Profilo di Aristotele

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

PROFILO DI ARISTOTELE
VITA E OPERE
469 Socrate 399

70 anni
427 Platone 347
80 anni; ha 28 anni alla morte di S.

387 Aristotele 322
65 anni; ha 40 anni alla morte di P.
VITA (Atene, 384 – Calcide, 322)
Atene
• Nasce nel 384 a Stagira, nella Tracia; è figlio di Nicomaco, medico di Aminta, re di Macedonia
• A 18 anni si reca ad Atene dove diventa allievo di Platone fino alla morte del filosofo, nel 347 a.C., che avviene dopo venti anni dal suo ingresso all’Accademia.
Asso
• Aristotele si reca allora ad Asso, nell’Asia Minore, ove esisteva un centro di studi costituito da due allievi di Platone, Erasto e Corisco; forse essi volevano creare una nuova scuola platonica ma non ci riuscirono.
• Viene chiamato alla corte di Macedonia dal re Filippo, come precettore del figlio Alessandro. Grandissima fu l’influenza di A. sul futuro conquistatore e grande il favore di cui godette il filosofo, che ebbe la possibilità di radunare una grande biblioteca. I rapporti tra Aristotele e Alessandro però si guastarono quando il potere di Alessandro assunse le forme di un principato orientale.
Atene
• Aristotele tornò ad Atene e fondò il Liceo, una scuola dove insegnava passeggiando (peripatetici). Essa coincide con i dodici anni in cui Alessandro espandeva le sue conquiste.
• Morto Alessandro, Aristotele venne preso di mira per essergli stato amico e contro di lui venne mossa la solita accusa di empietà; ma Aristotele disse di non voler dare occasione agli ateniesi di rendersi un’altra volta colpevoli verso la filosofia e si recò in esilio a Calcide, nell’Eubea, dove morì nel 322.
OPERE
• Scrive circa 150 opere, di cui solo una 50 sono pervenute a noi in forma completa
• Le opere si distinguono in essoteriche ed esoteriche o acroamatiche (=destinate all’ascolto dei propri discepoli, ovvero si tratta di appunti per condurre le lezioni)
• Essoteriche (perlopiù dialoghi): coincidono con il periodo in cui Aristotele è vicino a Platone di cui riprendono le tematiche e persino la forma espressiva (dialogo) ed i titoli: Convito, Protrettico, Della filosofia, Grillo o della retorica. Questi scritti sono andati quasi totalmente perduti e non ne rimangono che frammenti.
• Esoteriche (trattati): sono le più importanti e si dividono in 5 gruppi:
1. Logica (Organon)
2. Metafisica (Filosofia prima), in 14 libri
3. Scritti di Fisica e altre opere di Storia naturale, matematica, psicologia (De anima)
4. Scritti di Etica (Eudemea, Nicomachea, Grande etica), Politica, Economia
5. Scritti di Poetica e Retorica
• Le opere di Aristotele hanno avuto una vicenda complessa:
Da Teofrasto alla prima edizione di Andronico. Lo storico greco Strabone racconta che Teofrasto (372-287), successore di Aristotele al Liceo, lasciò in eredità le opere del maestro a Neleo, figlio di Corisco, amico di Aristotele nel periodo di Asso. I discendenti di Neleo nascosero questi scritti nella propria cantina, fino a quando un bibliofilo di nome Apellicone (che militava nelle file di Mitridate) non li acquistò.
Dalle mani di Apellicone passarono in quelle di Silla (138-78 a.C.), che durante la guerra contro Mitridate le confiscò e portò a Roma. Finalmente, alla metà del I sec. a.C., Andronico di Rodi, il decimo successore di Aristotele nel Peripato, riuscì ad approntare una prima edizione delle opere di Aristotele.
Pare comunque che gli esemplari custoditi da Neleo non fossero gli unici esistenti visto che i libri di Aristotele venivano citati da alcuni autori nel periodo intercorrente tra l’occultamento operato da Neleo e la scoperta di Apellicone.
1) I commenti successivi: arabi, medievali e rinascimentali. A partire dall’edizione di Andronico, le opere di Aristotele circolarono, dapprima attraverso i grandi commentatori greci; poi attraverso i filosofi arabi. Questi ultimi, nel periodo quasi contemporaneo alla rinascita carolingia, diedero vita ad una fioritura culturale che durò tre secoli: dal IX al XII. Grazie alle loro conquiste, infatti, gli arabi vennero a contatto con ebrei e cristiani e con la filosofia greca, di cui poterono fare uso in misura maggiore di quanto, nello stesso periodo, potessero fare i popoli dell’Europa occidentale, dove i filosofi greci, dopo la fine dell’impero romano, erano caduti quasi completamente nell’oblio. Si pensi ai tre commenti alle opere di Aristotele scritti dal filosofo arabo-spagnolo Averroè (Dante lo definisce “Averrois che il gran commento feo”), vissuto a Cordova nel 1100 circa. L’interpretazione aristotelica di Averroè creò una corrente filosofica detta “averroismo”.
Successivamente, nel Medioevo più tardo e nel Rinascimento, queste opere divennero di gran lunga le più lette, meditate, commentate e ripensate fra tutte quelle lasciateci dall’antichità. Dante definì Aristotele “il maestro di color che sanno” e il pensiero del filosofo greco venne ripreso dal maggiore dei filosofi cristiani, S. Tommaso d’Aquino.
PENSIERO
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Schema riassuntivo: Aristotele
a) Il problema dell’essere: Metafisica, Logica, Retorica, Teologia, Fisica
• Aristotele si ricollega alle riflessioni dell’ultimo Platone, circa il problema dell’essere. Il problema fondamentale della filosofia è il problema dell’essere: che cos’è l’essere?
• Aristotele lo affronta analizzando i significati fondamentali che la parola “essere” assume nelle frasi del nostro linguaggio e ne individua quattro
1) essere come Categoria
2) essere come Vero e Falso
3) essere come Potenza e Atto
4) essere come Accidente
• L’essere come Categoria. L’analisi del primo significato (essere come Categoria), ritenuto il più importante fra i quattro, porta a identificare a sua volta nella Sostanza la più importante delle categorie
- le categorie sono i modi in cui si dice qualcosa di qualcos’altro, ovvero in cui si “prediaca” qualcosa
- esistono 5 modi di predicazione che ci permettono di costruire proposizioni
- esistono 10 forme possibili di proposizioni in cui si esprimono dei concetti; queste 10 forme sono le categorie
- la categoria di sostanza corrisponde alla definizione o concetto (di cui parlava Socrate) ovvero alla proposizione dove l’individuo funge da soggetto e il genere e la specie da predicati; per questo la sostanza è la categoria più importante
• Il problema dell’essere si trasforma dunque nel problema della Sostanza: che cos’è la Sostanza?
• La sostanza è l’individuo o il sinolo (composto) di materia e forma (empirismo di Aristotele, idealismo di Platone)
• La sostanza è oggetto della scienza. La scienza studia le quattro cause.
• L’essere come vero e falso viene studiato dalla Logica. La logica studia il ragionamento vero o scientifico (sillogismo scientifico).
• La retorica studia i campi in cui si cerca di persuadere, ma senza poter utilizzare la Logica. Il sillogismo dialettico.
• L’essere come Potenza e Atto: la Teologia (come studio della sostanza immobile o Atto puro) e la Fisica (che studia la sostanza sensibile interessata dal passaggio dalla potenza all’atto)
• La psicologia: lo studio dell’anima, che nella gerarchia degli esseri fisici occupa il posto supremo
- i tre tipi di anima: vegetativa, sensitiva e razionale
- i due tipi di intelletto: intelletto passivo e attivo
b) Le altre opere di Aristotele: Etica, Politica, Poetica
• L’etica e la distinzione tra virtù etiche e virtù dianoetiche
• La politica
• L’economia
• La poetica e l’’estetica
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Il problema fondamentale è il problema dell’essere
Aristotele si riallaccia alle riflessioni dell’ultimo Platone, quello del periodo dialettico, che cercava di individuare l’essere delle cose attraverso le relazioni che le idee hanno tra loro.
Il problema filosofico fondamentale è dunque il problema dell’essere. Aristotele lo affronta con un metodo che gli è consueto. Egli comincia col passare in rassegna tutti gli elementi che la tradizione offre su un certo problema, per poi passare – sulla base di questa analisi preliminare – all'elaborazione di una teoria propria. Così perciò egli imposta anche il problema filosofico fondamentale, quello dell'essere, analizzando preliminarmente tutte le concezioni e gli usi del termine “essere” normalmente utilizzate nel linguaggio e nelle riflessioni filosofiche.
La parola essere ha molti significati, riconducibili a quattro fondamentali
Aristotele esamina dunque i vari modi in cui usiamo la parola "essere" e stabilisce che essa significa tante cose. Quando infatti si dice che una cosa è... si possono intendere molte cose: è grande, è vera, ecc. Secondo Aristotele, questa molteplicità di significati è riconducibile a quattro gruppi di significati fondamentali:
1. essere come CATEGORIA (o essere per sé)
2. essere come VERO o FALSO, di cui si occupa la Logica
3. essere come POTENZA o ATTO (il seme è albero in potenza; l'albero è il seme in atto)
4. essere come ACCIDENTE (o essere per altro)
"Il tavolo è graffiato", in questo caso il fatto che sia graffiato è una caratteristica casuale del tavolo, che non ne modifica la sostanza: il tavolo, anche se è graffiato, è comunque un tavolo; per cui l'accidente è la caratteristica di un oggetto che può esserci o non esserci, ma non cambia fondamentalmente l'idea che abbiamo di esso: proprio per questo, Aristotele sostiene che non vale la pena di soffermarsi troppo sull'essere come accidente, perché è quasi un non essere, tanto è poco essenziale).
Aristotele analizza singolarmente ciascuno di questi quattro gruppi di significati e stabilisce che il significato fondamentale della parola essere è quello di SOSTANZA, cioè la prima delle dieci categorie. Vediamo dunque come arriva a formulare questa teoria.
La distinzione tra i quattro significati fondamentali della parola essere fornirà la base alla nostra esposizione del pensiero di Aristotele: l’essere come Categoria ci permetterà di esporre la sua Metafisica; l’essere come Vero e Falso la sua Logica; l’essere come Potenza e Atto, la sua Teologia e la sua Fisica. Il resto dell’esposizione sarà poi dedicata all’analisi degli altri campi della vasta filosofia di Aristotele: Etica, Politica, Estetica.
A. L’ESSERE COME CATEGORIA: LA TEORIA DELLA SOSTANZA
(METAFISICA O FILOSOFIA PRIMA)
1. L’analisi dell’essere come categoria porta a identificare nella sostanza la categoria più importante.
- Aristotele arriva a formulare il concetto di categoria analizzando i vari modi di predicazione, ovvero i modi in cui costruiamo i nostri concetti predicando che qualcosa “è” qualcos’altro ovvero costruendo dei giudizi: es. “Socrate è un filosofo” (si ricordi che il termine “categorie” corrisponde al latino “praedicamenta”).
- Egli osserva che esistono 5 tipi diversi di predicazione cui corrispondono 5 tipi di predicati: genere, specie, differenza specifica, proprio e accidente.
- Egli analizza ciascuno di questi 5 predicati e poi osserva quanto segue:
1) genere e specie ci danno la DEFINIZIONE o CONCETTO (in senso socratico1) di qualcosa per la corrispondenza biunivoca che vi è tra i due predicati (ovvero quella che Aristotele chiama la “SOSTANZA” o essenza di una cosa, che corrisponde alla prima categoria)
2) alcuni termini possono fungere solo da soggetto (individuo), altri sia da soggetto sia da predicato (genere e specie) e proprio per questo A. chiama il soggetto SOSTANZA PRIMA e il genere e la specie SOSTANZE SECONDE.
3) tutti i termini usati nelle proposizioni, siano essi sostanze prime o seconde, proprietà o accidenti, sono riconducibili a dieci modelli fondamentali, che Aristotele chiama CATEGORIE:
CATEGORIA
ES.
1. Sostanza
Socrate è un uomo
2. Qualità
Socrate è bianco
3. Quantità
Socrate è alto…
4. Relazione
Socrate è figlio di…
5. Avere
Socrate porta le scarpe
6. Agire
Socrate corre
7. Subire
Socrate è guardato
8. Dove
Socrate è di Atene
9. Quando
Socrate vive nel V sec.
10. Situazione
Socrate siede
4) Aristotele dedica molta attenzione allo studio di genere e specie e scopre che possono essere disposti in una gerarchia in cima alla quale sta il genere e in fondo l’individuo. Es. Esseri del mondo - Esseri animali - Animali razionali – Socrate.
5) Scopre inoltre che estensione e comprensione di un concetto hanno un rapporto di proporzionalità inversa: quanto più si va dalla specie al genere, si vanno formando concetti sempre più universali per l’estensione ma sempre più poveri per comprensione, ovvero le note essenziali di cui sono dotati.
Es. Socrate è uomo. – L’uomo è animale. – Gli esseri viventi sono esseri del mondo… e così via sempre verso concetti più generali e poco comprensivi ecc.
La seguente tabella riassume tutte le riflessioni di Aristotele sui predicabili.
IL SOGGETTO
I CINQUE PREDICABILI o TIPI DI PREDICAZIONE
Tipo di termine ricorrente nella proposizione
INDIVIDUO
1. GENERE
2. SPECIE
3. DIFFERENZA SPECIFICA
4. PROPRIO o PROPRIETA’
5. ACCIDENTE
Definizione del termine
Ciò cui vengono attribuiti dei predicati.
Predicato ampio.
Predicato meno ampio, compreso nel genere.
Predicato che distingue la specie dalle altre specie rientranti nello stesso genere.
Predicato che pur non esprimendo l’essenza del soggetto, può appartenere soltanto ad esso.
Predicato che non appartiene all’essenza di una cosa, che non esprime i suoi caratteri fondamentali.
Esempio
Socrate
animale
uomo (animale dotato di razionalità)
essere razionale
- essere medico (solo l’uomo può essere medico, ma non è necessario essere medico per essere uomo)
- essere bipede
- essere capace di leggere e scrivere
- saper ridere
Si può concepire una roccia senza concepirla arrotondata.
A differenza del predicato “proprio”, che, pur non esprimendo l’essenza di una cosa può tuttavia appartenere soltanto ad essa, l’accidente non esprime l’essenza di una cosa e può appartenere anche ad altre cose: ad esempio, l’essere medico, si può dire soltanto dell’uomo; l’essere arrotondato si può dire di una roccia, di un tavolo, ecc.
Osservazioni
1) Genere e specie forniscono la definizione (o concetto) del soggetto (l’uomo è “un animale razionale”) perché vi è corrispondenza biunivoca tra le due espressioni. Esse sono interscambiabili: ogni uomo è animale razionale e ogni animale razionale è uomo.
2) Esiste una gerarchia dal genere all’individuo.
3) Vi è un rapporto di proporzionalità inversa tra estensione e comprensione di un concetto.
Non vi è corrispondenza biunivoca tra l’espressione “uomo” e l’espressione “medico”.
Ogni medico è infatti necessariamente “uomo”, ma non tutti gli uomini sono medici.
Osservazioni
Può fungere solo da soggetto.
Individuo significa “indivisibile” nel senso che non è divisibile in casi particolari. Ad es. non ci sono molti casi particolari di “Socrate”, ma ci sono molti casi particolari di “uomo”.
Può fungere sia da soggetto che da predicato:
- “Socrate è animale”
- “Gli animali sono mortali”

Può fungere sia da soggetto che da predicato
- “Socrate è un essere razionale”
- “Gli esseri razionali sono capaci di costruire giudizi”
Sostanza prima perché funge solo da soggetto, mai da predicato.
La sostanza è:
- separata
- non ha contrario
- non ammette gradazioni
- permanenza (ciò che l’essere era)
Sostanza seconda (meno fondamentale dell’individuo)
Sostanza seconda (meno fondamentale dell’individuo)
Oservazioni
Tutti i termini usati nelle predicazioni sono riconducibili a dieci tipologie fondamentali che A. chiama CATEGORIE.

Tre considerazioni si possono fare sulla tavola delle 10 categorie:
1) considerazione: la categoria più importante è la prima, cioè la SOSTANZA. Ad es. se chiedo “che cos’è Socrate?” posso dare varie risposte: “è un ateniese”, “è un filosofo”, “è un uomo”…; di tutte, la risposta più importante è l’ultima perché tutte le altre risposte la presuppongono perché il fatto che Socrate sia ateniese o filosofo poggia necessariamente sul fatto che egli è uomo; per questa sua importanza - sostiene Aristotele –, l’ultima risposta esprime la sostanza ovvero l’essenza necessaria di Socrate, Socrate è tante cose, ma è prima di tutto un uomo; posso pensare Socrate senza questa o quella caratteristica e Socrate rimane sempre tale, ma c’è una caratteristica tolta la quale, Socrate cessa di essere tale; questa caratteristica è necessaria per avere Socrate e appunto in questo senso Aristotele dice che la sostanza esprime la struttura necessaria di Socrate, ciò senza di cui egli non sarebbe più tale. Aristotele perciò sostiene che "l'essere si dice in molti modi, ma tutti fanno riferimento ad un unico principio", e tale principio è la sostanza.
Secondo A. la sostanza ha le seguenti caratteristiche:
• è separata, cioè esiste separatamente da altre sostanze, mentre le altre categorie sono sempre unite a qualche sostanza
• in genere non ha contrario: non esiste il contrario di Socrate o di uomo, mentre esiste il contrario di bianco
• non ammette gradazioni: non si può essere più o meno Socrate, mentre si può essere più o meno bianchi
• è “un questo” e non “un quale”, ovvero un certo individuo autonomo, mentre le altre cose sono soltanto “un quale”, espressione che indica un carattere che non ha vita propria, ma esiste solo come appartenente ad altro.
Dire che la sostanza è preminente rispetto alle altre categorie significa dire che la sostanza è quel qualcosa di reale (Aristotele parla di “questo qui”, cioè “questo albero”, “questa casa” ecc.) cui vengono attribuite delle proprietà (alto, basso, ecc.) che sono espresse dalle altre categorie.
E data la corrispondenza tra piano ontologico e piano logico-linguistico, possiamo dire che la sostanza è il soggetto logico-grammaticale e le sue proprietà sono i predicati, gli aggettivi. Il fatto che il soggetto può stare a sé nella frase, mentre gli aggettivi hanno sempre bisogno di legarsi ad un soggetto, indica l’autonomia ontologica del soggetto-sostanza rispetto alle qualità o attributi che gli si riferiscono. La sostanza perciò si concepisce di per sé (è qualcosa di autosufficiente dal punto di vista ontologico e logico), mentre gli attributi sono sempre concepibili solo se riferiti a una sostanza.
2) secondo Aristotele, le categorie sono contemporaneamente:
• LEGGI DELLA REALTA’ (modi di essere della realtà, modi in cui la realtà si presenta a noi).
• LEGGI DELLA MENTE (modi in cui l’essere viene pensato delle cose o anche predicato, ovvero espresso in frasi) ovvero le leggi della realtà vengono espresse in frasi che utilizzano le categorie.]
3) considerazione: la sostanza è “ciò che l’essere era”. La caratteristica dell’accidente è strettamente correlata a quella della sostanza. Mentre infatti il primo esprime caratteristiche casuali, contingenti delle cose, la seconda esprime caratteristiche necessarie. E’ per questo che Aristotele fa riferimento alla sostanza con la formula ciò che l’essere era (in greco. to ti ene einai, in latino: quod quid erat esse) per indicare appunto la permanenza nel tempo della sostanza, che esprime ciò che l’essere è ora, era già in passato e sarà in futuro, perché appunto la sostanza non può mutare mai ma resta sempre identica a se stessa. La sostanza sono le caratteristiche di un oggetto che questo non può mutare senza perdere la propria identità.
2. Il problema dell’essere si trasforma nel problema della sostanza. Ma che cos’è la sostanza?
La prima delle tre precedenti considerazioni, cioè che la categoria fondamentale è la prima categoria, ovvero la sostanza, implica che il problema iniziale di Aristotele, ovvero il problema dell'essere, si trasformi nel problema della sostanza: la domanda iniziale che cos'è l’essere? Si trasforma nella domanda: che cosa è la sostanza? La risposta di A. è che la sostanza è l’individuo, ovvero il sinolo. Vediamo come arriva a formulare tale risposta.
Aristotele analizza la parola sostanza e scopre che questa parola può assumere tre significati fondamentali:
1 - materia
2 - forma
3 - sinolo (o composto).
Il tavolo è insieme materia (legno), forma (quella particolare conformazione che assume il legno per essere chiamato "tavolo" piuttosto che "sedia") e sinolo (l'insieme della materia e della forma).
Quale di questi tre significati è quello più importante?
Non c'è dubbio che la forma sia preminente rispetto alla materia, ma lo è anche rispetto al sinolo? A questa domanda Aristotele risponde che, rispetto a noi, è più importante il sinolo, ma in sé e per natura è più importante la forma. In altre parole, noi non percepiamo mai la forma quando è da sola ma sempre quando è unita alla materia; l'unica possibilità che abbiamo di percepire la forma isolata è attraverso un atto di pensiero, cioè quando la cosa viene pensata dalla mente umana e diventa una specie, cioè un concetto universale, una forma scissa dalla materia. Non è dunque possibile, come faceva Platone, immaginare un mondo di idee separate dagli oggetti: per noi esistono solo sostanze composte; ovvero il sensibile si presenta sempre unito all'intelligibile.
La sostanza, in conclusione, è il sinolo.
Dato che la sostanza ci dice esattamente che cos’è una cosa, la sostanza è l’oggetto della scienza, che consiste nell’individuare quattro cause. La scienza infatti mira a dare una spiegazione delle cose, che consiste nell’individuare le quattro cause, cioè i quattro perché ultimi o “elementi necessari” delle cose, cioè le “radici”, di cui parlavano i presocratici, che però ebbero il torto di cercare una sola causa delle cose, mentre per Aristotele esse sono quattro e non sono altro (e la cosa risulta evidente in particolare rispetto alle prime due) che delle specificazioni della sostanza, che è sinolo di materia e forma:
1 – la causa materiale, la materia (= il marmo);
2 – la causa formale, la forma (= la forma che verrà impressa al marmo);
3 – la causa efficiente, ciò che dà origine a qualcosa (lo scultore);
4 – la causa finale, ciò a cui questo qualcosa tende (la motivazione che guida lo scultore nella lavorazione del marmo: la fama, il denaro, ecc.).
Si può osservare che nei processi artificiali queste quattro cause sono distinte, mentre nei processi naturali le ultime tre cause coincidono (nel seme che diventa pianta, la forma, ciò che dà origine al mutamento e ciò cui il mutamento tende sono la stessa cosa: esemplificare).

In base alla distinzione delle quattro cause, Aristotele muove delle critiche a Platone.
Aristotele sostiene che ciascuna delle cause appena elencate erano state già individuate dalle filosofie precedenti; però ciascun filosofo ha avuto sia il torto di insistere su una soltanto di esse, tralasciando le altre, sia di non chiarire bene il modo in cui la causa agisce su ciò che causa.
In quest’ultimo caso (non saper spiegare il modo in cui la causa si relaziona all'’ggetto), il bersaglio principale di Aristotele è Platone. Aristotele, attraverso una serie di critiche, mette in luce come il tentativo platonico di pensare la forma come causa esterna all’oggetto (creando perciò il mondo separato delle idee) sia del tutto inadeguata. In particolare le critiche mosse a Platone sono le seguenti:
1. è assurdo pensare che l’intima natura delle cose risieda al loro esterno piuttosto che al loro interno;
2. pensare che esiste un’idea che sta in rapporto con la cosa, crea degli inconvenienti che – abbiamo visto studiando gli ultimi dialoghi – già Platone aveva presenti. Aristotele lo dimostra con quello che egli chiama l’argomento del terzo uomo: tra un uomo e la sua idea dovrà esistere una terza idea, quella della somiglianza, tra l’uomo e l’idea, che mi consenta di metterle in relazione; ma allora anche tra l’uomo e la somiglianza dovrà esserci una terza idea che consenta a sua volta di metterli in relazione, e così via. (A e B si relazionano attraverso C; A e C, per lo stesso principio avranno bisogno di un terzo principio D per relazionarsi; A e D a loro volta avranno bisogno di un terzo principi E, e così via all’infinito.
3. Le idee, essendo immobili, non spiegano il movimento delle cose sensibili. Le idee sono immobili e non possono darci ragione del mutamento delle cose sensibili.
Le scienze vengono divise da Aristotele in tre grandi gruppi:
a - scienze teoretiche (il sapere di per sé);
b - scienze pratiche (il sapere in vista dell'azione);
c - scienze poietiche (il sapere in vista del fare).
B. L’ESSERE COME VERO O FALSO: LA LOGICA
L'essere come accidente non viene trattato perché è quasi un non essere, mentre l'essere vero o falso, viene trattato dalla logica,
1) Aristotele è il sistematore della logica induttiva, già intravista da Socrate e da Platone, che consiste nel passare dal caso particolare all’universale (sulla quale ci siamo soffermando trattando della sostanza: il concetto più importante è quello che ci fornisce la definizione ovvero la sostanza di una cosa), ma è soprattutto il padre della logica deduttiva, o sillogistica, o ragionamento.
Secondo Aristotele, infatti, il pensare si compie attraverso due essenziali processi:
a) quello dell’induzione (o epagoghé), che procede dal particolare all’universale (il concetto di Socrate)
b) quello della deduzione che consiste nel dedurre da un giudizio universale un giudizio particolare (conclusione);
2) La logica è organon (cioè, "strumento") di tutte le altre scienze perché accerta le condizioni secondo le quali ogni discorso può essere corretto e condurre alla verità.
3) Secondo Aristotele, la verità risiede nella proposizione - non nei termini (cioè nei concetti, ovvero nei termini, nelle singole parole) che la compongono - e precisamente nel rapporto fra un soggetto ed un predicato. Posso dire ad es. che "Socrate non è un uomo" è una proposizione falsa, ma non posso dire che "Socrate" o "uomo", presi da soli, siano falsi o veri.
4) Inoltre si può dire che siano vere o false solo quelle proposizioni che sono assertive, cioè che affermano qualcosa, cioè l'esistenza di un rapporto fra soggetto e predicato. Perciò, della seguente proposizione: "Ti prego, Signore, fammi guarire!", non si può dire né che sia vera, né che sia falsa, perché non è assertiva.
5) Come la verità di una proposizione (che esprime un concetto, es. “Socrate è un filosofo”) deriva dalla relazione fra i termini che la compongono, così la verità di un ragionamento o concatenazione di proposizioni (sillogismo) deriva dalla relazione fra le proposizioni che lo compongono.
a. Socrate è un uomo
b. Gli uomini sono mortali
c. Socrate è mortale
6) Aristotele sostiene che un sillogismo è una concatenazione di proposizioni nella quale, “stabilite alcune cose (verità) un’altra ne deriva necessariamente, per il fatto che quelle sono tali verità.”
7) Aristotele chiama le prime due proposizioni premesse (premessa maggiore e premessa minore) e la terza, quella che ne consegue necessariamente, conclusione.
8) Fa osservare poi che la verità della conclusione (C) deriva dalla verità premesse (A, B) attraverso il legame costituito dal termine che esse hanno in comune (uomo), che proprio per questo Aristotele chiama termine medio.
9) Le proposizioni possono essere
- universali ("Tutti gli uomini sono mortali") o particolari ("Quest'uomo è mortale"),
- affermative ("Socrate è mortale") o negative ("Socrate non è mortale").
10) A seconda di come si combinano affermative e negative, universali e particolari, si hanno vari tipi di sillogismo, che Aristotele chiama FIGURE; alcune le studia egli stesso, altre invece saranno esaminate dai logici medioevali.
11) Aristotele chiama invece MODI le forme che può assumere un sillogismo in base alla posizione del medio, se cioè quest’ultimo fa da soggetto piuttosto che da predicato nelle premesse.
12) Aristotele distingue tra verità e validità di un sillogismo. Un sillogismo può essere valido ma non vero.
La scienza si occupa solo del discorso vero. Ma quando un discorso è vero? Aristotele sostiene che il sillogismo scientifico parte da premesse necessarie e spiega che una premessa è necessaria se non viene meno a questi tre principi fondamentali:
1. IDENTITA’: “A = A”
ogni cosa è uguale a se stessa
La linea è linea
2. NON CONTRADDIZIONE: “A è A ed è non-A” è assurdo
È impossibile che lo stesso attributo appartenga e non appartenga contemporaneamente ad una medesima cosa.
La linea è curva e non è curva
Non posso dire che le alternative contraddittorie sono vere entrambe
3. TERZO ESCLUSO: “A è A oppure è non-A; è esclusa una terza alternativa”
E’ impossibile che ci sia un termine medio fra due contraddittori; è necessario affermare o negare di un medesimo oggetto uno solo dei contraddittori, qualunque esso sia.
Se sottolineiamo che due concetti sono contraddittori, ebbene solo uno dei due potrà essere applicato a un oggetto: solo uno dei due, non c’è una terza possibilità.
Se definisco il concetto di “curvo” e “diritto”, qualcosa sarà necessariamente o curvo o diritto, non potrà mai essere contemporaneamente le due cose.
La linea non è né curva né diritta
Non posso dire che le alternative contraddittorie sono false entrambe
Tuttavia identificare la verità con la conformità di un’asserzione ai tre principi precedenti non è sufficiente: occorre richiamarsi anche all’induzione e all’intuizione.
Infatti i tre principi precedenti sono generalissimi e validi in tutti i casi, perciò non contengono alcuna verità particolare.
Come otteniamo le verità particolari? Come arriviamo cioè a formulare quelle singole affermazioni che costituiscono il tessuto di ogni singola scienza (per esempio “Il vino fa bene”, se ci riferiamo alla scienza medica)? Aristotele sostiene che tali verità le formuliamo per induzione.
Tutte le proposizioni universali si formano per induzione, cioè attraverso un processo di generalizzazione dei dati a nostra disposizione: se possediamo tutti i dati, la generalizzazione sarà perfetta, se invece non siamo a conoscenza di tutti i dati essa sarà imperfetta. "Tutte le lettere di questo paragrafo sono scritte a macchina" è un'induzione perfetta, perché effettivamente è così, ma "Tutti i corvi sono neri" è una generalizzazione imperfetta, perché nessuno ha mai potuto controllare che tutti i corvi del mondo siano neri. Tale generalizzazione viene ammessa sulla base di un riconoscimento razionale della regolarità del mondo, ma nessuno può avere la certezza che sia vera.
Come dimostra ciò che abbiamo appena osservato, l’induzione perfetta è possibile in alcuni casi, ma non sono quelli che interessano maggiormente la scienza; perciò Aristotele sostiene che per ricavare la verità di una proposizione non possiamo basarci solo sull’induzione ma dobbiamo ricorrere anche all’intelletto o nous, ovvero una facoltà di intuizione razionale che ci permette di intuire direttamente l’essenza delle cose (così come accadeva con Platone, per l’intuizione delle idee).
La scienza non fa altro che produrre delle dimostrazioni ovvero delle esplicitazioni, tramite la macchina del sillogismo, ragionate e conseguenti della sostanza e delle sue proprietà.
LA RETORICA o LA LOGICA DEL PROBABILE e IL SILLOGISMO DIALETTICO
La logica studia le condizioni per i ragionamenti corretti che producono scienza e persuasione. Aristotele si rende conto però che non in tutti i campi è possibile usare la logica per persuadere, perché non di tutto si dà scienza. Egli studia allora nella “Retorica” tutti i mezzi che sono disponibili per persuadere nei campi in cui non è possibile utilizzare la logica.
Dal punto di vista di Aristotele, potremmo dire che Platone ha avuto torto ad aggredire i sofisti, tacciandoli di essere dei retori e degli imbroglioni, perché in realtà ci sono campi (etico, politico, morale, ecc.) in cui non è possibile recuperare il vero ma solo il probabile e la retorica non è solo l’arte di imbrogliare l’avversario nelle discussioni, ma quella di persuaderlo utilizzando mezzi che non sono strettamente logici. Sono i campi in cui comunque è possibile ragionare secondo procedure rigorose che A. indaga nella retorica.
1) La retorica è dunque “la facoltà di considerare in ogni caso i mezzi disponibili di persuasione”. Mentre ogni altra arte può istruire soltanto intorno ai suoi propri oggetti, la retorica non è limitata da una speciale sfera di competenza ma considera i mezzi di persuasione che si riferiscono a tutti gli oggetti possibili.
2) La persuasione prodotta dalla retorica avviene utilizzando i cosiddetti “topos” o “luoghi comuni” che sono quegli “argomenti che sono comuni all’etica, alla politica, alla fisica e a molte altre discipline diverse, come, p. es., l’argomento del più e del meno.” (Ret. I,2)
3) La persuasione retorica si avvale anche di particolari sillogismi non scientifici (ovvero quelli tipici della logica e della scienza), che A. chiama “sillogismi retorici”. (A. Distingue quattro tipi di sillogismo).
Il sillogismo dialettico
Se le premesse non sono sicure, il sillogismo è ipotetico e sarà studiato dalla dialettica che si occupa del linguaggio comune e non scientifico. Per probabile Aristotele intende quelle verità che non sono necessariamente vere, ma che “sembrano accettabili a tutti o ai più”. Sono opinioni, non giudizi logici.
Fondati su queste premesse sono i ragionamenti forensi o quelli che si usano in politica (e tutti i discorsi pubblicitari, diremmo ai giorni nostri) che hanno lo scopo di persuadere facendo leva su verità che possono essere accettate da tutti (ma che non sono di tipo logico: se così fossero sarebbero necessariamente accettati da tutti).
Aristotele analizza in proposito i luoghi ovvero le tipologie più diffuse di schemi argomentativi cui si può attingere nelle discussioni per persuadere gli uditori.. Esempio di luogo: Se sai fare il più saprai fare anche il meno (Se sai scrivere un romanzo saprai scrivere anche una lettera). Si tratta di un argomentazione dialettica e non logica perché è molto probabile che le cose stiano come viene enunciato nel ragionamento, ma non c’è l’assoluta garanzia che debbano stare così: potrebbe anche accadere che uno che sa scrivere un romanzo non sappia scrivere una lettera: come facciamo ad escludere questa eventualità?
Logica e retorica, ovvero: dimostrazione e argomentazione. La nuova retorica fondata da Perelman e Olbrechts-Tyteca nel ‘900 vuole essere una prosecuzione della retorica antica così come l’aveva sviluppata Aristotele, che l’aveva connessa alla dialettica, cioè all’arte di convincere e dibattere intorno a materie di opinione. Aristotele però non sviluppo adeguatamente questo aspetto della retorica; inoltre la ripresa della retorica aristotelica nel Rinascimento ci ha consegnato di essa un’immagine che la connetteva soltanto all’arte di abbellire il discorso, sganciandola dal suo carattere argomentativo che invece interessa i due studiosi del Novecento.
Contro chi sostiene che nel campo dei giudizi non logici, ovvero giudizi di valore o opinioni, prevale l’irrazionalità, Perelman e Olbrechts-Tyteca sostengono che esiste una logica dei giudizi di valore, ovvero delle tecniche argomentative, che permettono agli uomini di prendere le loro decisioni, sostenere le proprie opinioni in maniera motivata e argomentata, non in maniera casuale. Si tratta di studiare queste tecniche e di mettere in luce come funzionano. Si tratta cioè di studiare l’argomentazione. Ecco i risultati cui pervengono i due studiosi:
a) a differenza della dimostrazione logica (es. la dimostrazione del teorema di Pitagora), l’argomentazione non può ignorare l’uditorio cui si indirizza: è essenziale che sia adattata all’uditorio perché abbia effetto persuasivo. Chi usa l’argomentazione deve perciò cercare di costruirla facendo leva su principi già accettati dalla maggior parte delle persone che lo ascoltano.
In altri termini, se mi propongo di convincere delle persone che attribuiscono molta importanza al valore della famiglia, non potrò costruire delle argomentazioni che ad esempio tendono a sottovalutare questo valore. Se così facessi rischierei di non raggiungere il mio obiettivo.
b) Dopo essere partito da tesi accettate dal suo uditorio, l’oratore deve cercare di rinforzare l’adesione dell’uditorio a queste tesi mediante delle tecniche di presentazione, le stesse incluse nelle strategie letterarie.
Se si rivolge a gente comune deve appellarsi al buon senso, alle verità universalmente accettate, ai luoghi comuni.
c) Assicuratosi delle basi su cui fondare il proprio discorso, l’oratore può utilizzare svariati argomenti (esempio, analogia, a pari, a fortiori), che i due studiosi ritengono tutti riconducibili a due grandi categorie: 1) argomenti associativi, es.: se un atto è coraggioso, anche la persona che lo ha fatto è coraggioso, 2) argomenti dissociativi: lavorano sulla dissociazione delle nozioni (es. vero/apparente: esiste una giustizia vera ed una giustizia apparente) e ne esaltano una a scapito dell’altra. Nel definire ciò che è apparente e ciò che è reale ci si serve del senso comune.
4) Aristotele prende in considerazione anche i ragionamenti eristici dei Sofisti, e sostiene che essi non sono certi come quelli della scienza, né probabili come quelli della dialettica, ma solo apparentemente probabili. Perciò sono quelli che si allontanano di più dalla verità.
Il termine “topici” (titolo di un’opera di Aristotele) significa “luoghi” e indica metaforicamente i quadri ideali in cui rientrano e quindi da cui si attingono gli argomenti (sedes et quasi domicilia argumentorum, dirà Cicerone).
L’ESSERE COME POTENZA E ATTO: LA TEOLOGIA E LA FISICA
1. La distinzione tra essere in potenza e essere in atto si connette al problema del divenire (e – vedremo – anche alla distinzione delle quattro cause), che ai tempi di Aristotele costituiva ancora un problema importante poiché risentiva dell’impostazione parmenidea.
2. Come per Parmenide, anche per Aristotele il divenire non è concepibile se lo si intende come un passaggio dal non essere all’essere e viceversa.
3. Esso è concepibile soltanto se lo si intende come un passaggio da un certo tipo di essere ad un altro tipo di essere. Aristotele ritiene dunque che l’unica realtà sia l’essere e che il divenire sia soltanto una modalità dell’essere.
4. Allo scopo di spiegare il divenire Aristotele introduce dunque i concetti di potenza e di atto.
5. Per potenza si intende la possibilità per la materia di assumere una determinata forma. Per atto si intende la realizzazione di tale capacità.
Es.: gallina = pulcino in atto; pulcino = gallina in potenza.
6. In altri termini potremmo dire che la materia sta alla forma come la potenza sta all’atto. La materia è infatti qualcosa di informe che ha la possibilità di diventare qualsiasi cosa; mentre la forma è la realtà in atto di tali possibilità.
7. Il divenire diventa dunque il passaggio da una materia che è in potenza qualcosa alla materia che assume una certa forma e diventa qualcosa in atto.
8. Aristotele ritiene che l’atto abbia una triplice priorità sulla potenza:
a) gnoseologica: la conoscenza della potenza preuppone la conoscenza dell’atto; posso dire che qualcosa è in potenza qualcos’altro solo se ho in mente questo qualcos’altro (l’uovo è una gallina in potenza: come faccio a sostenerlo se non ho già in mente la gallina?)
b) cronologica: la gallina nasce dall’uovo, ma l’uovo non può che essere derivato da una gallina; dunque è nato prima la gallina che l’uovo!
c) ontologica: questa caratteristica deriva dalle precedenti, perché se l’atto è conoscitivamente e cronologicamente anteriore, non può che essere anteriore anche dal punto di vista ontologico, essendo causa, senso, fine della potenza. [Questa priorità dell’atto sulla potenza ha fatto dire che Aristotele concepisce il potenziale non come una vera e propria potenzialità che può rimanere tale, ma come una possibilità che deve necessariamente attuarsi perché è l’atto che le conferisce senso; si tratta dunque di una possibilità che è necessitata a esistere.]
9. Il divenire si spiega dunque come passaggio dalla potenza all’atto ovvero dalla materia alla forma. Abbiamo così utilizzato due (causa materiale e causa formale) delle quattro cause che ci permettono di avere perfetta conoscenza di tutti i fenomeni: ne mancano altre due. E infatti il movimento deve essere spiegato facendo riferimento anche alla causa efficiente ed alla causa finale.
10. In natura possiamo osservare una serie di passaggi dalla potenza all’atta in cui magari gli stessi fenomeni che prima erano atto di un processo diventano potenza di un nuovo processo, e così via. Diventa dunque opportuno cercare un inizio ed un fine per questa catena se non si vuole procedere all’infinito. Secondo Aristotele la causa efficiente all’origine della catena dei processi naturali è una materia originaria che è pura potenza, assolutamente priva di determinazioni (assomiglia alla chora, la materia-madre informe di cui Platone aveva parlato nel Timeo; si tratta comunque di una pura nozione teorica che noi mettiamo all’origine del divenire ma che non potremo mai conoscere perché la realtà ci mette sempre di fronte a una materia formata: per noi viene sempre prima il sinolo); il fine della stessa catena è invece costituito da qualcosa di opposto alla pura materia: si tratta di una forma totalmente scevra di potenzialità o atto puro.
11. Quest’ultima sostanza costituisce la sostanza più alta dell’universo, la sostanza immobile e divina di cui si occupa la teologia. A questo punto Aristotele introduce il concetto di Dio, ma bisogna precisare che questo concetto di Dio, seppure abbia molti tratti in comune con quello delle religioni rivelate posteriori all’aristotelismo (che magari ad esso si sono ispirate per tratteggiare le caratteristiche del divino) ha una genesi squisitamente filosofica e in questo ambito va inteso.
12. Le caratteristiche del Dio di Aristotele sono infatti ricavate in relazione ai problemi filosofici che egli incontra:
• Dio per Aristotele è anzitutto atto puro, pura forma scevra di materia che si trova come fine della catena del divenire.
• Poiché è pura forma scevra di materia, dio è sostanza immateriale.
• Poiché tutto ciò che si muove è mosso da altro, il movimento (il divenire) non si spiega se non c’è qualcuno che dà origine ad esso senza essere a sua volta mosso da qualcos’altro (diversamente si regredirebbe all’infinito): Dio è dunque primo motore immobile.
• Essere atto puro ed essere immobile significa anche che Dio si trova al di fuori del divenire e perciò al di fuori del tempo. Dio è essere eterno.
• Ma come può muovere un motore che è per suo conto immobile? Esso non muove come causa efficiente, cioè comunicando un impulso, ma come causa finale, cioè come oggetto d’amore. Allo stesso modo in cui l’oggetto d’amore, pur rimanendo immobile, attrae l’amante verso di sé. Da qui la concezione dell’universo come sforzo della materia verso Dio, anelito alla Perfezione, alla forma pura, all’atto pienamente realizzato.
• Essendo Dio perfetto entità pienamente realizzata, non gli manca nulla; a questa perfezione non potrà che appartenere il genere di vita più alto ed eccellente che consiste – secondo Aristotele – nel pensiero. Ma cosa pensa Dio? Essendo perfetto non può che pensare la perfezione stessa, ossia se medesimo: dunque Dio è anche pensiero di pensiero (noesis noeseos).
Secondo Aristotele, oltre alla sostanza sensibile, esiste anche una sostanza sovrasensibile (cioè Dio), e lo dimostra attraverso un'analisi del tempo, che è eterno movimento.
1. anzitutto il sovrasensibile esiste perché se tutto ciò che è mosso è mosso da altro, ed il tempo è eterno movimento, allora vi dovrà essere qualcosa che muove il tempo, e questo qualcosa dovrà essere eterno come il movimento che produce;
2. in secondo luogo, dio, il principio del movimento, è immobile, perché altrimenti avrebbe bisogno a sua volta di essere mosso da qualcos'altro;
3. infine dio è atto puro. Tutto ciò che è materiale, infatti, è potenza, mentre tutto ciò che è sinolo è un misto di potenza e di atto; dio, che è solo forma, è solo atto, perciò atto puro.
LA FISICA
1. Mentre la sostanza immobile, pura forma non percepibile coi sensi, costituisce l’oggetto della TEOLOGIA o FILOSOFIA PRIMA o METAFISICA, le sostanze in movimento e percepibili coi sensi sono oggetto della FISICA.
2. La fisica è la scienza più importante dopo la metafisica e si occupa delle sostanze in movimento, che appunto in base alla natura del loro movimento sono classificate.
3. Esistono quattro tipi fondamentali di movimento:
SOSTANZIALE
generazione e la corruzione
QUALITATIVO
il mutamento e l’alterazione
l’acqua che diventa vapore
QUANTITATIVO
l’aumento e la diminuzione
LOCALE
il movimento propriamente detto, il cambiare luogo
CIRCOLARE
DAL CENTRO ALL’ALTO
DALL’ALTO AL CENTRO
4. I primi tre tipi di movimento sono riconducibili a quello locale, perché tutti i tipi di movimento consistono in un cambiamento di luogo.
5. Il movimento locale è di tre specie:
a) CIRCOLARE: intorno al centro del mondo
b) DAL CENTRO verso l’alto
c) DALL’ALTO verso il centro del mondo
6. Gli ultimi due tipi di movimento sono OPPOSTI e perciò le sostanze ad essi soggetti saranno soggette anche a generazione e corruzione, composizione e scomposizione.
7. Il primo movimento invece non ha contrari e dunque le sostanze soggette a questo movimento non sono soggette a generazione e corruzione: sono dunque immobili, ingenerabili e incorruttibili.
8. I classici quattro elementi sono interessati dal primo tipo di movimento, mentre l’unico elemento interessato dal movimento circolare è l’ETERE, la sostanza di cui sono fatti i corpi celesti o SOVRALUNARI.
9. I quattro elementi interessati da generazione e corruzione compongono invece le cose terrestri o SUBLUNARI.
10. Secondo Aristotele ognuno di questi elementi ha un LUOGO NATURALE in cui tende a tornare se ne viene allontanato. Questi luoghi sono determinati dal rispettivo peso degli elementi: la terra sta al centro del mondo sublunare; sopra di essa l’acqua; poi la sfera dell’aria e poi quella del fuoco.
11. Come si può notare tale individuazione dei luoghi naturali avviene attraverso generalizzazione di semplici esperienze comuni: la fiamma va verso l’alto, la terra messa in un bicchiere va verso il basso, ecc.
12. Mondo sovralunare e mondo sublunare costituiscono insieme l’universo fisico percepibile con i sensi. Tale universo fisico secondo Aristotele è perfetto, (unico, eterno) e finito.
13. Tutto ciò egli lo afferma sulla base di argomenti aprioristici, privi di qualsiasi riferimento all’esperienza:
- il mondo è perfetto perché ha tre dimensioni e il numero tre, come sostengono i pitagorici è perfetto
- se il mondo è perfetto non può essere che finito, perchè non manca di nulla
- (l’universo è anche unico perché se è perfetto solo una cosa può essere perfetta: se ci fosse qualcosaltro di perfetto, ne limiterebbe la perfezione perché mancherebbe di qualcosa di perfetto che esiste al di fuori di esso; per la stessa ragione l’universo deve essere eterno: se non fosse tale passerebbe dall’essere al non essere, come sosteneva Parmenide)
- il mondo non può essere infinito perché tutto ciò che esiste esiste in uno spazio e lo spazio ha un centro, un alto un basso ed un limite estremo, costituito dalla sfera delle stelle fisse che racchiude l’universo percepibile coi sensi; l’infinito invece non ha un centro, un alto, un basso, ecc.
14. Secondo Aristotele, in natura non può esistere nemmeno uno SPAZIO VUOTO, perché lo spazio non è concepibile come realtà a se stante indipendente dai corpi, ma è il luogo occupato dai corpi. I luoghi (il cui insieme costituisce quello che chiamiamo spazio) è l’insieme dei luoghi naturali occupati dai corpi.
15. Questa teoria che nega l’esistenza del vuoto differenzia la teoria di Arisotetele da quella degli atomisti. Egli infatti ritiene che se esistesse il vuoto non esisterebbe il movimento infatti ogni corpo si muove perché ritorna al suo luogo naturale: ma nel vuoto questo non sarebbe possibile perché nel vuoto non ci sono luoghi naturali.
16. Il trionfo della visione del mondo aristotelica (e insieme ad essa quella di Platone) e la sconfitta della fisica democritea rappresenta un fattore di ritardo nello sviluppo della scienza moderna.
OPERE DI ETICA E POLITICA
ETICA
1. Coerentemente alla critica mossa alla teoria delle idee, Aristotele, al contrario di Platone, non pensa che il fine delle cose sia il Bene universale, ovvero qualcosa di astratto e lontano dalla realtà concreta, ma il bene particolare di ogni singola cosa.
2. Tale bene particolare consiste nell’attuazione dell’essenza propria della cosa stessa. Es. il bene per l’arco è di essere un buon arco, di svolgere bene il proprio compito.
3. Per quanto riguarda l’uomo, essendo la sua essenza propria il pensiero e la razionalità, il suo bene consisterà nel vivere secondo ragione.
4. La virtù, caratteristica dell’uomo buono, consiste nel saper vivere secondo ragione.
5. Aristotele distingue due tipi di virtù:
- le virtù dianoetiche, o virtù razionali dell’anima, cioè quelle che perfezionano la parte razionale dell’anima: arte, sapienza, scienza;
- le virtù etiche, o virtù relative alla parte affettiva dell’anima: sono quelle che consentono alla ragione di imporsi sugli affetti e di imporre ad essi una disciplina che consiste nel perseguire sempre il giusto mezzo tra affetti contrari: es. coraggio, come giusto mezzo tra viltà e temerarietà; liberalità, tra avarizia e prodigalità; mansuetudine, tra irascibilità e indolenza.
6. In sostanza, l’uomo virtuoso è colui che possiede virtù etiche ovvero pratica le virtù razionali dell’anima e virtù dianoetiche, che cioè sa scegliere il giusto mezzo tra affetti contrari.
7. Da notare come il distacco da Platone e da Socrate si faccia particolarmente evidente nel momento in cui Aristotele sostiene che le virtù dianoetiche non si possono praticare senza ABITUDINE, ossia senza volontà e costanza: si diventa coraggiosi non perché si decide che il coraggio è un bene e di conseguenza lo si segue (etica intellettualistica di Socrate), ma attraverso un allenamento quotidiano ad essere coraggiosi, dunque mediante uno sforzo della VOLONTA’ dell’individuo che si autoeduca ad essere coraggioso.
POLITICA
1. Come per Platone, anche per Aristotele, l’individuo realizza la sua vita nella società (si ricordi la repubblica di Platone, che è in grande ciò che l’anima del cittadino è in piccolo).
2. Aristotele sottolinea fortemente questo concetto e sostiene che l’uomo è per natura un animale politico: “fuori dalla società può esistere solo la belva o il Dio”. La dimensione politica è connaturata all’uomo; l’uomo isolato non può esistere; chi dice uomo dice società.
3. La famiglia è la prima società, poi viene lo Stato, in cui si realizzano perfettamente gli individui perché il fine dello stato è il raggiungimento della felicità degli individui.
4. Ma attenzione lo Stato è ultimo cronologicamente, ma primo ontologicamente: lo Stato viene cronologicamente dopo gli individui che lo compongono, ma dal punto di vista del concetto viene prima, così come nell’organismo il tutto precede le parti e come il fine precede i mezzi destinati ad attuarlo. “Infatti il tutto precede necessariamente la parte, perché tolto il tutto, non ci sarà più né piede né mano”
OPERE DI ESTETICA
POETICA, ESTETICA
1. Come per Platone, anche per Aristotele l’arte è imitazione della natura, ma si tratta di un’imitazione che non riproduce la realtà COSI’ COM’E’ nel singolo caso concreto (come pensava Platone, che perciò la condannava), ma COME DOVREBBE ESSERE ovvero in senso UNIVERSALE.
2. L’arte perciò è più “filosofica e solenne della storia”, che non può ritrarre i fatti nella loro universalità, ma si deve limitare a ritrarli così come sono nella loro particolarità.
3. L’arte ha un valore conoscitivo (e qui sta la differenza con Platone) che è persino superiore a quello della storia. L’artista infatti può rappresentare i fatti in maniera più completa di quanto possa fare lo storico, cioè selezionando e disponendo tutti gli elementi del racconto in un quadro verosimile, organico e coerente (ordine in cui consiste l’universalità della rappresentazione drammatica). Tale ordine non sempre è possibile trovarlo nei fatti reali, perciò la poesia è superiore alla storia.
4. Aristotele sostiene anche che questa caratteristica organicità della rappresentazione viene realizzata dall’artista con l’osservare delle particolari regole di concentrazione dell’azione drammatica (unità di tempo, luogo e azione).
5. Tale concentrazione è all’origine del sentimento di pietà e partecipazione che lo spettatore prova assistendo alla rappresentazione, dopo la quale si produce la catarsi dalle passioni. Assistendo allo scioglimento delle passioni sulla scena lo si sciolgono anche le passioni provate parallelamente alla scena dallo spettatore che vi assiste.
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1 Si ricordi che è Aristotele che vede in Socrate lo scopritore del concetto. In questo senso, la teoria aristotelica della sostanza (cui nella logica corrisponde il processo induttivo, che passa dal particolare all’universale) non è altro che la prosecuzione dell’indagine socratica relativa ai concetti.
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Profilo di Aristotele - Pagina 1 di 3

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