Dall'ordine della polis all'impero universale

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Testo

PARTE 4^
DALL'ORDINE DELLA POLIS ALL'IMPERO UNIVERSALE
Introduzione
VERSO UNA CULTURA ECUMENICA

1. L'unificazione del Vicino Oriente sotto il dominio greco e lo sviluppo delle scienze e delle arti
Il processo di decadenza delle poleis greche (caratterizzato da discordia politica, debolezza militare e crisi morale e culturale crescenti) è contemporaneo, come sappiamo, allo sviluppo della potenza militare della monarchia greco-macedone. Preparati dall'ideale panellenico (propagandato dall'Accademia, dalla scuola retorica di Isocrate e dal Liceo), spinti da un sentimento di riscossa antipersiana e affascinati dalla nuova potenza militare macedone, che offriva una alternativa alla decadenza delle loro città-stato, molti greci si associano all'avventura di Alessandro e dei generali suoi sucessori (diadochi). Questi cittadini lasciano dunque le loro poleis, militando negli eserciti macedoni, diventando parte della classe dirigente dei nuovi Stati, popolando le numerose città in essi fondate, arricchendosi con i commerci e con le arti. Lo straordinario allargamento degli orizzonti statuali, commerciali e culturali fu - nonostante la divisione dell'impero e le lotte tra i diadochi - un fattore notevole di sviluppo economico, tecnico e scientifico.
Le scienze particolari, nella nuova cultura ellenistica alessandrina, sono venute differenziandosi dalla filosofia generale. Non si incontrano più filosofi dell'originalità di Democrito, Socrate, Platone o Aristotele. Tuttavia le diverse scienze specialistiche furono portate ad un livello prima sconosciuto da filologi e grammatici come Zenodoto di Efeso e Aristofane di Bisanzio, matematici come Euclide, fisici come Archimede, astronomi come Aristarco di Samo (che ipotizzò la centralità della Terra nel sistema solare), geografi come Eratostene (che calcolò con notevole approssimazione la lunghezza del meridiano terrestre). Un importante contributo a questa straordinaria fioritura è stato dato dall'organizzazione del lavoro scientifico, arrivata nel mondo alessandrino a livelli prima sconosciuti. L'istituzione più importante fu senza dubbio il "Museo" di Alessandria, scuola superiore ed istituto di ricerca scientifica, che era dotato della più grande biblioteca del mondo greco, ma furono notevoli anche, tra gli altri, i centri culturali di Rodi e di Pergamo. Il Museo era strutturato sul modello del Liceo aristotelico, ma aveva, oltre a ciò, una eccezionale disponibilità di mezzi economici, di strumenti di ricerca e di personale, poiché era stato voluto e finanziato dai ricchissimi re alessandrini d'Egitto. Inoltre, per la sua posizione, esso può attingere ad un eccezionale patrimonio di sapere sia greco sia orientale.
Ma se il modello organizzativo è quello aristotelico, ci si può chiedere se gli stimoli e le finalità della ricerca siano le stesse di Aristotele, cioè il puro conoscere fine a se stesso, la curiosità, lo stupore davanti alla straordinaria varietà dei fenomeni e all'ordine necessario in essi immanente. Il gusto del conoscere e la curiosità intellettuale erano certamente motivazioni importanti nelle corti dei monarchi alessandrini, che volevano apparire davanti all’élite dei loro sudditi di lingua greca come i protettori della cultura ellenica classica; questi sovrani tuttavia erano interessati anche allo sviluppo delle tecniche belliche, delle conoscenze geografiche, dei commerci, dell’economia e di qualunque forma di sapere che potesse allargare il loro potere o il loro prestigio.
Purtroppo non ci è stato tramandato alcuno scritto che espliciti quale fosse il senso della ricerca per i ricercatori del Museo o della biblioteca di Pergamo. Tuttavia qui il rapporto tra scienza e tecnica sta evolvendosi rispetto al periodo precedente. Gli scienziati elaborano strumenti di misurazione e di indagine che allargano in qualche modo gli orizzonti della tecnica o, di più, che applicano i risultati delle loro ricerche a questioni pratiche: è noto il caso di quel fecondo inventore nel campo della meccanica e della balistica che fu Archimede. Inoltre il mecenatismo dei monarchi ellenistici, come si è detto, è collegato, oltre che a motivi di prestigio, verosimilmente anche all’attesa di applicazioni militari della ricerca. Ad ogni modo, in questo periodo storico si è fatto uso di navi da guerra e di macchine da assedio di grandezza e di potenza sconosciute prima – e anche dopo, poiché pare che in epoca romana alcune scoperte ellenistiche non siano state più sfruttate. L’archeologia ci ha fatto conoscere macchine di epoca ellenistica di straordinaria complessità, usate per misurazioni astronomiche, per misurare il tempo, per pompare l’acqua, per sfruttare l’energia idraulica, ecc. Secondo alcuni storici della scienza, tali congegni non sarebbero stati possibili senza una cosciente applicazione di un apparato scientifico preciso e rigoroso.
Tuttavia la maggior parte degli storici ritiene che l’età ellenistica abbia sostanzialmente ripreso e sviluppato la mentalità aristocratica, platonica e aristotelica, prevalente nella cultura classica del IV secolo. Afferma Ludovico Geymonat: "Per il caso particolare di Archimede, va senza dubbio tenuto presente il permanere in lui, accanto ad un'eccezionale genialità tecnica, di un atteggiamento filosofico incompatibile con essa. Ce lo dice Plutarco [filosofo platonico del I-II sec. d.C.] allorchè, dopo aver parlato dei prodigi compiuti dall'ingegneria di Archimede, elogia la nobiltà del suo ingegno, che rifiutò di comporre trattati riguardanti la meccanica o altre questioni pratiche".
Forse ancora più impressionante è il caso di Erone, anch’esso ricordato da Geymonat. Della vita di Erone non si hanno notizie certe, ma pare vivesse nel I-II sec. d. C. (e cioè già in epoca ellenistico - romana). Sotto il suo nome ci sono giunti trattati di geometria e di ingegneria meccanica: egli studiò tra l'altro l'applicazione dell'energia eolica e dell'energia termica, ed era in grado di realizzare macchine anche assai sofisticate. Tuttavia queste conoscenze venivano accolte dalla classe dominante dell'epoca come curiosità e giocattoli meravigliosi (si pensi agli automata di Erone, che erano una sorta di teatrini azionati da congegni nascosti), senza che si fosse interessati ad una loro applicazione e diffusione sistematica. E' noto che c'era in Alessandria un tempio in cui un meccanismo a vapore (uno stantuffo azionato dal calore di un braciere per i sacrifici) apriva le porte della cella interna con la statua del dio: ma questa invenzione, destinata ad impressionare i fedeli, non avrebbe trovato per molti secoli applicazioni produttive.
Anche Geymonat, come Farrington (*cfr. supra, cap. 7) osserva che i greci, contando sul lavoro degli schiavi, non avevano alcun incentivo all’applicazione pratica della scienza. La scienza di alto livello da una parte, la conoscenza empirica, la tecnica e l’attività imprenditoriale dall’altra rimanevano del tutto separate.

*Approfondimento. Una tesi suggestiva: la “rivoluzione scientifica” dell’età ellenistica (secoli III-I a.C.)
Uno studioso italiano di storia della scienza, Lucio Russo, anche sulla base di ampie acquisizioni recenti di studiosi stranieri, soprattutto nel campo della storia della tecnica, ha suggerito un’ipotesi audace sulla cultura ellenistica. A tale cultura non si può applicare meccanicamente l’idea aristocratica, propria di Platone e di Aristotele, della scienza come strumento di elevazione spirituale o di contemplazione teoretica (idea collegata ad un aristocratico disprezzo per il mondo del lavoro e della tecnica e da una fiducia di tradizione guerriera nel lavoro degli schiavi).
Russo ritiene che tutta una serie di indizi ci mostrino che i grandi ricercatori dell’età ellenistica abbiano imboccato la via di quella che egli chiama la “rivoluzione scientifica”. La “scienza esatta”, secondo questo autore, è caratterizzata dal fatto che le sue affermazioni non riguardano oggetti concreti, ma enti teorici; esse cioè costituiscono un sistema di concetti, un modello, che esiste prima di tutto nella nostra mente, e che è organizzato secondo regole interne non contraddittorie, in quanto tali infallibili. In tale modello ideale (si pensi alla geometria euclidea) tutti i passaggi logici sono garantiti dalle dimostrazioni e dal calcolo.
In sé, la struttura ideale deduttiva del modello è dunque infallibile. Il modello è però applicabile anche alla realtà, ai fatti concreti, attraverso regole di corrispondenza. In questo ambito, non c’è una garanzia assoluta di verità, ma piuttosto un’approssimazione verso la verità. Inoltre, sulla base di modelli scientifici è possibile non solo descrivere con precisione e prevedere i fenomeni del mondo reale, ma anche costruire modelli tecnici, macchine di vario genere, che anch’essi cercano di dominare la realtà con la massima precisione possibile. La tecnica scientifica non può essere frutto della semplice esperienza e della tradizione, ma è il risultato di un piano concepito sulla base di un modello scientifico proveniente da una scienza esatta.
Russo nota che molte opere geometriche e fisiche di età ellenistica raggiungono il livello della scienza esatta: Euclide e i suoi Elementi di Geometria, Eratostene e il suo calcolo (riuscito) della misura del meridiano terrestre, Aristarco di Samo e la sua teoria eliocentrica, che ha anticipato Copernico e Galileo, la meccanica e l’idrostatica di Archimede, e altre ancora. Egli cita anche le scoperte archeologiche sopra ricordate, e ritiene che esse forniscano le prove che in età alessandrina si sia sviluppata una tecnica scientifica.
Per la carenza della documentazione, Russo non può dare una spiegazione soddisfacente dell’evento rivoluzionario di cui parla: si limita a suggerire che esso nasca dall’incontro tra la cultura razionalistica avanzata della Grecia classica (che già prima di Euclide aveva visto un notevole sviluppo della matematica e della geometria) e il tesoro di conoscenze empiriche e tecniche (non però ordinate scientificamente) delle antiche civiltà egiziana e mesopotamica, cadute sotto il dominio di Alessandro. “I Greci trasferitisi nei nuovi regni sorti dalla conquista di Alessandro dovevano gestire e controllare economie e tecnologie più sviluppate, alle quali non erano abituati, con la guida essenziale della propria superiore razionalità. In questo contesto nacque la scienza” (Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 41). Dopo un paio di secoli, con la rapida dissoluzione di questi regni per ragioni essenzialmente politico-militari, e con la dispersione dell’elemento greco e degli intellettuali alessandrini per vicende interne del regno d’Egitto, il patrimonio scientifico e tecnologico accumulato viene abbandonato e gradatamente si disperde.
Russo ha buon gioco a capovolgere il giudizio di Geymonat su Archimede: esso dà troppo credito alla testimonianza di Plutarco, filosofo platonico ammiratore dell’impero romano. Plutarco, come molte altre nostre fonti sulla scienza alessandrina, appartiene proprio a quella cultura aristocratica che era rimasta in ombra per qualche tempo nel nuovo mondo dei regni ellenistici e che ora ha riconquistato l’egemonia, soprattutto – secondo Russo – per la decisiva influenza del pragmatismo, del buon senso e del militarismo dei Romani.
La tesi di Russo di una vera e propria “rivoluzione scientifica” in età alessandrina, dimenticata già in età ellenistico-romana, dispersa in testi poco letti e ancor meno capiti per molti secoli, e poi tornata a galla gradualmente a partire dal Rinascimento, ha subito provocato un ampio dibattito. Non è necessario aderire completamente a questa tesi per accettare l’idea che la cultura alessandrina dovesse avere una concezione filosofica del rapporto scienza-tecnologia e lavoro intellettuale-lavoro manuale abbastanza diversa da quella di Platone e di Aristotele. Tuttavia, anche se disponiamo di numerosi testi di argomento strettamente scientifico, non disponiamo di una adeguata documentazione sulla filosofia della scienza degli scienziati ellenistici del periodo II-I secolo. Il nostro testo dovrà necessariamente soffermarsi invece sulla filosofia stoica, epicurea e scettica di questo periodo. Anche di tali correnti, fiorite soprattutto in Atene e non nei regni ellenistici, abbiamo una documentazione diretta molto ridotta, soprattutto considerando la grande mole di opere che sappiamo essere stata prodotta da esse in questo periodo. Decisamente, la tradizione manoscritta ha privilegiato la cultura aristocratica di Platone e quella aristocratico-bempensante di Aristotele, a scapito dei presocratici, della filosofia della scienza ellenistica e della filosofia ateniese del periodo ellenistico. In questo mondo il messaggio complessivo che la cultura classica ha finito per lasciare ai posteri di fatto è stato quello della netta separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e del sapere come curiosità aristocratica e come contemplazione del necessario ordine immutabile del mondo.

2. Gli intellettuali in età ellenistica, tra la cura del "giardino" privato e la dedizione allo Stato universale
Tra le scienze particolari e la filosofia universale i rapporti sono dunque venuti allentandosi. Le scienze particolari sono sempre più specializzate e richiedono sempre più una preparazione specialistica accurata. Ma anche la filosofia generale ("il sapere concernente il tutto", come dicono gli stoici) acquisisce un suo linguaggio specialistico e viene trattato in modo sistematico: in questo periodo si formano scuole di pensiero il cui paradigma è sempre più chiaramente identificabile, in cui temi e problemi sono esposti secondo un preciso ordine sistematico (logica - fisica - etica), in cui si fa uso di manuali e trattati.
D'altro lato è ancora più notevole il fatto che le scienze e la stessa filosofia hanno perso, come già in Aristotele, il loro legame diretto con la politica, cioè con quella che in origine era l'attività più significativa degli uomini liberi della polis. La tradizione intellettuale ateniese dei sofisti, di Socrate e di Platone organizzava tutto il sapere intorno alla formazione dell'uomo libero in vista della sua vita pubblica. Da Aristotele, come si è visto, la vita pubblica è guardata ancora con grande rispetto, come attività degna di un essere razionale – anche se la speculazione teorica è considerata ad essa preferibile. Quanto all'uomo del periodo ellenistico, per lui invece l'attività politica è soprattutto una fonte di frustrazione: nelle città greche ancora formalmente indipendenti, al governo cittadino restano limitate responsabilità amministrative locali, i cui contorni sono strettamente determinati dalla politica egemonica dei grandi regni ellenistici prima e dello Stato romano poi; i greci residenti nei regni ellenistici stessi, poi, anche se fanno parte di un gruppo sociale privilegiato e posto al disopra delle pur civilizzatissime popolazioni indigene, non sono più cittadini, ma sudditi di un monarca divinizzato. Non la filosofia, ma piuttosto la religione teocratica, sul modello mesopotamico, persiano ed egiziano, è il quadro culturale entro cui si colloca il potere politico ellenistico.
Escludendo dunque quanti sono cortigiani dei monarchi teocratici ellenistici, come reagiscono gli intellettuali greci, educati dalla tradizione della filosofia classica, alla frustrazione della politica e al decadimento dello status di cittadino? Una prima possibilità è quella della fuga nel privato, nei piaceri dell'amicizia, della letteratura e del puro sapere, secondo il modello della scuola di Epicuro, il "Giardino". Ma questo mondo privato non è più strettamente vincolato all'orgoglio di clan della vecchia aristocrazia locale di costumi patriarcali, che, già in decadenza nella società ionica ed ateniese, nelle grandi città cosmopolitiche multietniche del mondo ellenistico non aveva ormai più il potere, l'influenza e lo stile di vita tradizionali. L'individuo, come non è più vincolato agli impegni politici della vita cittadina, così non è più fortemente condizionato dall'onore del suo clan, onore che in precedenza si giocava appunto nelle contese della polis. Come ci testimoniano la commedia e la poesia ***(APPROFONDIRE) di questo periodo storico, sta nascendo la nuova dimensione "borghese" della vita privata e familiare: la piccola comunità della famiglia si differenzia dalle grandi comunità del clan (ghenos) e della polis.
Contemporaneamente l'individuo si sente anche parte di un mondo molto più ampio di quello della sua polis e delle città greche della Lega Olimpica: i commerci e gli scambi lo mettono in contatto -almeno indirettamente con paesi diversi e lontani. L'idea che gli Stati siano qualcosa di convenzionale, di artificiale, mentre l'uomo è per natura uguale su tutta la terra, era già stata intravista da alcuni sofisti, e ora è esplicitata da Epicuro (...-...). Egli ammette nella sua scuola - che non ha alcun fine politico - donne e schiavi, ed è indifferente alla contrapposizione tradizionale tra greci e barbari.
Ma qual è ora il compito della filosofia pratica (o etica), se non è più quello, perseguito tanto dai sofisti quanto da Platone, di giovare alla comunità cittadina? Per Epicuro e per molti altri pensatori, è quello di giovare all'individuo considerato come singolo, di aiutarlo a conseguire la felicità nel suo mondo privato. Per questo è ripresa l'idea classica e aristotelica dell'autosufficienza del saggio, che deve liberarsi dal condizionamento dei desideri che si rincorrono all'infinito, alimentati dall'ambizione e dell'avidità di ricchezza (due vizi che vengono all'individuo dal di fuori, dalla sfera sociale). Il senso della misura e del limite e la liberazione dalle passioni sono temi classici ripetuti, con sfumature diverse, da tutte le scuole filosofiche dell'età ellenistica - dagli epicurei, dagli stoici e dagli stessi scettici.
Un discorso a parte merita, già in questa Introduzione, l'importantissima scuola filosofica degli stoici. Anche per loro il saggio, come individuo, è isolato dalla comunità, poiché la quasi totalità degli uomini sono stolti, incapaci di acquisire la saggezza. Anche per loro il vero saggio si libera dalle passioni e dai desideri illimitati. Tuttavia esso appartiene in modo positivo alla comunità universale degli esseri razionali. Il cosmopolitismo degli stoici è qualcosa di più della pura tolleranza scettica e della vaga fraternità umana epicurea: l'uomo saggio e virtuoso è membro di una collettività ideale, che si identifica in primo luogo con l'intero genere umano, e poi addirittura con il cosmo, concepito in modo finalistico - *pampsichistico come un gigantesco corpo animato da un'intelligenza divina infusa in esso. Mentre per gli scettici e per gli epicurei non ha senso parlare di un compito dell'uomo nel mondo, per gli stoici è proprio nell'esecuzione di questo compito che consiste la virtù-felicità dell'individuo. Ma, perduta la dimensione della polis, gli stoici si limitano a un vago riferimento alla comunità ideale degli uomini e alla comunità naturale (comprendente tutti gli esseri animati) retta dalla divinità, e non riescono realmente ad individuare compiti concreti per il saggio in precise istituzioni politiche, come facevano Protagora o Platone. Il loro, si badi, non è un modello propriamente teocratico come quello delle monarchie ellenistiche, dato che per loro non è necessario che Dio si riveli attraverso un profeta od un re divinamente ispirato: i comandi della divinità sono invece leggibili nella natura direttamente dalla ragione umana, e la sola ragione è sufficiente per coglierli.
I primi maestri stoici (la cosiddetta "Antica Stoa", secolo III a. C.) non rinunciarono in linea di principio ad un rapporto con la prassi politica, ma si può dire che tale aspirazione rimase frustrata: Perseo (allievo di Zenone, che fondò la scuola stoica all'inizio del II secolo) fu consigliere di re Antigono di Macedonia e Sfero (alla fine del III secolo) partecipò agli sfortunati tentativi di riforma politica e sociale del re spartano Cleomene. Più tardi (ne lII secolo) Blossio di Cuma fu consigliere di Tiberio Gracco. Non sappiamo nulla di preciso del loro programma politico immediato. Tuttavia in generale l'ideale politico degli stoici delle origini (Stoa antica, secolo III a. C.) era troppo rigido ed astratto per poter avere una qualsiasi attuazione pratica: la città perfetta doveva essere costituita da chi avesse una tale saggezza da non avere alcun bisogno di leggi. Lo stoicismo ispirò invece romanzi utopici che immaginavano società, situate in paesi esotici, in cui si viveva in modo semplice e naturale e in cui vigeva la comunione dei beni.
In seguito, in rapporto con il mondo romano, lo stoicismo acquisirà una maggiore concretezza. Gli esponenti della Stoa Media (II- i sec. a. C., ai tempi cioè della penetrazione della repubblica romana in Grecia e nei regni alessandrini) e alcuni autori *ecclettici, che mescolavano concetti di ispirazione stoica, platonica ed aristotelica (in particolare Cicerone, il grande oratore e politico di parte senatoria) vedranno come compito primario del saggio quello dell'educazione progressiva del popolo, precedentemente visto come una massa indistinta di stolti. In questo ambiente ellenistico - romano rifiorirà l'idea classica della "costituzione mista", sintesi di monarchia, aristocrazia e democrazia, che alcuni vedranno realizzata proprio nello Stato romano. Più tardi, nel primo periodo dell'impero, lo stoico romano Seneca affermerà con chiarezza e con forza l'eguaglianza naturale degli uomini e la validità intangibile del diritto di natura. Egualmente affiorerà l'idea di un'impero universale, comprendente in prospettiva il genere umano, voluto dalla provvidenza divina e realizzato anch'esso dalla conquista romana.
Come si vede, le acquisizioni del pensiero etico, politico e giuridico di questo periodo storico non sono meno importanti - dal punto di vista dello sviluppo storico dell'occidente - di quelle scientifiche. Con esse si conclude la grande parabola del pensiero classico greco-romano: gli autori successivi (anche se non cristiani come i grandi filosofi del Platonismo Medio - I e II secolo d. C. - e Nuovo - III secolo e seguenti), saranno influenzati dall'ondata della nuova cultura e sensibilità religiosa. Essa sarà ispirata da religioni universali (come quella mitraica, ebraica, cristiana, manichea, ecc.), profondamente diverse da quella omerica - olimpica delle poleis. Tale ondata sommergerà il mondo classico e ne muterà profondamente le categorie di pensiero.

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