido fino alla morte che avverrà entro un giorno
Invalidità immediata transitoria (IT)
Dose da 2500 a 3500 rads, il personale rimarrà invalido entro 5 minuti dall'esposizione e rimarrà in tale stato per 35-40 minuti. Il personale potrà avere quindi un certo recupero ma rimarrà funzionalmente menomato sino alla morte che avverrà entro quattro-sei giorni.
Ambedue le bombe, comunque, funzionano sequenzialmente nello stesso modo: dopo l’esplosione, si genera una palla di fuoco radioattiva che crea un’onda d’urto e di calore distruttiva.
Successivamente si genera un fenomeno depressivo inverso, che risucchia i materiali circostanti l’esplosione.
L’effetto secondario è la creazione di una nube a fungo, che genera un fall-out stratosferico o globale e una corrente convettiva che riporta in basso polveri e radiazioni.
Da quando è stata inventata la prima bomba atomica, nel 1945, l’uomo ha fatto esplodere quasi duemila ordigni allo scopo di perfezionarli e renderli sempre più distruttivi: abbiamo elaborato graficamente un elenco qui di seguito proposto, che illustra le varie parti del mondo in cui sono stati tenuti esperimenti e ne esprime numericamente la quantità.

LA BOMBA ATOMICA
il disastro di Hiroshima
L’EPILOGO - Il 26 luglio 1945 – undici giorni prima dello scoppio – le forze alleate riunite a Potsdam inviano al Giappone un’intimazione di resa che non lascia spazio ad alcuna trattativa. La capitolazione dovrà essere totale, con la perdita di tutte le conquiste territoriali a partire da quella della Manciuria avvenuta nel 1931. Per rendere più digeribile l’amaro boccone, ai sudditi dell’impero del Sol Levante viene concessa la possibilità di scegliere la futura forma di governo e di rientrare in futuro nel circuito dell’economia mondiale. Si tratta di prendere o lasciare, the alternative for Japan is prompt and utter destruction..., l’alternativa per il Giappone è la distruzione immediata e totale.
E così avvenne. Alle 8 e un quarto di quel 6 agosto di 52 anni fa il B-29 Enola Gay sgancia sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica della storia mai utilizzata in operazioni di guerra. I tecnici statunitensi hanno preparato tutto nei minimi particolari: l’esplosione dell’ordigno si deve innescare a poche centinaia di metri di altezza. Se avvenisse a terra perderebbe potere distruttivo, scavando un gigantesco cratere, mentre uno scoppio a una quota troppo alta causerebbe una dispersione radioattiva: si vuole che gli effetti devastanti di Little Boy (questo il nomignolo dato dai militari al loro gingillo) siano massimi.
Anche l’obiettivo è stato accuratamente selezionato. Hiroshima è una cavia, è come un immenso animale da laboratorio sul quale sperimentare una medicina per debellare la guerra in corso. La città presenta delle caratteristiche appetibili sotto il profilo militare: è un importante deposito di armi, all’interno della cintura urbana comprende diverse installazioni industriali e, non meno importante, le colline immediatamente alle sue spalle possono concentrare e amplificare gli effetti della deflagrazione. Ma anche la scienza vuole capire la potenzialità del nuovo ordigno. E per valutarne appieno gli effetti gli Americani hanno deciso di preservare Hiroshima dai quei bombardamenti convenzionali a base di spezzoni incendiari che negli ultimi mesi hanno invece martoriato Tokyo, Yokohama e Osaka. Nel viaggio di avvicinamento all’obiettivo i dodici uomini dell’equipaggio hanno scherzato sulla bomba che portano nella pancia del loro aereo. Sono a conoscenza del fatto che non si tratterà di un bombardamento convenzionale. Sanno che sganceranno un ordigno dalla potenza fuori dal comune, ma solo il comandante Paul Tibbets sa che quella è la bomba atomica. Informerà i suoi uomini, tra un tramezzino al prosciutto e una tazza di caffè, solo mentre giungono in vista di Hiroshima.

HIROSHIMA NELL’APOCALISSE
In quella limpida mattina d’estate la sirena dell’allarme antiaereo non entrò in funzione: l’esperienza insegnava infatti che gli aerei isolati erano quasi sempre dei ricognitori. Ma quell’unico B-29 dalla figura snella e argentea alle ore 8, 15 minuti e 17 secondi si alleggerì del suo carico di poco più di 4000 chili. E dopo altri 45 secondi “... una luce fortissima riempì l’aeroplano. La prima onda d’urto ci colpì – ricorda Tibbets –. Eravamo a diciotto chilometri e mezzo in linea d’aria dall’esplosione atomica, ma tutto l’aereo scricchiolò e cigolò per il colpo... Ci girammo a guardare Hiroshima. La città era nascosta da quella nuvola orribile, ribollente, a forma di fungo, terribile e incredibilmente alta”.
Una bambina che all’epoca aveva cinque anni ricordò: “Proprio mentre guardavo su in cielo, ci fu un lampo di luce bianca, e in quella luce il verde delle foglie prese il colore delle foglie secche”.L’immensa esplosione colse buona parte dei 350 000 abitanti in strada, mentre si stavano recando al lavoro. Fu questione di un attimo, il tempo di percepire l’immenso lampo luminoso. Nella zona dell’ipocentro la temperatura balzò in meno di un decimo di secondo a 3000-5000 °C. Ogni forma di vita nel raggio di ottocento metri svanì in seguito all’evaporazione dovuta al tremendo calore. Tutte le abitazioni vennero rase al suolo e una tempesta di fuoco spazzò il perimetro urbano fino a 3-4 chilometri dal luogo dello scoppio, provocando nella popolazione terribili ustioni. Gli effetti delle emissioni di neutroni e di raggi gamma, che si manifestano con la perdita delle difese immunitarie e con alterazioni a livello genetico, si faranno sentire sia immediatamente sia negli anni futuri. Le persone più esposte alle radiazioni moriranno per emorragie e infezioni. Nei mesi e negli anni successivi aumenteranno i casi di leucemia e il 23 % dei nati dopo lo scoppio sarà affetto da malformazioni congenite. In quel solo giorno le vittime sono più di 100 000. E saliranno a 140 000 alla fine dell’anno. A cinque anni dallo scoppio le vittime ricollegabili all'esplosione saranno ben 200 000.Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, una bomba al plutonio più potente di quella di Hiroshima ricrea la stessa terribile scena su Nagasaki. Qui moriranno 70 000 persone ma nel corso dei cinque anni successivi il bilancio arriverà a 140 000 vittime complessive.
IL PROGETTO
Al tragico epilogo si giunse dopo anni di ricerche e di studi internazionali sulla fissione nucleare. Il neutrone, una piccola particella capace di scindere ciò che fino ad allora era stato ritenuto indivisibile, cioè l’atomo, era stato scoperto fin dai primi anni Trenta. L’energia che si poteva liberare attraverso il bombardamento e la scissione dell’atomo era potenzialmente grandissima. Tuttavia, in quell’epoca ancora nessuno, neanche i più affermati studiosi, era ben consapevole di ciò che stava venendo alla luce. Lo stesso Rutherford, uno dei primi scienziati atomici, era erroneamente convinto che l’uomo non sarebbe mai riuscito ad utilizzare l’energia racchiusa nell’atomo.
Ma nuove schiere di giovani studiosi si stavano cimentando anima e corpo nella ricerca atomica. Leo Szilard, fisico teorico di origini ungheresi e allievo di Einstein all’università di Berlino, fu il primo a intuire che la liberazione di energia dall’atomo era solo questione di tempo. E che la scoperta avrebbe potuto creare non pochi problemi all’umanità: come sarebbe stata utilizzata questa potenza, ancora difficile da quantificare, ma certo grandissima? Gli uomini politici e i militari che ne avrebbero fatto? Non sarebbe stato opportuno rendere pubbliche le ricerche sull’energia atomica per evitare che qualcuno se ne impossessasse usandole a danno di altri? I tempi non erano ancora maturi. Oltretutto la scienza sperimentale vedeva come fumo negli occhi qualsiasi tentativo di limitare le ricerche facendo appello a questioni di ordine morale. L’assoluta libertà nella ricerca scientifica era considerata una grande conquista dell’età moderna. Così in Europa, da Gottinga a Roma, da Cambridge a Copenaghen era tutto un fiorire di ricerche.
FERMI SPACCA L’ATOMO DELL’URANIO - Tra gli apprendisti stregoni nella scienza dell’infinitamente piccolo c’era anche Enrico Fermi, enfant prodige della fisica italiana. Venticinquenne, nel 1926 aveva ottenuto la cattedra di fisica teorica all’Università di Roma e a partire dal 1934 aveva iniziato gli esperimenti di bombardamento con i neutroni per indurre la radioattività negli elementi. Con lui lavorava a stretto contatto di gomito un team composto da Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Oscar D’Agostino e Bruno Pontecorvo. Nell’istituto di fisica di via Panisperna, Fermi e il suo gruppo furono i primi a scindere l’atomo dell’uranio, l’elemento che sarebbe entrato come ingrediente base nella bomba atomica. L’avvento del nazismo segnò un’accelerazione negli studi. L’antisemitismo e il militarismo della dittatura hitleriana misero infatti subito in subbuglio la comunità scientifica.
E i migliori ingegni, tra i quali molti di origine ebraica, abbandonarono i posti che occupavano nelle università tedesche per raggiungere la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Appariva loro sempre più evidente che i progetti tedeschi per l’uranio, cui avevano fino a poco prima lavorato, se messi a disposizione di Hitler avrebbero potuto rivelarsi un pericolo mortale per l’umanità intera. A partire dal 1939 – il Terzo Reich aveva già occupato l’Austria e la Cecoslovacchia e si apprestava ad inghiottire, in un solo boccone, la Polonia – nel mondo scientifico occidentale, si scatenò la psicosi della bomba atomica hitleriana. E la corsa alla bomba prese ufficialmente il via.
I fisici rifugiatisi negli Stati Uniti, con Szilard e Fermi in testa, decisero di autocensurarsi per impedire che i frutti delle loro ricerche sulle reazioni nucleari cadessero in mano agli scienziati di Hitler. Ma fecero anche di più. Prima ancora che il Dipartimento di Stato americano avesse messo a fuoco il problema, Szilard e il suo maestro Albert Einstein nell’ottobre del 1939 si fecero promotori presso la Casa Bianca di una lettera con la quale chiedevano al governo di impedire la vendita alla Germania dell’uranio e di appoggiare in modo massiccio gli studi sull’energia nucleare.
I NAZISTI NON CAPIRONO - In realtà, le potenzialità della Germania di creare ordigni dalla scissione nucleare vennero ampiamente sopravvalutate: i vertici militari nazisti non avevano compreso l’uso dell’energia atomica a fini bellici – al massimo ipotizzarono l’uso dell’energia nucleare a fini propulsivi – e, cosa ben più importante, gli scienziati tedeschi che continuarono da allora e per tutto il periodo della guerra gli studi in questo settore boicottarono volontariamente le loro stesse ricerche per impedire all’industria bellica di capire il nesso tra scissione dell’atomo e bomba atomica. L’ostruzionismo degli scienziati tedeschi fu forse una delle migliori prove della resistenza interna al nazismo. Ma pochi allora lo sapevano. E la gara per la bomba partì.
Il progetto americano, dopo l’avallo di Roosevelt e Churchill, prese il via nel 1942 con il nome di Progetto Manhattan. Nella cittadella-laboratorio di Los Alamos, nel New Mexico, scienziati e militari si misero al lavoro febbrilmente per giungere al più presto alla costruzione di una bomba atomica. Un grande contributo lo diede ancora Fermi. A Chicago nel dicembre 1942 riuscì ad ottenere una reazione a catena controllata nella sua pila all’uranio. Ormai la bomba era inevitabile. L’unico mistero era rappresentato dalla potenza che un simile ordigno avrebbe potuto sprigionare. Una forza pari a 600 tonnellate di esplosivo era l’ipotesi più accreditata. Altri, ma sembrava esagerassero, parlarono di potenze superiori alle 2000 tonnellate. Non restava che provare... Finalmente, la prima esplosione nucleare sperimentale, avvenuta nel deserto del New Mexico nel luglio 1945, risolse il dubbio. La potenza distruttiva era ancora più impressionante del previsto, pari a circa 18 000 tonnellate di TNT (18 kiloton)! Era nato l’ordigno finale, quello che poteva segnare definitivamente non solo la fine del conflitto in corso ma anche quella della civiltà. I dubbi degli scienziati di Los Alamos non erano però solo di ordine tecnico. Investivano anche le coscienze. Nel 1944 il fisico danese Niels Bohr aveva preparato un memorandum per il presidente degli Stati Uniti per metterlo in guardia sulla inevitabile rincorsa nucleare che si sarebbe scatenata tra le potenze alla fine del conflitto se non si fossero predisposti dei piani di distensione.
“ATTENTI ALLA COMPETIZIONE.....”
Scrisse Bohr a Roosevelt che “la terrificante prospettiva di una competizione futura fra nazioni intorno a un’arma così formidabile potrà essere evitata solo attraverso un accordo universale basato su una vera fiducia”. Una fiducia reciproca che USA e URSS non avevano alcuna intenzione di concedere. Altri scrupoli sorsero con la resa della Germania nazista. Gli scienziati avevano promosso gli studi per la costruzione della bomba in funzione antihitleriana, ma ora che il principale nemico era sconfitto a che serviva continuare? La guerra nel teatro del Pacifico era ormai agli sgoccioli. Con la marina e l’aviazione al collasso, solo l’esercito garantiva all’impero del Sol Levante il controllo del territorio nazionale e della Manciuria. I vertici militari USA erano convinti che per la metà del 1946, con un serrato blocco navale ed un eventuale sbarco sul suo territorio metropolitano, il Giappone sarebbe stato sconfitto.
L’ipotesi di farla scoppiare in un luogo deserto, al cospetto di osservatori internazionali, per dimostrare al Giappone la terribile arma di cui gli alleati erano dotati, fu scartata. Così pure quella di comunicare in anticipo alle autorità nemiche il nome della città che sarebbe stata bombardata per consentire un suo sgombero. A fare indirettamente pressioni per il suo uso era l’opinione pubblica statunitense che, esasperata da quattro anni di guerra (nel giugno 1945 per conquistare Okinawa caddero 13 000 marines e 100 000 giapponesi), chiedeva una vittoria immediata e definitiva.
Anche le considerazioni politiche sugli assetti mondiali immediati e futuri ebbero il loro peso. La guerra nel Pacifico doveva essere una completa vittoria americana e bisognava evitare che Stalin si ritagliasse anche lì un fetta di gloria attaccando in extremis le truppe giapponesi in Cina. La determinazione nell’uso della bomba era poi un chiaro messaggio all’URSS su quale dovesse essere la potenza dominante del secondo dopoguerra. Necessità tattiche e prospettive strategiche convinsero Truman alla decisione finale.
LA PACE ARMATA
Dopo Hiroshima e Nagasaki le reazioni degli scienziati che per anni avevano lavorato alacremente al progetto Manhattan furono contrastanti. Avevano costruito la bomba atomica per paura che ci riuscisse prima la Germania, per porre fine a un conflitto che insanguinava il mondo intero da sei anni, ma anche per quel profondo desiderio di conoscenza caratteristico della razza umana e ancor più forte negli uomini di scienza.
Tutti loro erano legati in modo indissolubile all’ordigno che avevano scoperto e perfezionato. Come scienziati avevano voluto scoprire i segreti del mondo fisico, le possibilità di manipolarlo e di controllarlo. E ora che ci erano riusciti, qualcosa non funzionava. La realtà che stava dietro l’angolo era venuta alla luce: la bomba atomica poteva essere il primo passo verso la distruzione completa dell’umanità. Hiroshima stava poco a poco prendendo piede nella mentalità collettiva come la manifestazione dell’onnipotenza dell’uomo: un onnipotenza negativa, alla quale si erano sacrificati i migliori ingegni e le migliori facoltà umane. Leo Szilard, il fisico che forse per primo aveva intuito la portata militare e politica della scoperta del neutrone, disse, poche ore dopo il bombardamento di Hiroshima, che l’uso “delle bombe atomiche contro il Giappone è una delle più grandi bestialità della storia”, perché così si sarebbe dato il via a una sfrenata corsa agli armamenti atomici. Lui che nell’estate del 1939 si era recato da Einstein per chiedergli di convincere il governo statunitense a costruire una bomba atomica in funzione antinazista, era infine diventato uno degli uomini più preveggenti sul nuovo corso della storia che di lì a poco sarebbe scaturito. L’idea che d’ora in poi fosse necessario attuare un ripensamento in chiave politica nell’uso del deterrente atomico iniziò rapidamente a prendere piede un po’ tra tutti gli scienziati responsabili del progetto Manhattan. In modi più o meno evidenti, e talvolta anche in circostanze ufficiali, Oppenheimer, direttore del laboratorio di Los Alamos, Fermi e altri loro colleghi si espressero a favore di una politica di accordi internazionali in grado di evitare guerre future. Si parlò ripetutamente, come aveva già fatto a suo tempo Bohr, di incoraggiare il libero scambio della scienza e degli scienziati, di ispezioni reciproche tra USA e URSS.
VERSO L’EQUILIBRIO DEL TERRORE
Nelle università americane, a pochi mesi dalla fine della guerra, si organizzarono convegni scientifici sul controllo dell’energia atomica. In uno di questi, tenuto a Chicago nel settembre del 1945 al cospetto di autorevoli studiosi ed economisti, vennero sviscerate un gran numero di ipotesi futuribili. Tra catastrofisti e irriducibili sostenitori dell’armamento atomico, furono anche formulate delle previsioni a dir poco sorprendenti per la loro precisione: “Non ci sarà nessuna guerra preventiva – disse un relatore che mise d’accordo tutti gli scienziati – e non ci sarà un accordo internazionale che comporti delle ispezioni. L’America avrà il possesso esclusivo per un certo numero di anni e la bomba eserciterà una certa influenza sottile; sarà presente ad ogni incontro diplomatico nella coscienza dei partecipanti ed eserciterà il suo effetto. Poi, presto o tardi, anche la Russia avrà la bomba e allora si instaurerà un nuovo equilibrio. L’equilibrio della deterrenza e della minaccia nucleare”.
Cosa che puntualmente si verificò nel settembre del 1949, quando il presidente americano Truman annunciò al mondo intero l’esplosione della prima bomba atomica russa. La corsa a due iniziò così. Gli scrupoli di coscienza degli scienziati del progetto Manhatthan non riuscirono a deviare di un solo passo gli eventi. Anzi, la strategia nucleare e lo sviluppo della sua tecnologia bellica diverranno la vera e unica ossessione delle due superpotenze. Nei primi anni Cinquanta la bomba all’idrogeno, o termonucleare, sostituirà la vetusta bomba atomica. La potenza degli ordigni aumenterà a dismisura (fino a 3000 volte quella di Hiroshima) e si realizzeranno vettori (missili) sempre più precisi e capaci di portare distruzione su tutto il territorio della potenza avversaria.
UTOPISMO ALLA ROVESCIA Ha scritto un filosofo tedesco che la creazione di bombe capaci di distruggere tutto il pianeta ha fatto dell’uomo un utopista al rovescio: “Gli utopisti non sanno produrre ciò che concepiscono, noi invece non sappiamo concepire ciò che abbiamo prodotto”. L’unica consapevolezza è che oggi, a guerra fredda ormai conclusa, l’umanità non è ancora riuscita a liberarsi dell’incubo atomico. Nel mondo sono conservati quasi 48 000 ordigni nucleari, che creano problemi di stoccaggio e di smantellamento. Quintali di residui radioattivi di lavorazione aspettano di essere smaltiti, non si sa come e dove. La convivenza con i più terribili strumenti di morte che mai siano stati inventati non è destinata a finire con questo millennio.

CE
In questa ricerca tratteremo il funzionamento e le potenzialità dannose di un’arma che sfrutta un processo chimico nato per produrre energia, ma che si è rivelato produttore di catastrofi: la BOMBA ATOMICA.
Andremo prima ad analizzare le trasformazioni chimiche su cui si basa il suo funzionamento, quindi la bomba vera e propria, per poi passare infine a dimostrarne le capacità distruttive nella storia.
L’energia nucleare si basa sulle potenzialità dell’atomo, capace di generare una quantità enorme di energia.Vi sono due modi per produrre energia sfruttando gli atomi: mediante la FISSIONE NUCLEARE e la FUSIONE NUCLEARE.

LA FISSIONE NUCLEARE

La fissione dell'Uranio consente di sottolineare due aspetti essenziali di tutti i processi di fissione nucleare. In primo luogo la quantità di energia prodotta da ogni singola fissione è molto grande; in termini pratici, la reazione di 1 kg di uranio 235 sviluppa 18,7 milioni di kilowatt/ora in forma di calore. Secondo, il processo di fissione innescato dall'assorbimento di un neutrone dal primo nucleo di uranio 235 continua in modo autonomo: in seguito alla disgregazione di ciascun nucleo di uranio si creano 2 o 3 neutroni, che provocano in rapida sequenza la fissione di altrettanti nuclei di uranio 235, ciascuno dei quali a sua volta si spezza in due frammenti, con produzione di neutroni e sviluppo di energia; si realizza in questo modo un processo a catena che produce continuamente energia nucleare.
Solo lo 0,7% dell'uranio presente in natura è uranio 235; il resto è costituito dall'isotopo non fissile uranio 238, che ha una concentrazione di alcune parti per mille, talmente bassa da essere inessenziale ai fini dei processi di reazione nucleare. Una quantità qualsiasi di uranio naturale, dunque, non è in grado di sostenere una reazione a catena, poiché la percentuale di U 235, il solo isotopo in grado di dare luogo a un processo di fissione in seguito a bombardamento con neutroni, è troppo piccola. La probabilità di produzione del processo di fissione in uranio naturale può però essere aumentata fino a cento volte, se i neutroni prodotti (troppo veloci per intercettare i pochi nuclei di U 235) vengono rallentati mediante una serie di collisioni elastiche con nuclei leggeri, quali idrogeno, deuterio o carbonio. Praticamente, ciò equivale a immergere l'uranio naturale in acqua pesante, un'acqua la cui molecola è composta da ossigeno e deuterio.
Nel dicembre del 1942, all'università di Chicago, il fisico italiano Enrico Fermi riuscì a produrre la prima reazione nucleare a catena controllata, utilizzando frammenti di uranio naturale distribuiti all'interno di un blocco di grafite pura (una forma di carbonio). Nella pila, o reattore nucleare di Fermi, la grafite fungeva da moderatore per rallentare i neutroni, rendendo così possibile la reazione a catena.

L’URANIO

L’Uranio è un elemento metallico radioattivo, di simbolo U, e numero atomico 92, usato come combustibile nei reattori nucleari. L'uranio appartiene alla serie degli attinidi della tavola periodica. Fu scoperto nel 1789 dal chimico tedesco Martin Heinrich Klaproth, in un campione di pechblenda, e prese nome dal pianeta Urano.
Pastiglie di uranio
Proprietà
L'uranio fonde a circa 1132 °C, bolle a 3818 °C, ha densità relativa 19,05 alla temperatura di 25 °C, e peso atomico 238,029. Esiste in tre diverse forme cristalline: in una forma stabile a temperatura ambiente; alla temperatura di 668 °C, in una forma modificata, caratterizzata da densità leggermente minore e da cristalli tetragonali, duri e fragili. A 774 °C raggiunge la forma cubica a corpo centrato, facilmente lavorabile e plastica, resa stabile mediante l'aggiunta di piccole quantità di molibdeno.
Diffusione
In natura l'uranio non si trova allo stato libero, ma solo sotto forma di ossido o sale complesso, in minerali come la pechblenda e la carnotite. L'uranio puro è formato per più del 99% dall'isotopo uranio 238, meno dell'1% dall'isotopo fissile uranio 235 e da tracce di uranio 234.
Estrazione
Yellow Cake
Il metodo classico di estrazione dell'uranio prevede che la pechblenda venga triturata e mescolata con acido solforico e nitrico. L'uranio si scioglie e forma il solfato di uranile, mentre il radio e gli altri metalli del minerale vengono precipitati come solfati. Aggiungendo idrossido di sodio, si precipita il diuranato di sodio (Na2U2O7 · 6H2O), noto anche come ossido giallo di uranio (yellow cake). Per ottenere l'uranio dalla carnotite, il minerale viene finemente polverizzato e mescolato con soda e potassa calde, che sciolgono l'uranio, il radio e il vanadio. Dopo aver eliminato le sabbie inutili, il composto viene trattato con acido solforico e cloruro di bario. Una soluzione caustica e alcalina aggiunta al liquido precipita l'uranio e il radio in forma concentrata.
I minerali di uranio sono presenti in tutto il mondo; in particolare, depositi di pechblenda, il minerale più ricco di uranio, si trovano principalmente in Canada, Repubblica democratica del Congo e Stati Uniti. La maggior parte dell'uranio degli Stati Uniti deriva dalla carnotite presente in Colorado, Utah, New Mexico, Arizona e Wyoming. Un minerale detto coffinite, scoperto nel 1955 in Colorado, contiene fino al 61% di uranio. Depositi di coffinite si trovano in Wyoming e Arizona.
Usi
Dopo la scoperta della fissione nucleare, l'uranio divenne un metallo di importanza strategica, utilizzato principalmente per la produzione di energia nei reattori nucleari e nelle armi nucleari.
LA FUSIONE NUCLEARE

Oltre che nel processo di fissione di un nucleo pesante, anche nel processo di fusione di due nuclei leggeri si sviluppa energia nucleare. L'energia irradiata dal Sole , ad esempio, si sprigiona per le reazioni di fusione tra nuclei di idrogeno che avvengono all'interno della stella.
La prima fusione nucleare artificiale fu realizzata all'inizio degli anni Trenta, mediante il bombardamento di un bersaglio di deuterio, con nuclei di deuterio ad alta energia accelerati da un ciclotrone; ma, poiché era richiesta molta energia per accelerare i nuclei, l’energia prodotta fu molto meno di quella consumata. Un rilascio di energia positivo fu ottenuto per la prima volta negli anni Cinquanta, con le sperimentazioni sulle armi nucleari da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia. In questo caso il bilancio energetico fu positivo, ma il rilascio di energia fu breve e incontrollato, e non fu quindi utilizzabile per la produzione di elettricità.
A rendere particolarmente difficile la fusione nucleare è il fatto che il processo avviene per unione di due particelle, che per potersi avvicinare devono vincere la naturale repulsione, causata dalle cariche elettriche uguali. Per avvicinare le particelle bisogna dar loro molta energia, riscaldando del gas reagente fino alla temperatura di 50 milioni di gradi. In un gas costituito dagli isotopi pesanti dell'idrogeno, deuterio e tritio, ogni evento di fusione

rilascia un'energia pari a 17,6 MeV, che si manifesta dapprima come energia cinetica del nucleo di elio 4 e del neutrone prodotti, e quindi si trasforma in energia termica, determinando un rapido riscaldamento del gas circostante.
I due maggiori problemi tecnici della realizzazione della fusione nucleare su larga scala sono il riscaldamento del gas ad altissima temperatura, e il confinamento dei nuclei reagenti.
Un problema complesso è anche quello della cattura dell'energia sprigionata e della sua conversione in elettricità. Per temperature superiori ai 100.000 °C, gli atomi di idrogeno sono completamente ionizzati. Il gas reagente si trova cioè nello stato della materia detto plasma, che consiste in una miscela di cariche libere positive e negative, complessivamente neutra. Perché il processo sia efficiente è necessario confinare il plasma entro uno spazio ridotto, così da aumentare il più possibile il numero degli eventi di fusione. Per confinare il plasma si possono usare due tecniche.
Il confinamento magnetico si basa sulla reazione deuterio-trizio; il plasma è racchiuso in un reattore a forma di ciambella e isolato da un fortissimo campo magnetico. Anche se non vengono prodotte scorie radioattive, nel reattore c’è radioattività, per l’emissione di neutroni.
Il confinamento inerziale si basa sulla reazione deuterio-deuterio, che è più pulito di quello deuterio-trizio. Si ottiene colpendo delle piccole masse di deuterio con dei raggi laser, che produrrebbero delle piccole esplosioni di fusione.
In seguito ai successi degli esperimenti condotti in diversi laboratori con piccoli tokamak, all'inizio degli anni Ottanta ne vennero costruiti due di grandi dimensioni, di cui uno all'università di Princeton, negli Stati Uniti, e l'altro nell'ex Unione Sovietica.
Le ricerche nel campo della fusione fanno progressi, ma la prospettiva di un utilizzo pratico di questa fonte di energia pare ancora lontana.
I vantaggi dell'energia ricavata dalla fusione, quando si riuscirà a trovare il metodo efficace per produrla e renderla utilizzabile, saranno:
Una fonte inesauribile di combustibile (il deuterio dell'oceano);
Un basso rischio di incidente all'interno del reattore, che conterrebbe quantità minime di combustibile;
Residui molto meno radioattivi di quelli della fissione.

LA BOMBA ATOMICA
P r e m e s s a
Prima che venisse sviluppata la prima bomba atomica, gli scienziati si resero conto della possibilità di sfruttare una reazione diversa dal processo di fissione come fonte di energia nucleare; se ne rese conto per primo Albert Einstein, come dimostra la lettera spedita al presidente degli Stati Uniti Roosevelt. Invece di utilizzare l'energia liberata dalla reazione a catena del materiale fissile, le armi nucleari possono sfruttare l'energia sviluppata dalla fusione di elementi leggeri, ad esempio gli isotopi di atomi come l'idrogeno, che si uniscono a formarne uno più pesante (per questa ragione le armi basate sulle reazioni di fusione nucleare sono spesso chiamate bombe all'idrogeno, o bombe H). Dei tre isotopi dell'idrogeno esistenti, i due più pesanti, cioè il deuterio e il trizio, sono più instabili e quindi si combinano più facilmente per formare elio. Anche se la quantità di energia liberata per singola reazione nucleare è minore nel processo di fusione che in quello di fissione, 0,5 kg del materiale con peso atomico inferiore contengono un numero di atomi di gran lunga maggiore.
La prima bomba nucleare fu sperimentata il 16 luglio 1945 nel New Messico.Si chiamava bomba A e sfruttava la forza contenuta nel nucleo di Uranio o Plutonio, nei quali veniva innescato il processo di fissione nucleare; a differenza dei reattori nucleari per la produzione di energia, nelle bombe atomiche l'energia viene prodotta istantaneamente e in modo altamente esplosivo.
COME FUNZIONA
La bomba atomica di tipo A (a fissione) si basa sul fatto che se un elettrone colpisce un atomo di un materiale pesante quest'ultimo si fraziona in due parti e in più libera due elettroni che mantengono la reazione a catena e soprattutto libera un'energia enorme. Nel uranio che si trova in natura questa reazione avviene naturalmente ma viene frenata del fatto che, essendo l'uranio non completamente puro, la reazione si ferma immediatamente e solo pochi atomi si trasformano in energia. Poi c'è da considerare il fatto che molti elettroni riescono a sfuggire dalla pezzo di uranio (Questa reazione da la radioattività).
Nelle bombe nucleari si ha uranio purissimo e parzialmente modificato da precedenti reazioni nucleari, c'è anche da contare il fatto che quest'uranio deve avere un volume abbastanza grosso da tamponare la dispersione di elettroni e, anche se dopo ripetuti interventi, l'uranio mantiene sempre un po' di scorie che impedisco la reazione. Quando la massa del nostro materiale radioattivo sale abbastanza da assicurare un equilibrio tra le reazioni avvenute e quelle fallite si dice che la massa è critica, cioè che può provocare una reazione a catena capace di far esplodere l'oggetto. Nelle bombe nucleari i due pezzi dello stesso oggetto si trovano distanti tra loro e solo nel momento in cui viene innescata le due parti si uniscono dando luogo a un'esplosione nucleare.
Ci sono due modi di trasformare una massa subcritica in una critica o anche ipercritica:
Il metodo balistico: le due metà del materiale esplosivo sono ai capi di un cilindro in mezzo a loro c'è il vuoto. Quando la bombo viene innescata esplodono due cariche di esplosivo convenzionale che scagliano le due metà una contro l'altra. Di colpo le due meta compongono una massa ipercritica compressa che automaticamente esplode. Questo metodo si può utilizzare solo se si utilizza uranio-235. Questo tipo di bomba è stata usata nella seconda guerra mondiale Hiroshima e Nagasaki.
Il secondo metodo si basa sul fatto che una massa subcritica, se fortemente compressa, può trasformarsi in una massa critica o ipercritica. Questo tipo di bomba è di forma sferica, nel centro di essa c'è il materiale fissibile (uranio-235 o plutonio), nello strato sotto la corazza c'è invece dell'esplosivo chimico. Quando viene innescata l'esplosivo esplode creando un’onda d'urto verso il centro della bomba che comprime molto rapidamente il materiale fissibile finche non raggiunge una massa ipercritica e quindi esplode.
Un metodo per ridurre la massa e far uso di un riflettore che non è altro che uno strato di un materiale che riflette gli elettroni in modo da limitare le fughe. Una bomba nucleare composta da uranio 235 e 238 il peso senza riflettore è di 48km, invece, con il riflettore, la massa si abbassa fino a raggiungere i 21kg.
Invece le bombe atomiche di tipo H si basano sul principio contrario alla fissione, cioè la fusione. Per innescare la reazione della fusione ci vogliono enormi temperature che si ottengono soltanto nelle più potenti bombe A. Allora si è escogitato un metodo per cui la reazione nucleare viene innescata da una bomba A che innesca la fusione tra atomi di idrogeno (o suoi isotopi) che libera molta più energia della fissione creando una bomba ancora più potente.
L'idrogeno puro non poteva essere utilizzato per questa reazione quindi si penso di usare il deuterio con una certa percentuale di tritio. Il tritio a quel tempo (anni 50) costava circa 1.600.000 dollari al kg. La prima esplosione di una bomba H fu George, che fu anche la prima fissione sulla terra. Dopo di George esplose Mike, una bomba basata su deuterio e tritio che aveva bisogno di un sistema refrigerante che mantenesse la massa esplosiva a -250° pesante 65 tonnellate. Mike sviluppò un'energia pari a 10 megaton (10 milioni di tonnellate di tritolo) cioè mille volte la bomba sganciata su Hiroshima. Le bombe a isotopi dell'idrogeno furono presto abbandonate. Al posto dell'idrogeno si pensò di produrre bombe H con il litio-6 che, oltre ad essere solido, costava circo 70 volte di un isotopo dell'idrogeno. La prima bomba a litio-6 fu Bravo.
Questo tipo di bomba emette una grande quantità di radiazioni. La potenza di bravo è di 15 megaton, emettendo 770 volte le radiazioni di Hiroshima. Le bombe H sono le principali usate nei missili balistici americani. La massima potenza sviluppata da una bomba H è di 20 megaton.
D A N N I
Prima di tutto vogliamo smentire alcune informazioni false che vengono divulgate. Secondo qualcuno l’esplosione di una bomba N (Che è una raffinazione dalla bomba H) uccide soltanto le persone vicine al luogo di detonazione, senza intaccare gli edifici circostanti.
Gli americani hanno creato una specie di scala per definire gli effetti delle radiazioni:
Invalidità permanente immediata (IP)
Dose da 19000 a 9000 rads: il personale diventerà invalido entro 5 minuti dall'esposizione e, per qualsiasi compito, rimarrà invalido fino alla morte che avverrà entro un giorno
Invalidità immediata transitoria (IT)
Dose da 2500 a 3500 rads, il personale rimarrà invalido entro 5 minuti dall'esposizione e rimarrà in tale stato per 35-40 minuti. Il personale potrà avere quindi un certo recupero ma rimarrà funzionalmente menomato sino alla morte che avverrà entro quattro-sei giorni.
Ambedue le bombe, comunque, funzionano sequenzialmente nello stesso modo: dopo l’esplosione, si genera una palla di fuoco radioattiva che crea un’onda d’urto e di calore distruttiva.
Successivamente si genera un fenomeno depressivo inverso, che risucchia i materiali circostanti l’esplosione.
L’effetto secondario è la creazione di una nube a fungo, che genera un fall-out stratosferico o globale e una corrente convettiva che riporta in basso polveri e radiazioni.
Da quando è stata inventata la prima bomba atomica, nel 1945, l’uomo ha fatto esplodere quasi duemila ordigni allo scopo di perfezionarli e renderli sempre più distruttivi: abbiamo elaborato graficamente un elenco qui di seguito proposto, che illustra le varie parti del mondo in cui sono stati tenuti esperimenti e ne esprime numericamente la quantità.

LA BOMBA ATOMICA
il disastro di Hiroshima
L’EPILOGO - Il 26 luglio 1945 – undici giorni prima dello scoppio – le forze alleate riunite a Potsdam inviano al Giappone un’intimazione di resa che non lascia spazio ad alcuna trattativa. La capitolazione dovrà essere totale, con la perdita di tutte le conquiste territoriali a partire da quella della Manciuria avvenuta nel 1931. Per rendere più digeribile l’amaro boccone, ai sudditi dell’impero del Sol Levante viene concessa la possibilità di scegliere la futura forma di governo e di rientrare in futuro nel circuito dell’economia mondiale. Si tratta di prendere o lasciare, the alternative for Japan is prompt and utter destruction..., l’alternativa per il Giappone è la distruzione immediata e totale.
E così avvenne. Alle 8 e un quarto di quel 6 agosto di 52 anni fa il B-29 Enola Gay sgancia sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica della storia mai utilizzata in operazioni di guerra. I tecnici statunitensi hanno preparato tutto nei minimi particolari: l’esplosione dell’ordigno si deve innescare a poche centinaia di metri di altezza. Se avvenisse a terra perderebbe potere distruttivo, scavando un gigantesco cratere, mentre uno scoppio a una quota troppo alta causerebbe una dispersione radioattiva: si vuole che gli effetti devastanti di Little Boy (questo il nomignolo dato dai militari al loro gingillo) siano massimi.
Anche l’obiettivo è stato accuratamente selezionato. Hiroshima è una cavia, è come un immenso animale da laboratorio sul quale sperimentare una medicina per debellare la guerra in corso. La città presenta delle caratteristiche appetibili sotto il profilo militare: è un importante deposito di armi, all’interno della cintura urbana comprende diverse installazioni industriali e, non meno importante, le colline immediatamente alle sue spalle possono concentrare e amplificare gli effetti della deflagrazione. Ma anche la scienza vuole capire la potenzialità del nuovo ordigno. E per valutarne appieno gli effetti gli Americani hanno deciso di preservare Hiroshima dai quei bombardamenti convenzionali a base di spezzoni incendiari che negli ultimi mesi hanno invece martoriato Tokyo, Yokohama e Osaka. Nel viaggio di avvicinamento all’obiettivo i dodici uomini dell’equipaggio hanno scherzato sulla bomba che portano nella pancia del loro aereo. Sono a conoscenza del fatto che non si tratterà di un bombardamento convenzionale. Sanno che sganceranno un ordigno dalla potenza fuori dal comune, ma solo il comandante Paul Tibbets sa che quella è la bomba atomica. Informerà i suoi uomini, tra un tramezzino al prosciutto e una tazza di caffè, solo mentre giungono in vista di Hiroshima.

HIROSHIMA NELL’APOCALISSE
In quella limpida mattina d’estate la sirena dell’allarme antiaereo non entrò in funzione: l’esperienza insegnava infatti che gli aerei isolati erano quasi sempre dei ricognitori. Ma quell’unico B-29 dalla figura snella e argentea alle ore 8, 15 minuti e 17 secondi si alleggerì del suo carico di poco più di 4000 chili. E dopo altri 45 secondi “... una luce fortissima riempì l’aeroplano. La prima onda d’urto ci colpì – ricorda Tibbets –. Eravamo a diciotto chilometri e mezzo in linea d’aria dall’esplosione atomica, ma tutto l’aereo scricchiolò e cigolò per il colpo... Ci girammo a guardare Hiroshima. La città era nascosta da quella nuvola orribile, ribollente, a forma di fungo, terribile e incredibilmente alta”.
Una bambina che all’epoca aveva cinque anni ricordò: “Proprio mentre guardavo su in cielo, ci fu un lampo di luce bianca, e in quella luce il verde delle foglie prese il colore delle foglie secche”.L’immensa esplosione colse buona parte dei 350 000 abitanti in strada, mentre si stavano recando al lavoro. Fu questione di un attimo, il tempo di percepire l’immenso lampo luminoso. Nella zona dell’ipocentro la temperatura balzò in meno di un decimo di secondo a 3000-5000 °C. Ogni forma di vita nel raggio di ottocento metri svanì in seguito all’evaporazione dovuta al tremendo calore. Tutte le abitazioni vennero rase al suolo e una tempesta di fuoco spazzò il perimetro urbano fino a 3-4 chilometri dal luogo dello scoppio, provocando nella popolazione terribili ustioni. Gli effetti delle emissioni di neutroni e di raggi gamma, che si manifestano con la perdita delle difese immunitarie e con alterazioni a livello genetico, si faranno sentire sia immediatamente sia negli anni futuri. Le persone più esposte alle radiazioni moriranno per emorragie e infezioni. Nei mesi e negli anni successivi aumenteranno i casi di leucemia e il 23 % dei nati dopo lo scoppio sarà affetto da malformazioni congenite. In quel solo giorno le vittime sono più di 100 000. E saliranno a 140 000 alla fine dell’anno. A cinque anni dallo scoppio le vittime ricollegabili all'esplosione saranno ben 200 000.Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, una bomba al plutonio più potente di quella di Hiroshima ricrea la stessa terribile scena su Nagasaki. Qui moriranno 70 000 persone ma nel corso dei cinque anni successivi il bilancio arriverà a 140 000 vittime complessive.
IL PROGETTO
Al tragico epilogo si giunse dopo anni di ricerche e di studi internazionali sulla fissione nucleare. Il neutrone, una piccola particella capace di scindere ciò che fino ad allora era stato ritenuto indivisibile, cioè l’atomo, era stato scoperto fin dai primi anni Trenta. L’energia che si poteva liberare attraverso il bombardamento e la scissione dell’atomo era potenzialmente grandissima. Tuttavia, in quell’epoca ancora nessuno, neanche i più affermati studiosi, era ben consapevole di ciò che stava venendo alla luce. Lo stesso Rutherford, uno dei primi scienziati atomici, era erroneamente convinto che l’uomo non sarebbe mai riuscito ad utilizzare l’energia racchiusa nell’atomo.
Ma nuove schiere di giovani studiosi si stavano cimentando anima e corpo nella ricerca atomica. Leo Szilard, fisico teorico di origini ungheresi e allievo di Einstein all’università di Berlino, fu il primo a intuire che la liberazione di energia dall’atomo era solo questione di tempo. E che la scoperta avrebbe potuto creare non pochi problemi all’umanità: come sarebbe stata utilizzata questa potenza, ancora difficile da quantificare, ma certo grandissima? Gli uomini politici e i militari che ne avrebbero fatto? Non sarebbe stato opportuno rendere pubbliche le ricerche sull’energia atomica per evitare che qualcuno se ne impossessasse usandole a danno di altri? I tempi non erano ancora maturi. Oltretutto la scienza sperimentale vedeva come fumo negli occhi qualsiasi tentativo di limitare le ricerche facendo appello a questioni di ordine morale. L’assoluta libertà nella ricerca scientifica era considerata una grande conquista dell’età moderna. Così in Europa, da Gottinga a Roma, da Cambridge a Copenaghen era tutto un fiorire di ricerche.
FERMI SPACCA L’ATOMO DELL’URANIO - Tra gli apprendisti stregoni nella scienza dell’infinitamente piccolo c’era anche Enrico Fermi, enfant prodige della fisica italiana. Venticinquenne, nel 1926 aveva ottenuto la cattedra di fisica teorica all’Università di Roma e a partire dal 1934 aveva iniziato gli esperimenti di bombardamento con i neutroni per indurre la radioattività negli elementi. Con lui lavorava a stretto contatto di gomito un team composto da Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Oscar D’Agostino e Bruno Pontecorvo. Nell’istituto di fisica di via Panisperna, Fermi e il suo gruppo furono i primi a scindere l’atomo dell’uranio, l’elemento che sarebbe entrato come ingrediente base nella bomba atomica. L’avvento del nazismo segnò un’accelerazione negli studi. L’antisemitismo e il militarismo della dittatura hitleriana misero infatti subito in subbuglio la comunità scientifica.
E i migliori ingegni, tra i quali molti di origine ebraica, abbandonarono i posti che occupavano nelle università tedesche per raggiungere la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Appariva loro sempre più evidente che i progetti tedeschi per l’uranio, cui avevano fino a poco prima lavorato, se messi a disposizione di Hitler avrebbero potuto rivelarsi un pericolo mortale per l’umanità intera. A partire dal 1939 – il Terzo Reich aveva già occupato l’Austria e la Cecoslovacchia e si apprestava ad inghiottire, in un solo boccone, la Polonia – nel mondo scientifico occidentale, si scatenò la psicosi della bomba atomica hitleriana. E la corsa alla bomba prese ufficialmente il via.
I fisici rifugiatisi negli Stati Uniti, con Szilard e Fermi in testa, decisero di autocensurarsi per impedire che i frutti delle loro ricerche sulle reazioni nucleari cadessero in mano agli scienziati di Hitler. Ma fecero anche di più. Prima ancora che il Dipartimento di Stato americano avesse messo a fuoco il problema, Szilard e il suo maestro Albert Einstein nell’ottobre del 1939 si fecero promotori presso la Casa Bianca di una lettera con la quale chiedevano al governo di impedire la vendita alla Germania dell’uranio e di appoggiare in modo massiccio gli studi sull’energia nucleare.
I NAZISTI NON CAPIRONO - In realtà, le potenzialità della Germania di creare ordigni dalla scissione nucleare vennero ampiamente sopravvalutate: i vertici militari nazisti non avevano compreso l’uso dell’energia atomica a fini bellici – al massimo ipotizzarono l’uso dell’energia nucleare a fini propulsivi – e, cosa ben più importante, gli scienziati tedeschi che continuarono da allora e per tutto il periodo della guerra gli studi in questo settore boicottarono volontariamente le loro stesse ricerche per impedire all’industria bellica di capire il nesso tra scissione dell’atomo e bomba atomica. L’ostruzionismo degli scienziati tedeschi fu forse una delle migliori prove della resistenza interna al nazismo. Ma pochi allora lo sapevano. E la gara per la bomba partì.
Il progetto americano, dopo l’avallo di Roosevelt e Churchill, prese il via nel 1942 con il nome di Progetto Manhattan. Nella cittadella-laboratorio di Los Alamos, nel New Mexico, scienziati e militari si misero al lavoro febbrilmente per giungere al più presto alla costruzione di una bomba atomica. Un grande contributo lo diede ancora Fermi. A Chicago nel dicembre 1942 riuscì ad ottenere una reazione a catena controllata nella sua pila all’uranio. Ormai la bomba era inevitabile. L’unico mistero era rappresentato dalla potenza che un simile ordigno avrebbe potuto sprigionare. Una forza pari a 600 tonnellate di esplosivo era l’ipotesi più accreditata. Altri, ma sembrava esagerassero, parlarono di potenze superiori alle 2000 tonnellate. Non restava che provare... Finalmente, la prima esplosione nucleare sperimentale, avvenuta nel deserto del New Mexico nel luglio 1945, risolse il dubbio. La potenza distruttiva era ancora più impressionante del previsto, pari a circa 18 000 tonnellate di TNT (18 kiloton)! Era nato l’ordigno finale, quello che poteva segnare definitivamente non solo la fine del conflitto in corso ma anche quella della civiltà. I dubbi degli scienziati di Los Alamos non erano però solo di ordine tecnico. Investivano anche le coscienze. Nel 1944 il fisico danese Niels Bohr aveva preparato un memorandum per il presidente degli Stati Uniti per metterlo in guardia sulla inevitabile rincorsa nucleare che si sarebbe scatenata tra le potenze alla fine del conflitto se non si fossero predisposti dei piani di distensione.
“ATTENTI ALLA COMPETIZIONE.....”
Scrisse Bohr a Roosevelt che “la terrificante prospettiva di una competizione futura fra nazioni intorno a un’arma così formidabile potrà essere evitata solo attraverso un accordo universale basato su una vera fiducia”. Una fiducia reciproca che USA e URSS non avevano alcuna intenzione di concedere. Altri scrupoli sorsero con la resa della Germania nazista. Gli scienziati avevano promosso gli studi per la costruzione della bomba in funzione antihitleriana, ma ora che il principale nemico era sconfitto a che serviva continuare? La guerra nel teatro del Pacifico era ormai agli sgoccioli. Con la marina e l’aviazione al collasso, solo l’esercito garantiva all’impero del Sol Levante il controllo del territorio nazionale e della Manciuria. I vertici militari USA erano convinti che per la metà del 1946, con un serrato blocco navale ed un eventuale sbarco sul suo territorio metropolitano, il Giappone sarebbe stato sconfitto.
L’ipotesi di farla scoppiare in un luogo deserto, al cospetto di osservatori internazionali, per dimostrare al Giappone la terribile arma di cui gli alleati erano dotati, fu scartata. Così pure quella di comunicare in anticipo alle autorità nemiche il nome della città che sarebbe stata bombardata per consentire un suo sgombero. A fare indirettamente pressioni per il suo uso era l’opinione pubblica statunitense che, esasperata da quattro anni di guerra (nel giugno 1945 per conquistare Okinawa caddero 13 000 marines e 100 000 giapponesi), chiedeva una vittoria immediata e definitiva.
Anche le considerazioni politiche sugli assetti mondiali immediati e futuri ebbero il loro peso. La guerra nel Pacifico doveva essere una completa vittoria americana e bisognava evitare che Stalin si ritagliasse anche lì un fetta di gloria attaccando in extremis le truppe giapponesi in Cina. La determinazione nell’uso della bomba era poi un chiaro messaggio all’URSS su quale dovesse essere la potenza dominante del secondo dopoguerra. Necessità tattiche e prospettive strategiche convinsero Truman alla decisione finale.
LA PACE ARMATA
Dopo Hiroshima e Nagasaki le reazioni degli scienziati che per anni avevano lavorato alacremente al progetto Manhattan furono contrastanti. Avevano costruito la bomba atomica per paura che ci riuscisse prima la Germania, per porre fine a un conflitto che insanguinava il mondo intero da sei anni, ma anche per quel profondo desiderio di conoscenza caratteristico della razza umana e ancor più forte negli uomini di scienza.
Tutti loro erano legati in modo indissolubile all’ordigno che avevano scoperto e perfezionato. Come scienziati avevano voluto scoprire i segreti del mondo fisico, le possibilità di manipolarlo e di controllarlo. E ora che ci erano riusciti, qualcosa non funzionava. La realtà che stava dietro l’angolo era venuta alla luce: la bomba atomica poteva essere il primo passo verso la distruzione completa dell’umanità. Hiroshima stava poco a poco prendendo piede nella mentalità collettiva come la manifestazione dell’onnipotenza dell’uomo: un onnipotenza negativa, alla quale si erano sacrificati i migliori ingegni e le migliori facoltà umane. Leo Szilard, il fisico che forse per primo aveva intuito la portata militare e politica della scoperta del neutrone, disse, poche ore dopo il bombardamento di Hiroshima, che l’uso “delle bombe atomiche contro il Giappone è una delle più grandi bestialità della storia”, perché così si sarebbe dato il via a una sfrenata corsa agli armamenti atomici. Lui che nell’estate del 1939 si era recato da Einstein per chiedergli di convincere il governo statunitense a costruire una bomba atomica in funzione antinazista, era infine diventato uno degli uomini più preveggenti sul nuovo corso della storia che di lì a poco sarebbe scaturito. L’idea che d’ora in poi fosse necessario attuare un ripensamento in chiave politica nell’uso del deterrente atomico iniziò rapidamente a prendere piede un po’ tra tutti gli scienziati responsabili del progetto Manhattan. In modi più o meno evidenti, e talvolta anche in circostanze ufficiali, Oppenheimer, direttore del laboratorio di Los Alamos, Fermi e altri loro colleghi si espressero a favore di una politica di accordi internazionali in grado di evitare guerre future. Si parlò ripetutamente, come aveva già fatto a suo tempo Bohr, di incoraggiare il libero scambio della scienza e degli scienziati, di ispezioni reciproche tra USA e URSS.
VERSO L’EQUILIBRIO DEL TERRORE
Nelle università americane, a pochi mesi dalla fine della guerra, si organizzarono convegni scientifici sul controllo dell’energia atomica. In uno di questi, tenuto a Chicago nel settembre del 1945 al cospetto di autorevoli studiosi ed economisti, vennero sviscerate un gran numero di ipotesi futuribili. Tra catastrofisti e irriducibili sostenitori dell’armamento atomico, furono anche formulate delle previsioni a dir poco sorprendenti per la loro precisione: “Non ci sarà nessuna guerra preventiva – disse un relatore che mise d’accordo tutti gli scienziati – e non ci sarà un accordo internazionale che comporti delle ispezioni. L’America avrà il possesso esclusivo per un certo numero di anni e la bomba eserciterà una certa influenza sottile; sarà presente ad ogni incontro diplomatico nella coscienza dei partecipanti ed eserciterà il suo effetto. Poi, presto o tardi, anche la Russia avrà la bomba e allora si instaurerà un nuovo equilibrio. L’equilibrio della deterrenza e della minaccia nucleare”.
Cosa che puntualmente si verificò nel settembre del 1949, quando il presidente americano Truman annunciò al mondo intero l’esplosione della prima bomba atomica russa. La corsa a due iniziò così. Gli scrupoli di coscienza degli scienziati del progetto Manhatthan non riuscirono a deviare di un solo passo gli eventi. Anzi, la strategia nucleare e lo sviluppo della sua tecnologia bellica diverranno la vera e unica ossessione delle due superpotenze. Nei primi anni Cinquanta la bomba all’idrogeno, o termonucleare, sostituirà la vetusta bomba atomica. La potenza degli ordigni aumenterà a dismisura (fino a 3000 volte quella di Hiroshima) e si realizzeranno vettori (missili) sempre più precisi e capaci di portare distruzione su tutto il territorio della potenza avversaria.
UTOPISMO ALLA ROVESCIA Ha scritto un filosofo tedesco che la creazione di bombe capaci di distruggere tutto il pianeta ha fatto dell’uomo un utopista al rovescio: “Gli utopisti non sanno produrre ciò che concepiscono, noi invece non sappiamo concepire ciò che abbiamo prodotto”. L’unica consapevolezza è che oggi, a guerra fredda ormai conclusa, l’umanità non è ancora riuscita a liberarsi dell’incubo atomico. Nel mondo sono conservati quasi 48 000 ordigni nucleari, che creano problemi di stoccaggio e di smantellamento. Quintali di residui radioattivi di lavorazione aspettano di essere smaltiti, non si sa come e dove. La convivenza con i più terribili strumenti di morte che mai siano stati inventati non è destinata a finire con questo millennio.

Esempio



  


  1. alberta.toschi

    Sto cercando appunti per l'esame di terza media energia nucleare , centrali nucleari cernobyl