Dagli inizi a Zenone

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

CHE COS’ E’ LA FILOSOFIA?
Introduzione alla filosofia
Per la sua comprensione non si richiede altro che la voglia di mettere alla prova le proprie idee. Un requisito importante per riuscire in questa materia consiste nel farsi prendere dalla naturale curiosità e dalla passione per la conoscenza. Il termine “filosofia”, infatti, significa letteralmente “amore per la sapienza”.
Lo studio della filosofia, inoltre, può insegnarci a usare correttamente la ragione e a esaminare criticamente le nostre conoscenze.

Un sapere astruso?
La filosofia viene considerata da molti come qualcosa di astruso e difficile.
L’attività filosofica si caratterizza per un certo modo di rapportarsi alle cose, agli avvenimenti e, più in generale, alla vita. Un modo che possiamo definire sinteticamente come: razionale, critico, coerente e organico.

È difficile il lessico dei filosofi?
La filosofia è un’ attività intellettuale complessa; essa però non si può definire complicata, in quanto utilizza un linguaggio che è molto vicino a quello ordinario.
La maggiore difficoltà è rappresentata dal frequente ricorso a termini di derivazione greca.

La vita sotto indagine
Il termine “filosofia” è di origine greca (da philéin = “amare” e sophìa = “sapienza”) e significa letteralmente “amore per la sapienza”. In base all’etimolegia, dunque, il filosofo non possiede la sapienza, ma la cerca. I grandi pensatori, hanno sempre cercato di approfondire gli aspetti fondamentali della vita.
La filosofia è una disciplina intellettuale: si propone l’obiettivo di sottoporre a esame la vita stessa. Socrate riteneva che una vita senza esame non fosse degna di essere vissuta.

L’arte di ragionare
La filosofia non rappresenta soltanto un patrimonio di idee e di pensieri, ma costituisce anche un laboratorio in cui possiamo apprendere a pensare in modo rigoroso. I caratteri fondamentali della filosofia sono la criticità e la radicalità.

L’ INIZIO DELLA RICERCA FILOSOFICA

I tratti caratteristici
Nelle colonia ioniche dell’Asia Minore, si è avuto il primo avvio di una ricerca che ha i tratti caratteristici della filosofia. La novità assoluta della filosofia rispetto alle altre forme di riflessione è costituita dal metodo: essa tende a riconoscere come validi soltanto gli argomenti che reggono alla prova della ragione umana. L’unica autorità che i filosofi riconoscono è la forza del pensiero. Non a caso molti di loro furono uccisi o perseguitati dal potere politico e religioso del proprio tempo.

Le condizioni storiche
La filosofia si sviluppò nelle colonia ioniche dell’Asia Minore, in particolare nelle fiorenti città di Mileto, Efeso, Colofone, Clazomene, Samo e Chio. In queste città si doveva respirare un’atmosfera di libertà e vivacità intellettuale sconosciuta altrove.
In questo contesto si veniva a formare una nuova classe di cittadini, intraprendenti e ricchi, che cercavano di mettere in discussione il predominio delle vecchie aristocrazie agrarie per affermare un sistema politico adeguato si propri bisogni. Di qui la rivendicazione di pari dignità e di pari diritti politici per tutti. È questa la prima forma di democrazia, intesa come rivendicazione di isonomìa, cioè letteralmente di “eguaglianza di fronte alla legge”.

Nella meraviglia il primo impulso alla ricerca
Platone e Aristotele, i due maggiori filosofi dell’antichità, affermano che le filosofia è nata dal sentimento di stupore e meraviglia. Sulle orme di Platone, anche Aristotele fa scaturire il primo impulso alla ricerca dalla condizione di incertezza e stupore di fronte ai fenomeni della natura.
La ricerca scientifica deriva dal bisogno di superare la condizione di incertezza e ignoranza in cui gli uomini primitivi si trovano.

Mito e filosofia
Aristotele dice che il mito è una forma di conoscenza, sostituendo l’apparente caos con una narrazione che dia senso alle cose e rassicuri l’animo timoroso degli uomini. Ma il mito, a differenza della filosofia, si accontenta di spiegazioni fantasiose, non sorrette dal rigore del ragionamento razionale.
Rispetto al problema della conoscenza, dunque, tra filosofia e mito c’è identità e differenza. Identità: perché, attraverso il mito, l’uomo dà il nome alle cose. Differenza: perché la filosofia usa il lògos, cioè si preoccupa di distinguere ciò che è ragionevole da ciò che non lo è. Il mito, al contrario, non si cura di accettare la validità razionale dei propri racconti. Si tratta di una differenza di metodo. Inoltre, mentre il sapere mitologico è tradizionalista e autoritario, la filosofia concepisce la ricerca come assolutamente libera da ogni autorità e pregiudizio.

Comunità e comunicazione filosofica nella Grecia rima di Socrate
In Grecia non incontriamo mai figure filosofiche che si dedicano alla ricerca in modo isolato. Al contrario, abbiamo a che fare con scuole filosofiche; a volte queste comunità avevano anche un carattere religioso: non miravano all’insegnamento, ma erano vere e proprie comunità di vita, in cui si dibattevano problemi teorici e si mettevano in comune difficoltà e dubbi.

Le scuole filosofiche
Seguono i filosofi che fioriscono ad Atene nelle seguenti comunità o scuole:
- gli ionici, della città ionica di Mileto: Talete, Anassimandro, Anassimene;
- i pitagorici, che ebbero una scuola a Crotone, da cui si diffusero in tutte le città greche dell’Italia meridionale: Pitagora e seguaci;
- gli eraclitei, che operano nella città di Efeso, nella Ionia: Eraclito e seguaci;
- gli eleati, il cui rappresentante più importante è Parmenide, che fondò la sua scuola nella città di Elea;
- i fisici pluralisti, rappresentati da tre grandi pensatori: Empedocle di Agrigento, Anassagora di Clazomene e Democrito della città di Abdera.

Gli ionici, i primi filosofi
Si tratta di personaggi leggendari, si hanno infatti poche notizie sul loro conto.

L’acqua come principio di tutte le cose
Aristotele, che tra l’altro ci ha lasciato la prima storia della filosofia, fa iniziare con Talete la riflessione filosofica. Il problema comune al gruppo di pensatori ionici è quello di identificare un principio (o archè, in greco) in grado di spiegare la multiforme e cangiante realtà. Ecco che Talete, come principio costitutivo e primordiale di tutte le cose, assume l’acqua. Egli parte dall’osservazione empirica, secondo cui ogni cosa vivente appare permeata di acqua, la quale abbandona il corpo quando questo si secca e muore.
L’ipotetica ricostruzione dell’origine dell’universo fornita da Talete è la seguente: all’inizio esisteva il grande oceano, poi si sarebbero formati la terra e i corpi celesti; l’intero cosmo è trasportato sul mare, come una nave, mossa e guidata dall’acqua stessa che ha gli attributi delle divinità. Non deve sfuggire, però, la differenza tra il mito che esalta l’acqua come personificazione della divinità e l’acqua di Talete, che appare piuttosto come elemento fisico e naturale. Non a caso Aristotele definisce Talete come fisiologo, che letteralmente significa “colui che ragione delle cose che riguardano la natura”.

L’àpeiron o senza-limite
Con Anassimandro (nato a Mileto intorno al 610 a.C.), concittadino contemporaneo di Talete, la filosofia approfondisce la sua diversità dai miti cosmogonici. Egli, infatti, usò per primo il termine archè e individuò la sostanza primordiale, in un principio indeterminato, detto àpeiron. L’àpeiron è il non “limitato”. Secondo Anassimandro l’àpeiron rappresenta la natura primordiale.
Anassimandro si pone anche il problema del processo attraverso cui le cose derivano dalla sostanza primordiale: tale processo è la separazione. Non c’è un Dio che proceda a separare le cose dal fondo unitario della natura primordiale, ma un movimento rotatorio. La legge della separazione presiede anche alla generazione dei primi uomini.

I PITAGORICI
Una figura leggendaria: Pitagora
Pitagora viene rappresentato dalla leggenda come una personaggio mitico, sacerdote, profeta e mago. Di lui, però, si parla anche come di persona molto saggia e dedita agli studi matematica.
La scuola che fondò a Crotone fu anche un’associazione religiosa e politica di carattere aristocratico. Egli era venerato dai suoi discepoli come una divinità e i suoi insegnamenti non potevano essere messi in discussione. Nella cerchia dei pitagorici erano accettate anche le donne, cosa insolita per quei tempi.
La scuola ebbe un tragico destino in quanto fu distrutta dal movimento democratico che nelle città greche dell’Italia meridionale si oppose al regime aristocratico. Molti discepoli furono trucidati, altri dovettero fuggire.
Di questa corrente filosofica non abbiamo praticamente nessuna opera. Ci sono giunti solo pochi frammenti di altri pitagorici importanti, come ad esempio Filolao. Quello che sappiamo di questi filosofi lo dobbiamo alle testimonianze di Aristotele e di altri scrittori antichi.
Le dottrine fondamentali dei pitagorici riguardano essenzialmente due argomenti: la dottrina dell’anima e la dottrina del numero.

La dottrina dell’anima
Secondo i pitagorici, che riprendono questa dottrina dall’orfismo, tra l’anima e il corpo c’è un dissidio insanabile: il corpo è mortale e impuro, mentre l’anima è immortale. Tuttavia l’anima, a causa di una colpa originaria, è costretta a reincarnarsi in corpi sempre diversi, trasmigrando. L’anima non si trova a suo agio nel corpo, essendo di natura diversa: essa è come in una tomba. Il corpo è considerato dai pitagorici come una prigione dell’anima.
I pitagorici ammettono però anche un rimedio al male della vita corporea: la pratica dell’ascesi religiosa purifica l’anima e la scioglie dalla prigione del corpo.
Secondo questi filosofi, per raggiungere tale scopo, l’uomo deve seguire un genere di vita austero, basato su una serie di precetti, che la tradizione ci presenta come akùsmata o anche simboli. Alcuni precetti vietavano i rapporti sessuali, il cibarsi di carne degli animali, di uova e di certi tipi di pesce.
La matematica
Accanto alla dottrina dell’anima, l’altro nucleo teorico del pitagorismo è rappresentato dalla dottrina dei numeri. Si capisce come tutta la vita dell’uomo saggio o filosofo si caratterizzi per l’ordine e la misura con cui sa tenere a freno gli istinti del corpo. Ebbene, quest’ordine (o limite) non riguarda soltanto l’uomo, ma pervade tutta la vita del cosmo, in ogni sua manifestazione.
Tutto deve essere regolato dal numero, che è appunto l’espressione dell’ordine dell’universo: senza di esso il mondo sarebbe caos e non potrebbe essere conosciuto.
I pitagorici ritengono dunque che la vera sostanza delle cose non risieda nell’acqua, nell’aria o in qualsiasi altro elemento, ma nel numero.
IL numero è il principio generatore (o archè) di tutte le cose.
Ma che cos’è il numero?
I greci rappresentavano l’unità con un punto, dotato di estensione spaziale, e il punto era concepito come un atomo fisico. Il matematico pitagorico Filolao mostrò come dall’unità-punto si possano generare gli altri numeri e tutti i corpi fisici, secondo il seguente modello: 3
4
1 2

punto linea superficie solido

come mostra lo schema, dall’uno si genera la linea (due punti), la superficie (tre punti) e il solido (quattro punti), che è l’atomo che costituisce il mattone elementare di ogni corpo fisico. Da questo deriva che il numero è la sostanza di tutte le cose.
Poiché i numeri si dividono in pari e dispari, anche le cose del mondo saranno distinte in due parti. Il pari è divisibile in due parti uguali: entrambe pari o entrambe dispari. Il dispari invece una volta che sia diviso produce una parte pari e l’altra necessariamente dispari e viceversa. Fa eccezione a questa regola il numero uno, che i pitagorici chiamavano parimpari.
I pitagorici ritenevano, da un lato, che il dispari corrispondesse al concetto di limite e fosse pertanto simbolo di perfezione perché solo ciò che è limitato, come il numero dispari, permette la misurazione; e dall’altro, che il pari corrispondesse al concetto di illimitato, simbolo di imperfezione.

2 3

Dato il valore enorme che il numero aveva nella dottrina pitagorica, non sorprende la sua grande estensione magico-simbolica.
Il numero uno rappresentava l’intelligenza, il due invece, l’opinione sempre mutevole e incerta; il quattro (cioè il quadrato del due) raffigurava la giustizia. Il dieci era il numero perfetto: raffigurato come un triangolo che ha come lati il quattro. Su di esso è rappresentata la sacra figura della tetractys.

INDUISMO

La ruota dell’esistenza
La speculazione indiana non ha mai quasi un fine puramente teorico. Ha un fine pratico: è orientata a conoscere la via che permetta all’uomo di salvarsi dal dolore dell’esistenza.
Le soluzioni dell’Induismo hanno dato forma non solo alla cultura, ma anche al modo di vivere indiano e orientale.
La vita è considerata come una migrazione in circolo [samsàra], scandita dalle rinascite che mettono l’uomo in balia delle forze distruttrici del tempo.
In ciò consiste la precarietà dell’esistenza, che genera dolore e angoscia negli uomini.
Finché l’uomo pensa di essere separato o indipendente dall’ambiente naturale resterà sempre irretito nella trama dell’esistenza illusoria e del dolore.

La legge del Kàrman
La forza che continua a coinvolgere gli esseri del dinamismo della corrente della vita è il Kàrman. Letteralmente significa azione ma può essere considerato come l’equivalente di un principio di casualità che regola l’ordinamento del mondo.
L’uomo è responsabile delle proprie azioni che producono effetti duraturi anche dopo la morte. Alla morte dell’individuo, infatti, un corpo sottile è pronto a reincarnarsi in un altro corpo, superiore o inferiore a seconda del comportamento nella precedente vita.
Il ciclo delle rinascite è indefinito: si tratta di una circolarità senza progresso. Le dottrine del Samsàra e del Kàrman, spiegano l’organizzazione in caste. Ogni caste possiede un dhàrma particolare, cioè regole molto rigide di comportamento che inchiodano gli indù a schemi di vita prefissati dalla nascita. Il dhàrma rappresenta la legge, l’insieme delle regole che governano il mondo e la vita degli uomini costituendo il cardine dell’etica induista.

Come salvarsi dal dolore dell’esistenza?
Il dolore intrinseco nell’esistenza è legato alla sua inesorabile ciclicità e precarietà. L’induismo ritiene che esistano molte vie di liberazione – con grande tolleranza.
Per vincere il dolore bisogna liberarsi dalla ruota dell’esistenza. Si tratta di un processo lungo e faticoso, che porta l’io individuale (àtman) a distaccarsi dalla dimensione illusoria della percezione sensibile (il mondo della Maya) per identificarsi con il Bràhaman, o essenza e realtà ultime di tutte le cose.
Il punto di arrivo naturale della riflessione induista è l’ascetismo. In questa vita essa si può sperimentare tramite la meditazione e la pratica yoga.

BUDDHISMO
Come una fiamma che si spegne lentamente
La riflessione sull’esistenza e sul dolore della vita ha avuto in India un ulteriore risposta del pensiero buddhista, una filosofia a sfondo mistico in cui l’intelletto è visto come mezzo per aprire la strada all’esperienza del superamento degli opposti e delle distinzioni al fine di attingere la realtà indivisa e indifferenziata.
Il buddhismo risale ad un unico fondatore, il principe Siddharta Gautama, che visse in India nella seconda metà del VI secolo a.C. La dottrina del Buddha ha carattere essenzialmente psicologico, in quanto essa non si cura di conoscere la natura dell’universo o del divino, ma vuole salvare l’uomo dalla sofferenza.
Le quattro nobili verità
La dottrina del Buddha è affidata a quattro nobili verità:
- la prima nobile verità indica nel dolore e nella frustrazione la condizione umana. L’uomo soffre perché cerca di opporsi al continuo fluire della vita: egli vorrebbe aggrapparsi ad una forma fissa che non muta ma non ci riesce, perché l’idea di un “sé” individuale e separato è solo illusione (Maya).
- La seconda nobile verità dice che la causa di questa sofferenza è nel desiderio. L’altra causa consiste nel fatto che l’uomo vuole racchiudere la realtà in concetti, per separare e distinguere le cose. È un illusione. La verità è che noi siamo intrappolati nel circolo delle continue trasformazioni.
- La terza nobile verità afferma che l’uomo può liberarsi dalla schiavitù del divenire e del Kàrman attraverso l’esperienza dell’unicità dell’essere: tale stato è detto nirvana.
- La quarta nobile verità è costituita dalle prescrizioni che l’uomo deve seguire per raggiungere l’illuminazione. Queste prescrizioni sono contenute in otto punti denominati l’ottuplice sentiero. Le prime due vie riguardano il retto vedere e il retto conoscere; le quattro parti successive si occupano del retto agire; le ultime due vie affermano l’esperienza mistica del superamento della propria individualità nel nirvana.

Il nirvana viene spesso descritto come la dimensione in cui si prova un’indicibile felicità. Etimologicamente il termine significa estinzione dei mali morali.

IL PENSIERO CINESE
L’antica saggezza cinese e il suo orientamento pratico
La filosofia cinese, come le altre culture orientali, ha un orientamento pratico: concepisce la conoscenza non come fine a se stessa ma come lo strumento che deve migliorare la vita umana in senso spirituale. Inoltre è attento a cogliere la grande unità di fondo tra la natura e l’uomo.
La filosofia cinese antica presenta due anime o due orientamenti:
- un orientamento etico e politico;
- un’inclinazione mistica e religiosa.

A partire dal VI secolo a.C. queste due anime della Cina diedero vita a due scuole ben distinte: il confucianesimo e il taoismo.

I due indirizzi della filosofia cinese
Il confucianesimo fu una filosofia prevalentemente umanistica, si occupò di insegnare gli uomini come vivere nella società.
Il taoismo, al contrario, si propose di educare l’uomo a superare problemi quotidiani.
Queste due anime opposte in realtà erano due aspetti complementari: i bambini seguivano l’ideale confucianista, mentre gli adulti quella taoista.

ERACLITO
Un uomo schivo e solitario
Sulla figura di Eraclito abbiamo pochissime notizie.
Visse tra il VI e il V secolo a.C. a Efeso, una città della Ionia, e dovette avere natali molto nobili dal momento che la tradizione ce lo presenta come discendente da stirpe reale. Egli fu aristocratico e sprezzante dai gusti del popolo.
Pare che abbia affidato il suo pensiero ad un opera scritta in un linguaggio oscuro e oracolare.
Il suo pensiero, affidato a brevi e taglienti aforismi, ci pare oggi dotato di suggestione e fascino. Esso si può sintetizzare nei tre seguenti concetti:
- il flusso universale
- la contrapposizione tra verità ed errore
- il logòs e la legge dei contrari

Il flusso universale
Il punto di partenza della riflessione di Eraclito è la constatazione che nel mondo non c’è nulla che sia in uno di stato di quiete, ma tutto è in constante movimento.
Eraclito condensa in un immagine, quella del fuoco, il principio di questo continuo fluire delle cose.

La verità e l’errore
Egli è convinto che, dietro l’apparente scissione delle cose, si celi un ordine più profondo, il quale sfugge alla maggior parte degli uomini, considerati prigionieri della apparenze sensibili. Eraclito si scaglia contro la mentalità comune degli uomini “dormienti”, incapaci di usare la ragione.

Il logòs e la legge dell’ordine
Eraclito ritiene che dietro l’apparente caoticità degli elementi e dei contrari, ci sia un ordine permanente e universale. Quest’ordine è basato sulla legge dell’interdipendenza reciproca di tutti gli elementi i quali non possono sussistere se non insieme. L’interdipendenza degli opposti è la ragione stessa dell’universo.

PARMENIDE
Un pensatore aristocratico
Anche di Parmenide abbiamo scarsissime notizie. Scrisse un poema in versi intitolato “Sulla natura”, scritto in esametri. In quest’opera si riflette l’aspirazione ad una sapienza sacra e di ascendenza sacerdotale. Nonostante la cornice sia di carattere religioso, la materia del suo messaggio e le movenze argomentative del suo discorso sono filosofiche e razionali.

Il viaggio come metafora
Parmenide immagina di aver compiuto un viaggio voluto dalle dee che per tale occasione gli hanno messo a disposizione un carro trainato da rapide cavalle. Il filosofo lascia la città bassa ove si trovano le persone ignoranti e perverse, dirigendosi verso l’acropoli dove ha sede il tempio. Una porta divide le due parti della città e, dunque, il mondo ingannevole dei sensi e dell’opinione da quello della verità. Il sapere non può essere sottoposto a revisione né a modifiche, né è frutto di un processo graduale di avanzamento.
Il cuore del messaggio parmenideo
Una volta che il giovane filosofo ha compiuto il viaggio dovuto dalla divinità e si è purificato, è pronto a recepire il messaggio della verità. Essa dice che soltanto l’essere esiste e che il “non essere” non può esistere, né può essere pensato.
Parmenide avverte come minaccia la presenza del nulla ponendosi un problema esistenziale: che cosa c’era prima dell’essere?
La risposta è che l’essere non può derivare dal nulla, perché se derivasse dal nulla sarebbe la fine della realtà.

Le caratteristiche dell’essere
Dal momento che l’unica via legittima in filosofia è quella di affermare che “l’essere è”, si pone a Parmenide il problema di definire i caratteri essenziali del suo essere, in modo tale che non siano in contraddizione con l’affermazione dell’essere come unica realtà esistente. L’essere deve avere determinati attributi:
- è ingenerato e imperituro
- è eterno: non ha né passato né futuro
- è immutabile e immobile
- è infinito

da questo punto di vista Parmenide è ancora più esplicito e dice che l’essere è una sfera perfettamente omogenea e in ogni parte identica a se stessa.

ZENONE
Zenone di Elea, suo fedele discepolo, cercò di dimostrare con sottile argomenti logici che chiunque si fosse discostato dall’insegnamento di Parmenide sarebbe caduto in una serie insanabile di contraddizioni logiche. Parmenide sosteneva due tesi:
- l’essere è uno
- l’essere è immutabile

Zenone quindi confutava coloro che affermavano:
- la pluralità dell’essere e delle cose (i pitagorici)
- il movimento (Eraclito)

Il metodo di cui Zenone si serviva era quello della dialettica, consistente nell’ammettere in via di ipotesi l’affermazione dell’avversario, al fine di screditarla. Una volta operata questa riduzione all’assurdo delle posizioni avversarie non rimaneva che ritornare a quelle del maestro.

Demattia Stefano. 3°B lst. Riassunto di filosofia.

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