Galileo e la caduta dei gravi

Materie:Appunti
Categoria:Fisica

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Testo

Galileo Galilei
Galileo Galilei, astronomo, matematico, fisico e filosofo italiano (Pisa 1564-Arcetri 1642). Ebbe la sua prima formazione culturale a carattere prevalentemente umanistico-letterario. Nel 1581, su consiglio del padre, si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa, dove ebbe soprattutto modo di impadronirsi della fisica aristotelica ; Galileo Galilei, infatti, non mostrò mai particolare interesse per gli studi di medicina che abbandonò definitivamente nel 1585. In precedenza aveva iniziato lo studio della matematica sotto la guida di O. Ricci, che lo avviò alla lettura delle grandi opere dei Greci, in particolare di Archimede dal quale derivò una concezione pratica e strumentale della matematica, tipica di tutto il suo pensiero successivo. Lasciata l'università senza aver conseguito alcun titolo di studio, tornò a Firenze, dove stese i suoi primi scritti nei quali alternò l'interesse letterario con quello scientifico. Nel 1589 ottenne la cattedra di matematica all'Università di Pisa. Mentre nelle lezioni si atteneva agli argomenti tradizionali, privatamente Galilei proseguiva le ricerche sull'isocronismo del pendolo (la cui prima intuizione ebbe nel 1583, mentre, secondo la tradizione, si trovava nel duomo di Pisa), le esperienze sulla caduta dei gravi e soprattutto gli studi sul problema del moto, anche alla luce della teoria dell'impeto che, aveva raggiunto un'ampia diffusione in Italia. La morte del padre, le ristrettezze economiche e l'ostilità dell'ambiente accademico lo indussero a cercare e a ottenere la cattedra di matematica all'Università di Padova, dove restò diciotto anni in un "ambiente vivo e stimolante" cui la Serenissima garantiva un'ampia libertà di pensiero. Le ricerche di Galilei in quegli anni si svolsero in diverse direzioni. Innanzitutto si occupò di questioni pratiche di immediata utilità civile e militare per la Repubblica Veneta. Affrontò anche problemi attinenti i fenomeni elettrici e magnetici con particolare riguardo alle calamite. Svolse nel frattempo regolari lezioni di orientamento decisamente tolemaico. Ma al centro dei suoi interessi furono la dinamica e questioni teoriche d'astronomia. Nel 1604 in una lettera a P. Sarpi diede la prima imprecisa formulazione della legge di caduta dei gravi (la lettera è riportata a pag.4) . Per quanto riguarda l'astronomia, nel 1597, in due lettere indirizzate a Jacopo Mazzoni e a Keplero, ebbe modo di dichiarare la sua avvenuta adesione alle tesi copernicane. Un'autentica svolta avvenne nel 1609 quando la sua attenzione fu attratta dalla notizia dell'invenzione del cannocchiale: Costruito e perfezionato lo strumento, Galilei ne valutò appieno le possibilità e l'utilizzò per osservazioni astronomiche che lo portarono alla scoperta del carattere montuoso della Luna, dei quattro satelliti di Giove, della Via Lattea come un ammasso di "minutissime stelle" e delle fasi di Venere. L'importanza di queste scoperte, accrebbe enormemente la fama di Galilei pur provocando la reazione dei teologi contro la teoria copernicana, considerata eretica perché in contraddizione con quanto si afferma nella Bibbia. Galilei difese la sua posizione scientifica, ma ormai la Chiesa si avviava a prendere posizione contro le teorie copernicane e contro di lui. Agli inizi del 1616 furono condannate le due proposizioni sul moto della Terra e sulla stabilità del Sole, venne proibita la lettura dell'opera di Copernico, in attesa di revisione, e Galilei fu ammonito a non "professare, difendere, insegnare, sia oralmente che per iscritto" le tesi condannate. A questa amara sconfitta seguirono anni di silenzio interrotto solo dalla partecipazione indiretta di Galilei alla polemica con il gesuita Orazio Grassi sulla natura delle comete, in seguito alla quale scrisse Il Saggiatore. Al di là dell'errata interpretazione del fenomeno delle comete presentato in tale opera, Il Saggiatore è di grandissimo interesse sia per le questioni generali affrontate, sia per la esposizione estremamente chiara dei suoi criteri metodologici. Favorevolmente impressionato dal benevolo accoglimento dell'opera da parte del pontefice, Galilei decise di condurre a termine la grande opera cui da lungo tempo pensava, destinata, a fare il punto sulla controversa questione dei sistemi astronomici. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo fu ultimato nel 1630. In tale opera vengono messi a confronto i due grandi sistemi astronomici tolemaico e copernicano. La meccanica di Aristotele usciva dal Dialogo decisamente compromessa e veniva delineata una nuova meccanica, in grado di assegnare consistenza fisica e reale all'"ipotesi" copernicana. Le reazioni furono immediate e violente: Galilei venne convocato a Roma dall'Inquisizione. Inutili furono le sue difese: per l'istruttoria prima, per il processo poi, Galilei si era reso "vehementemente sospetto d'heresia". Galilei, costretto ad abiurare, fu condannato alla prigione a vita nella sua villa di Arcetri. Il grande scienziato si spense l'8 gennaio 1642.
Il nucleo centrale della ricerca galileiana è rappresentato dalla dinamica che, Galilei "tenne a battesimo". Se anche in Galilei non vengono date in modo esplicito le formulazioni delle tre leggi, quali si ritrovano in Newton, è a lui che si deve il superamento delle antiche concezioni e la precisazione dei concetti base della dinamica. Vanno inoltre ricordati: i suoi studi sul magnetismo; le indagini di idrostatica; le ricerche sulle oscillazioni del pendolo, che lo portarono a osservazioni sui fenomeni acustici, in particolare sulla risonanza e sugli intervalli musicali; le ricerche sulla resistenza e sulla forza di macchine e la formulazione della legge di caduta dei gravi.
LA LEGGE DI GALILEI SULLA CADUTA DEI GRAVI
Le celebri esperienze sulla caduta dei gravi, effettuate da Galilei operando sia dalla sommità della torre di Pisa, sia utilizzando il piano inclinato, lo portarono a dedurre
l' indipendenza del valore dell' accelerazione di gravità
(g ~= 9,8 metri/secondo2 ) dalla massa M del corpo in caduta libera, qualora si possano ritenere trascurabili gli effetti prodotti dalle forze aerodinamiche(resistenza dell'aria).
Quando infatti gli esperimenti sulla caduta libera dei gravi vengono effettuati nel vuoto, per esempio lasciando cadere due corpi con masse diverse in un tubo di vetro dal quale sia stata estratta l'aria mediante una pompa (il cosiddetto tubo di Newton), si verifica l'uguaglianza dei tempi di caduta libera nel campo di gravità.
Ricordiamo in proposito l'esperimento eseguito sulla superficie lunare dagli astronauti statunitensi di una delle prime missioni Apollo.
In quell'occasione, dopo avere riscontrato l' uguaglianza dei tempi di caduta libera di due corpi con masse diverse nel vuoto dell' ambiente lunare, esclamarono: "Aveva ragione Signor Galileo".
Possiamo rendercene conto lasciando cadere da un' altezza H di qualche metro due sferette aventi lo stesso raggio e masse diverse, per esempio una sferetta di ferro ed un' altra di materiale plastico, e verificando l'uguaglianza dei tempi di caduta libera Tc.
Essendo il moto delle sferette naturalmente accelerato, cioè con accelerazione costante g , si ha: H = (1/2) g Tc2, da cui si ottiene Tc estraendo la radice quadrata di (2H/g).
Dalla verifica dell' uguaglianza dei tempi di caduta libera, si deduce l'identità dell'accelerazione di gravità per i due corpi.
Se invece, per evidenziare l'effetto della resistenza dell'aria, si ripetesse l'esperimento utilizzando due sfere aventi la stessa massa, ma raggi molto diversi, per esempio con rapporto 1/10, si rileverebbe un tempo di caduta sensibilmente maggiore per la sfera più grande, la quale, avendo una superficie 100 volte maggiore, sarebbe soggetta ad una resistenza aerodinamica 100 volte maggiore, e quindi cadrebbe con una minore accelerazione di gravità.
In questo caso non si può applicare il principio di Galileo dell'indipendenza dell'accelerazione di caduta libera dalla massa del corpo, poichè questo, diversamente da quanto si verifica nel vuoto, è soggetto sia alla forza di gravità che alla resistenza aerodinamica.
Lettera di Galileo a Paolo Sarpi
Padova, 16 Ottobre 1604.
Molto Rev.do Sig.re et Pad.ne Col.mo
Ripensando circa le cose del moto, nelle quali, per dimostrare li accidenti da me osservati, mi mancava principio totalmente indubitabile da poter porlo per assioma, mi son ridotto ad una proposizione la quale ha molto del naturale et dell'evidente; et questa supposta, dimostro poi il resto, cioè gli spazzii passati dal moto naturale esser in proporzione doppia dei tempi, et per conseguenza gli spazii passati in tempi eguali esser come i numeri impari ab unitate, et le altre cose. Et il principio è questo: che il mobile naturale vadia crescendo di velocità con quella proportione che si discosta dal principio del suo moto; come, v. g., cadendo il grave dal termine a per la linea abcd, suppongo che il grado di velocità che ha in c al grado di velocità che hebbe in b esser come la distanza ca alla distanza ba, et così conseguentemente in d haver grado di velocità maggiore che in c secondo che la distanza da è maggiore della ca.
Haverò caro che V. S. molto R.da lo consideri un poco et me ne dica il suo parere. Et se accettiamo questo principio, non pur dimostriamo, come ho detto, le altre conclusioni, ma credo che haviamo anco assai in mano per mostrare che il cadente naturale et il proietto violento passino per le medesime proporzioni di velocità. Imperò che se il proietto vien gettato dal termine d al termine a, è manifesto che nel punto d ha grado di impeto potente a spingerlo sino al termine a, et non più et quando il medesimo proietto è in c, è chiaro che è congiunto con grado di impeto potente a spingerlo sino al medesimo termine a; et parimente il grado d'impeto in b basta per spingerlo in a: onde è manifesto, l'impeto nei punti d, c, h andar decrescendo secondo le proporzioni delle linee da, ca, ba; onde, se secondo le medesime va nella caduta naturale, aqquistando gradi di velocità, è vero quanto ho detto et creduto sin qui.
Quanto all'esperienza della freccia, credo che nel cadere aqquisterà pari forza a quella con che fu spinta, come con altri esempi parleremo a bocca, bisognandomi esser costà avanti Ognisanti. Intanto la prego a pensare un poco sopra il predetto principio.
Quanto all'altro problema proposto da lei, credo che i medesimi mobili riceveranno ambedue la medesima virtù, la quale però non opererà in ambedue il medesimo effetto: come, v. g., il medesimo huomo, vogando, communica la sua virtù ad una gondola et ad una peotta, sendo l'una et l'altra capace anco di maggiore; ma non segue nell'una et nell'altra il medesimo effetto circa la velocità o distanza d'intervallo per lo quale si muovino.
Scrivo al scuro: questo poco basti più per satisfare al debito della risposta che al debito della soluzione, rimettendomi a parlarne a bocca in breve. Et con ogni reverenza li bacio le mani.
Di Padova, li 16 di Ortobre 1604.
Di V. S. molto R.da
Ser.re Oblig.mo
GALILEO GALILEI.
1
Galileo Galilei
Galileo Galilei, astronomo, matematico, fisico e filosofo italiano (Pisa 1564-Arcetri 1642). Ebbe la sua prima formazione culturale a carattere prevalentemente umanistico-letterario. Nel 1581, su consiglio del padre, si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa, dove ebbe soprattutto modo di impadronirsi della fisica aristotelica ; Galileo Galilei, infatti, non mostrò mai particolare interesse per gli studi di medicina che abbandonò definitivamente nel 1585. In precedenza aveva iniziato lo studio della matematica sotto la guida di O. Ricci, che lo avviò alla lettura delle grandi opere dei Greci, in particolare di Archimede dal quale derivò una concezione pratica e strumentale della matematica, tipica di tutto il suo pensiero successivo. Lasciata l'università senza aver conseguito alcun titolo di studio, tornò a Firenze, dove stese i suoi primi scritti nei quali alternò l'interesse letterario con quello scientifico. Nel 1589 ottenne la cattedra di matematica all'Università di Pisa. Mentre nelle lezioni si atteneva agli argomenti tradizionali, privatamente Galilei proseguiva le ricerche sull'isocronismo del pendolo (la cui prima intuizione ebbe nel 1583, mentre, secondo la tradizione, si trovava nel duomo di Pisa), le esperienze sulla caduta dei gravi e soprattutto gli studi sul problema del moto, anche alla luce della teoria dell'impeto che, aveva raggiunto un'ampia diffusione in Italia. La morte del padre, le ristrettezze economiche e l'ostilità dell'ambiente accademico lo indussero a cercare e a ottenere la cattedra di matematica all'Università di Padova, dove restò diciotto anni in un "ambiente vivo e stimolante" cui la Serenissima garantiva un'ampia libertà di pensiero. Le ricerche di Galilei in quegli anni si svolsero in diverse direzioni. Innanzitutto si occupò di questioni pratiche di immediata utilità civile e militare per la Repubblica Veneta. Affrontò anche problemi attinenti i fenomeni elettrici e magnetici con particolare riguardo alle calamite. Svolse nel frattempo regolari lezioni di orientamento decisamente tolemaico. Ma al centro dei suoi interessi furono la dinamica e questioni teoriche d'astronomia. Nel 1604 in una lettera a P. Sarpi diede la prima imprecisa formulazione della legge di caduta dei gravi (la lettera è riportata a pag.4) . Per quanto riguarda l'astronomia, nel 1597, in due lettere indirizzate a Jacopo Mazzoni e a Keplero, ebbe modo di dichiarare la sua avvenuta adesione alle tesi copernicane. Un'autentica svolta avvenne nel 1609 quando la sua attenzione fu attratta dalla notizia dell'invenzione del cannocchiale: Costruito e perfezionato lo strumento, Galilei ne valutò appieno le possibilità e l'utilizzò per osservazioni astronomiche che lo portarono alla scoperta del carattere montuoso della Luna, dei quattro satelliti di Giove, della Via Lattea come un ammasso di "minutissime stelle" e delle fasi di Venere. L'importanza di queste scoperte, accrebbe enormemente la fama di Galilei pur provocando la reazione dei teologi contro la teoria copernicana, considerata eretica perché in contraddizione con quanto si afferma nella Bibbia. Galilei difese la sua posizione scientifica, ma ormai la Chiesa si avviava a prendere posizione contro le teorie copernicane e contro di lui. Agli inizi del 1616 furono condannate le due proposizioni sul moto della Terra e sulla stabilità del Sole, venne proibita la lettura dell'opera di Copernico, in attesa di revisione, e Galilei fu ammonito a non "professare, difendere, insegnare, sia oralmente che per iscritto" le tesi condannate. A questa amara sconfitta seguirono anni di silenzio interrotto solo dalla partecipazione indiretta di Galilei alla polemica con il gesuita Orazio Grassi sulla natura delle comete, in seguito alla quale scrisse Il Saggiatore. Al di là dell'errata interpretazione del fenomeno delle comete presentato in tale opera, Il Saggiatore è di grandissimo interesse sia per le questioni generali affrontate, sia per la esposizione estremamente chiara dei suoi criteri metodologici. Favorevolmente impressionato dal benevolo accoglimento dell'opera da parte del pontefice, Galilei decise di condurre a termine la grande opera cui da lungo tempo pensava, destinata, a fare il punto sulla controversa questione dei sistemi astronomici. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo fu ultimato nel 1630. In tale opera vengono messi a confronto i due grandi sistemi astronomici tolemaico e copernicano. La meccanica di Aristotele usciva dal Dialogo decisamente compromessa e veniva delineata una nuova meccanica, in grado di assegnare consistenza fisica e reale all'"ipotesi" copernicana. Le reazioni furono immediate e violente: Galilei venne convocato a Roma dall'Inquisizione. Inutili furono le sue difese: per l'istruttoria prima, per il processo poi, Galilei si era reso "vehementemente sospetto d'heresia". Galilei, costretto ad abiurare, fu condannato alla prigione a vita nella sua villa di Arcetri. Il grande scienziato si spense l'8 gennaio 1642.
Il nucleo centrale della ricerca galileiana è rappresentato dalla dinamica che, Galilei "tenne a battesimo". Se anche in Galilei non vengono date in modo esplicito le formulazioni delle tre leggi, quali si ritrovano in Newton, è a lui che si deve il superamento delle antiche concezioni e la precisazione dei concetti base della dinamica. Vanno inoltre ricordati: i suoi studi sul magnetismo; le indagini di idrostatica; le ricerche sulle oscillazioni del pendolo, che lo portarono a osservazioni sui fenomeni acustici, in particolare sulla risonanza e sugli intervalli musicali; le ricerche sulla resistenza e sulla forza di macchine e la formulazione della legge di caduta dei gravi.
LA LEGGE DI GALILEI SULLA CADUTA DEI GRAVI
Le celebri esperienze sulla caduta dei gravi, effettuate da Galilei operando sia dalla sommità della torre di Pisa, sia utilizzando il piano inclinato, lo portarono a dedurre
l' indipendenza del valore dell' accelerazione di gravità
(g ~= 9,8 metri/secondo2 ) dalla massa M del corpo in caduta libera, qualora si possano ritenere trascurabili gli effetti prodotti dalle forze aerodinamiche(resistenza dell'aria).
Quando infatti gli esperimenti sulla caduta libera dei gravi vengono effettuati nel vuoto, per esempio lasciando cadere due corpi con masse diverse in un tubo di vetro dal quale sia stata estratta l'aria mediante una pompa (il cosiddetto tubo di Newton), si verifica l'uguaglianza dei tempi di caduta libera nel campo di gravità.
Ricordiamo in proposito l'esperimento eseguito sulla superficie lunare dagli astronauti statunitensi di una delle prime missioni Apollo.
In quell'occasione, dopo avere riscontrato l' uguaglianza dei tempi di caduta libera di due corpi con masse diverse nel vuoto dell' ambiente lunare, esclamarono: "Aveva ragione Signor Galileo".
Possiamo rendercene conto lasciando cadere da un' altezza H di qualche metro due sferette aventi lo stesso raggio e masse diverse, per esempio una sferetta di ferro ed un' altra di materiale plastico, e verificando l'uguaglianza dei tempi di caduta libera Tc.
Essendo il moto delle sferette naturalmente accelerato, cioè con accelerazione costante g , si ha: H = (1/2) g Tc2, da cui si ottiene Tc estraendo la radice quadrata di (2H/g).
Dalla verifica dell' uguaglianza dei tempi di caduta libera, si deduce l'identità dell'accelerazione di gravità per i due corpi.
Se invece, per evidenziare l'effetto della resistenza dell'aria, si ripetesse l'esperimento utilizzando due sfere aventi la stessa massa, ma raggi molto diversi, per esempio con rapporto 1/10, si rileverebbe un tempo di caduta sensibilmente maggiore per la sfera più grande, la quale, avendo una superficie 100 volte maggiore, sarebbe soggetta ad una resistenza aerodinamica 100 volte maggiore, e quindi cadrebbe con una minore accelerazione di gravità.
In questo caso non si può applicare il principio di Galileo dell'indipendenza dell'accelerazione di caduta libera dalla massa del corpo, poichè questo, diversamente da quanto si verifica nel vuoto, è soggetto sia alla forza di gravità che alla resistenza aerodinamica.
Lettera di Galileo a Paolo Sarpi
Padova, 16 Ottobre 1604.
Molto Rev.do Sig.re et Pad.ne Col.mo
Ripensando circa le cose del moto, nelle quali, per dimostrare li accidenti da me osservati, mi mancava principio totalmente indubitabile da poter porlo per assioma, mi son ridotto ad una proposizione la quale ha molto del naturale et dell'evidente; et questa supposta, dimostro poi il resto, cioè gli spazzii passati dal moto naturale esser in proporzione doppia dei tempi, et per conseguenza gli spazii passati in tempi eguali esser come i numeri impari ab unitate, et le altre cose. Et il principio è questo: che il mobile naturale vadia crescendo di velocità con quella proportione che si discosta dal principio del suo moto; come, v. g., cadendo il grave dal termine a per la linea abcd, suppongo che il grado di velocità che ha in c al grado di velocità che hebbe in b esser come la distanza ca alla distanza ba, et così conseguentemente in d haver grado di velocità maggiore che in c secondo che la distanza da è maggiore della ca.
Haverò caro che V. S. molto R.da lo consideri un poco et me ne dica il suo parere. Et se accettiamo questo principio, non pur dimostriamo, come ho detto, le altre conclusioni, ma credo che haviamo anco assai in mano per mostrare che il cadente naturale et il proietto violento passino per le medesime proporzioni di velocità. Imperò che se il proietto vien gettato dal termine d al termine a, è manifesto che nel punto d ha grado di impeto potente a spingerlo sino al termine a, et non più et quando il medesimo proietto è in c, è chiaro che è congiunto con grado di impeto potente a spingerlo sino al medesimo termine a; et parimente il grado d'impeto in b basta per spingerlo in a: onde è manifesto, l'impeto nei punti d, c, h andar decrescendo secondo le proporzioni delle linee da, ca, ba; onde, se secondo le medesime va nella caduta naturale, aqquistando gradi di velocità, è vero quanto ho detto et creduto sin qui.
Quanto all'esperienza della freccia, credo che nel cadere aqquisterà pari forza a quella con che fu spinta, come con altri esempi parleremo a bocca, bisognandomi esser costà avanti Ognisanti. Intanto la prego a pensare un poco sopra il predetto principio.
Quanto all'altro problema proposto da lei, credo che i medesimi mobili riceveranno ambedue la medesima virtù, la quale però non opererà in ambedue il medesimo effetto: come, v. g., il medesimo huomo, vogando, communica la sua virtù ad una gondola et ad una peotta, sendo l'una et l'altra capace anco di maggiore; ma non segue nell'una et nell'altra il medesimo effetto circa la velocità o distanza d'intervallo per lo quale si muovino.
Scrivo al scuro: questo poco basti più per satisfare al debito della risposta che al debito della soluzione, rimettendomi a parlarne a bocca in breve. Et con ogni reverenza li bacio le mani.
Di Padova, li 16 di Ortobre 1604.
Di V. S. molto R.da
Ser.re Oblig.mo
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