Shopenhauer

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Testo

Schopenhauer


di Serena Cirillo e Elena Prestipino 5°scientifico B
Arthur può essere considerato il padre della filosofia decadente, insieme con Søren Kierkegaard
Cronologia
1788
Nasce a Danzica. Il padre Heinrich esercita un’attività commerciale La madre
Johanna Trosiener coltiva la letteratura
1793
La città libera di Danzica diventa prussiana e in conseguenza di ciò la famiglia si trasferisce ad Amburgo.
1797-1799
Per disposizione del padre - che erano animato da uno spirito cosmopolita che rimase un impronta anche del filosofo - Arthur S. studia per due anni in Francia
1799-1804
Arthur continua gli studi ad Amburgo. Il padre Heinrich si augura che il figlio continui l'attività commerciale della famiglia, alla quale Arthur è profondamente avverso. Sono da ricordare anche alcuni viaggi in diversi paesi europei, fra cui in particolare l'Inghilterra e la Francia.
1805
Suicidio del padre di, Heinrich. Nello stesso anno Johanna Trosiener si trasferisce a Weimar. Il suo salotto letterario è frequentato da uomini di cultura dell'epoca, in particolare da Goethe, Wieland, Klopstock ecc. resta ad Amburgo a curare la ditta paterna.
1809
decide di lasciare l'attività commerciale e di vivere con le rendite familiari, per dedicarsi interamente alle ricerche filosofiche.
1813
Pubblicazione della Quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, opera con la quale aveva ottenuta la laurea in filosofia a Jena nello stesso anno. In seguito questa prima versione viene profondamente rielaborata e riedita in nuova veste. S’incontra con Goethe e s’interessa vivacemente alla sua teoria dei colori. Si delinea il progetto di una ripresa e di un approfondimento della teoria goethiana, che tende tuttavia ad assumere poi lineamenti autonomi ed in parte critici nei confronti della posizione goethiana.
1816
Le ricerche sul colore culminano con la pubblicazione dell'opera La vista e i colori
1819
Pubblicazione del Mondo come Volontà e Rappresentazione. L'opera era già pronta l'anno precedente e venne edita nel dicembre del 1818 ma con la data del 1819.
1819
Viaggio in Italia.
1820
Tiene senza successo lezioni all'Università di Berlino come libero docente.
1821-1831
Nuovo viaggio in Italia nel 1822 - Riedizione in edizione latina del libro sul colore (1830). Nel 1831 si trasferisce a Francoforte sul Meno dove trascorrerà il resto della sua vita.
1836
Pubblica Sulla volontà nella natura
1841
Pubblica I due problemi fondamentali dell'etica. Quest'opera raccoglie insieme il saggio La libertà del volere umano e il saggio sul Fondamento della morale.
1843-1844
Pubblicazione dei Supplementi al Mondo e della seconda edizione della stessa opera, nel 1844, che presenta diversi rimaneggiamenti. Tuttavia affida ai Supplementi le modifiche e le estensioni tematiche più rilevanti.
1847
Seconda edizione, profondamente rimaneggiata, della Quadruplice radice del pricipio di ragione sufficiente
1851
Pubblicazione dell'opera Parerga e Paralipomena, che raccoglie numerosi saggi caratteristici dell'ultima fase di pensiero del filosofo. La fama di Schopenhauer, in precedenza ignorato dalla critica e dal pubblico va crescendo sempre più.
1860
Morte di Arthur
Il pensiero
Il pensiero di Schopenhauer trova origine nella filosofia kantiana.
Come Kant, infatti, anche Schopenauer ammette la distinzione tra fenomeno e noumeno: il mondo noumenico, essenza di tutto è la volontà che si manifesta in ogni individuo e in ogni cosa; il mondo fenomenico è costituito dalla conoscenza che è rappresentazione umana delle impressioni sensoriali, collegate fra loro dalle forme a priori mediante cui il soggetto opera, che sono spazio, tempo, causalità. (Kant riconosceva le dodici categorie, mentre Schopenhauer ne conserva una soltanto, la causalità,
A ragione quindi può essere considerato un filosofo di transizione, che, pur vivendo in un'epoca romantica, ne rivoluziona le regole, dando vita a nuove rappresentazioni della realtà.
Opera : Il Mondo come Volontà e Rappresentazione
La prima verità che balza alla mente umana, dopo aver preso coscienza e avuto riflessione è che il mondo è una rappresentazione, cioè il tutto ciò che conosco dall’esterno è una rappresentazione, riproduzione datami dai sensi ed esiste perché io esisto, la sento. Quindi non conosco né il sole, né la terra, ma una loro immagine.
Due sono gli elementi della rappresentazione: il soggetto o uomo che conosce in generale e l’oggetto o il dato esterno. Soggetto e oggetto sono inseparabili, due metà. Critica l’Idealismo, osservando la realtà e notando dappertutto male e dolore. Tutto è disarmonico, illogico, e nulla sembra avere uno scopo. Contro l’armonia della ragione affermata dalla ragione, pone un principio irrazionale che possa spiegare la visione pessimistica del mondo che ha l’autore, questo principio è la volontà, posta da Schopenhauer a fondamento della vita universale essa si oggettiva nella natura come principio immanente e si rivela nei modi più diversi. Nell’uomo si eleva ad una forma più elevata come pensiero è un “cieco irresistibile impeto”, l’”intimo essere”, il “nocciolo di tutto”.
Il singolo individuo viene quindi annullato dalla volontà, non ha perciò alcun valore almeno finché rimane soggetto alla volontà.
Gli oggetti che poi vengono percepiti dall’uomo stanno in rapporto tra loro come determinante (causa) e determinato (effetto), principii che strutturano rigidamente tutto il mondo delle rappresentazioni.
L’intelletto non va oltre il fenomeno = apparenza, illusione, perciò non c’e distinzione tra sogno e veglia, rappresentazione e verità, perciò “vita e sogni sono pagine dello stesso libro”. E ciò che i Veda e i Purano, libri indiani, chiamano velo di Maya, che copre il volto delle cose, dei fenomeni, che sono perciò illusione e apparenza.
Ma il nuomeno, cioè la cosa in sé, che per Kant è inconoscibile, secondo Schopenhauer può essere conosciuto nel seguente modo: è vero che il soggetto accoglie le rappresentazioni, ma esso è anche corpo, il quale fa parte fisicamente dei fenomeni. E come tutto il creato è retto da un impulso, che Shopenhauer chiama “volontà”, cosi il corpo partecipando dell’impulso avverte la brama di vivere, della conservazione ecc..
L’essenza del nostro essere è dunque la volontà; si squarcia quindi il velo di Maya che ci fa riscoprire una parte di quel “cieco e irresistibile impeto” che ci espande per tutto l’universo.
I fenomeni sono molti, la volontà è unica, cieca, irrazionale, essa si diversifica solo nel grado della manifestazione. La volontà è insaziabile e più la coscienza si eleva, più aumenta il tormento specie nell’uomo più intelligente. E’ il genio che soffre di più. Il tormento nasce da una condizione di scontento, finché non soddisfatto, che però non è durevole e perciò rinasce il disagio. E poiché esso va all’infinito anche il dolore sarà infinito.
La felicità dunque è illusoria negativa, il dolore è reale, positivo. Se non è possibile la felicità, la vita cui siamo legati come con una catena, è noia. “La vita oscilla come un pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la noia” La noia di non saper riempire adeguatamente la propria esistenza. La vita è tendere all’infinito nel dolore e la storia è cieco caso; “la vita è solo una morte rinviata”, la vita non è progresso e razionalità come per Hegel.
Se l’essenza di tutto è impulso, tensione ossia volontà, che l’uomo apprende quando s’immerge in sé stesso (momento filosofico), e questa volontà è dolore, egli per rimediare, redimersi deve cessare di volere attraverso :
➢ l’arte : con l’arte non si conoscono le cose e le loro relazioni, ma si contempla l’idea , i modelli delle cose , alla maniera di Platone nella loro universalità e ciò distrae dall’impulso, volontà; crea uno stato, una condizione di pacificazione quasi catarsi (musica e più la tragedia = fa cogliere l’essenza delle cose).
➢ la giustizia : è un freno all’egoismo (volontà di vivere), con la giustizia l’uomo riconosce la volontà degli altri ed è portato a rispettarla.
➢ l’ascesi : con l’ascetica, l’uomo si stacca totalmente disprezzando ogni bene che è ingannevole. E’ lo stadio della santità che è nirvana, noluntas = non volontà. E’ la vera calma (elimina anche la rappresentazione).
➢ la compassione : è la partecipazione al dolore altrui, con questa l’egoismo individuale è pienamente superato e il singolo vive in unione di solidarietà con gli altri.
Obiezione
Tra felicità e dolore Schopenhauer esalta il dolore, infatti la sua concezione filosofica può anche essere detta Pessimismo.
Nel linguaggio comune si definisce il pessimismo come l'attitudine psicologica a considerare la realtà nei suoi aspetti peggiori o, anche, come la disposizione dell'animo a cogliere soprattutto gli aspetti negativi della vita e della realtà.
In senso lato è ogni posizione che insista sulla prevalenza del male sul bene; più precisamente, la dottrina secondo la quale l'esistenza umana è dominata e governata dall'infelicità e dal dolore, e tutta la realtà è assoggettata a una forza cieca e irrazionale.
Il Pessimismo in filosofia : Schopenhauer
Dicendo che tutto è mosso dalla volontà si implica il volere, che significa desiderare, e desiderare implica uno stato di bisogno che è l’infelicità.
Questo desiderare è eterno ed infinito perché appena un desiderio è soddisfatto, sorgono altri infiniti desideri (perché la volontà è inesauribile) che portano ad un infinito soffrire.
E anche se i desideri potessero finire il dolore continuerebbe ad esserci, perché ci verrebbe ad essere la noia, un vuoto terribile peggiore di ogni altra sofferenza. Il piacere è puramente negativo e viene da Schopenhauer visto come una pausa tra un dolore e l’altro. Anche l’amore non da vera gioia, ed è il mezzo attraverso il quale la volontà fa eternare il dolore dell’uomo.
Il suicidio non è contemplato, ma criticato da Schopenhauer perché esso non può liberare esso dalla volontà di vivere, l’uomo con esso non rinuncia alla vita, ma afferma di voler vivere in un modo diverso. Il suicidio è un morire apparente , perché la volontà continua a sopravvivere con la specie.
In sintesi si può dire che secondo Schopenhauer la radice dell'universo è la volontà: ma poiché si vuole perché si tende a colmare una mancanza (si desidera ciò che non si ha), ad evitare una deficienza e quindi un dolore, il mondo è condannato ad un'imperfezione e ad un'insoddisfazione eterna.
Il dolore è così intrinseco alla volontà e cioè alla vita universale: donde il pessimismo che, necessariamente, discende da questa concezione basata su una valutazione non positiva della natura, concepita come la manifestazione non dell'idea ma della volontà di vivere e quindi vista come lotta e lacerazione continua senza alcun fine, espressione di quel cieco principio che è alla radice di tutte le manifestazioni reali.
Il pensiero di Schopenhauer si riconnette a quello orientale e all’ascesi buddistica, che considera la volontà dell'individuo come principio del dolore: l'obiettivo è allora il nirvana, cioè quella condizione di suprema salvezza raggiungibile attraverso un progressivo distacco dalle cose del mondo e dalle passioni, fino al punto che, negando la sua volontà particolare che lo contrappone agli altri, l'individuo si dissolve nell'universalità (è parte, insieme ad ogni altra creatura, di quel tutt'uno che è l'universo).

Il pessimismo in filosofia: Leopardi
Il pessimismo di Giacomo Leopardi (1798-1837) non costituisce un vero e proprio sistema filosofico, sebbene nasca da una continua e coerente meditazione del poeta. E proprio negli anni (dal 1823 al 1828) in cui tace come poeta il Leopardi porta alle ultime conseguenze il suo pessimismo, lo sistema in un ordine che gli sembra definitivo.
L’infelicità umana non è frutto di situazioni particolari e non nasce neppure da particolari situazioni storiche, dal prevalere della ragione sulla fantasia per effetto dell'avanzare della civiltà, dalla nascita della società che, con le sue necessarie regole, limita la libertà e la spontaneità individuale.
L'infelicità è invece una legge di natura, alla quale nessun essere può sottrarsi. L'uomo cerca la sua felicità ma la natura non ha come fine la felicità degli individui: essa tende solamente alla propria conservazione.
La vita non è che un più o meno lento morire, un'inutile miseria. Da queste premesse deriva il tedio, la grande malattia spirituale dei romantici di cui Leopardi è il rappresentante italiano più alto: cioè il senso che fare o non fare, sperare o disperare sono ugualmente inutili e vani.
Molto sommariamente si può dire che l'influenza delle concezioni filosofiche di Schopenhauer nella coscienza, nel pensiero e nell'agire degli uomini è stata vasta e profonda.
Ad esempio, per quanto riguarda la teoria del catastrofismo, una forma di pessimismo estremo che vede l'evoluzione delle forme di vita e della società come conseguenza di imprevedibili catastrofi.
Oppure con riguardo al nichilismo, sia come concezione filosofica (che conclude alla "negazione" rispetto a tutte le realtà) che come movimento politico-filosofico, come quello sviluppatosi in Russia poco dopo il 1860.
Movimento che, partendo dalla negazione della morale tradizionale, della famiglia e dell'ideologia della precedente generazione, giungeva a teorizzare la soppressione violenta della situazione sociale e politica del tempo.

Il pessimismo nella letteratura europea: Rousseau
L'opera letteraria di Jean Jacques Rousseau (1712 1778) ha sicuramente stimolato la sensibilità europea e ha preparato il terreno alla formazione del gusto romantico. Il suo proposito di svelare sin nel profondo sé stesso sta nell'origine dell'individualismo romantico.
Tra i concetti fondamentali della sua opera va ricordato il motivo della felicità dell'uomo ostacolata e impedita dalla società, da cui deriva il conflitto tra individuo e società, tipico del Romanticismo, di cui Rousseau è uno dei massimi interpreti.
Il suo influsso sulla letteratura europea fu vastissimo e in Italia si ritrova soprattutto in Leopardi e in Pascoli.
Motivo fondamentale del pensiero del Roussaeu è il contrasto fra l'uomo allo stato naturale e l'uomo allo stato civile. La civiltà, allontanando gli uomini dalla natura, li ha resi infelici e viziosi, ha creato la disuguaglianza fra di loro e, con essa, tutti i mali sociali: per vincere questi mali è pertanto necessario tendere a ristabilire la condizione naturale.

Il pessimismo nella letteratura italiana: Leopardi
Per Leopardi le ragioni storiche della tragedia propria dell'età in cui egli vive risiedono nel conflitto fra natura e ragione o civiltà: si tratta del conflitto esaminato proprio da Rousseau.
Quando nel 1828, a Pisa in una fase della sua vita più serena, ritorna a dedicarsi totalmente alla poesia, la sua sensibilità non è però cambiata e la sua visione della vita continua ad essere improntata a un deciso pessimismo intellettuale. Nasce così la seconda grande stagione della sua poesia, quella che i posteri hanno poi definito de "i grandi idilli".
Fra questi, in particolare, A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario.
Nel ricordo delle cose passate sa che queste sono lontane e morte, che la vita è dolore, che la sua adolescenza è stata tutta pianto o speranze deluse. Silvia è morta e non ha conosciuto le gioie umili e semplici della giovinezza e dell'amore. E, con la sua morte, il Leopardi vede scomparire le sue speranze giovanili, cadere miseramente tutto quel mondo di sogni.
Nel crollo egli perde in apparenza molto più di Silvia: "i diletti, l'amor, l'opra, gli eventi" indicano un mondo ricco di varie gioie che egli sperava di poter raggiungere nel futuro.
La quiete dopo la tempesta dà un senso gioioso di festa, ma solo perché il solo conforto che la natura offre all'uomo è la cessazione momentanea della sofferenza.
Nel Passero solitario il tema è la solitudine che accomuna il passero che canta sulla "torre antica" sfuggendo ai suoi compagni, e il poeta, estraneo a ogni compagnia e noncurante dei piaceri.
Ma il solingo uccellin alla fine della sua vita non dovrà pentirsi di essere vissuto come la natura gli imponeva; il poeta, invece, giunto alla vecchiaia, si pentirà, ma invano, di aver sprecato in tal modo la giovinezza.

Il pessimismo nella letteratura italiana: Pascoli
Anche nell'opera letteraria di Giovanni Pascoli (1855 - 1912) si riscontrano i toni drammatici del pessimismo che caratterizzavano l'epoca.
In Nebbia è fondamentale il tema della memoria. Questo "ritorno" al passato viene considerato come qualcosa di non lecito perché si mescola con il senso angoscioso della morte, col trauma delle vicende familiari. In questa poesia il Pascoli non solo considera impossibile il "ritorno" al passato, ma lo rifiuta di proposito; anzi riassume tutta la poesia nel contrasto fra il presente e il passato.
In La mia sera, il tema è in parte simile a quello di Nebbia è, in parte, diverso. E' simile lo stato di quiete raggiunto, di riposo del presente. Se non c'è la nebbia c'è il crepuscolo, la luce che si spegne, che, come la nebbia, serve ad attenuare ciò che è stato troppo doloroso negli anni lontani. Diverso è invece il tema delle campane. In Nebbia la campana sottolinea il passaggio, l'attesa della fine presentata come la conclusione della quiete. Ne La mia sera, anche se non si può escludere l'attesa di una pace più profonda e le campane sono quindi una voce misteriosa e lontana, il suono riconduce al tema della prima infanzia, dei "canti di culla" anteriori all'età della coscienza.
In Lavandare, accanto al poeta che tenta di trovare la pace e l'equilibrio nelle memorie dell'infanzia (ma in esse trova spesso soltanto il dolore, le cose "ebbre di pianto") c'è nel Pascoli il poeta georgico che riesce a trovare la pace nelle abitudini e nelle immagini della vita dei campi, e che esprime l'interesse per le occupazioni dei contadini, per gli strumenti e le consuetudini antiche del loro lavoro, ogni volta definite col loro preciso nome, l'amore per gli esseri minuscoli, la nostalgia per la fede degli antenati, per la bontà rassegnata degli umili.
Ma, pure in questa pace, sono presenti le tracce della sensibilità pascoliana, che è sempre caratterizzata da segrete voci, da suggestioni lontane, da tristezza e da angoscia.

Il pessimismo nella storia dell'arte: Goya
La storia dell'arte ha diversi esempi di artisti che hanno rappresentato la visione pessimistica della vita, generata dalle esperienze personali degli artisti stessi: Goya, Gropius e Picasso.
La pittura di Goya (1746 1828) conosce tutte le gamme espressive: va dalla dolcezza di talune immagini di bimbi all'atrocità delle scene della guerra. Fra queste, la celebre La fucilazione del 3 maggio da lui dipinto su incarico del governo spagnolo per ricordare e celebrare l'eroica resistenza del popolo di Madrid contro le forze d'invasione napoleoniche. Si tratta di un quadro di storia che registra la ferocia della repressione francese e che esprime in maniera appassionata la condanna dell'oppressione, dell'ingiustizia, della violenza inutile in nome dei principi della libertà dell'uomo.
In questo dipinto, ogni elemento ha un valore simbolico, e ci colpiscono in particolare i colori contrastanti e i gesti del condannato nell'ultimo atto di disperazione e di sfida, che neppure la morte potrà cancellare.
La scena è ambientata in una notte tragica: i soldati sono ombre che incombono nel buio, simili al male anonimo e bestiale che colpisce l'umanità; il sangue degli uccisi si sparge al suolo sino a lambire i piedi dei carnefici, il condannato è illuminato dal raggio accecante della lanterna; le sue braccia alzate nel gesto della crocifissione che lacerano le tenebre, la sua figura bianca e luminosa si staglia contro il fondo scuro come se la volontà di vita e di giustizia dovesse trionfare su tutto l'orrore che è intorno a lui.

Il pessimismo nella storia dell'arte: Gropius
Walter Gropius (1883 - 1969) fu fondatore nel 1919, a Dresda, della scuola di architettura e di arte decorativa allo scopo di realizzare un sistema di educazione artistica completa, sia nel campo della preparazione tecnica sia in quello dell'insegnamento formale.
La Bauhaus fu soppressa nel 1933 dal governo nazista (e Gropius perseguitato, fu costretto a emigrare prima in Inghilterra e poi negli USA), che la considerò espressione di tendenze internazionaliste nel campo dell'arte

Il pessimismo nella storia dell'arte: Picasso
Allo scoppio della guerra civile spagnola, Pablo Picasso (1881 - 1973) si schierò subito dalla parte dei repubblicani e, accettando l'incarico di direttore del museo del Prado, svolse un'importante azione per il salvataggio dell'immenso patrimonio artistico del suo paese. Dal punto di vista creativo la sua azione antifranchista si esprime nel grande pannello del padiglione spagnolo all'Esposizione di Parigi del 1937: Guernica.
Quest'opera, che rappresenta il bombardamento aereo di quella cittadina spagnola da parte dell'aviazione fascista e nazista durante la guerra civile, è la rappresentazione dei disastri della guerra e della barbarie dell'uomo.
Gli orrori della guerra e la cieca bestialità dell'uomo segnano drammaticamente tutte le sue opere fino al 1945.
Nella sua continua ricerca Picasso, dopo aver, per un certo periodo, aderito al surrealismo, arriva a realizzare opere di alto valore espressivo nelle quali la deformazione diventa il simbolo delle deformazioni interiori dell'uomo moderno.
Simboli di orrore sono anche: Minotauri e le Tauromachie come poi, durante la seconda guerra mondiale, le donne mostruosamente deformi.

La Repubblica del 27 ottobre 1999, pagina 43, sezione CULTURA
Vi diffamo dunque sono
Arthur Schopenauer
di ANTONIO GNOLI
Se esistesse una classifica del più incazzoso fra i filosofi che la storia ha avuto il privilegio di consegnarci, ebbene il primo posto andrebbe assegnato di diritto a Schopernhauer, la cui vocazione all’eccesso verbale, all’intemperanza filosofica vanno di pari passo con l’originalità del suo pensiero. Non c' è argomento, si direbbe, che non cada sotto le sue grinfie e non venga filtrato dal suo malumore. Dall’amicizia all’amore, dai carrettieri alle ferrovie, dalla filosofia alla religione, dal sesso al matrimonio, dallo Stato all’individuo, non c' è pertugio dello scibile umano o esperienza vissuta che l’occhiuto pessimismo di non frughi dal suo lato peggiore. Ai suoi occhi, si sarà capito, il bicchiere è sempre mezzo vuoto. E bene ha fatto Franco Volpi, che di è un eccellente conoscitore, a raccogliere quanto di più insolente egli abbia scritto sul mondo e dintorni. Quest’Arte dell’insultare, di cui diamo al lettore un assaggio (il libro è da oggi disponibile nell’edizione Adelphi - pagg.130, lire 10.000) è più di un pamphlet, uno stile al quale va ricondotto ad esempio lo schopenhaueriano Sulla filosofia delle università. E se proprio dovessimo inscriverlo a qualche categoria ci verrebbe in mente quella del sospetto. Di fronte ai grandi arredi mentali e alle costruzioni metafisiche egli guarda con l’irridente convinzione che buona parte della filosofia che il pensiero ha prodotto è una bufala, una favola per gonzi, un fumo destinato, presto o tardi, a dissolversi. Nel personalissimo elenco dei "nemici" ai quali riservare il più violento disprezzo, campeggia inesorabile il nome di Hegel che riduce alla stregua di un ciarlatano. Accanto a una figura tanto illustre, sfilano quelle non meno disprezzate di Fichte, Jacobi e Schelling. E' chiaro che un conto aperto il nostro malmostoso l’ ha con tutto l’idealismo tedesco. Ma anche Spinoza e Leibniz non escono del tutto integri dal suo tritacarne. Perfino Kant, il solo con il quale si senta in sintonia, è bistrattato per le sue idee sulla morale. Tanta acredine ha qualche spiegazione? Volpi, nel breve saggio introduttivo, ne avanza una suggestiva. C' è una grandezza nell’insulto, ed essa risiede nel fatto che anche l’argomento più sublime e stringente di fronte all’offesa, alla villania, è costretto alla fuga. Sicché appare evidente che il rapporto di forza fra logos e impertinenza è, agli occhi di, a tutto vantaggio di quest’ultima. Ma un’arte d’insultare, che richiede fra l’altro nel filosofo una sottile e bizzarra inclinazione pedagogica, non solo revoca lo stato di grazia che alberga, per esempio, nel dialogo platonico, ma altresì destituisce di senso l’idea che esista una buona filosofia le cui ragioni siano decentemente trasmissibili. Al fondo di questa visita nei piani bassi dello spirito, l’insulto non risulterà perciò una mera provocazione, o un gratuito florilegio, ma un punto di vista sul mondo e sui suoi discutibili costumi, troppo occupati a omaggiare le sorti del progresso per intuire la loro lacera condizione. Se si rompesse l’involucro della diffamazione schopenhaueriana, si vedrebbe con stupore affiorare il suo contenuto morale. Una morale sui generis e del tutto impraticabile, si dirà. Ma pur sempre esercitata con fantasioso disprezzo da chi riconobbe, con rassegnata violenza, che "il nostro è il peggiore dei mondi possibili".

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