Fichte:Vita e Pensiero

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia
Download:327
Data:19.12.2000
Numero di pagine:8
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
fichte-vita-pensiero_1.zip (Dimensione: 9.27 Kb)
trucheck.it_fichte:vita-e-pensiero.doc     36.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

FICTHE
L’INFINITÀ DELL’IO
Kant considerava l’Io penso come il principio di tutta la conoscenza. Ma l’Io penso presupponeva già il carattere dell’esistenza e quindi era limitato: se non vi era esistenza non c’era nemmeno l’Io penso. Il suo limite è dunque l’intuizione sensibile. Perciò dopo Kant era nato il problema della nascita del mondo sensibile. Alcuni filosofi avevano detto che non poteva essere la cosa in sé a crearlo, e che forse la cosa in sé era essa stessa chimerica, in quanto esterna alla conoscenza. Avevano detto anche che forse era il soggetto a creare il mondo sensibile e ad esso riducevano tutto.
Fichte fu il primo a trarre le conclusioni di queste ipotesi: se l’Io è l’unico principio del conoscere, formale e materiale (e quindi ad esso è dovuta la realtà delle cose), è evidente che sia finito ed infinito: finito perché vi si oppone una realtà esterna, infinito perché è esso stesso che la crea. Da questo deriva l’assoluta libertà dell’Io.
Si tratta di una deduzione metafisica, perché fa derivare dall’Io sia il soggetto, sia l’oggetto del conoscere.
Mentre per Kant esisteva una semplice relazione tra Io ed oggetto fenomenico, per Fichte esiste un principio assoluto (l’Io) che crea l’oggetto grazie ad un’attività creatrice chiamata intuizione intellettuale. Questa, che Kant aveva dichiarato impossibile perché superava i limiti umani, diventa per Fichte la base del sapere.
La Dottrina della scienza, appunto, deduce da questo principio l’intero mondo del sapere, ma non l’Io, e il problema della Natura dell’Io farà riflettere molto Ficthe: nei primi scritti l’Io è l’infinito, l’uomo puro, il sapere filosofico. Nelle opere successive l’infinito è l’Essere, Dio, mentre l’Io e il sapere diventano manifestazioni di esso.
LA “DOTTRINA DELLA SCIENZA” E I TRE MOMENTI DELLA DEDUZIONE FICHTIANA
Ficthe vuole rendere la filosofia un sapere assoluto e perfetto. “Dottrina della scienza”, infatti, vuol dire “scienza della scienza”, cioè lo studio di un sapere fondamentale che deve studiare il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza e che si fondi a sua volta su questo principio. Questo principio di cui si parla deve essere dunque l’unico principio da cui è dedotto l’intero sapere ed è l’Io o l’autocoscienza.
Per spiegare questa scelta, Fichte dice: una cosa esiste solo se lo rapportiamo alla nostra coscienza, che a sua volta è possibile solo in quanto autocoscienza. Dunque la coscienza è fondamento dell’essere, l’autocoscienza lo è della coscienza.
Nella Dottrina della scienza Ficthe deduce da questo principio la vita teoretica e pratica dell’uomo, e lo fa attraverso tre princìpi:
- L’Io pone sé stesso: il primo momento è ricavato dalla legge d’identità (A = A), che era considerata la base del sapere: per Ficthe è l’Io che rende possibile tale legge in quanto la giudica. Ma se l’Io non esistesse non potrebbe giudicarla: la sua esistenza è provata. Dunque il
principio del sapere non è la legge d’ identità, ma l’Io grazie al quale la legge esiste. L’Io a sua volta non è reso possibile da nessuno, ma esiste di per sé, pone sé stesso: sua caratteristica è l’auto-creazIone e l’Io è ciò che egli stesso si fa, in modo libero e infinito. Quindi, mentre in passato si diceva che gli individui agivano quasi in modo succube alla propria Natura, ora risulta che il proprio modo di essere è frutto del proprio Io. Questa capacità dell’Io è chiamata Tathandlung, e indica che l’Io è sia attività agente (Tat) che prodotto dell’azione (Handlung).
- L’Io pone il non-Io: applicando il principio della dialettica per cui non esiste affermazione senza negazione, Ficthe afferma che l’Io sarebbe troppo astratto se non gli si contrapponesse un non-Io che ne limitasse l’attività. Tale non-Io, comunque, essendo posto dall’Io, si trova nell’Io stesso.
- Nell’Io l’Io oppone un non-Io divisibile all’Io divisibile: l’Io si trova ad essere limitato dal non-Io, e così viceversa, in una visione concreta del mondo: una molteplicità di Io finiti che si trovano di fronte ad una molteplicità di oggetti finiti (il non-Io). Da questo la definizione del terzo momento, tenendo presente che “divisibile” sta a significare “molteplice, finito”.
Praticamente questi tre princìpi rappresentano le basi della filosofia di Ficthe, infatti stabiliscono:
1) un Io infinito, libero e creatore;
2) un Io finito (limitato dal non-Io), cioè un soggetto empirico (intelligenza o ragione);
3) la realtà dell’oggetto, il non-Io.
E’ importante, poi, trarre queste conclusioni:
1) la Natura non è autonoma, ma esiste solo grazie all’Io e nell’Io;
2) l’Io è finito e infinito contemporaneamente: finito perché limitato dal non-Io e infinito perché questo, che rappresenta la Natura, esiste solo in relazione all’Io e nell’Io;
3) l’Io infinito non è diverso dall’Io finito, come l’Umanità non è diversa dai singoli individui che la compongono, anche se la prima dura nel tempo e i secondi no;
4) l’Io infinito non è solo la radice degli Io finiti, ma ne è anche la meta. Cioè gli Io finiti non sono propriamente l’Io infinito, ma tendono ad esserlo, così come gli uomini non considerano l’infinito come qualcosa di già in loro possesso, ma come qualcosa da raggiungere. Ma “infinito” per Ficthe non vuol dire altro che “libero” e quindi il tutto si può tradurre come lo sforzo (Streben) dell’uomo di raggiungere la libertà, di superare tutti i suoi limiti.
Sotto la filosofia di Ficthe si cela dunque un messaggio moderno: l’umanizzazione del mondo, il cercare di spiritualizzare le cose e noi stessi dando origine sia ad una Natura plasmata ai nostri scopi, sia ad una società libera.
Purtroppo si tratta di una missione impossibile, perché se l’Io distruggesse tutti i suoi ostacoli, cesserebbe di esistere.
LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA
Sulla duplicità dell’Io finito e non-finito si fonda l’intera filosofia di Ficthe.
Dall’azione reciproca dell’io e del non-io nascono la conoscenza (o rappresentazione) e l’azione morale. La rappresentazione è il prodotto del non-io sull’io; ma poiché il non-io è a sua volta prodotto dall’io, la sua attività deriva in ultima analisi dall’io (è un’attività riflessa).
Ficthe si dichiara realista e idealista al tempo stesso: realista perché alla base della rappresentazione pone un’attività del non-io, idealista perché ritiene che a sua volta il non-io sia prodotto dall’io.
Ma llora, perché il non-io appare alla coscienza come qualcosa di sussistente per sé, anche se è prodotto dall’io? Come si spiega che l’io è causa di una realtà di cui non ha una conoscenza esplicita? Se viene eliminata la consistenza autonoma del non-io, questo non rischia di trasfromarsi solo in un sogno?
Per quanto riguarda la prima domanda, Ficthe risponde con la teoria dell’immaginazione
produttiva, l’atto attraverso cui l’io crea il non-io, mentre per Kant era la facoltà attraverso cui l’intelletto schematizza il tempo secondo le categorie. Dunque mentre Kant dava solo le condizioni formali del conoscere, Ficthe dà i materiali stessi del conoscere.
Alla seconda domanda, Ficthe risponde partendo da una situazione in cui il soggetto trovi già di fronte a sé l’oggetto. Allora se l’immaginazione produttiva è l’atto di produrre l’oggetto, essendo già l’oggetto di fronte all’oggetto questo meccanismo sarà per forza inconscio.
Alla terza domanda il filosofo risponde che il non-io, anche se pordotto dal’io, è una solida realtà. L’oggetto può comunque essere interiorizzato (e quindi il non-io ridivenire proprietà umana, attraverso i gradi della conoscenza, che procedono fino alla completa interiorizzazione dell’oggetto che alla fine si rivela come opera del soggetto.

LA DOTTRINA MORALE E LA TESI DELLA MISSIONE SOCIALE DEI DOTTI
L’attività dell’io sul non-io costituisce invece l’azione morale.
Sappiamo che l’io, per realizzarsi nella sua infinità, deve compiere uno sforzo contro la resistenza che l’oggetto gli pone. Questo sforzo, che tende ad affermare sull’io il potere della ragione, è l’attività morale (ragion pratica kantiana).
Finora l’attività morale di cui ha parlato Ficthe tiene conto solo del rapporto tra io assoluto e io morale. Soltanto nell’ultima parte della Dottrina morale, il libro in cui è descritta la sua teoria, si prendono in considerazione i rapporti con gli altri: non è infatti dalle cose che l’io è sollecitato al dovere, ma dagli altri, nei quali l’io deve rispettare la legge di libertà che rende possibile la sua stessa attvità.
Naturalmente la presenza degli altri pone un limite alla libertà dell’io. Il riconoscimento di questi limiti della libertà fa dell’io un individuo. E’ dunque necessario che l’io e tutti gli altri siano nidividui, in
modo da poter esplicare ciascuno la propria (limitata) libertà.
La reciprocità dell’azione attraverso la quale è possibile la libertà e nella quale ogni individuo ha il dovere di entrare è la chiesa, cioè comunità etica.
Allo stesso modo, l’accordo sul modo in cui gli uomini devono agire tra loro è il contratto statale e la comunità che stabilisce tale contratto si chiama stato.
Accanto alla chiesa e allo stato Ficthe ammette la presenza di una comunità dei dotti, caratterizzata dalla libertà di tutti di mettere in dubbio ogni cosa e indagare liberamente. In questa comunità viene restaurata la libertà assoluta di pensiero che lo stato e la chiesa limitano. I dotti sollecitano con le loro ricerche il progresso dell’umanità.
Se ne ricava che il fine della società umana è la realizzazione della perfezione morale attraverso l’infinito progresso. Sulla via di questo progresso la società può essere guidata solo dai dotti.
LA FILOSOFIA POLITICA DI FICTHE
Stato liberale e socialismo autarchico
Il pensiero politico di Ficthe si sovlge attraverso fasi evolutive diverse, sulle quali esercitano il loro influsso le vicende storiche contemporanee.
Il fine ultimo della vita comunitaria, abbiamo appena visto, è la società perfetta, intesa come insieme di esseri liberi e ragionevoli. Lo Stato in questa società è un mezzo per la sua realizzazione, finalizzato al proprio annientamento in quanto “il fine di ogni governo è rendere superfluo il governo”.
Lo Stato è anche un garante del diritto. A differenza della moralità basata anche sulla buona volontà, il diritto vale anche senza la buona volontà. Esso riguarda le azioni ed implica una costrizione esterna e non interna. La sfera della libertà dell’io è dunque limitata da quella del diritto (l’io è individuo).
L’individuo mantiene comunque tre diritti, fondamentali per garantire la sua possibilità di agire nel mondo: libertà, proprietà, conservazione. Solo una collettività di individui, ossia lo Stato, può garantirgli tali diritti, perché un solo individuo non sarebbe sufficiente (gli altri che fanno?). Lo Stato dunque non elimina il diritto naturale ma lo garantisce.
Queste teorie avvicinano Ficthe allo schema politico liberale.
Ficthe sopstiene inoltre che lo Stato non deve solo tutelare i diritti originari, ma deve mantenere il benessere degli individui che lo compongono. Affermando che nello stato tutti allora devono essere ugualmente subordinati al tutto sociale e partecipare con giustizia ai suoi beni, Ficthe si discolsta dallo schema liberale per passare ad una froma di statalismo socialistico (per la regolamentazione statale della vita pubblica) e autarchico (perché autosufficiente sul piano economico). Ficthe comunque non parla di comunismo, perché ritiene che gli strumenti di lavoro debbano appartenere a chi li usa.
Lo Stato ha dunque anche il compito di sorvegliare la prduzione e diastribuzione dei beni, innanzitutto dividendo le classi e poi fissando un certo numero di appartenenti ad ogni classe per distribuire meglio i beni.
Le classi che lo Stato divide sono:
- i produttori di base della ricchezza;
- i trasfromatori della ricchezza (operai, artigiani);
- i diffusori della ricchezza materiale e sprituale, gli amministratori della vita socio-politica, i difensori della ricchezza.
Ogni Stato secondo Ficthe deve pensare per sé, isolandosi dagli altri stati, chiudendo il commercio al proprio interno. Questo per evitare gli socntri tra gli stati.
P.S.: La condizione fondamentale dell’esistenza dello stato è la formazione di una volontà generale nella quale siano unificate le volontà delle singole persone. Ciò è possibile attraverso il contratto politico che dà origine alla legislazione. Questa ha due compiti fondamentali: determinazione del diritto (legislazione politica) e determinazione delle punizioni contro chi lo viola (legislazione penale). Per rendere effettive le leggi lo Stato deve essere investito di alcuni poteri: potere di polizia (impedisce la violazione del diritto), potere giudiziario (giudica se c’è stata una violazione), potere penale (punisce la violazione). L’insieme di questi tre poteri costituisce il governo o potere esecutivo. Il potere esecutivo deve essere controllato da un eforato.
Lo Stato-Nazione e la celebrazione della missione civilizzatrice della Germania
La filosofia di Ficthe si evolve in senso nazionalistico concretizzandosi nei Discorso alla nazione tedesca, uno dei documenti intellettuali più rilevanti della storia della Germania moderna.
Il tema fondamentale dei discorsi è l’educazione. Ficthe ritiene necessaria una innovazione pedagogica, che si estenda alla maggioranza del popolo e non solo ad una élite.
Ma ben presto i Discorsi passano dal piano pedagogico a quello nazionalistico, in quanto si afferma che solo il popolo tedesco risulta adatto a promuovere la “nuova educazione”, in virtù della lingua tedesca. I tedeschi sono infatti gli unici ad aver mantenuto la propria lingua e ad averla posta come espressione concreta della cultura del suo popolo, mai contaminato da altre stirpi. I tedeschi sono la razza pura, il popolo per eccellenza.
Di conseguenza i tedeschi sono gli unici ad avere una patria vera e propria che si identifica davvero con la nazione.
La Germania, afferma Ficthe con orgoglio, è la nazione eletta a guida per gli uomini.

Esempio