Giordano Bruno

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Testo

Bruno Giordano. (Nola 1548 – Roma 1600). Entrato sui diciotto anni nell’ordine domenicano (in questa occasione cambiò l’originario nome di Filippo con quello di Giordano), ne uscì nel 1576 perché sospettato di eresia: cominciò così una vita errabonda attraverso l’Europa che continuò fino alla morte.
A Ginevra ebbe una conversione al calvinismo, ma ben presto, entrato in attrito con le autorità locali, scappò in Francia, a Tolosa e a Parigi. Qui pubblicò le sue prime opere di mnemotecnica, ispirate alle dottrine di Lullo (De umbris idearum, Cantus circaeus, Sigillus sigillorum e la commedia in lingua italiana il candelaio). Da Parigi passò in Inghilterra al seguito dell’ambasciatore francese: fu a Qxford e a Londra, dove pubblicò i suoi dialoghi italiani: la cena de le ceneri, De la causa principio e uno, De l’infinito, universo e mondi, Spaccio de la bestia trionfante (tutti del 1584).Tornato a Parigi, dovette ben presto lasciare la città per un suo attacco pubblico contro i peripatetici. Fu allora a Wittenberg, Praga, Helmstaedt e Francoforte dove stampò la trilogia dei poemi latini, De minimo, De monade (1590), De immenso et innumerabilibus (1591), e l’ampia opera De imaginum compositione. Dopo un soggiorno a Zurigo rientrò in Italia, chiamato a Venezia dal patrizio Mocenigo, che desiderava istruirsi nella mnemotecnica e nelle arti magiche. Il Mocenigo però, insoddisfatto del suo insegnamento, lo denunciò per eresia all’Inquisizione.
Il Sant’Uffizio ottenne poi il suo trasferimento a Roma, dove Bruno rimase in carcere otto anni. Lungamente e più volte interrogato, rifiutò di ritirare le sue dottrine: fu allora condannato come eretico e arso vivo in Campo dei Fiori. La fermezza dimostrata nel lungo processo romano e l’intrepidezza con cui salì al rogo ne fecero un martire del libero pensiero, e come tale fu variatamente celebrato lungo i secoli.

Il panteismo. La filosofia di Bruno deve essere collocata sullo sfondo di due grandi eventi, la rivoluzione copernicana e la riforma protestante. Ciò che fa da “filo conduttore” nelle pur diverse fasi del pensiero di Bruno è l’idea dell’infinità del mondo, della sua unità e animazione, e quindi una cosmologia anititolemaica e antiaristotelica. All’universo aristotelico finito e diviso (Aristotele concepiva l’universo come un mondo finito, chiuso dentro la sfera delle stelle fisse, che sono corpi mossi solo da movimento circolare, dentro questa sfera ci sono altre sfere del Sole, dei pianeti, che si muovono tutti con moto circolare), Bruno oppose la visione di un universo infinito e unitario.
Tale concessione è esposta nel De la causa, dove dopo aver ricondotto i concetti di causa e di principio a quello di Uno, egli non solo rifiuta la dottrina aristotelica delle quattro cause (La teoria delle quattro cause dice che nella regione tra la Luna e il centro della terra si muovono gli elementi dotati di movimento rettilineo: verso il basso vanno la terre e l’acqua, verso l’alto l’aria e il fuoco. E dice che si nasce e si muore perché gli elementi, per il loro movimento rettilineo, possono incontrarsi e separarsi, determinando la nascita e la dissoluzione delle cose), riducendo la causa finale e quella formale alla causa efficiente (l’intelletto universale che agisce in ogni cosa), ma riporta anche forma e materia.
La forma è l’anima universale, la cui principale facoltà è l’intelletto, il quale muove la materia dal di dentro, come che dall’interno del seme fabbrica ogni corpo. Esso è talmente intrinseco alla materia da far si che essa stessa diventi energia produttrice che manda fuori le forme dal proprio seno e se ne riveste. Forma e materia non sono due sostanze, ma piuttosto due aspetti dell’unica sostanza, la natura, Bruno non cessa di celebrare il carattere divino.

L’universo infinito. L’idea dell’unità e dell’infinità della natura è la radice della sua accettazione della teoria di Copernico e del suo appassionato interesse per le scoperte di Tycho Brahe delle comete: l’astronomia moderna andava infatti nella direzione del rifiuto del geocentrismo tolemaico, dell’abbandono della teoria delle sfere celesti. In questo universo l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo coincidono, e così pure la generazione e la corruzione, l’amore che unisce e l’odio che divide. Queste tesi sono svolte nel De l’infinito e riprese nel De immenso, in cui la discussione delle nuove dottrine astronomiche è subordinata alla visione della natura nella sua infinitudine.

La religione naturale e l’etica razionale. Nel dialogo De eroici furori Bruno esalta il , cioè il ricercatore eroico della verità che non obbedisce ad altri impulsi fuorché a quelli razionali. Nello Spaccio de la bestia trionfante, troviamo inoltre l’esaltazione del lavoro come attività che , assoggettano la materia all’intelligenza, continua nel regno dell’uomo. La religione che Bruno difende è così una religione puramente razionale o naturale che mira a portare l’uomo alla natura, a metterlo in contatto con i suoi poteri, a divinizzarlo con essa. Egli considerava le religioni positive utili per governare i , ma riteneva che fossero comunque da valutarsi alla luce della religione naturale, la quale per lui faceva tutt’uno con la filosofia: e dalla diffusione della filosofia Bruno si aspettava il rimedio ai mali dell’umanità del suo tempo. La riforma protestante lo aveva sollecitato a uscire dalla chiesa cattolica, ma ben presto Bruno aveva trovato nella confessione calvinista un nuovo intransigente dogmatismo, ancor più pericoloso e fanatico di quello cattolico: da questa esperienza egli aveva tratto il rifiuto per ogni religione confessionale e l’aspirazione a un rinnovamento morale e intellettuale che si fondasse su di una religione e un’etica razionale. Il suo processo e la sua condanna costituirono l’esilio tragico di una vita interamente dedicata a questo progetto e non priva di illusioni nei confronti di un ambiente che non poteva accoglierlo.

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