Thomas Hobbes

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

• TRA ANSIE E PAURE
Hobbes fece in prima persona l’esperienza di quell’uomo aggressivo e individualista, che viene presentato nelle sue opere. Afferma, infatti, che la paura lo accompagna fin dalla nascita. Gli anni seguenti, non furono meno duri, poiché si vide coinvolto dai fatti drammatici che colpirono l’Inghilterra (parlamento contro sovrano); costretto a trasferirsi in Francia per le sue idee filo- monarchiche, scrisse un libro (Elementi di legge e natura politica) dove sostiene che la monarchia è la miglior forma di governo.
L’importanza del suo pensiero, sta appunto in questa convinzione della giustificazione del potere dello stato assoluto, che rispecchia ansie e paure di un determinato periodo storico e culturale dell’Inghilterra del 600.
• IL PROGETTO
Il filosofo pone in cima alle sue preoccupazioni la paura per il disordine e l’instabilità politica, a cui trova come unica soluzione la certezza della legge e la forza del potere.
Il suo progetto politico non può essere disgiunto dalla sua antropologia, poiché, desumeva dall’esperienza le proprie opinioni sui vizi e le virtù dell’uomo. Inoltre, apprendeva dai diari di viaggio provenienti dall’America, l’esistenza di una vita selvaggia, precedente la fase dell’ingresso degli uomini nella società civile,che stava teorizzando. Lo stato di natura è un’ipotesi teorica che costituisce una reale, possibilità che mette a repentaglio l’ordine e l’incolumità delle persone. Il filosofo fa discendere, secondo un ordine logico e deduttivo, la necessità del patto sociale tra gli individui, cha ha come obbiettivo quello di vivere in pace, anche se dovranno sacrificare i propri diritti soggettivi, delegandoli al sovrano. L’unico modo per garantire la pace è costringerli a rispettare le leggi o punirli nel caso di disobbedienza; da qui ne consegue che il sovrano deve esser dotato di forza assoluta per farle rispettare. L’autorità assoluta è un bene per la società e ciò è giustificato dalla ragione umana: perdere qualcosa in termini di libertà per guadagnare il bene supremo a cui l’uomo aspira, e cioè, nella conservazione di se stessi.
La nascita della società non è altro che il modo più razionale possibile di metter fine alla guerra tutti contro tutti.
L’uomo deve superare lo stato di natura, entrando nella società civile, governata da leggi, ogni altro potere è subordinato al potere assoluto.
• IL GIUSNATURALISMO: BREVE EXCURSUS STORICO
Il giusnaturalismo è la dottrina secondo cui esiste o può essere conosciuto un “diritto naturale”, ovvero un sistema di leggi naturali, precedenti le norme poste dai singoli Stati.
Le prime manifestazioni di questo termine si possono ritrovare nell’antica Grecia, in particolare nella tragedia di Sofocle. Poi, in seguito, i sofisti contrapposero il “giusto per natura” al “giusto per legge”, il quale, è subordinato al primo; ma furono gli stoici a sostenere che la natura è governata da una legge universale e immanente di carattere razionale. Con San Tommaso, si arrivò ad affermare una “legge naturale”, posta dal Dio creatore nella natura umana, di cui l’uomo, grazie alla sua ragione, può coglierne le norme.
• IL GIUSNATURALISMO DEI MODERNI
A differenza del giusnaturalismo antico, quello moderno, ha una visione più disincantata dell’uomo, concepito come individuo razionale, ma mosso da passioni e interessi egoistici. Da un punto di vista filosofico, il giusnaturalismo ipotizza l’esistenza di un “patto” o “contratto”, grazie al quale gli individui si accordano tra loro in vista di una migliore convivenza possibile (patto di unione) e si sottomettono al potere di un sovrano (patto di soggezione).
A questo punto possiamo individuare una diversificazione di posizioni:
- Locke: distingue il “patto di unione” dal “patto di soggezione”, e ammette una ribellione da parte dei cittadini, se le leggi del sovrano non rispettino i diritti naturali degli uomini;
- Hobbes: unifica i due patti, giungendo ad assolutizzare lo Stato, teorizzando così il moderno “Leviatano”, uno Stato fortemente autoritario.
Hobbes, accettando alcune parti del giusnaturalismo, come lo “stato di natura” e il “patto”, tuttavia, al contrario di questa teoria, Hobbes ammette che il patto necessiti dell’alienazione di ogni diritto, escluso quello della sopravvivenza.
Il giusnaturalismo moderno presenta alcuni tratti comuni:
1. l’esistenza di una legge di natura razionale e universale;
2. il patto tra gli individui come fonte di autorità sovrana;
3. la negazione dell’idea sacrale di autorità, cioè del sovrano come discendente dalla volontà di Dio;
4. l’autonomia e la necessità della sfera politica, la quale dipende dalla ragione umana.
In quest’ottica, all’assolutismo hobbesiano, rappresenta una versione di giusnaturalismo, in quanto il sovrano è una costruzione degli uomini, che stabiliscono il patto e agiscono in vista del proprio interesse in modo razionale.
In questa teoria, si possono rintracciare, quei valori “borghesi” e “laici”, tipici di un’età storica, in particolare dell’Inghilterra del’600.

• PROMETEO PREOCCUPATO
Hobbes ripresenta l’antico mito di Prometeo, il quale per generosità, rubò il fuoco agli deì per donarlo agli uomini. Zeus s’infuriò e fece incatenare il dio su una rupe del Caucaso, ove un’aquila durante il giorno gli divorava il fegato che ricresceva durante la notte. La conclusione che ne trae il filosofo è quella di un uomo ossessionato dalla paura della morte (perdita di ogni potere), che trova conforto soltanto la notte, nel sonno.
Prometeo è metafora dell’uomo: inquieto per appagare l’implacabile desiderio di potere, infatti, l’uomo per affermare sé deve combattere contro tutti gli altri uomini: la vita è una “guerra tutti contro tutti”, dove l’unica molla che spinge l’uomo all’agire è l’affermazione di sé, e la ricerca del proprio interesse.
Hobbes ritiene che la passione fondamentale sia la gloria, che consiste nella soddisfazione che ogni uomo prova per la considerazione del proprio potere. Da ciò deriva quello stato di guerra tra gli uomini, in lotta per il proprio profitto, interpretato come un costante atteggiamento ostile verso gli altri.
Lo stato di guerra comporta inevitabilmente che ognuno sia nemico dell’altro, di modo che non ci sia tempo per il lavoro, che potrebbe generare altro odio e invidia, dunque, al vita dell’uomo sarà solitaria, misera, brutale e breve.
• LO STATO DI NATURA
L’uomo è per Hobbes un essere materiale (corpo), egoista, solitario, dotato di una ragione intesa come facoltà calcolatrice, e con una libertà limitata alla sola sfera del fare o non fare, ma radicalmente determinata nel suo stesso principio, al volontà.
Nello stato di natura, gli uomini sono uguali nel desiderio di primeggiare e dare libero sfogo ai propri desideri, senza porsi alcun limite. Inoltre, sostiene che l’uomo è amorale, egoista e asociale, e che ha per natura diritto ad ogni cosa, essendo giudice di se stesso. Però il fatto che ogni uomo ha diritto a tutto non è una cosa positiva, allora: essendo lo stato di natura una condizione di ostilità che porta al rischio della distruzione della stessa natura umana, se ne deduce che colui che desidera continuare a vivere in siffatta condizione si contraddice, perché desidera al tempo stesso la propria vita e la propria morte. L’esistenza della lotta tra gli uomini, significa la possibilità della reciproca distruzione, e chi desidera il proprio bene, supera lo stato di natura, attraverso il patto, che gli permette l’ingresso nella società civile.
• LA RAGIONE NATURALE E I SUOI PRECETTI
Hobbes, seguendo la teoria del giusnaturalismo moderno, cioè la teoria che ammette l’esistenza del “diritto naturale”, pone alla base del proprio progetto politico l’ipotesi dello “stato di natura”, in cui ogni uomo è caratterizzato dell’eguale diritto a possedere tutto. Ma un tale stato di cosa è insostenibile e mette a rischio la stessa incolumità degli individui, infatti, se vogliono sopravvivere, devono evitare la lotta, ponendo freno ai propri bisogni. Tutto ciò costituisce la ragione naturale, intesa come la capacità di prevedere il futuro e provvedere alle necessità della vita, e da qui nasce la necessità di dare origine alla società civile, che è il frutto di un compromesso tra gli individui.
A tal fine, la ragione suggerisce una seri di massime fondamentali:
1. ricerca della pace;
2. ogni uomo deve rinunciare al proprio diritto su tutto;
3. rispettare i patti;
4. giustizia, adempiere al patto,mentre l’ingiustizia risiede nell’infrangerlo;
5. uguaglianza, ognuno deve riconoscere l’altro come suo uguale.
• IL PATTO
È razionale e naturale che gli uomini sacrifichino i propri diritti naturali e formino una società politica e civile, infatti, essi possono stabilire un pactum unionis, cioè un “patto d’unione”, che consiste nel dirigere al bene comune tutte le azioni. Però questo non è sufficiente in quanto, potrebbe sussistere il caso in cui gli individui decidano di sciogliere il patto. A questo caso, Hobbes pone il pactum subiectionis, ossia un “patto di sottomissione”, di tutti a un sovrano, che ha il compito di fare leggi e di garantire la loro osservanza: le leggi sono efficaci se vengono fatte rispettare, e colui che le deve far rispettare, lo può far solo se gli viene concesso il potere assoluto.
Gli uomini non sono esseri socievoli, ma sono in “continuamente in competizione per l’onore e la dignità e per conseguenza sorgono invidia e odio”. Tra le api e le formiche, il bene comune non è slegato dal bene privato in quanto ognuna agendo per sé procura il vantaggio comune. Al contrario, per gli uomini il bene individuale, consiste nel confrontare sé con gli altri e nel primeggiare sugli altri, contrastando con quello comune. Gli uomini, hanno l’uso della ragione e del linguaggio in virtù dei quali possono criticare e comunicare in pubblico le proprie idee.
L’accordo tra le api e le formiche è naturale, quello tra uomini è solamente un accordo artificiale, stabilito mediante un patto. Oltre ad esso esiste il “patto di soggezione”, in virtù del quale gli uomini conferiscono il loro potere e la propria forza ad una sola persona che ne rappresenterà l’unione.
• LO STATO ASSOLUTO
La moltitudine di persone, radunate in un'unica persona è lo Stato. A tale Stato, Hobbes gli da il nome di Leviatano, il mostro marino di cui si parla nel Vecchio Testamento per simboleggiare la potenza dei faraoni. Tale nome si giustifica perché, secondo Hobbes, il potere sovrano unifica in sé quello di tutte le altre persone, e di conseguenza, il sovrano è rappresentato come un individuo sovrumano con una molteplicità di teste. In esso risiede l’essenza dello Stato.
Colui che rappresenta questa persona è detto “sovrano”, in quanto detiene il potere sovrano e assoluto; tutti gli altri, invece, si chiamano “sudditi”. Tale potere non ha mai termine, se non con la morte del sovrano, poiché, i cittadini hanno stretto il patto tra di loro e non con il sovrano, non possono recedere da esso.
Per Hobbes si può raggiungere un tale potere sovrano in due modi:
- Mediante la forza naturale, cioè quando un uomo s’impone o hai propri figli o in guerra quando si sottomette al nemico la propria autorità (Stato Naturale). Questo sarà uno Stato per autorità, patriarcale o dispotico;
- Gli uomini si accordino tra di loro, per sottomettersi volontariamente, nella fiducia che possono essere protetti (Stato Artificiale). Questo sarà uno Stato politico o istituzionale.
Il vero interesse di Hobbes, riguardo allo Stato, è lo Stato Artificiale, ossia quello derivante dall’accordo tra gli individui, che si uniscono spontaneamente (patto di unione) e si sottomettono ad un sovrano (patto di sottomissione). Da questo punto di vista, la posizione di Hobbes è riconducibile al giusnaturalismo, poiché individua nel passaggio dallo stato di natura allo stato civile mediante il patto, il suo punto di forza.
• IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTANZA E LA GIUSTIFICAZIONE DEL POTERE MONARCHICO
Hobbes ritiene che la figura del sovrano può essere rappresentata da una sola persone e quindi sarebbe una monarchia, da un gruppo di uomini cioè l’aristocrazia o da un’assemblea e avremmo la democrazia, e che altre forme di governo non ci posso essere.
La preferenza del filosofo è per la monarchia, per motivi di carattere pratico:
- Non ce motivo di credere che il re agisca per il proprio interesse privato a scapito di quello pubblico;
- Il re può prendere le sue decisioni in gran segreto, mentre con i gruppi numerosi, avremmo delle fughe di notizie , provocando dissensi
- Il potere di imporre le leggi sarebbe diviso, e si assisterebbe ad un continuo scoppiar di guerre civili: un monarca è unico e non può dividersi o dissentire da sé stesso.
Però Hobbes ammette che ci possono essere degli inconvenienti come favoritismi, o che il potere tocchi ad un fanciullo, mettendo il potere nelle mani di un curatore.
• POTERI E LIMITI DEL SOVRANO
I poteri del sovrano sono ampi, ma non illimitati.
Il Leviatano, obbliga all’obbedienza delle proprie norme (leggi civili) tutti i sudditi, escludendo il sovrano, poiché non è vincolato dal contratto, facendo rimanere un essere pre- sociale, che non ha abbandonato lo stato di natura, e che deve rispondere solo della ragione individuale.
Il potere, dunque, è enorme: controllo delle azioni dei sudditi; far rispettare le leggi; divieto di ogni forma di dissenso; ma tuttavia, non è senza limiti.
Hobbes ammette limiti al potere dello Stato, in particolare, quando gli ordini del sovrano mettono in pericolo la vita del suddito. I sudditi, quando hanno sottoscritto il patto, lo hanno fatto per preservare e proteggere la propria vita dal pericolo della morte: e quindi, hanno il diritto di disobbedire, nel caso in cui, il sovrano metta in pericolo la loro vita. Se, invece,il sovrano non ha stabilito leggi, allora, il suddito si può ritenere libero di agire, a secondo, delle regole che lo Stato ritiene indispensabili.
Lo spazio lasciato al suddito, in conclusione, è la sfera privata.
Il cittadino vive si in un regime autoritario, dove tutto o “quasi” dipende dal sovrano, ma allo stesso tempo gode di un insieme di diritti uguali per tutti. Tale Stato è chiamato “Stato di diritto”, assolutamente sovrano, autonomo e indipendente da ogni interferenza esterna, compresa quella della religione. Inoltre, tale Stato, avendo il diritto di legiferare, stabilisce anche il criterio per cui un’azione è giusta o ingiusta.
• L’AUTONOMIA DEL POTERE “POLITICO” E LA SOTTOMISSIONE ALLA RELIGIONE
Netta è la posizione di Hobbes per quando riguarda il rapporto Stato politico e religione: infatti, per lui, lo Stato politico dovrebbe inglobare l’autorità religiosa.
Il filosofo era anglicano, anche se la sua era un’adesione solamente formale, perché il suo razionalismo lo portava a disconoscere alle religioni ogni prerogativa e ogni autonomia. Egli vedeva una grave minaccia, nelle chiese, perché minavano l’unità e la forza dello Stato, arrivando a considerare le religioni una delle fonti principali di guerre civili.
Hobbes attacca con forza il potere temporale delle Chiese, soprattutto la Chiesa cattolica, perché prendendo spunta dal testo biblico, Hobbes afferma che il rapporto tra Dio e il popolo ebraico era un rapporto temporale, sottoscritto tramite un patto da Abramo, grazie al quale Dio, re temporale, s’impegnava a proteggere il proprio popolo sottomesso. Ma, dopo questa, non vi devono essere altri Stati se non il regno di Dio sulla terra. Infatti, per Hobbes, i comandamenti, non sono che le leggi di natura, la principale delle quali dice di non violare la propria fede, che può essere interpretata, con l’ubbidire allo Stato e alla persona del sovrano che noi abbiamo istituito mediante il patto reciproco stabilito da ciascuno. Quindi il cristiano deve rispettare il proprio re, se no violale sue leggi civili, ma anche la fede stessa.
Perciò, la religione è ricondotta sotto l’unico potere, quello del sovrano, che in tal modo ricopre anche la figura di pastore supremo, a cui è affidato il gregge dei sudditi, e dai cui dipende la nomina di altri pastori.

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