HEGEL

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

CRISTIANESIMO,EBRAISMO E MONDO GRECO: PERDITA E NOSTALGIA DELLO SPIRITO DI BELLEZZA
Nell'opera «La positività della religione cristiana», Hegel critica duramente le strutture delle chiese cristiane poiché in esse sarebbe sparito lo spirito profondo del messaggio religioso di Gesù, quest'Ultimo infatti ha predicato l'amore, la comunanza de cuori, la fratellanza, il superamento della vecchia legge esteriore fatta di precetti e comandi, attraverso la nuova legge dell'amore fatta di intensa vita interiore. Le chiese invece hanno costruito una religione positiva, cioè determinata attraverso i dogmi e precetti del tutto esteriori.
Nell'opera «Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino» ripercorre la storia degli ebrei notando come essi abbiano reagito al diluvio ancorando la salvezza dalla natura alla fede nella potenza del loro Dio. Dio è contrapposto alla natura: Egli è tutto, l'uomo e la natura sono niente. Per questo gli ebrei hanno scelto di vivere in inimicizia con la natura e con gli altri uomini e riponendo la salvezza nel Dio trascendente e geloso di ogni rapporto di amicizia con altri popoli. Hegel studia la figura di Gesù che ha rifiutato la scelta del suo popolo e ha predicato la legge dell'amore. Questo concetto è fondamentale nello spirito del Cristianesimo, Hegel infatti parte dall'idea che la vita sia una e inimicarsi gli altri popoli significa inimicarsi dei viventi, dunque porsi contro la vita stessa che si esprime in loro. Poiché una sola vita accomuna i viventi allora la stessa vita degli ebrei è in sé lacerata: la vita offesa si vendica condannaando gli ebrei a un destino di infelicità.
Nel mito greco dopo la distruzione del genere umano, Deucalione e Pirra non fecero come Noè, ma sottoscrissero un nuovo patto di fiducia con la natura. Tuttavia i Geci e Gesù sono stati storicamente sconfitti: Gesù muore ucciso dal suo popolo testimoniando la sua fede nel divino che è ogni cosa e dunque sperando che risorga dopo di Lui un nuovo spirito di bellezza. Le chiese moderne pensano Dio come lo pensavano gli ebrei!!!
I CAPISALDI DEL SISTEMA
Le tesi di fondo dell'idealismo di Hegel sono: la risoluzione del finito nell'infinito, l'identità fra ragione e realtà, la funzione giustificatrice della filosofia.
FINITO E INFINITO
La realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione. Tale organismo rappresentando la ragion d'essere d'ogni realtà, coincide con l'assoluto e con l'infinito, mentre i vari enti del mondo essendo manifestazione di esso, coincidono con il finito. Di conseguenza il finito come tale non esiste, come la parte non può esistere se non in connessione con il tutto. Il finito, in quanto è reale, non è tale, ma è lo stesso infinito.
Mentre per Spinoza l'assoluto è una sostanza statica che coincide con la natura, per Hegel si identifica con un soggetto spirituale in divenire.
Dire che la realtà non è una sostanza ma un soggetto significa che non è qualcosa di gia dato e immutabile, ma un processo di auto produzione che soltanto alla fine, cioè con l’uomo e le sue attività, giunge a rivelarsi per quello che è veramente.
RAGIONE E REALTÀ
Il soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà viene indicato da Hegel con il termine idea o ragione, da ciò l'aforisma «Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale». Con la prima parte intende dire che la razionalità non è pura astrazione, ma la forma stessa di ciò che esiste, poiché la ragione governa il mondo e lo costituisce. Con la seconda parte intende affermare che la realtà non è una materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale (la ragione) che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo. L'identità tra realtà e ragione implica anche l'identità tra essere e dover essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere.
LA FUNZIONE DELLA FILOSOFIA
Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono. La filosofia arriva sempre troppo tardi a dire come dev'essere il mondo giacché sopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. L'autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia è la giustificazione razionale della realtà.
LA DIALETTICA
L'Assoluto per Hegel è divenire, la legge che lo regola è la dialettica che rappresenta la legge di sviluppo della realtà e di comprensione della realtà. Hegel distingue tre momenti del pensiero:
a) l'astratto o intellettuale, per cui il pensiero si ferma alle determinazioni rigide della realtà limitandosi a considerarle nelle loro differenze reciproche e secondo il principio di identità e di non contraddizione.
b) il momento dialettico o negativo razionale che consiste nel mostrare come le determinazioni siano unilaterali e esigano di essere messe in movimento, cioè essere relazionate con altre determinazioni;
c) il momento speculativo o positivo-razionale che consiste nel cogliere l'unità delle determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto che tali determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà più ampia che li ri-comprende o sintetizza entrambi.
La dialettica consiste:
nell'affermazione di un concetto astratto e limitato che funge da tesi,
nella negazione di questo concetto come limitato o finito e nel passaggio ad un concetto opposto che funge da antitesi;
nell'unificazione della precedente affermazione e negazione di una sintesi positiva che comprende entrambe. La sintesi è una riaffermazione che Hegel chiama Aufhebung che esprime l'idea di superamento, che è al tempo stesso un togliere e un conservare.
IN SE’ (An Sich): ciò che è astratto e immediato, privo di sviluppo, di riflessione, di relazione. “Le cose si dicono essere in sé quando si astrae da ogni essere per altro, il che in generale significa: in quanto sono pensate senza alcuna determinazione o come dei nulla “ Sinonimo possibile è l’aristotelico in potenza.
PER SE’ (Für sich) : ciò che è nella coscienza e per la coscienza, l’essere attuale o effettuale. “Diciamo che qualcosa è per sé in quanto toglie l’esser altro, la sua relazione e la sua comunanza con altro, in quanto cioè ha respinto e ha fatto astrazione da esso...La coscienza contiene già in sé come tale la determinazione dell’essere per sé in quanto si rappresenta un oggetto che sente, intuisce, ecc. in quanto cioè ha in sé il contenuto dell’oggetto stesso....Ma la coscienza di sé è l’esser per sé compiuto e posto giacché in essa l’aspetto del riferirsi ad altro, ad un oggetto esterno, è superato”. La coscienza è per sé in quanto ha annullato e tolto di mezzo l’altro (l’oggetto esterno) e l’ha risolta nel suo proprio contenuto interno.
La FENOMENONOLOGIA DELLO SPIRITO ha per oggetto “il cammino della coscienza naturale che urge verso il vero sapere, o il cammino dell’anima che percorre la serie delle sue figure (Gestalten), quasi tappe (stationen) prescrittele dalla sua natura, per purificarsi e diventare spirito, mentre, attraverso la compiuta esperienza si se stessa, arriva alla conoscenza di ciò che essa è”.
La coscienza di cui si racconta la storia non è solo quella teoretica, ma anche quella pratica; non è solo quella di ogni individuo, ma anche quella dell’umanità che si svolge nella storia.
L’opera è storia romanzata della coscienza che attraverso erramenti, contrasti, scissioni esce dalla sua individualità, raggiunge l’universalità, si riconosce come ragione che è realtà, realtà che è ragione.
E’ la via che la coscienza umana ha dovuto percorrere per giungere alla dissoluzione del finito nell’infinito ovvero è la via che quel principio di dissoluzione ha percorso, attraverso la coscienza, per giungere a sé.
COSCIENZA
Si comincia con la certezza sensibile (qui c’è ora questo...) che sembra la più ricca e sicura; in realtà si rivela la più povera e indeterminata: la coscienza ingenua sorgiva è quella che sa solo dire qui c’è, ma essa non può dire il proprio oggetto se non introducendo una mediazione (la notte, ad es. è ciò che non è questa notte o il tavolo ciò che non è questo tavolo...). Allora l’immediatezza si spezza e si distingue l’oggetto dal soggetto, la cosa dalle sue proprietà. Siamo alla percezione dove il dato sensibile diviene oggetto specifico (es. sale=bianco+sapido+cubico). Ma ciò comporta che l’io prenda su di sé l’affermata unità dell’oggetto, cioè che riconosca che l’asserita unità dell’oggetto è da lui stesso stabilita. Nella coscienziosa tensione a stabilire l’esistenza di oggetti la coscienza si trova ributtata su sé. Siamo all’intelletto che pensa l’oggetto come ciò che ha una forza nascosta in grado di agire secondo una legge determinata. Si scopre cioè che quello che prima consideravamo oggetto è solo un fenomeno, cioè un fatto coscienziale.
Così la coscienza si fa autocoscienza.

AUTOCOSCIENZA
Il mondo è un grande specchio in cui la coscienza scopre sé come non limitata, come attività. Passiamo qui dalla dimensione teoretica a quella pratica che ha al suo centro il grande tema della libertà. Le figure dell’autoscoscienza esprimono a livelli crescenti lo sforzo che la coscienza fa per sapersi libera.
Figura della Signoria-Servitù (o del servo-padrone - il mondo classico e la schiavitù). L’autocoscienza sorgiva si muove secondo un appetire che non rispetta l’essere, ma lo nega, se ne impadronisce e lo fa suo. L’appetito è solo superficialmente di un oggetto: più profondamente è un appetito di sé, del proprio valore-dignità, del sapersi capace di appetire. Per questo ha bisogno di altre autocoscienze che la riconoscano come tale: il primo moto della libertà è quello che porta a cercare il riconoscimento nell’altro uomo. La prima lotta dell’uomo con l’altro uomo non è l’animalesco conflitto per la sopravvivenza, ma la lotta per essere riconosciuto.
L’unità del genere umano si spezza tra chi riconosce (autoscienza servile) e chi è riconosciuto (autocosc. signorile). Fondamentale, per il prodursi di questa scissione, è il tema della morte, o meglio del timore della morte. Il signore è colui che non trema, mentre il servo si sottomette perché ha tremato. Il servo vive una schiavitù che è nella relazione diretta con il mondo, attraverso la fatica della trasformazione che gli impedisce una negazione del mondo (godimento) e quindi una scoperta di sé come autocoscienza. Il signore nega totalmente il mondo: non lo lavora, ma ne gode semplicemente. Realizza la sua libertà grazie alla servitù dell’altro. Qui sta la chiave di volta per il primo rovesciamento dialettico: la liberazione del servo avviene nello stesso inoltrarsi nella sua schiavitù; nel lavoro lo schiavo ritrova sé come capacità di trasformazione della natura, mentre il padrone si perde perché si fa sempre più dipendente dal servo (cfr. Marx). Inoltre nell’esperienza della paura della morte si fa strada la percezione terrorizzante della propria essenza come un tutto, del valore della propria vita (cfr. Heidegger). Infine nell’esperienza dell’umiliazione e del servizio il servo continua ad avere la coscienza umana del padrone come modello, mentre il padrone perde di vista la coscienza cosificando il servo.
L’Autocoscienza servile guadagna la libertà che appartiene al pensiero: stoicismo e scetticismo. La nuova forma della libertà a cui il pensiero servile liberato conduce è quella stoica: indipendenza dalle circostanze, dignità del pensare nella indifferenza alle circostanze. Ancor più radicale è lo scettico negare le circostanze, usando della potenza del pensiero per dissolvere le determinazioni. La contraddizione che porta ad un nuovo movimento dialettico è quella per cui queste libertà dipendono dal mondo verso cui ostentano indifferenza o potenza di negazione. La coscienza si scopre scissa tra la potenza del suo pensiero negante e il rimanere lei stessa vittima di questa negazione. Si passa alla coscienza infelice.
La coscienza infelice è la coscienza religiosa che sa di essere scissa tra la propria non essenza e la pienezza della vita, l’infinito, Dio. La libertà si realizza nel tentativo di porre una relazione tra questo sé-nulla e il Dio-tutto.
All’inizio c’è l’ebraismo (la coscienza trasmutabile di fronte all’irraggiungibile intrasmutabile). La coscienza che prende atto della dualità tra essenza e non-essenza, si pone da lato dell’inessenziale. Io sono un niente e la mia essenza mi trascende. Ma ciò comporta lo sforzo teso a raggiungere quel vero me stesso che sta fuori di me. Sforzo inutile per il carattere trascendente dell’intrasmutabile. Dio allora è il signore inaccessibile, l’uomo il servo.
Il cristianesimo rappresenta un rovesciamento radicale perché nell’incarnazione è coscienza dell’unità possibile dell’uomo e di Dio. L’intrasmutabile si riveste di tutta la modalità dell’esistere (“Chi vede me, vede il Padre”). Ma così facendo l’intrasmutabile anche dilegua necessariamente facendosi ancora inaccessibile: muore. A nulla servono gli sforzi che l’uomo medievale fa per recuperare un contatto con l’intrasmutabile dopo il suo dileguamento: le Crociate sono un simbolo storico di una verità metafisica. Partiti alla conquista di Dio ci si trova a difendere la conquista di un sepolcro vuoto.
L’uomo tuttavia riscopre anche il mondo come santificato da Cristo. Il lavoro, ad es. è recuperato come rendimento di grazie, umiliazione che, come nella figura della signoria-servitù, è anche dominio: l’uomo riconosce Dio come padrone, cioè il riconoscimento proviene da lui. Resta l’ultimo passo da fare: la Chiesa medievale come Sé universale. Nell’appartenenza alla Chiesa corpo mistico di Cristo l’uomo medievale si sa appartenente ad una soggettività infinita che è sé.
Ma con ciò accetta di fare ciò che non comprende. Il passo ulteriore è la comprensione dell’unità sperimentata con l’infinito. E questo è il passo della modernità che ci porta fuori dall’autocoscienza nella RAGIONE.
RAGIONE
“La RAGIONE è la certezza che la coscienza ha di essere ogni realtà”. Di questa certezza la ragione va alla ricerca, dapprima come RAGIONE CHE OSSERVA, poi come RAGIONE CHE AGISCE, infine come RAGIONE CHE SI FA SPIRITO. La nota comune è l’individualismo esasperato che cerca, nella relazione col mondo, di godere della propria unicità irripetibile.
La ragione che osserva corrisponde al Rinascimento e alla prima modernità. Nasce un nuovo interesse per la natura che non è indagata per il suo dileguare, ma per il suo restare: la coscienza vuole ritrovare sé in tutto, quindi nella natura. Nascono le grandi esplorazioni della terra e le scienze della natura (Bacone, Galilei, Cartesio). Gli sviluppi più recenti della scienza (fisiognomica e frenologia) provano però che l’osservare il mondo è sempre un irrigidire che è impotente a cogliere il movimento dell’intelligenza: “l’essere dello Spirito è un osso” cioè lo spirito ricercato nella natura finisce per essere vittima della rigidità e della fissità della natura (riduzione materialistica).
Fallita la ragione che si vuole trovare come una cosa (e cade a livello di cosa tra le altre) subentra la ragione che agisce, cioè che vuole sperimentare la propria onnipotenza producendosi. Incontriamo qui figure come quella del Faust di Goethe che tematizza il piacere erotico come piacere di ritrovarsi in un’altra individualità. Il suo scopo non è asservire l’altro (come nel rapporto di servitù), ma dissolvere l’altro come ciò che è pura parvenza, ricondurlo a sé: è l’essenza della seduzione.Ma l’esito della seduzione è un’altra individualità irriducibile a sé (quella del figlio ad es.)
Oppure la legge del cuore (Rousseau) che si illude di coniugare individualismo e universalismo: se ciascuno segue le indicazioni del cuore, le inclinazioni immediate, tutti gusteranno la gioia immediata del vivere (corrispettivo in economia la fisiocrazia).... Oppure la virtù e corso del mondo: la ragione cerca la propria potenza come intransigente moralismo che vuole riformare il mondo (Kant). Ma anche questo tentativo si rivela gravato da un astratto verbalismo che ha bisogno di un mondo altro-da-sé da riformare.
SPIRITO
L’individualismo fallisce e quindi si rovescia nel suo opposto: lo SPIRITO come dissoluzione dell’individuo nell’Ethos del popolo cui appartiene. E’ questo lo snodo più delicato e importante di tutta la Fenomenologia: la coscienza singola, sperimentate tutte le possibilità per sapersi significativa come singola, accetta di uscire dal suo isolamento e si eleva a Spirito; accetta cioè di riconoscere la vera soggettività che fa la storia non come soggettività individuale, ma come eticità. L’impossibile libertà dell’individuo diviene la libertà del genere. Il soggetto della storia è il genere, non come astratta umanità, ma come percorso determinato delle identità etnico-nazionali. Inizia a questo punto una vera coincidenza tra Fenomenologia e storia, cioè la Fenomenologia diviene descrizione del cammino che il soggetto sovra-individuale ha compiuto per giungere a piena consapevolezza di sé, della legge che lo regola e costituisce la sua essenza.
Si riparte dai Greci, dal cosiddetto mondo della libertà bella, cioè della inserzione spontanea dell’individuo nella vita dello stato. L’armonia che i Greci vivevano era senza travaglio di consapevolezza: la Grecia è opera d’arte politica in cui non c’è ancora separazione tra individuo e cittadino, la legge familiare scorre in perfetta identità con la legge della città. La figura di Antigone segna la rottura di questo in sé: nasce il conflitto tra la legge della città e quella familiare-divina. Subentra allora il mondo romano del diritto che riconosce il valore della persona come entità distinta dallo Stato. L’Europa moderna (che inizia nel Medioevo) vive del conflitto tra cultura (e alienazione) e individualità: l’uomo moderno si aliena in forme diverse teorizzando la propria sottomissione allo Stato (Hobbes), creando una organizzazione produttiva che è quella delle classi rigide nell’Ancien Régime al servizio della collettività. E’ questo il mondo della borghesia emergente che si sforza di realizzare una positiva alienazione dell’individuo a favore della collettività. Ma questo tentativo di unificazione fallisce per il prevalere di un’ottica economicista in cui la Ricchezza, la ricerca di riuscita sociale non è per lo Stato, ma viceversa asserve quello. La coscienza di questo fallimento borghese è ben evidenziata dal Nipote di Rameau che rappresenta l’autocoscienza della civiltà di fronte al proprio fallimento.
Siamo alle premesse della Rivoluzione Francese (Aufklärung - Illuminismo). La Rivoluzione rappresenta uno sforzo prodigioso dello Spirito del mondo per realizzare il razionale in sé e per sé. La sua potenza è tuttavia negativa (in analogia con quella scettica): tutte le istituzioni sono discusse e giudicate in base alla loro utilità per l’uomo. Ma proprio perché la furia rivoluzionaria è costituita da una razionalità puramente negativa essa non lascia sussistere nulla dopo di sé.Con grande acume Hegel giudica il fenomeno rivoluzionario come strutturalmente connesso con il Terrore: poiché lo scopo del movimento rivoluzionario è l’annientamento del passato (della volontà singola che riemerge) esso deve tagliare le teste. Nato come rivoluzionario, il governo che tenta di ricostruire uno stato diviene una fazione al potere; l’operare rivoluzionario che nasce come negativo non può fare opere (leggi, istituzioni), non può sottrarsi (se non temporaneamente e con la violenza) al rimanere vittima della sua stessa potenza dileguante.
Il fallimento della rivoluzione, il permanente timore della morte a cui la stessa rivoluzione conduce (Terrore) porta gli uomini ad ordinarsi in un nuovo assetto di alienazione (Napoleone, lo Stato Prussiano, la Restaurazione) finalmente consapevole della propria necessità. Si potrebbe qui prospettare una sorta di ciclicità senza fine tra momento rivoluzionario e alienazione, ma Hegel esplicitamente lo esclude. La nuova consapevolezza di una necessità dell’alienazione pone fine al processo, almeno come processo di mutevolezza istituzionale (fine della storia). Lo Stato post-rivoluzionario è una manifestazione dello Spirito oggettivo giunto ormai in prossimità dell’epilogo di un cammino.
SAPERE ASSOLUTO
Il sapere assoluto e la filosofia che arriva a matura consapevolezza di ciò che era contenuto fin dall’inizio del processo: la legge del suo svolgersi. Nel sapere assoluto la Storia (intesa come soggetto sovra-individuale) arriva alla piena consapevolezza di sé, della propria legge necessaria di divenire dialettico. A questo punto il tempo, che era il modo di manifestarsi dello Spirito non ancora consapevole di sé, si arresta. La storia della filosofia si conclude nella elaborazione di una filosofia della storia che rende ogni accadimento futuro non più imprevedibile e quindi non foriero di novità. La coscienza può anche tornare a ripercorrere le figure che l’hanno portata al proprio compimento, ma esse resteranno perpetuamente disvelate nella loro necessità extra-fattuale e quindi incapaci di produrre modificazioni nel Sapere che le contempla.

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