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Categoria: | Filosofia |
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FRIEDRICH NIETZSCHE
LA VITA
Friedrich Nietzsche nacque a Röcken nel 1844. Studiò filologia classica e in questi studi andò formandosi il suo entusiasmo per l’antichità greca. Lesse Schopenhauer e ne fu conquistato. A 24 anni ottenne la cattedra di filologia a Basilea e fece amicizia con Wagner. Nel 1879 rinunciò alla cattedra per motivi di salute. Da allora in poi la sua vita sarà quella di un malato inquieto e nervoso. La sua fama iniziò quando, chiuso nella pazzia, non poté più rendersene conto. Morì il 25 agosto del 1900, mentre i libri che egli aveva pubblicato a sue spese correvano per il mondo.
OPERE
Umano troppo umano (1878); La gaia scienza (1882); Così parlò Zarathustra (1883-84); Al di là del bene e del male (1885); La genealogia della morale (1887); Il crepuscolo degli idoli; Ecce homo; L’Anticristo (1888).
LA DENUNCIA DELLE “MENZOGNE MILLENARIE” DELL’UMANITÀ E L’IDEALE DI UN “OLTRE-UOMO”
La filosofia di N. è un’incessante distruzione di miti e credenze, in quanto egli è convinto che per sopportare l’impatto con la vita, l’uomo si sia costruito una serie di certezze, che si rivelano soltanto come una necessità di sopravvivenza, che il filosofo ha il compito di mettere a nudo. N. in Ecce homo si presenta come il primo uomo decente dopo la falsità che dura da millenni. Mette in discussione la civiltà occidentale e l’individuo anti-vitale e sottomesso da lei prodotto. Delinea inoltre un nuovo modello di umanità: il super-uomo o oltre-uomo (Übermensch).
DIONISO O L’ACCETTAZIONE DELLA VITA
Sono possibili due atteggiamenti di fronte alla vita:
1. Rinuncia e fuga
2. Accettazione della vita come essa è
Dioniso è l’affermazione religiosa della vita totale, l’esaltazione entusiastica del mondo. Dioniso è la volontà orgiastica della vita e la totalità della sua potenza, è il dio dell’ebbrezza e della gioia, il dio che canta, che ride e danza. L’accettazione integrale della vita trasforma il dolore in gioia, la lotta in armonia, la crudeltà in giustizia, la distruzione in creazione. Tutti i valori fondati sulla rinuncia appaiono a N. come indegne dell’uomo. Per lui sono invece virtù tutte le passioni che dicono sì alla vita, cioè la fierezza, la gioia, la salute, ecc. Solamente l’atto dell’accettazione di ciò che la vita è, indirizza l’uomo verso l’esaltazione di sé anziché verso l’abbandono e le rinuncia.
LA CRITICA DELLA MORALE E LA TRASVALUTAZIONE DEI VALORI
Il tema dell’accettazione della vita porta N. a polemizzare contro la morale e il Cristianesimo. Secondo N. il primo passo da compiere nei confronti della morale è metterla in discussione: abbiamo bisogno di una critica dei valori morali. N. intraprende un’analisi genealogica della morale;
Dove voi vedete le cose ideali,
io vedo cose umane, ahi troppo umane.
Egli ritiene che la morale sia la proiezione di determinate tendenze umane che il filosofo ha il compito di svelare. “La voce della coscienza” non sarebbe nient’altro che la voce, in noi, delle autorità sociali da cui siamo stati educati, la voce di alcuni uomini nell’uomo. La moralità è l’istinto del gregge nel singolo; i valori etici sono il rafforzamento dei domini umani.
Mentre nel mondo classico la morale era improntata ai valori vitali della forza, della salute, della gioia (=morale dei signori), nel cristianesimo la morale diventa improntata ai valori anti-vitali del disinteresse, del sacrificio di sé, ecc. (=morale degli schiavi). Come si spiega la vittoria della morale degli schiavi? Ciò è avvenuto perché la morale dei signori comprende sia l’etica dei guerrieri, che quella dei sacerdoti; se il guerriero si rispecchia nelle virtù del “corpo”, il sacerdote si rispecchia in quelle dello “spirito”. Il sacerdote non può fare a meno di provare invidia nei confronti dei guerrieri, e cerca quindi di farsi valere elaborando una tavola di valori antitetica a quella dei cavalieri. Così al corpo è anteposto lo spirito, all’orgoglio l’umiltà, alla sessualità la castità, ecc. questo rovesciamento di valori è rappresentato dagli ebrei, nei quali N. vede il popolo sacerdotale per eccellenza.
Sono stati gli ebrei ad aver osato il rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore (buono=nobile=potente=bello=felice=caro agli dei), ovverosia i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono i buoni; i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti…
In tal modo la Giudea, umiliata dai romani, conquista Roma stessa tramite il Cristianesimo, religione che è frutto del risentimento dell’uomo debole verso la vita.
Il cristianesimo, poiché ha corrotto il piacere mediante la nozione di peccato, ha prodotto un tipo di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa, è psichicamente autotormentato: nasconde dentro di sé un’aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta contro il prossimo.
Già la parola “cristianesimo” è un equivoco; in fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce. La Chiesa è esattamente ciò contro cui Gesù ha predicato e contro cui egli ha insegnato ai suoi discepoli a combattere.
Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi hanno stancato la terra: possano scomparire!
Da ciò la proposta di una trasmutazione o inversione di valori:
La verità è tremenda: perché fino ad oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l’atto con cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e genio (Ecce homo).
Quando N. si proclama il primo immoralista, non intende alludere all’abolizione di ogni criterio o valore, ma contrapporre ai valori anti-vitali della morale tradizionale una nuova tavola di valori a misura d’uomo. L’uomo è nato per vivere sulla terra ed è sostanzialmente corpo: l’anima è soltanto una parola che indica una particella del corpo.
LA MORTE DI DIO E LA FINE DELLE ILLUSIONI METAFISICHE
Prendendo le mosse da Schopenhauer, sostiene che la concezione di un cosmo ordinato e retto da un Dio provvidente, è soltanto una costruzione della nostra mente, per poter sopportare la durezza dell’esistenza. Da ciò il proliferare di tutte le metafisiche e le religioni, protese ad esercitare i loro esorcismi protettivi su un universo che danza sui piedi del caso e che non risulta affatto costruito silla ragione:
c’è un solo mondo, ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso… un mondo così fatto è il vero mondo… noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa verità, cioè per vivere… la metafisica, la morale, la religione, la scienza… vengono prese in considerazione solo come diverse forma di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita (Frammenti postumi).
Dio appare a N. come la più antica delle bugie vitali e come tale essa è l’espressione di una paura di fronte alla verità.
MORTE DI DIO E AVVENTO DEL SUPERUOMO
La morte di Dio costituisce un trauma solo in relazione ad un uomo non ancora superuomo: infatti la morte di Dio segna, per N., l’atto di nascita del superuomo.
Noi filosofi e spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora… (La gaia scienza)
La morte di Dio coincide con il tramonto definitivo del platonismo, che per N. è la metafisica per eccellenza dell’occidente.
IL PROBLEMA DEL NICHILISMO E DEL SUO SUPERAMENTO
In una prima accezione, N. intende per nichilismo ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo; in una seconda accezione, N. intende per nichilismo la specifica situazione dell’uomo moderno che, non credendo più in un senso o scopo metafisico delle cose, finisce per avvertire, di fronte all’essere, lo sgomento del vuoto e del nulla.
Il caso dell’individuo post-cristiano ci dimostra che tanto più l’uomo si è illuso, tanto più è rimasto deluso, e non può fare a meno di avvertire un terribile senso di vuoto, che non percepirebbe se non fosse passato attraverso il cristianesimo:
sta venendo il tempo in cui dovremmo pagare per essere stati cristiani per due millenni; perdiamo il centro di gravità che ci faceva vivere – per un certo tempo non sapremo come cavarcela…
L’equivoco del nichilismo consiste nel dire che il mondo, non avendo quella serie di significati forti che i metafisici gli attibuivano, non ha nessun senso. In realtài significati, pur non esistendo come assoluti, esistono come prodotti della volontà di potenza:
la domanda del nichilismo: “A che scopo?” procede dalla vecchia abitudine di vedere il fine come posto, dato, richiesto dall’esterno – cioè da una qualche autorità sovrumana. Anche dopo aver disimparato a credere in quest’ultima, si continua a cercare un’altra autorità in grado di parlare un linguaggio assoluto e di imporre fini e compiti. Viene quindi in primo piano l’autorità della coscienza. O l’autorità della ragione. O l’istinto sociale (il gregge). O la storia con uno spirito immanente, che ha il suo fine in sé e a cui ci si può abbandonare. Si vorrebbe aggirare la necessità di avere una volontà, di volere uno scopo, il rischio di dare a sè stessi un fine…
Questo mostra come N. superi il nichilismo stesso, che gli appare soltanto uno stadio intermedio, ovvero un no alla vita che che prepara il grande sì ad essa, attraverso l’esercizio della volontà di potenza.
Vivere senza certezze metafisiche assolute non significa distruggere ogni senso, ma responsibilizzare l’uomo stesso in quanto fonte di valori e significati.
Teoria di Amleto: la ragione paralizza l’azione; per agire occorre essere avvolti nel velo dell’illusione.
L’ETERNO RITORNO
Teoria dell’Eterno Ritorno o dell’Uguale, cioè la ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo (circolarità del tempo).
Tutte le cose diritte mentono, ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo…non dobbiamo esserci stati tutti un’altra volta? Non dobbiamo ritornare in eterno?
N. recupera una visione ciclica del tempo, in opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno:
Tutto va, tutto torna indietro; eternamente ruota la ruota dell’essere. Tutto muore,tutto torna a fiorire, eternalmente come l’anno dell’essere. Tutto crolla, tutto viene di nuovo connesso; eternamente l’essere si costruisce la medesima abitazione… In ogni attimo comincia l’essere… Il centro è dappertutto. Ricurvo è il sentiero dell’eternità.
Celebra il tipo d’uomo capace di decidere l’eterno ritorno e quindi di vivere come se tutto dovesse tornare, vivere ogni attimo con pienezza di significato e senso, realizzando la felicità del singolo.
IL SUPERUOMO E LA VOLONTÀ DI POTENZA.
Il superuomo è colui che è in grado di accettare la vita, rifiutare la morale tradizionale e di operare una trasvalutazione dei valori, di reggere la morte di Dio, di superare il nichilismo, di collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno e di porsi come volontà di potenza. Come tale, il superuomo non può che stagliarsi sull’orizzonte del futuro (da ciò il carattere profetico di tutta l’opera nietzschiana). ÜBERMENSCH = OLTREUOMO, il futuro dell’uomo.
Chi è il soggetto destinato ad incarnare l’oltreuomo? Un’umanità liberata, oppure un’élite superiore? (v. le interpretazioni di destra) N. è ambiguo rispetto a questo punto.
La libertà di potenza è la libertà creatrice.
LA CRITICA DELLA CULTURA SCIENTIFICA E STORICA CONTEMPORANEA
Di fronte alla scienza N. ha un atteggiamento ambivalente: nella fase più illuministica (Umano troppo umano, Aurora, La gaia scienza) egli vede la scienza come una scuola di rottura e libertà nei confronti del passato; dall’altro lato egli accusa la scienza di proporre atteggiamenti servili e ascetici nei confronti del mondo. Infatti la scienza gli appare ferma all’adorazione della verità oggettiva, in un vero e proprio culto dei fatti. Tant’è vero che l’uomo di scienza finisce per amare un mondo diverso da quello della vita, della natura, della storia. Il risultato è un impoverimento di energia vitale.
Critica della visione positivistica della scienza: il mondo non è un insieme di dati, ma un complesso di interpretazioni.
Nel saggio Sull’utilità e il danno della storia, N attacca anche la cultura storicistica che, al pari di quella positivistica, favorisce l’idolatria del fatto, che fa dell’uomo il risultato di un processo necessario, riducendolo a passivo ente costretto a piegare il capo dinanzi alla potenza della ragione (Astuzia della ragione di Hegel). In tal modo l’uomo, sentendosi in balia del passato, prova un senso di impotenza anche verso il presente, perdendo la fiducia di poter plasmare liberamente il futuro.
L’individuo si fa esitante e insicuro, e non può più credere in sé: sprofonda in se stesso, nell’interiorità, ossia nel deserto delle cose apprese che non agiscono all’esterno, dell’erudizione che non diventa vita…
N. critica duramente lo storicismo hegeliano; sostenendo che il reale si evolve secondo una logica oggettiva e giusta, Hegel ha favorito l’idolatria del fatto, la passiva accettazione delle situazioni esistenti. Non per nulla lo stato prussiano è parso voler fare di questo storicismo la propria filosofia ufficiale.
N. ammette non solo il danno, ma anche l’utilità della storia, sostenendo che la vita ha bisogno dei servizi della storia, che appartiene all’uomo sotto tre rapporti:
1. perché è attivo e perché aspira;
2. perché conserva e venera;
3. perché soffre e ha bisogno di liberazione.
A questi corrispondono tre specie de storia e si possono distinguere nello studio della storia sotto un punto di vista:
1. MONUMENTALE : ciò che di più elevato nel passato può ancora rivivere;
2. ARCHEOLOGICO : chi guarda al passato per cogliervi le radici del presente;
3. CRITICO: chi giudica il passato, lo dissolve e lo infrange per poter vivere.
La storia archeologica, quindi, mummifica la vita; essa è capace di conservare, non di generare la vita. La storia archeologica nasce quando l’uomo si attarda a considerare il passato con fedeltà e amore; ma per poter vivere l’uomo ha bisogno di rompere con il passato, di annientarlo, di rifarsi daccapo a rinnovarsi. A questo serve la storia critica: essa trascina il passato davanti al tribunale e lo condanna. Chi condanna è la vita.
N. non nega la storia, ma la vuole subordinata alla vita e funzionele alle sue esigenze.
N. predilige quindi la storia critica, poiché essa indica i legami dell’uomo col passato e pone l’esigenza di liberarsi da essi in nome del presente e del futuro.