La psicologia cristiana dei primi secoli

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LA PSICOLOGIA CRISTIANA dei primi secoli

L’anima non occupa uno fra i punti cardine della filosofia del cristianesimo. Infatti essa è considerata inferiore alla purezza divina. Nella civiltà greca si era vista una concezione di anima completamente lontana dal corpo, dal quale si doveva staccare al momento della morte per raggiungere la purificazione. Spesso subiva il processo di trasmigrazione in un altro corpo, sua prigione, che continuava fino al momento in cui avesse raggiunto la perfezione. Nel cristianesimo invece l’anima è sì immortale, come nella cultura greca, ma non eterna (nasce ma non muore). Dopo la morte, infatti, attende la resurrezione della carne, che è legata indissolubilmente a lei. L’anima, quindi, non subisce il processo di transustanziazione e non si reincarna ed è insieme al corpo prima, durante e dopo la morte. La sola transustanziazione si ha durante l’eucarestia, quando il Figlio di Dio ritorna momentaneamente sulla terra per giacere nel cuore (sede dell’anima) degli uomini e liberarli dai peccati commessi.
Prima del Concilio di Nicea (325) il problema dell’anima non viene per niente affrontato, in quanto la tematica principale era l’essenza di Dio (prosopologia), come uno e trino. A partire da Sant’Agostino, invece, ci si cominciò ad interrogare sulla collocazione spazio-temporale dell’anima dalla morte al giudizio universale. Si arrivò, quindi, alla formulazione del “giudizio particolare”, ovvero la sistemazione delle anime in attesa della resurrezione e del Giudizio Universale. Tale giudizio particolare consiste nei tre Regni dell’eternità: Paradiso, Inferno e Purgatorio; quest’ultimo fu però oggetto di parecchie polemiche, data la sua “mediocritas inter aeternitatis mundos”.

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