La psicologia nellla speculazione post aristotelica

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La Psicologia nella Speculazione filosofica post-aristotelica: dallo Stoicismo al Neoplatonismo.

In seguito alla morte di Alessandro Magno, il vastissimo impero creato dal condottiero macedone venne scosso, come è noto, da profondissimi quanto prevedibili rivolgimenti politici e sociali che, ovviamente, non potevano non avere la loro ricaduta sul clima culturale dell’epoca. Nell’arte, nella letteratura, e a maggior ragione nella filosofia di questo periodo si sentono forti gli echi della Storia. L’uomo della cosiddetta età ellenistica si trova a vivere al centro di numerose contraddizioni, in una temperie che certo non favorisce il mantenimento di principi saldi, di concezioni granitiche, di una visione del mondo organica e fiduciosa. Inevitabile il ripiegamento sulla propria interiorità, un maggiore soggettivismo, una nuova ansia di trovare risposte a nuovi quesiti:domande quanto mai pressanti sul come affrontare la vita, come porsi rispetto ad essa, quale comportamento adottare in mezzo a quello che non vorremmo spingerci a chiamare “caos”, ma che sicuramente moltissimo ad esso si avvicina.
La filosofia ellenistica si sente chiamata a dare la risposta a tali domande.Di qui l’assoluta prevalenza, nell’ambito della speculazione delle diverse scuole di questo periodo, data al problema morale. La filosofia viene ormai concepita come il mezzo per il raggiungimento di un fine eminentemente pratico, vale a dire la felicità variamente intesa. Tuttavia, non per questo le filosofie ellenistiche rinunciano alla speculazione logica ed ontologica. Ne’ rinunciano ad elaborare ciascuna una psicologia: lo studio dell’anima, infatti, diviene tanto più interessante in questo periodo in quanto essa – la si consideri immortale o no- resta comunque il centro della ragione, o meglio del logos e dei sentimenti e, perciò, s’inquadra alla perfezione nel novo indirizzo morale (non è forse da ragione e sentimento che, sostanzialmente, derivano le nostre scelte?). La psicologia ellenistica, dunque, diviene una sorta di tramite e di raccordo fra la metafisica e l’etica, fra il pensato ed il pensiero, essendo l’anima, in ultima analisi, la fonte di ogni pensiero e, quindi, di ogni elaborazione o costruzione mentale successiva.
Delle grandi correnti filosofiche di questo periodo, quella di gran lunga più importante ed influente è la stoica.Gli stoici elaborarono una psicologia piuttosto complessa ed articolata. L’anima, ovviamente,
è corporea, come tutto ciò che agisce; Crisippo, partendo dalla definizione platonica di morte come “separazione dell’anima dal corpo”, formula questo principio: “l’incorporeo non potrebbe né separarsi dal corpo né unirsi con esso; ma l’anima s’unisce al corpo e se ne separa; dunque l’anima è corpo”.
Le singole anime umane sono parte dell’Anima del mondo, vale a dire di Dio; e “sopravvivranno alla morte nel seno”1 di essa.
L’anima consta di quattro parti o principi: un principio egemonico, la ragione; i cinque sensi; il seme (altrimenti detto principio spermatico) e il linguaggio. Lo dice il nome stesso, il principio egemonico controlla le altre parti dell’anima; esso produce le rappresentazioni catalettiche, l’assenso, ma è anche alla base degli istinti e dei sensi. Pare che gli Stoici ponessero tale principio nella testa, oppure nel cuore, o meglio nel soffio intorno al cuore.
Ancora più definita è, in Epicuro, la corporeità dell’anima. Il filosofo insiste soprattutto sul fatto che essa è composta da atomi, né più né meno che il resto dell’universo, che si aggregano e disgregano secondo le comuni leggi fisiche (sarebbe pertanto stolto preoccuparsi di una sopravvivenza dell’anima oltre la morte). L’unica differenza che si ammette è nella natura delle particelle che compongono l’anima, ma è una differenza tutto sommato quantitativa: gli atomi dell’anima sarebbero, infatti, più sottili, leggeri e levigati degli altri, e si disporrebbero nel corpo come un “soffio caldo”.Tre le facoltà dell’anima: la sensazione, l’immaginazione e la ragione (fonte del giudizio e dell’opinione.).Tali facoltà sono dette teoretiche; ad esse se ne aggiunge una pratica, l’emozione, che secondo i canoni di piacere o dolore, regola la nostra vita. A questa visione rigidamente dottrinaria si oppone in determinati passi del “De Rerum Natura” Lucrezio, che anzi afferma:
“In verità, non sappiamo l’anima quale natura
abbia:se nasca dal corpo, o venga infusa a chi nasce,
e distruggendosi colla morte perisca con noi,
o veda invece le tenebre e i vasti stagni dell’Orco,
o, come canta Ennio nostro, per volontà degli dèi,
s’immetta in altri animali (…)”2
Lasciando da parte, per la stessa natura della loro speculazione, le scuole che seguirono l’indirizzo scettico, arriviamo all’ambiente vario e cosmopolita di quello che è ormai l’impero romano. La filosofia di questo periodo, accentuando ancor più il carattere pratico che pur aveva importanza assai rilevante nelle scuole ellenistiche, preferì mettere da parte le differenze troppo marcate fra i diversi orientamenti, e , per la maggior parte, tese a mettere insieme , su un’impalcatura essenzialmente stoicheggiante, alcune convinzioni proprie di diverse scuole. Tale corrente viene definita eclettismo: dal greco ek-lego, che significa, molto eloquentemente, “scelgo”, appunto perché si tendeva a scegliere le verità fondamentali, ammesse come “sussistenti nell’uomo prima e indipendentemente da ogni ricerca”.3
Abbiamo così diverse filiazioni dell’eclettismo: lo stoicismo eclettico, il platonismo eclettico (Cicerone) ,l’aristotelismo eclettico e così via.
Il filosofo più interessante di questo periodo è senza dubbio Lucio Anneo Seneca: per quanto egli non si discosti granché, nella fisica e nella metafisica, dal modello stoico,elabora invece una psicologia particolare, rifacendosi al modello platonico. Seneca distingue nell’anima una parte razionale e una irrazionale; e in quest’ultima dà ulteriori suddivisioni, segnatamente fra una parte irascibile “ambiziosa” (le passioni), e una “languida”, dedita al piacere. Sempre seguendo Platone, Seneca va a chiarificare il rapporto corpo-anima: il corpo è “prigione e tomba” dell’anima, e la vera vita inizia solo con la morte di questo: “il giorno della morte è il giorno della nascita eterna”.4
Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, riprese, dopo circa un secolo, le concezioni di Seneca riguardo all’anima. Nei suoi “colloqui con sé stesso”, ritorna a parlare del corpo come di una prigione, pur non soffermandosi troppo sul destino dell’anima dopo la morte: è certo che la condizione dell’anima sarà beata, ma non è chiaro se in una vera e propria “nuova vita” o trasmigrando in un altro ente, secondo la dottrina stoica classica. (dalla quale si distacca soprattutto affermando che l’anima non è corporea.) Infine, Marco Aurelio ritiene che all’anima appartengano , quale funzione propria, gli impulsi. I pensieri sono propri dell’intelletto e le percezioni del corpo.
Dopo il declino delle scuole ellenistiche, che si erano in un certo modo fuse nell’eclettismo,prese piede, come ultima rilevante manifestazione della filosofia antica, prima del definitivo avvento del cristianesimo, il neo-platonismo, fondato da Ammonio Sacca, che trova il suo esponente principale in Plotino (203-204 d.C.-269-270 d.C.).
I filosofi neoplatonici si richiamavano -evidentemente- a Platone, ma con sostanziali differenze. Originali sono la dottrina dell’Uno e delle Ipostasi. Ma soprattutto, la speculazione neoplatonica esaspera il carattere “religioso” proprio già della dottrina di Platone. Per quanto riguarda l’anima, Plotino afferma che le anime singole sono parti dell’anima del Mondo, che vivifica e informa tutta la materia, rimanendo però allo stesso tempo unica ed indivisibile.. Pertanto tutte le cose del mondo si caratterizzano per l’unità e la simpatia. Questo discorso si inquadra in quello più generale del “ritorno all’Uno”, che deve essere il fine essenziale dell’uomo.
I filosofi cristiani, e in genere la filosofia dal 300 d. C. in poi ebbe sempre presente la speculazione filosofica ellenistica e tardo-antica, specie quella stoica e neoplatonica.

1 Nicola Abbagnano, “storia della Filosofia- volume primo”, Utet 1993, pag. 214
2 Lucrezio, De Rerum Natura I,112-126; trad. L.Canali.
3 Nicola Abbagnano, op. cit., pag. 240
4 Lucio Anneo Seneca, Ep. 102,26. “Seneca. Lettere a Lucilio.” A cura di U.Boella, Torino 1975
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