Socrate, vita e pensiero del filosofo

Materie:Tesina
Categoria:Filosofia

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Testo

SOCRATE
Nacque ad Atene nel 470, da padre scultore e madre levatrice. Fu un personaggio di contrasto che si tenne lontano dalla vita politica attiva ed intese la ricerca filosofica come un esame incessante di se stesso e degli altri. Non istituì scuole né si fece pagare; inoltre non scrisse mai nulla poiché riteneva che i testi dogmatizzassero i concetti e indottrinassero le persone e non portassero alla ricerca della verità, ricerca che dura tutta la vita. Vedeva gli stritti come uno strumento di presunzione di sapienza.
Il fatto che Sovrane non abbia mai scritto crea grosse difficoltà per la ricostruzione del suo pensiero. Le nostre fonti principali sono:
• Aristofane, che lo vede come un intellettuale innovatore e un chiacchierone perditempo;
• Policrate, che lo accusa di aver corrotto i giovani e di disprezzare la democrazia ateniese;
• Aristotele, che lo schematizza come “scopritore del concetto” e “teorico delle virtù”;
• e Platone, che lo descrive affettuosamente come suo maestro.
Quest’ultimo ci presenta Socrate come un anti-sofista per eccellenza. Tuttavia Socrate è legato ai sofisti da una rete complessa di rapporti, per esempio:
• l’interesse per l’uomo e di disinteresse per le indagini intorno al cosmo in quanto è l’uomo che crea la società;
• la tendenza a cercare nell’uomo i criteri del pensiero e dell’azione in quanto le verità comuni non sono date da Dio ma appunto dall’uomo;
• l’atteggiamento razionalista, anticonformista e antitradizionalista che porta ad accettare tutto attraverso il vaglio critico e la discussione;
• l’inclinazione verso la dialettica e il paradosso.
Le caratteristiche che lo differenziano dai sofisti, invece, sono:
• l’amore della verità e il rifiuto di ridurre la filosofia ad esibizionismo verbale quindi rifiuto della superficialità;
• il tentativo di andare oltre il relativismo conoscitivo e morale. Vi è infatti la necessità di far “partorire” agli uomini delle verità comuni, vicine fra loro.
In poche parole, Socrate è figlio e nemico della sofistica. Tuttavia accentuare il distacco di questo dai sofisti significa perdere le radici del suo pensiero, mentre sottolinearlo troppo comporterebbe lo smarrimento della sua originalità. Inoltre l’esigenza di un superamento del relativismo sofistico avvicina Socrate a Platone, mentre lo allontana l’umanismo. Non bisogna, insomma, ridurre Socrate a Platone.
Socrate, deluso dalle indagini naturaliste, si convinse ben presto che alla mente umana sfuggono inevitabilmente i perché ultimi delle cose e che ad essa non è possibile conoscere con certezza l’essere e i principi del mondo. Così egli cominciò a concepire la ricerca filosofica come un’indagine in cui l’uomo tenta, con la ragione, di rintracciare il significato profondo dell’essere uomo. Per questo fece proprio il motto dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”, vedendo in esso la motivazione ultima del filosofare e la missione stessa del filosofo. Infatti non si è uomini se non fra gli uomini, in quanto ciò che ci costituisce tali è il rapporto con gli altri.
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è l’essere consapevoli della propria ignoranza. Quando l’oracolo di Delfi lo proclamò “il più sapiente fra gli uomini”, egli interpretò il responso divino con la frase “Sapiente è chi sa di non sapere”. Infatti filosofo è soltanto colui che ha compreso che non si può dire nulla di certo riguardo al Tutto (traccia di agnosticismo metafisico di Protagora e Gorgia). Se invece riferita all’uomo questa frase assume le spoglie di una denuncia verso chi pretende di saperla lunga sull’uomo, credendosi in possesso di salde verità. Questa frase, insomma, incoraggia la ricerca sull’uomo poiché solo chi sa di non sapere cerca di sapere e, di conseguenza, funge da stimolo verso un’indagine circa i problemi fondamentali dell’uomo. Non esistono verità ultime ma bensì punti di accordo per una vita comune.
Lo scopo di Socrate era rendere le persone consapevoli della propria ignoranza. Per conseguire tale scopo si avvale dell’ironia (dal greco: dissimulazione), ovvero un gioco di parole attraverso cui il filosofo denuda l’individuo delle proprie certezze e lo rende consapevole della propria ignoranza. L’ironia porta alla liberazione e purificazione della mente da malsane convinzioni, scuote l’uomo dal suo torpore e gli comunica la sete di convinzioni autentiche. Facendo ironicamente finta di non sapere, Socrate chiede al suo interlocutore, illustre e celebrato, di renderlo edotto riguardo al settore in cui egli è competente. Dopo una teatrale adulazione del personaggio, egli inizia a martellarlo di domande e, utilizzando le armi del dubbio, della confutazione e della brachilogia, ne distrugge la presunzione del sapere. Tuttavia egli non dona le proprie convinzioni ma semplicemente libera il dotto dalle sue false verità.
Una sorta dei “lavaggio del cervello”. Da questa ne deriva la maieutica (arte di far partorite) di cui parla Platone, dicendo che Socrate l’aveva ereditata da sua madre. Come lei aiutava le donne a far partorire i bambini, così lui, ostetrico di anime, aiuta la mente a partorire il suo genuino punto di vista sulle cose perché la vera educazione è sempre auto-educazione (processo in cui il discepolo, grazie all’opera del maestro, viene aiutato a maturare autonomamente il proprio intelletto).
La tesi chiave della morale di Socrate è la virtù come ricerca e scienza. Per i Greci il termine virtù è il modo di essere ottimale in qualcosa mentre, se associato ad un individuo, indica il modo migliore di comportarsi nella vita. La virtù è considerata come qualcosa di dato, ossia di garantito, se non dalla nascita, dagli dei. Invece i sofisti avevano sostenuto che essa è un valore e un fine che deve essere umanamente cercato e conquistato con impegno; dipende insomma dall’educazione. Socrate sostiene anch’egli che la virtù non è un dono gratuito bensì una faticosa conquista. Infatti, secondo il suo pensiero, il termine cattivo equivale ad ignorante in quanto nessuno ha spiegato a un individuo cattivo la differenza tra bene e male.
La virtù è sempre forma di sapere, ossia un prodotto della mente. Socrate tenta di sottoporre la vita al dominio dell’intelletto. Infatti per essere uomini nel migliore dei modi è indispensabile riflettere criticamente sull’esistenza. Secondo lui, per esempio, il bene non è una verità assoluta ma significa capire cos’è meglio in ogni circostanza. Quindi i concetti di bene e di male variano a seconda delle situazioni: sono cioè entità metafisiche. Ne consegue che la vita è un’avventura disciplinata dalla ragione e che l’uomo virtuoso è colui che cerca la soluzione migliore in accordo con gli altri. La virtù socratica, quindi, costituisce il patrimonio di ogni uomo.
Secondo Socrate non basta che ciascuno sappia il proprio mestiere e sia esperto in una delle tecniche in particolare poiché bisogna che ognuno impari bene anche il mestiere del vivere, ossia la scienza del bene e del male. Innanzitutto la virtù è unica, in quanto ciò che gli uomini chiamano le virtù sono tutte riconducibili all’unica scienza del bene.
In secondo luogo Socrate, come Democrito, identifica le virtù propriamente umane con i valori dell’interiorità e della ragione, ovvero con tutto ciò che Platone chiamerà anima. Socrate infatti ritiene che la morale non sia un fanatico esercizio di automortificazione bensì un modo di essere volto all’utilità e alla felicità della vita. La virtù socratica è un potenziamento dell’esistenza tramite la ragione, un calcolo intelligente finalizzato a rendere migliore e più felice la nostra vita. Ad esempio, Socrate ritiene che sia meglio subire il male piuttosto che commetterlo. Di fronte al caos e agli istinti egli ha semplicemente voluto proporre all’uomo l’ordine e la ragione. In terzo luogo, la virtù di cui parla Socrate tende a risolversi nella politicità, poiché l’arte del saper vivere, essendo l’uomo un essere sociale, si identifica e concretizza nell’arte del saper vivere con gli altri. Tuttavia una politica così intensa non è una forma di dominio sugli altri ma un qualcosa da cui può scaturire il bene comune.
I paradossi di Socrate, derivati dalla teoria della virtù come scienza, sono rimasti celebri nella storia. Essi sono, per esempio: “Nessuno pecca volontariamente”, “Chi fa il male, lo fa per ignoranza del bene”. Con tali tesi, Socrate sostiene che chi fa del male non lo fa volontariamente poiché è semplicemente un individuo che ignora quale sia il vero bene: infatti chi agisce fa sempre ciò che per lui è bene. Un'altra massima di Socrate è quella secondo cui è meglio subire il male piuttosto che commetterlo, che si basa sulla convinzione che solo la virtù rende l’uomo felice, mentre l’ingiustizia e l’immoralità, alla lunga, portano l’uomo all’infelicità.
Il razionalismo morale di Socrate è stato accusato di sopravvalutare troppo la funzione dell’intelletto nel comportamento umano, reprimendone la parte istintiva. Pesanti accuse volte a Socrate furono:
• “intellettualismo etico”, poiché egli avrebbe esagerato la potenza della ragione non distinguendo tra interretto e volontà e reprimendo l’emotività;
• “formalismo etico”, in quanto egli non definirebbe in concreto la virtù, limitandosi a dire che questa coincide con la scienza e la scienza con la virtù;
• “relativismo morale”, perché lascerebbe l’uomo privo di saldi criteri etici, abbandonandolo in balia delle varie situazioni. Infatti l’imperativo socratico di agire secondo ragione si accompagna alla convinzione che il bene sia morale sono in quanto rispetti la propria e l’altrui dignità.
Socrate considera il filosofare come un compito che gli è stato affidato dalla divinità. Egli parla di un demone che lo consiglia in tutti i momenti decisivi della vita, identificato nella voce della coscienza, un comando morale che risuona nell’intimità della persona. Ma esso è di più: è la guida divina della condotta umana. Il demone è il concetto religioso, non semplicemente morale.
L’influenza di Socrate si era già esercitata in Atene su un’intera generazione quando tre democratici conservatori, Meleto, Anito e Licone, lo denunciarono alla città. L’accusa fu presentata da Meleto: corruzione dei giovani ed irriconoscenza verso gli dei. Pena fu la morte. Socrate avrebbe potuto tentare di scagionarsi o partire in esilio da Atene; invece egli sostenne che mai avrebbe abbandonato il suo compito, affidatogli dalla volontà divina. Così fu riconosciuto colpevole. Allora avrebbe potuto scegliere l’esilio o proporre una pena adeguata, ma scelse di continuare a comportarsi in maniera sfrontata e a non rinnegare la sua missione: allora venne condannato a morte.
Dopo la sconfitta subita nel Peloponneso ad Atene, nel 404, si affermò il regime oligarchico e filospartano dei Trenta tiranni. Questo regime fu rovesciato dal popolo e venne restaurata, nel 399, la democrazia che volle il processo del filosofo. L’accusa ufficiale rivolta a Socrate è dovuta alla fisionomia conservatrice del nuovo governo, che guardava al passato glorioso come a un patrimonio da conservare. Socrate, quindi, era un personaggio pericoloso perché minava, in qualche modo, la stabilità di Atene. Inoltre si pensa che Socrate concepisse il governo come un qualcosa da affidare a poche persone competenti in materia. In secondo luogo egli era inequivocabilmente legato da rapporti di amicizia con taluni esponenti del regime dei Trenta tiranni.
Il processo al quale seguì la morte di Socrate fu la concreta testimonianza della piena fedeltà di Socrate a se stesso e ai suoi principi teorici. Infatti chi rifiuta le leggi della propria società perde il suo essere uomo poiché l’uomo è tale solo nella società; così Socrate accetta di essere condannato e affronta la morte. Le leggi si possono cambiare e migliorare, ma non violare. Questo porterà Platone a dire che Socrate è stato l’unico, vero politico di Atene. Ma questa morte manifesta anche il tragico soccombere dell’intellettuale nei confronti del potere organizzato delle forze politiche.
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