Trattato sui principi della conoscenza umana

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Testo

VITA E OPERE:
George Berkeley nasce nel 1685 a Kilkenny, in un' Irlanda tormentata dalle tensioni tra una maggioranza irlandese autoctona, di ceppo celtico e di confessione cattolica, politicamente sostenitrice degli Stuart, e una minoranza, però dominante, di origine inglese, che professava l' anglicanesimo e parteggiava per la "gloriosa rivoluzione" di Guglielmo III d' Orange. Questa difficile situazione non manca di procurare noie a Berkeley, esponente della minoranza inglese, e lo induce a lasciare l' Irlanda, prima per Londra, poi per un lungo viaggio in Francia e in Italia (testimoniatoci da una sua opera, "Viaggio in Italia", pubblicata soltanto nel 1871). Nel 1721 Berkeley ritorna in Gran Bretagna, dove si dedica al più grandioso progetto della sua vita: fondare un collegio nelle Bermuda per evangelizzare i selvaggi americani. Partito per l' America nel 1728, deve però tornare in Inghilterra dopo aver assistito al fallimento del suo disegno. Si trasferisce quindi in Irlanda, dove diviene vescovo di Cloyne. Muore nel 1753. Le opere di Berkeley possono essere divise in due gruppi. Le prime, risalenti al periodo giovanile, si incentrano sul problema della conoscenza, analizzato alla luce di un presupposto rigorosamente empiristico: Saggio per una nuova teoria della visione (1709), Trattato sui principi della conoscenza umana (1710) e i tre Dialoghi tra Hylas e Philonous (1713). Questi ultimi costituiscono una riesposizione, sotto forma di dialogo, dei contenuti del Trattato, che non aveva riscosso successo. I gusti della cultura settecentesca si differenziano da quelli del secolo precedente anche per quanto riguarda i generi filosofico-letterari: alla pesantezza sistematica del trattato si preferiscono ora i saggi, più agili, o i dialoghi, più dinamici. Una fortuna editoriale ben maggiore toccò invece al secondo gruppo di opere, nelle quali prevale l' orientamento neoplatonico. Numerose edizioni ebbe infatti l' Alcifrone, in cui Berkeley attacca duramente i deisti e i cosiddetti "liberi pensatori", che nel 1600 francese avevano dominato la scena. Nella Siris (1744), egli sviluppa invece una sorta di ascesi platonica dalla fallacia dei sensi alla luce dell' intelletto. Come si vede l' esito finale della speculazione del filosofo irlandese pregiudica sostanzialmente il suo iniziale empirismo. Importanti per la ricostruzione del suo pensiero sono anche gli appunti giovanili - il cosiddetto Commonplace Book - pubblicati soltanto nel 1871.
LA SUA FILOSOFIA:
La filosofia di George Berkeley rappresenta per molti aspetti una reazione alle nuove tendenze filosofiche affermatesi in Inghilterra tra la fine del Seicento e l' inizio del Settecento. Il bersaglio fondamentale della polemica di Berkeley (vescovo della Chiesa anglicana) sono infatti i deisti e i liberi pensatori, contro i quali egli intende difendere il valore della religione rivelata e della connessione tra religione e morale. Ma le frecciate di Berkeley sono dirette anche contro Newton, la cui concezione meccanicistica della realtà viene vista come una pericolosa concessione allo spirito antireligioso. Per combattere questa battaglia a favore della tradizione religiosa Berkeley si serve tuttavia di uno strumento tutt' altro che tradizionale: il suo pensiero prende infatti le mosse dal Saggio sull' intelletto umano di Locke, autore che egli aveva imparato a frequentare fin dalla giovinezza, avendo studiato al Trinity College di Dublino, dove l' insegnamento era improntato ai testi di Boyle, di Newton e, appunto, di Locke. L' empirismo di Locke viene tuttavia totalmente riformulato da Berkeley secondo due linee di sviluppo per alcuni aspetti antitetiche. Da un lato, esso viene radicalizzato al punto da mettere in dubbio alcuni capisaldi lockiani (in primis la dottrina dell' astrazione, la credenza nella sostanzialità della realtà esterna) e da preparare la strada allo scetticismo di Hume. Dall' altro, esso si trasforma in una sorta di idealismo neoplatonico, nel quale la riduzione della realtà al suo essere percepita si traduce in un atteggiamento di mistica contemplazione delle idee in Dio.
TRATTATO SUI PRINCIPI DELLA CONOSCENZA UMANA:
Il trattato è stato scritto nel maggio del 1710, ed è stato presentato come prima parte di un’opera più vasta. Ma Berkeley non pubblicò mai né la seconda né la terza e la quarta parte, in quanto si offrì al lettore un testo che, sebbene subì modifiche nelle edizioni successive, rappresentava un pensiero compiuto che non aveva bisogno di ulteriori chiarimenti.
Il trattato è stato pubblicato suddiviso in tre parti: la prima venne chiamata “PARTE I: NELLA QUALE SI INDAGANO LE CAUSE PRINCIPALI DI ERRORE E DIFFICOLTÀ NELLE SCIENZE, E ANCHE LE BASI DELLO SCETTICISMO, DELL’ATEISMO E DELL’IRRELIGIOSITÀ” e contiene la dedica a Thomas Herbert, a cui già Locke aveva dedicato il suo “Saggio sull’intelletto umano”, prova del lockismo di Berkeley e spiegazione del rispetto nelle sue critiche all’autore. Quella che può essere definita una seconda parte venne intitolata “Introduzione”, in cui Berkeley spiega: “perché la mente del lettore sia preparata ad intendere più agevolmente ciò che segue, ho creduto opportuno premettere alcune cose, come introduzione, sulla natura e sul cattivo uso del linguaggio”. Ed infine nell’ultima parte si svolge il trattato vero e proprio intitolato semplicemente “PARTE PRIMA: dei principi della conoscenza umana”.
INTRODUZIONE:
Il fine ultimo del trattato è un intento apologetico e morale che si ritiene raggiungibile solo passando attraverso una critica radicale della filosofia e delle scienze, che sono considerate come portatrici di confusione e falsi problemi, di scetticismo e ateismo
“Il mio scopo consiste quindi nel cercar di scoprire quali siano quei princìpi che hanno portato, nelle diverse scuole filosofiche, tutti quei dubbi e quelle incertezze, tutte quelle assurdità e quelle contraddizioni, facendo sì che anche i più saggi tra gli uomini ritenessero che non ci fosse rimedio alla nostra ignoranza e pensassero che essa derivasse da incapacità e limitatezza congenite delle nostre facoltà. E senza dubbio è un lavoro che merita gli si dedichi ogni fatica, quello di indagare rigorosamente sui princìpi della conoscenza umana, vagliandoli ed esaminandoli da tutti i lati: soprattutto perché v'è ragione di sospettare che gli impedimenti e le difficoltà,che fermano e imbarazzano la mente quando essa cerchi la verità, non sorgano da oscurità o complicazioni negli oggetti ai quali si applica ovvero da difetti naturali dell'intelletto, ma piuttosto da falsi princìpi sui quali ci si è fondati mentre si sarebbe potuto evitarli.”
Il trattato trova nel Saggio sull’intelletto umano di Locke, uno dei suoi principali bersagli, infatti, come si vedrà, Berkeley compie una forte critica alle idee astratte, affermando che la conoscenza umana non ha limitazioni di campo né per una propria presunta oscurità degli oggetti di conoscenza, né per una presunta imperfezione; apparenti limitazioni intervengono unicamente per “le difficoltà che hanno finora gingillato i filosofi”: questa è la spiegazione del motivo per cui i filosofi, Locke in particolare, non siano riusciti a vedere ciò che è alla portata di tutti con un semplice atto di riflessione, la capacità appunto, della mente di attingere ad una conoscenza piena e senza ombre.
Ma non basta colpire alle fondamenta l’astrattismo, bisogna spiegare come una tale dottrina possa essersi diffusa, nonostante “certe verità sono così immediate, così ovvie per la mente che basta aprire gli occhi per vederle”. È qui che pone le basi del suo nominalismo, ancora più radicale di quello di Locke: tale opinione delle idee astratte nasce dalle difficoltà poste dal linguaggio e dal suo uso.
- ANTIASTRATTISMO E NOMINALISMO:
La causa principale degli errori e delle incertezze che si incontrano in filosofia è la credenza nella capacità della mente di formare idee generali astratte. Ad esempio la mente umana quando ha riconosciuto che tutti gli oggetti estesi hanno come tali qualcosa in comune, isola questo elemento comune dagli altri elementi che differenziano gli oggetti stessi e forma l’idea astratta dell’estensione, che non è né linea, né superficie, ne solido e non ha figura né grandezza, ma è completamente separata da tutte queste cose. Allo stesso modo avverrebbe per l’idea astratta del colore e dell’uomo che non ha nessuno dei caratteri particolari propri del singolo uomo.
Berkeley nega che l’uomo abbia la facoltà di astrazione, in quanto è impossibile formare un’idea generale di uomo che rappresenti, cioè, un uomo né alto né basso, né magro né grasso, né biondo né moro, ecc.. Queste considerazioni servono a Berkeley per difendere il suo nominalismo: l’origine delle idee astratte è dovuta semplicemente al cattivo uso delle parole e il miglior mezzo per liberarsene e per evitare le confusioni e i problemi fittizi cui danno origine è quello di portare la propria attenzione sulle idee e non sulle parole che le esprimono. Le idee generali predicate da Locke sono in realtà idee particolari che acquistano universalità per il cattivo uso delle parole. Ecco un passo in cui Berkeley attacca esplicitamente Locke:
“In primo luogo dunque si pensa che ogni nome abbia, o debba avere un unico significato fisso e preciso. Questo induce a pensare ce esistano certe idee astratte determinate le quali costituirebbero il vero ed unico significato immediato d’ogni nome generale; e che attraverso queste idee astratte un nome generale venga a significare una certa cosa particolare. Ed invece non esiste in realtà un significato preciso e definito connesso a ogni nome generale, perché tutti indicano indifferentemente un gran numero di idee particolari. Contro ciò si obbietterà che ogni nome che si può definire è limitato dalla definizione stessa a un certo significato. Per esempio, definendo un triangolo come una superficie piana compresa fra tre linee rette, si limita quel nome a indicare una certa idea e a nessun’altra. Rispondo a questo che nella definizione non vien detto se la superficie è grande o piccola, nera o bianca, ecc.; tutto questo può variare grandemente e quindi non v’è una idea determinata che limiti il significato della parola triangolo.”
PARTE PRIMA:
- IMMATERIALISMO:
- ESSE EST PERCIPI
Secondo Berkeley, come anche secondo Locke gli oggetti della conoscenza sono le idee, ossia le nostre rappresentazioni mentali. Sempre sulla scia di Locke, Berkeley non é innatista, bensì ritiene che l' unica fonte delle idee sia l' esperienza, cioè le sensazioni:
“E’ evidente per chiunque esamini gli oggetti della conoscenza umana, che questi sono: o idee impresse dai sensi nel momento attuale; o idee percepite prestando attenzione alle emozioni e agli atti della mente; o infine idee formate con l’aiuto della memoria e dell’immaginazione, riunendo, dividendo o soltanto rappresentando le idee originariamente ricevute nei due modi precedenti…Dalla vista ottengo le idee della luce e dei colori…Col tatto percepisco il duro ed il soffice…”
Le idee per esistere hanno bisogno di essere percepite: il loro esse, dice Berkeley, consiste nel percipi e non è quindi possibile che esistano in un modo qualsiasi fuori dalle menti che le percepiscono. Comunemente si era portati a credere che le cose naturali esistessero fuori dalla mente, che avessero un’esistenza reale, ma questa distinzione non è altro che una conseguenza dell’astrattismo: l’oggetto e la percezione sono la stessa cosa e non possono essere astratti l’uno dall’altra. Non esiste una sostanza corporea come oggetto della nostra conoscenza, solo le idee sono tali, e l’idea non esiste se non è percepita. Non esiste altra sostanza fuorché lo spirito, ossia ciò che percepisce.
“Uno SPIRITO è un essere semplice, indivisibile, attivo: in quanto esso percepisce idee, si chiama “intelletto”; in quanto produce idee od opera in altro modo su di esse si chiama “volontà”…Non può venir percepito per se stesso ma solo per gli effetti che produce [cioè le idee]…perché tutte le idee, essendo passive ed inerti non possono rappresentarci ciò che agisce”.
- CRITICA ALLA DISTINZIONE FRA QUALITÀ PRIMARIE E SECONDARIE:
“Alcuni fanno distinzione fra qualità primarie e qualità secondarie: con le prime indicano l’estensione, la forma, il moto, la quiete, la solidità ed il numero; con le seconde, denotano tutte le altre qualità sensibili, quali i colori, i suoni, i sapori, ecc.”
Con il rifiuto della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie Berkeley apporta una seconda importante correzione alla filosofia di Locke. La critica berkeleyana alle qualità primarie è fondata su presupposti empiristici: Berkeley attua una vera e propria riduzione delle qualità primarie alle qualità secondarie. Dopo aver ricordato che le qualità secondarie (sapori, odori, colori) mutano a seconda del soggetto che le percepisce e delle condizioni in cui esso si trova, Berkeley intende dimostrare che anche le cosiddette qualità primarie (estensione, figura, solidità, movimento e quiete) presentano lo stesso carattere relativo. Ciò che all' uomo appare estremamente piccolo, al più minuscolo degli insetti sembra gigante ; a soggetti diversi lo stesso movimento può apparire lento o veloce ; ciò che è duro (solido) per un animale è morbido per un altro. Ma se le qualità primarie non possono essere distinte da quelle secondarie, diventa impossibile concepire l' estensione o il movimento come concetti non relativi. Lo spazio (così come l' estensione) risulta da una connessione soggettiva tra la percezione del nostro corpo e quella degli altri oggetti ; così come soggettive sono le misure del tempo e del movimento, che sono determinate dalla velocità con cui le idee si succedono nella nostra mente.
- CRITICA ALL’IDEA DI “SOSTANZA MATERIALE”:
“Si dice che l’estensione [qualità sensibile] è un modo od un accidente della materia, e che la materia è il substratum che lo sostiene”.
Berkeley critica questa definizione concludendo che non ha alcun senso: dal momento che la parola “sostegno” non deve essere intesa nel significato più comune e letterale, che cosa vuol dire allora? Se si esamina ciò che i filosofi in precedenza avevano definito con l’espressione “sostanza materiale” si scopre che essi intendevano “l’idea di essere in generale, insieme alla nozione relativa che esso sostiene accidenti.” E Berkeley risponde dicendo che: “l’idea generale di essere mi sembra più astratta e incomprensibile di ogni altra…si deve dunque intenderlo in altro senso, ma quale sia questo senso essi [i filosofi e in particolare Locke] non lo spiegano”.
- DIO E LE LEGGI DI NATURA:
Esclusa l’esistenza e quindi l’intervento di una sostanza materiale, le idee ci si presentano come passive. La causa del loro succedersi nei nostri sensi va dunque ricercata in una sostanza immateriale e attiva: lo spirito (vedi definizione data sopra). Le idee dunque ci segnalano la presenza dello spirito, la cui duplice funzione di intelletto (senso) e volontà ci da la possibilità di fondare l’esistenza di un altro spirito: le idee del senso (o intelletto) si rivelano infatti indipendenti dalla nostra volontà:
“Ma qualunque sia il potere che io ho sui miei pensieri, trovo che le idee percepite attualmente dai sensi non dipendono nello stesso modo dalla mia volontà. Quando apro gli occhi alla piena luce del giorno, non posso scegliere di vedere o di non vedere, né fissare quali oggetti si debbano precisamente presentare alla mia vista, e lo stesso accade per l’udito e gli altri sensi: le idee impresse ad essi non sono creazioni della mia volontà.”
Le idee del senso dunque rimandano ad un’altra volontà che le produce in noi. Tali idee per la loro stabilità, ordine, coerenza, si rivelano diverse dalle idee da noi prodotte e ci segnalano gli attributi e le caratteristiche del loro autore, cioè Dio.
“Le idee del senso sono più forti e più vivaci, hanno stabilità, ordine e coerenza, non vengono suscitate a caso, ma con un processo regolare, ossia in una serie ordinata…l’ordine e il concatenamento di esse, benché siano prova della massima sapienza, potenza e bontà del loro Creatore, sono tuttavia così costanti e familiari per noi che non pensiamo che essi siano effetti immediati di uno Spirito libero, tanto più che l’inconseguenza e la mutevolezza nell’agire, benché sia un’imperfezione, è tuttavia considerata come indice di libertà…”
Le regole e i metodi, secondo cui Dio suscita in noi le idee del senso sono chiamati “leggi di natura”: esse sono le regole generali con le quali è possibile prendere le idee come segni le une delle altre. In questo senso le idee fanno parte di un linguaggio divino attraverso il quale Dio ci invia messaggi e compito del sapere umano è decifrare questo messaggio.
CONSEGUENZE DELLE SUE TEORIE:
Nell’ultima parte del trattato si sviluppa la trattazione dei vantaggi e delle conseguenze della dottrina esposta precedentemente. I vantaggi sono esposti articolando il discorso su due filoni fondamentali corrispondenti ai due argomenti cui il primo principio ha ridotto la conoscenza umana:
- IDEE:
Qui Berkeley critica le scienze come si sono storicamente formate. L’immaterialismo è capace di minare alle fondamenta lo scetticismo in quanto viene sradicata la credenza che le cose reali abbiano sussistenza anche fuori dalla mente e che la loro conoscenza sia reale solo finché è conforme alle cose reali, concetti che portavano quindi gli uomini a non avere nessuna conoscenza certa.
Berkeley sconfigge anche l’ateismo poiché epicureisti ed hobbisti, privati della materia coeterna a Dio e increata non poterono più sostenere l’immortalità dell’anima, l’assenza della Provvidenza e il trionfo del caso.
La fine della materia comporterà al pari quella della idolatria, poiché, per esempio, ridotto il sole ad idea, a segno divino, per esso si adorerà Dio.
Morale, fisica, matematica, geometria sono ridotte ad una immediata utilità per la vita quotidiana.
- SPIRITO:
Affronta il tema ampliando e precisando le linee dei concetti già esaminati: si ha così, oltre alla affermazione che la nostra conoscenza degli spiriti è mediata dalla conoscenza dei loro effetti, cioè le idee, la considerazione della priorità e maggior chiarezza della deduzione divina rispetto a quella umana. Il nostro rapporto con gli altri spiriti è infatti reso possibile solo dall’intervento divino.
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