Il nucleare nello spazio

Materie:Appunti
Categoria:Fisica

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Testo

Energia nucleare nello spazio
Paolo Farinella
Università degli Studi di Pisa
Unione Scienziati per il Disarmo (USPID)
Scorie radittive nello spazio
Ormai da trent'anni l'energia nucleare e` di uso comune nello spazio, per applicazioni tanto civili che militari. Diversamente da quello che si legge in molti romanzi di fantascienza e dai sogni dei pionieri degli anni 50 e 60 (in parte ripresi per un breve periodo, in versione "guerre stellari", nell'ambito delle ricerche SDI degli anni 80), l'energia nucleare non e' pero' stata mai usata per sostituire i motori a razzo di tipo chimico come strumento di propulsione, un'impresa che finora e' sempre sembrata tecnologicamente assai ardua.
Piuttosto, l'energia nucleare e` stata utilizzata come efficiente fonte di energia elettrica per permettere il funzionamento di tutti gli apparati di bordo che costituiscono il "carico pagante" di ogni navicella spaziale. Per le sonde interplanetarie inviate ad esplorare la parte esterna del sistema solare, alla sorgente di energia nucleare non c'e` alternativa, visto che gia` alla distanza di Giove il flusso di energia solare e` 25 volte meno intenso che vicino alla Terra. Per i satelliti terrestri, l'energia solare (raccolta con appositi "pannelli" e convertita in energia elettrica con un'efficienza intorno al 10%) rappresenta invece normalmente la soluzione ottimale; fanno eccezione i satelliti che hanno bisogno di consumare in modo continuativo forti quantita` di energia, come quelli usati a lungo dall'URSS per sorvegliare le unita` navali occidentali emettendo dai radar di bordo intensi fasci di microonde (i cosiddetti satelliti "Rorsat").
L'energia nucleare puo` venir generata attraverso due tipi di tecnologia: i generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG), in cui il decadimento radioattivo di materiali come l'uranio arricchito e il plutonio genera calore, poi convertito in energia elettrica; e i veri e propri reattori nucleari, che generano enegia tramite una reazione a catena, come nelle centrali elettronucleari o meglio (viste le piccole dimensioni) nelle navi e nei sottomarini a propulsione nucleare. Nella storia delle attivita` spaziali, gli USA hanno sfruttato soprattuto gli RTG (lanciando in tutto 24 veicoli spaziali equipaggiati con essi; oltre la meta`, pero', verso la Luna o altri pianeti), l'URSS e poi la Russia i reattori (almeno in 36 casi). Due esemplari dell'ultimo modello di reattore nucleare spaziale russo, il Topaz, sono stati acquistati nel 1992 dagli USA per 13 milioni di dollari, ma non e' chiaro se essi verranno mai utilizzati. La possibile vendita da parte russa di tali reattori ad altri paesi in futuro non e' da escludere.
Queste tecnologie pongono vari problemi, e sono anche fonte di un tipo particolare di rischio ambientale. In primo luogo, accade talvolta che satelliti con materiale radioattivo a bordo possano rientrare nell'atmosfera e poi sulla superficie terrestre in modo "incontrollato"). Tali incidenti si sono gia` verificati diverse volte: il caso piu` preoccupante e` stato quello, avvenuto nel 1978, del Cosmos 954, un satellite Rorsat sovietico in avaria i cui pezzi caddero su una vasta porzione dei Territori del Nordovest canadesi, provocando un livello misurabile di inquinamento radioattivo. Fortunatamente la zona era pressoche` disabitata, ma l'URSS dovette risarcire al Canada le spese sostenute per la ricerca e l'eliminazione dei frammenti inquinanti. In altri due casi (nel 1983 e 1988), satelliti dello stesso tipo minacciarono di ricadere in modo incontrollato, ma le procedure di sucurezza funzionarono meglio (in un caso il satellite cadde nell'oceano, nell'altro la parte contenente il reattore in extremis fu separata e spostata su un'orbita piu' elevata), e quindi non vi furono significativi danni ambientali. Questi incidenti hanno tuttavia causato un notevole allarme pubblico, amplificato anche oltre misura dai media, e di conseguenza la NASA ha incontrato negli ultimi anni una certa opposizione da parte di gruppi di ambientalisti per lanciare sonde spaziali con RTG a bordo: la preoccupazione era che un incidente durante il lancio dello shuttle (come quello che distrusse il Challenger nel 1986) potesse far ricadere a Terra e disperdere nell'ambiente il plutonio (una decina di kg) contenuto negli RTG. In realta` le misure di sicurezza adottate attualmente sembrano rendere questo rischio estremamente remoto.
Un altro problema deriva dal fatto che i reattori nucleari orbitanti in attivita` sono molto dannosi per le ricerche astronomiche condotte dallo spazio, in particolare quelle realizzate con strumenti sensibili alle radiazioni X e gamma, in quanto le sorgenti naturali di queste radiazioni possono facilmente venir "oscurate" o rese irriconoscibili dalle radiazioni parassite generate dai reattori stessi. Per questo motivo, negli anni scorsi la comunita` scientifica (per esempio tramite l'Unione Astronomica Internazionale) ha piu` volte espresso una netta opposizione all'uso di reattori nucleari nello spazio, per scopi tanto civili che militari.
Le possibili applicazioni militari dell'energia nucleare spaziale sollevano anche preoccupazioni di tipo piu` generale. Anche se i progetti di "stazioni da battaglia" spaziali elaborati nell'ambito della SDI sembrano tramontati, non bisogna dimenticare che i reattori nucleari sono una componente primaria di ogni sistema d'arma basato nello spazio che contempli l'impiego di forti quantita` di energia; e sebbene le applicazioni militari delle tecnologie spaziali siano da decenni routine (come nel caso dei Rorsat), finora nessun paese ha sviluppato vere e proprie "armi spaziali" in grado di colpire e danneggiare satelliti o missili di potenziali avversari, e questa prospettiva e` oggi considerata quasi universalmente come pericolosa e destabilizzante.
Scorie radiottive nello spazio
Infine, il problema forse piu` grave a lungo termine riguarda il possibile "inquinamento" irreversibile dell'ambiente spaziale. La procedura standard usata dai militari russi per evitare che i satelliti Rorsat ricadano sulla Terra con il loro carico radioattivo alla fine della loro vita operativa e` quella (che non funziono' a dovere nei casi sopra citati) di staccarne per tempo la parte contenente il reattore ed immetterla su un'orbita piu' alta, a 700-1000 km di quota. Anche se questa procedura rinvia di diversi secoli il problema del rientro a Terra, essa introduce un pericolo d'altro tipo: tra i 700 e i 1000 km di quota e` infatti massima la concentrazione di "detriti" orbitanti, ossia di frammenti e altri piccoli corpi di origine artificiale generati a migliaia nel corso di decenni di attivita` spaziali. Poiche' alle velocita` orbitali (dell'ordine di 10 km/s) un frammento da un grammo ha l'energia di una bomba a mano, l'impatto tra uno di questi "proiettili" e un reattore esaurito porterebbe alla frammentazione esplosiva di questo, e (entro qualche anno) alla crezione di un "guscio" di frammenti radioattivi intorno all'intero pianeta: una prospettiva non certo attraente per il futuro delle attivita` spaziali, ma purtroppo non del tutto improbabile.
Notizie recenti ("International Herald Tribune", 27/2/1995) hanno rivelato che l'inquinamento dell'ambiente circumterrestre provocato dai reattori nucleari orbitanti sovietici/russi e` probabilmente gia` cominciato, anche se per un motivo inatteso. Un gruppo di ricecatori della NASA ha infatti identificato l'origine di alcuni misteriosi sciami di piccoli "detriti spaziali", osservati da Terra negli ultimi anni, nelle perdite di liquido refrigerante da parte dei reattori nucleari russi orbitanti intorno ai 1000 km di quota. Si tratta di almeno 70.000 particelle osservabili dai radar terrestri, di dimensioni comprese fra i 0,6 e i 2 centimetri, e di un numero certamente molto maggiore di particelle piu` piccole, non osservabili direttamente. Il rischio posto da questi oggetti non non deriva tanto dalla loro radioattivita`, quanto alla velocita` con cui essi si muovono in orbita rispetto agli altri oggetti orbitanti (circa 10 km/secondo, cioe' 36.000 km/h). Tale rischio non riguarda la vita degli astronauti, ma il possibile danneggiamento di satelliti artificiali gia` orbitanti attualmente o ancora da lanciare nello stesso "guscio" di spazio; per questi ultimi, si rendera` forse necessario adottare spesse e costose corazze di protezione rispetto a impatti fortuiti con i detriti.
Il problema dei detriti spaziali e` noto da tempo: un impatto con un "proiettile" grande 1 cm puo' danneggiare irreparabilmente un grosso satellite, e anche particelle grandi qualche millimetro possono metterne fuori uso le parti piu' delicate, come i sensori, le antenne o i pannelli solari. In alcuni casi questo e` probabilmente gia` accaduto; inoltre alcuni anni fa un finestrino dello space shuttle fu incrinato dall'urto di una particella grande solo alcuni decimi di millimetro. Recenti simulazioni al calcolatore sull'evoluzione futura della popolazione di detriti orbitanti, realizzate da un gruppo di ricercatori italiani (A. Rossi et al., "Journal of Geophysical Research", vol. 99, pp. 23.195-23.210, 1994) hanno mostrato che se non si correra` rapidamente ai ripari, alle quote intorno agli 800-1000 e 1400-1500 km potrebbe innescarsi entro il prossimo secolo una sorta di reazione a catena: una collisione abbastanza violenta da ridurre in pezzi un grosso razzo o satellite genera infatti migliaia di frammenti, che diventano nuovi potenziali proiettili capaci di distruggere altri satelliti. Le quote sopra citate sono quelle piu` popolate di satelliti sia civili che militari per la navigazione, la meteorologia, la sorveglianza e l'osservazione della superficie terrestre; l'attrito dei residui atmosferici allo stesso tempo e` cosi' ridotto che le particelle presenti ricadono verso Terra soltanto su tempi di decenni o di secoli. Questo processo di inquinamento irreversibile dell'ambiente spaziale potrebbe ora essere accelerato dalle particelle rilasciate dai reattori nucleari russi, anche se probabilmente le dimensioni della maggioranza di esse sono sufficienti a danneggiare i satelliti, ma non a frammentarli completamente.
Le perdite dei reattori nucleari russi sono provocate dal fatto che i liquidi refrigeranti in essi contenuti (un miscuglio di sodio e potassio in forma metallica liquida) sono fortemente corrosivi, e hanno probabilmente forato i serbatoi che in origine li contenevano. Il fatto che le particelle siano liquide invece che solide non influenza la loro capacita` distruttiva durante gli impatti, che e` dovuta solo alla loro energia cinetica (cioe' alla massa e alla velocita`). Esperti russi hanno confermato che le perdite dai reattori erano da attendersi, e che solo una piccola frazione dei liquidi originari e' finora fuoriuscita nello spazio esterno. Si teme percio` che la situazione possa peggiorare nei prossimi anni o decenni.
Questi problemi hanno fatto si` che l'idea di regolamentare a livello internazionale l'uso dell'energia nucleare nello spazio abbia gia` fatto qualche passo significativo. Le esplosioni nucleari sperimentali e la stessa presenza nello spazio di armi di distruzione di massa sono vietate dal Trattato sui Test Nucleari del 1963 e dal Trattato sugli Usi Pacifici dello Spazio fin dal 1967. Piu' di recente, nel 1992, l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato un documento (U.N.G.A. Res. 47/68) contenente una serie di "guidelines" relative all'utilizzo nello spazio di reattori e RTG, volte soprattutto ad aumentarne la sicurezza e ad assicurare la massima trasparenza nel loro impiego -- in particolare, in caso di anomalie od incidenti. Queste "guidelines" saranno riviste periodicamente, e se necessario completate e aggiornate; esse pero' sono applicabili solo a sistemi e tipi di missione spaziale simili a quelli realizzati attualmente, ed escludono esplicitamente possibili sistemi nucleari per la propulsione.
A giudizio di molti esperti, tra cui chi scrive, sarebbe opportuno concludere accordi internazionali piu` estesi e piu' vincolanti su questa materia, pur senza giungere al bando totale dell'energia nucleare nello spazio, che danneggerebbe in modo sensibile la ricerca scientifica ed escluderebbe anche missioni praticamente prive di rischi, come le sonde dirette verso lo "spazio profondo". Si potrebbe per esempio bandire la messa in orbita di satelliti con sistemi nucleari a bordo soltanto al di sotto di una certa quota (2000-3000 km), pur permettendo in questa zona "proibita" il transito o l'assemblaggio di sonde con sistemi nucleari a bordo e dirette verso l'esterno, sotto il vincolo del rispetto di adeguate misure di sicurezza. Un tale accordo sarebbe facilmente verificabile (i sistemi nucleari emettono radiazioni infrarosse caratteristiche, facilmente rilevabili anche da Terra), ridurrebbe a un livello minimo i rischi ambientali sia per la Terra che per lo spazio circumterrestre, limiterebbe drasticamente le possibili applicazioni militari della tecnologia nucleare spaziale e renderebbe assai piu` semplice evitare interferenze negative con la ricerca astronomica: tutto questo senza danneggiare gli attuali programmi per l'esplorazione del sistema solare e neppure lo sviluppo, in un futuro piu` o meno lontano, di "motori nucleari" per astronavi di grosse dimensioni dirette verso altri pianeti. Alcuni anni fa la delegazione italiana presso la Conferenza multilaterale per il Disarmo (C.D.) delle Nazioni Unite a Ginevra ha fatto propria e presentato ufficialmente una proposta del genere: sarebbe ora auspicabile che l'Italia premesse in questa ed in altre sedi internazionali per arrivare a risultati concreti in questo settore.

Energia nucleare nello spazio
Paolo Farinella
Università degli Studi di Pisa
Unione Scienziati per il Disarmo (USPID)
Scorie radittive nello spazio
Ormai da trent'anni l'energia nucleare e` di uso comune nello spazio, per applicazioni tanto civili che militari. Diversamente da quello che si legge in molti romanzi di fantascienza e dai sogni dei pionieri degli anni 50 e 60 (in parte ripresi per un breve periodo, in versione "guerre stellari", nell'ambito delle ricerche SDI degli anni 80), l'energia nucleare non e' pero' stata mai usata per sostituire i motori a razzo di tipo chimico come strumento di propulsione, un'impresa che finora e' sempre sembrata tecnologicamente assai ardua.
Piuttosto, l'energia nucleare e` stata utilizzata come efficiente fonte di energia elettrica per permettere il funzionamento di tutti gli apparati di bordo che costituiscono il "carico pagante" di ogni navicella spaziale. Per le sonde interplanetarie inviate ad esplorare la parte esterna del sistema solare, alla sorgente di energia nucleare non c'e` alternativa, visto che gia` alla distanza di Giove il flusso di energia solare e` 25 volte meno intenso che vicino alla Terra. Per i satelliti terrestri, l'energia solare (raccolta con appositi "pannelli" e convertita in energia elettrica con un'efficienza intorno al 10%) rappresenta invece normalmente la soluzione ottimale; fanno eccezione i satelliti che hanno bisogno di consumare in modo continuativo forti quantita` di energia, come quelli usati a lungo dall'URSS per sorvegliare le unita` navali occidentali emettendo dai radar di bordo intensi fasci di microonde (i cosiddetti satelliti "Rorsat").
L'energia nucleare puo` venir generata attraverso due tipi di tecnologia: i generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG), in cui il decadimento radioattivo di materiali come l'uranio arricchito e il plutonio genera calore, poi convertito in energia elettrica; e i veri e propri reattori nucleari, che generano enegia tramite una reazione a catena, come nelle centrali elettronucleari o meglio (viste le piccole dimensioni) nelle navi e nei sottomarini a propulsione nucleare. Nella storia delle attivita` spaziali, gli USA hanno sfruttato soprattuto gli RTG (lanciando in tutto 24 veicoli spaziali equipaggiati con essi; oltre la meta`, pero', verso la Luna o altri pianeti), l'URSS e poi la Russia i reattori (almeno in 36 casi). Due esemplari dell'ultimo modello di reattore nucleare spaziale russo, il Topaz, sono stati acquistati nel 1992 dagli USA per 13 milioni di dollari, ma non e' chiaro se essi verranno mai utilizzati. La possibile vendita da parte russa di tali reattori ad altri paesi in futuro non e' da escludere.
Queste tecnologie pongono vari problemi, e sono anche fonte di un tipo particolare di rischio ambientale. In primo luogo, accade talvolta che satelliti con materiale radioattivo a bordo possano rientrare nell'atmosfera e poi sulla superficie terrestre in modo "incontrollato"). Tali incidenti si sono gia` verificati diverse volte: il caso piu` preoccupante e` stato quello, avvenuto nel 1978, del Cosmos 954, un satellite Rorsat sovietico in avaria i cui pezzi caddero su una vasta porzione dei Territori del Nordovest canadesi, provocando un livello misurabile di inquinamento radioattivo. Fortunatamente la zona era pressoche` disabitata, ma l'URSS dovette risarcire al Canada le spese sostenute per la ricerca e l'eliminazione dei frammenti inquinanti. In altri due casi (nel 1983 e 1988), satelliti dello stesso tipo minacciarono di ricadere in modo incontrollato, ma le procedure di sucurezza funzionarono meglio (in un caso il satellite cadde nell'oceano, nell'altro la parte contenente il reattore in extremis fu separata e spostata su un'orbita piu' elevata), e quindi non vi furono significativi danni ambientali. Questi incidenti hanno tuttavia causato un notevole allarme pubblico, amplificato anche oltre misura dai media, e di conseguenza la NASA ha incontrato negli ultimi anni una certa opposizione da parte di gruppi di ambientalisti per lanciare sonde spaziali con RTG a bordo: la preoccupazione era che un incidente durante il lancio dello shuttle (come quello che distrusse il Challenger nel 1986) potesse far ricadere a Terra e disperdere nell'ambiente il plutonio (una decina di kg) contenuto negli RTG. In realta` le misure di sicurezza adottate attualmente sembrano rendere questo rischio estremamente remoto.
Un altro problema deriva dal fatto che i reattori nucleari orbitanti in attivita` sono molto dannosi per le ricerche astronomiche condotte dallo spazio, in particolare quelle realizzate con strumenti sensibili alle radiazioni X e gamma, in quanto le sorgenti naturali di queste radiazioni possono facilmente venir "oscurate" o rese irriconoscibili dalle radiazioni parassite generate dai reattori stessi. Per questo motivo, negli anni scorsi la comunita` scientifica (per esempio tramite l'Unione Astronomica Internazionale) ha piu` volte espresso una netta opposizione all'uso di reattori nucleari nello spazio, per scopi tanto civili che militari.
Le possibili applicazioni militari dell'energia nucleare spaziale sollevano anche preoccupazioni di tipo piu` generale. Anche se i progetti di "stazioni da battaglia" spaziali elaborati nell'ambito della SDI sembrano tramontati, non bisogna dimenticare che i reattori nucleari sono una componente primaria di ogni sistema d'arma basato nello spazio che contempli l'impiego di forti quantita` di energia; e sebbene le applicazioni militari delle tecnologie spaziali siano da decenni routine (come nel caso dei Rorsat), finora nessun paese ha sviluppato vere e proprie "armi spaziali" in grado di colpire e danneggiare satelliti o missili di potenziali avversari, e questa prospettiva e` oggi considerata quasi universalmente come pericolosa e destabilizzante.
Scorie radiottive nello spazio
Infine, il problema forse piu` grave a lungo termine riguarda il possibile "inquinamento" irreversibile dell'ambiente spaziale. La procedura standard usata dai militari russi per evitare che i satelliti Rorsat ricadano sulla Terra con il loro carico radioattivo alla fine della loro vita operativa e` quella (che non funziono' a dovere nei casi sopra citati) di staccarne per tempo la parte contenente il reattore ed immetterla su un'orbita piu' alta, a 700-1000 km di quota. Anche se questa procedura rinvia di diversi secoli il problema del rientro a Terra, essa introduce un pericolo d'altro tipo: tra i 700 e i 1000 km di quota e` infatti massima la concentrazione di "detriti" orbitanti, ossia di frammenti e altri piccoli corpi di origine artificiale generati a migliaia nel corso di decenni di attivita` spaziali. Poiche' alle velocita` orbitali (dell'ordine di 10 km/s) un frammento da un grammo ha l'energia di una bomba a mano, l'impatto tra uno di questi "proiettili" e un reattore esaurito porterebbe alla frammentazione esplosiva di questo, e (entro qualche anno) alla crezione di un "guscio" di frammenti radioattivi intorno all'intero pianeta: una prospettiva non certo attraente per il futuro delle attivita` spaziali, ma purtroppo non del tutto improbabile.
Notizie recenti ("International Herald Tribune", 27/2/1995) hanno rivelato che l'inquinamento dell'ambiente circumterrestre provocato dai reattori nucleari orbitanti sovietici/russi e` probabilmente gia` cominciato, anche se per un motivo inatteso. Un gruppo di ricecatori della NASA ha infatti identificato l'origine di alcuni misteriosi sciami di piccoli "detriti spaziali", osservati da Terra negli ultimi anni, nelle perdite di liquido refrigerante da parte dei reattori nucleari russi orbitanti intorno ai 1000 km di quota. Si tratta di almeno 70.000 particelle osservabili dai radar terrestri, di dimensioni comprese fra i 0,6 e i 2 centimetri, e di un numero certamente molto maggiore di particelle piu` piccole, non osservabili direttamente. Il rischio posto da questi oggetti non non deriva tanto dalla loro radioattivita`, quanto alla velocita` con cui essi si muovono in orbita rispetto agli altri oggetti orbitanti (circa 10 km/secondo, cioe' 36.000 km/h). Tale rischio non riguarda la vita degli astronauti, ma il possibile danneggiamento di satelliti artificiali gia` orbitanti attualmente o ancora da lanciare nello stesso "guscio" di spazio; per questi ultimi, si rendera` forse necessario adottare spesse e costose corazze di protezione rispetto a impatti fortuiti con i detriti.
Il problema dei detriti spaziali e` noto da tempo: un impatto con un "proiettile" grande 1 cm puo' danneggiare irreparabilmente un grosso satellite, e anche particelle grandi qualche millimetro possono metterne fuori uso le parti piu' delicate, come i sensori, le antenne o i pannelli solari. In alcuni casi questo e` probabilmente gia` accaduto; inoltre alcuni anni fa un finestrino dello space shuttle fu incrinato dall'urto di una particella grande solo alcuni decimi di millimetro. Recenti simulazioni al calcolatore sull'evoluzione futura della popolazione di detriti orbitanti, realizzate da un gruppo di ricercatori italiani (A. Rossi et al., "Journal of Geophysical Research", vol. 99, pp. 23.195-23.210, 1994) hanno mostrato che se non si correra` rapidamente ai ripari, alle quote intorno agli 800-1000 e 1400-1500 km potrebbe innescarsi entro il prossimo secolo una sorta di reazione a catena: una collisione abbastanza violenta da ridurre in pezzi un grosso razzo o satellite genera infatti migliaia di frammenti, che diventano nuovi potenziali proiettili capaci di distruggere altri satelliti. Le quote sopra citate sono quelle piu` popolate di satelliti sia civili che militari per la navigazione, la meteorologia, la sorveglianza e l'osservazione della superficie terrestre; l'attrito dei residui atmosferici allo stesso tempo e` cosi' ridotto che le particelle presenti ricadono verso Terra soltanto su tempi di decenni o di secoli. Questo processo di inquinamento irreversibile dell'ambiente spaziale potrebbe ora essere accelerato dalle particelle rilasciate dai reattori nucleari russi, anche se probabilmente le dimensioni della maggioranza di esse sono sufficienti a danneggiare i satelliti, ma non a frammentarli completamente.
Le perdite dei reattori nucleari russi sono provocate dal fatto che i liquidi refrigeranti in essi contenuti (un miscuglio di sodio e potassio in forma metallica liquida) sono fortemente corrosivi, e hanno probabilmente forato i serbatoi che in origine li contenevano. Il fatto che le particelle siano liquide invece che solide non influenza la loro capacita` distruttiva durante gli impatti, che e` dovuta solo alla loro energia cinetica (cioe' alla massa e alla velocita`). Esperti russi hanno confermato che le perdite dai reattori erano da attendersi, e che solo una piccola frazione dei liquidi originari e' finora fuoriuscita nello spazio esterno. Si teme percio` che la situazione possa peggiorare nei prossimi anni o decenni.
Questi problemi hanno fatto si` che l'idea di regolamentare a livello internazionale l'uso dell'energia nucleare nello spazio abbia gia` fatto qualche passo significativo. Le esplosioni nucleari sperimentali e la stessa presenza nello spazio di armi di distruzione di massa sono vietate dal Trattato sui Test Nucleari del 1963 e dal Trattato sugli Usi Pacifici dello Spazio fin dal 1967. Piu' di recente, nel 1992, l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato un documento (U.N.G.A. Res. 47/68) contenente una serie di "guidelines" relative all'utilizzo nello spazio di reattori e RTG, volte soprattutto ad aumentarne la sicurezza e ad assicurare la massima trasparenza nel loro impiego -- in particolare, in caso di anomalie od incidenti. Queste "guidelines" saranno riviste periodicamente, e se necessario completate e aggiornate; esse pero' sono applicabili solo a sistemi e tipi di missione spaziale simili a quelli realizzati attualmente, ed escludono esplicitamente possibili sistemi nucleari per la propulsione.
A giudizio di molti esperti, tra cui chi scrive, sarebbe opportuno concludere accordi internazionali piu` estesi e piu' vincolanti su questa materia, pur senza giungere al bando totale dell'energia nucleare nello spazio, che danneggerebbe in modo sensibile la ricerca scientifica ed escluderebbe anche missioni praticamente prive di rischi, come le sonde dirette verso lo "spazio profondo". Si potrebbe per esempio bandire la messa in orbita di satelliti con sistemi nucleari a bordo soltanto al di sotto di una certa quota (2000-3000 km), pur permettendo in questa zona "proibita" il transito o l'assemblaggio di sonde con sistemi nucleari a bordo e dirette verso l'esterno, sotto il vincolo del rispetto di adeguate misure di sicurezza. Un tale accordo sarebbe facilmente verificabile (i sistemi nucleari emettono radiazioni infrarosse caratteristiche, facilmente rilevabili anche da Terra), ridurrebbe a un livello minimo i rischi ambientali sia per la Terra che per lo spazio circumterrestre, limiterebbe drasticamente le possibili applicazioni militari della tecnologia nucleare spaziale e renderebbe assai piu` semplice evitare interferenze negative con la ricerca astronomica: tutto questo senza danneggiare gli attuali programmi per l'esplorazione del sistema solare e neppure lo sviluppo, in un futuro piu` o meno lontano, di "motori nucleari" per astronavi di grosse dimensioni dirette verso altri pianeti. Alcuni anni fa la delegazione italiana presso la Conferenza multilaterale per il Disarmo (C.D.) delle Nazioni Unite a Ginevra ha fatto propria e presentato ufficialmente una proposta del genere: sarebbe ora auspicabile che l'Italia premesse in questa ed in altre sedi internazionali per arrivare a risultati concreti in questo settore.

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