Schopenhauer: il mondo come volontà e rappresentazione

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Testo

ARTHUR SCHOPENHAUER*
Arthur Schopenhauer, con Herbart e Kierkegaard, fu tra i massimi rappresentanti dell’opposizione all’Idealismo tedesco e, in particolare, alla filosofia di Hegel, in un ambiente e in un’epoca in cui l’hegelismo era la corrente di pensiero dominante.
Schopenhauer reagisce essenzialmente al razionalismo eccessivamente deterministico di Hegel, verso il quale nutre, peraltro, un’irriducibile animosità che si esprime molto spesso con “colorita” veemenza verbale1.
Contro il sistema hegeliano, Schopenhauer propone il “ritorno a Kant”, il cui Criticismo era stato completamente sovvertito dai filosofi dell’Idealismo tedesco, che pure presumevano di aver dato ad esso continuità e sviluppo.
In effetti il tentativo di elevare a sistema il pensiero kantiano, eliminandone i dualismi, non poteva che tradirne l’assunto, traducendosi, appunto, nella costruzione di una nuova Metafisica: quella Metafisica della quale Kant si era dichiarato fatalmente “innamorato”, ma alla quale aveva dovuto coerentemente negare, dal punto di vista teoretico, ogni pretesa validità scientifica.
Insanabile appare a Schopenhauer il dualismo tra Fenomeno e Noumeno: una distinzione irriducibile, se si intende restare nell’ambito del Criticismo.
Schopenhauer, dunque, si ripropone di ribadire gli assunti teoretici della “Critica della Ragione Pura”, cui apporta solo poche modifiche, come quella per cui le dodici categorie kantiane vengono ricondotte alla sola categoria della “causalità”.
Tuttavia il suo pensiero, quale si sviluppa nella sua opera fondamentale, intitolata “Il mondo come Volontà e Rappresentazione”, pur prendendo l’avvio da premesse kantiane, va, a sua volta, ben oltre i limiti del Criticismo.
IL MONDO COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE
L’opera Il Mondo come Volontà e Rappresentazione è divisa in quattro libri che trattano, rispettivamente:
1. Il Mondo come Rappresentazione
Ia Considerazione
= dal punto di vista teoretico
2. Il Mondo come Volontà
3. Il Mondo come Rappresentazione
IIa Considerazione
= dal punto di vista etico
4. Il Mondo come Volontà
1. Il Mondo come Rappresentazione – Prima Considerazione –
Nel primo libro (Il Mondo come Rappresentazione – Prima Considerazione, dal punto di vista teoretico) Schopenhauer esordisce dicendo: “Il mondo è una mia rappresentazione”, intendendo con ciò riaffermare, con Kant, che il soggetto conoscente può cogliere la realtà non come essa è in sé e per sé (cioè come “cosa in sé”, “noumeno”), bensì solo come “fenomeno”, vale a dire come essa “appare” nell’immagine elaborata dalle facoltà conoscitive dell’uomo, che sono le “intuizioni empiriche” (= i dati dei sensi) e le “forme pure” del tempo e dello spazio (cfr. Kant).
Ma a differenza di Kant che riteneva il Noumeno del tutto inconoscibile, Schopenhauer afferma che ad un certo momento, in maniera surrettizia, come attraverso il passaggio sotterraneo di una fortezza apparentemente impenetrabile, l’uomo d’improvviso scopre la natura intrinseca del Noumeno, perché scopre in se stesso la Volontà e si rende conto che essa è null’altro che l’espressione di una Volontà universale che muove e governa tutte le cose del mondo.
2. Il Mondo come Volontà – Prima Considerazione –
Nel secondo libro (Il Mondo come Volontà – Prima Considerazione, dal punto di vista teoretico) Schopenhauer, avendo individuato il cosiddetto Noumeno nella Volontà Universale, che connota come principio del tutto irrazionale, assolutamente non provvidenzialistico né teleologicamente intenzionato (= che non persegue alcun fine razionale), esamina le varie forme che essa assume e descrive i modi in cui essa si manifesta in tutte le espressioni della Natura, dalla pura massa materiale al mondo vegetale, fino al mondo animale e all’uomo in particolare.
Nei vari gradi della Natura la Volontà è la forza potente e insopprimibile che determina ogni genere di movimento, compreso il divenire.
Di tale forza sono espressione l’attrazione gravitazionale, il magnetismo, l’elettricità, le modificazioni chimiche, che caratterizzano la materia cosiddetta inorganica. Di tale forza sono ancora espressione la dinamicità e l’attivismo del mondo vegetale e di quello animale, che consistono, appunto, in uno sforzo continuato inteso al soddisfacimento dei bisogni dell’organismo.

3. Il Mondo come Rappresentazione – Seconda Considerazione –
Nel terzo libro (Il Mondo come Rappresentazione – Seconda Considerazione, dal punto di vista etico) Schopenhauer individua nell’Arte una prima “via” di liberazione dal dolore.
Poiché il dolore dipende dalla volontà, è possibile ottenere una sospensione delle sofferenze attraverso la sospensione della volontà.
Ciò si può conseguire attraverso l’Arte.
Esistono, infatti, per Schopenhauer due tipi di conoscenza:
1. quella razionale, che è rivolta alle singole realtà individuali, delle quali tende a rilevare l’utilità, le possibilità d’uso, e che è, quindi, intesa al soddisfacimento della volontà del soggetto conoscente;
2. quella pura, disinteressata, propria dell’intuizione estetica, che riesce a cogliere, al di là delle realtà individuali, le essenze uniche eterne e universali (= le idee platoniche) di tali realtà, nella cui contemplazione il soggetto conoscente “si perde”, raggiungendo un particolare stato di godimento e di pace interiori.
L’Arte, dunque, che non è altro che l’intuizione e la contemplazione disinteressate dell’essenza universale ed eterna della stessa Volontà, quale essa si manifesta nei vari gradi della Natura.
Il primo “grado” dell’Arte è l’Architettura che è la rappresentazione dell’essenza universale ed eterna del primo grado dell’oggettivazione della Volontà, vale a dire la Natura inorganica.
Seguono la scultura, la pittura, la poesia, la cui forma più elevata è la tragedia, che rappresenta in modo diretto il conflitto tra le volontà individuali.
Al vertice della gerarchia Schopenhauer pone la musica che, a differenza di tutte le altre arti, non “rappresenta” le Idee in cui si oggettiva la Volontà, ma “rappresenta” la Volontà stessa: cioè la musica è anch’essa pura oggettivazione della Volontà e, come tale, la sua dignità è pari a quella delle Idee.
Ciò appare confermato dal fatto che la musica, a differenza delle altre arti, cui occorre la mediazione di supporti “costruttivi” (pietre, materiali plastici, marmo, bronzo, colori o versi), è immediata.

4. Il Mondo come Volontà – Seconda Considerazione –
Ma attraverso l’Arte non si può conseguire la completa e definitiva liberazione dal dolore, in quanto essa può determinare, non la soppressione, ma solo una momentanea sospensione della volontà individuale, che dura finché dura, appunto, la contemplazione estetica.
Occorre, pertanto, tentare altre “vie”, nella persuasione che solo il totale annullamento della volontà individuale può vincere lo stato di sofferenza costituzionale, connaturato con la vita stessa di ogni essere vivente.
A tal fine, bisogna, innanzitutto, acquisire piena consapevolezza della nostra condizione.
Richiamando quanto già detto nel secondo libro, Schopenhauer ricorda che in tutti i gradi della Natura la volontà si manifesta come insoddisfazione del proprio stato e aspirazione ad uno stato diverso, al raggiungimento del quale è inteso ogni sforzo.
Poiché ogni aspirazione è sempre determinata dalla “privazione”, cioè dalla mancanza di qualcosa, e la “mancanza” genera sempre sofferenza, si può dire che, a qualunque livello, il dolore sia la condizione stessa dell’esistenza2.
Anche nell’uomo agisce la Volontà, che è, come si è detto, la forza inesauribile che determina il desiderio, fonte di dolore e infelicità.

Anzi nell’uomo, che a differenza di tutti gli altri esseri viventi, è dotato di coscienza e consapevolezza, «il tormento […] raggiunge […] il grado più alto»3, perché, come si legge nella Bibbia, «Qui auget scientiam, auget et dolorem»4
Per la verità, la vita dell’uomo «oscilla […], come un pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono i suoi costitutivi essenziali»5.

Infatti, ogni qual volta un desiderio venga soddisfatto, o immediatamente la Volontà genera un nuovo desiderio e, con esso, una nuova condizione di dolore o subentra la noia, che non solo non offre alcun sollievo ma è, anzi, uno stato ancora più sgradevole e odioso!
La noia, infatti, dà una sofferenza anche maggiore di quella derivante da un desiderio insoddisfatto: una sofferenza tanto insopportabile da indurre spesso alla disperazione e addirittura al suicidio — un atto definitivo che, comunque, Schopenhauer condanna, in quanto con esso la volontà viene soppressa solo come fenomeno, non nella sua essenza (§ 69).

L’uomo deve, invece, perseguire lo scopo di annullare in sé la volontà come essenza, cioè di pervenire ad una perfetta “Noluntas”.
Ciò è possibile attraverso il compimento di un iter che è essenzialmente conoscitivo e si svolge attraverso esperienze etiche che inducono progressivamente alla piena consapevolezza di sé sia in senso assoluto sia nel rapporto con gli altri.
Si tratta, dal punto di vista di Schopenhauer, di un iter di “redenzione” da una colpa originaria che è l’esistenza stessa.
Infatti, secondo il filosofo tedesco, che richiama a tal proposito i noti versi di Calderón de la Barca:
Pues el delito mayor
Del hombre es haber nacido6,
l’esistenza stessa è una colpa, tale da doversi espiare con la pena capitale,come sembra essere confermato dal fatto che, fin dal momento della nascita, siamo condannati a morire.
La prima tappa del cammino di “redenzione” è la Giustizia.
Schopenhauer distingue tra Giustizia temporale o umana e Giustizia eterna, universale.
La prima è imperfetta. Innanzitutto non può occuparsi delle “intenzioni” ma solo dei “fatti”, cioè può intervenire solo dopo che il reato sia stato effettivamente commesso; non sempre raggiunge il colpevole e, comunque, la pena è sempre successiva alla colpa.
La seconda è, invece, inesorabile e immediata: la pena è contemporanea alla colpa, nel senso che, qualunque sia il reato, essendo sia il colpevole che la vittima entrambi manifestazioni dell’unica Volontà universale, il male che essa infligge, da colpevole, è da essa stessa patito, cosicché, in quanto vittima, finisce per scontare in “tempo reale” la pena ad espiazione di ciò di cui si renda colpevole. Dunque, la Volontà universale è come un mostro che si morda la coda!7

Per quanto imperfetta la Giustizia umana costituisce, comunque, un primo passo verso la “redenzione” e il “riscatto”.
Si tratta, infatti, dell’esperienza attraverso la quale l’uomo si pone come soggetto di diritto che riconosce negli altri uomini altrettali soggetti di diritto.
Dunque la Giustizia umana è una forma di “bontà”, in quanto vale quanto meno a mitigare l’egoismo connesso con la Volontà individuale.
Una più alta forma di “bontà” è la “pietà” o, per meglio dire, la “Compassione”.
Mentre la Giustizia è il riconoscimento dell’uguaglianza di tutti i soggetti di diritto di fronte alla Legge, la Compassione è la consapevolezza dell’uguaglianza di tutti gli Uomini di fronte alla Natura e alla Volontà universale: un’uguaglianza dovuta al comune destino di dolore e di morte.
L’“amore”, nel senso di “carità” ovvero “pietà”, altrimenti detta “compassione”, nell’originario significato etimologico del termine (dal latino cum-patior ‘soffro insieme’), è quel particolare sentimento che nasce dalla compartecipazione alle sofferenze di tutti gli altri esseri viventi, cui ci si sente affratellati proprio dal dolore.
Ciò rende possibile il superamento di ogni egoismo e di ogni individualismo, fino al raggiungimento di una “perfetta bontà di cuore”, che può esplicarsi attraverso “l’amore disinteressato e il più generoso sacrificio di sé per gli altri”8.
Ma la pratica della “virtù”, benché meritevole, è tuttavia ancora insufficiente a raggiungere quello stato di “Noluntas” che solo può veramente placare ogni sofferenza.
Occorre, dunque, attuare il passaggio dalla “virtù” all’ “ascesi”, che rappresenta l’ultimo stadio del lungo cammino verso la “redenzione”.
Solo l’ascesi, infatti, può operare, attraverso un continuo e progressivo esercizio di “negazione” della volontà individuale, il raggiungimento della “Noluntas” e, con essa, il completo “riscatto” dell’uomo dalla Volontà universale.
Le tappe dell’ascesi sono: una spontanea e perfetta castità; la povertà volontaria e intenzionale; la rassegnazione; la sopportazione di ogni male, offesa o ingiuria; il digiuno; la mortificazione del volere; il sacrificio.
Attraverso la negazione della volontà fino al suo annientamento, cioè fino al conseguimento della “Noluntas”, si perviene, infine, a quello stato di appagata serenità interiore che, insieme alla “santità”, qualifica, appunto, gli asceti d’ogni tempo e luogo, a qualunque religione appartengano.
E poiché la santità e la serenità interiore sono traguardi mai definitivamente acquisiti, occorre continuamente, vincendo in sé le tentazioni, riconfermarsi nella propria scelta di sostanziale rinuncia alla vita.
* Il presente sunto è tratto dal manuale “Scire per causas. Laboratorio di Filosofia”, volume III, il cui contenuto è protetto dalle leggi sui diritti d’autore. Ogni diffusione e/o riproduzione anche parziale deve essere preventivamente concordata con gli autori e/o con la casa editrice.
1 Schopenhauer giudica Hegel un “ciarlatano pesante e stucchevole” e lo apostrofa addirittura quale “sicario della verità”.
2 Il LEOPARDI, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv. 141-143, così esprime il suo “pessimismo cosmico”: «Forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covile o cuna, / è funesto a chi nasce il dì natale».
3 A. SCHOPENHAUER, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, libro IV, § 56.
4 «Più aumenta il sapere, più si accresce il dolore», ECCLESIASTE, I, 18 (citato da Schopenhauer con il nome ebraico QOBÉLET).
5 A. SCHOPENHAUER, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, libro IV, § 57.
6 P. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, Atto I, Scena Ia, vv. 111-112.
7 A. SCHOPENHAUER, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, libro IV, § 63.
8 A. SCHOPENHAUER, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, libro IV, § 68.
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