Biografia Nietzsche

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

Friederich Wilhelm Nietzsche

Vita e scritti

Lipsia 1844, perde il padre, pastore protestante. A 12 anni scrive poesie e compone musica. 1866 legge “il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer e ne rimane conquistato. A soli 24 anni ottiene la cattedra di lingua e letteratura a Basilea ed entra in rapporto con il teologo Franz Overbeck e con Richard Wagner. Il suo primo libro “la nascita delle tragedia” incontra l’ostilità dei filologi. Stringe nuove amicizie (Paul Rée), distaccandosi da Wagner nel quale vede un estremo rappresentante del romanticismo. Intanto la salute del filosofo si indebolisce (emicranie, vomito, disturbi visivi) ed interrompe l’insegnamento. Da allora in poi vagabonderà da una città all’altra in cerca di climi favorevoli per la sua salute. Nell’82 conosce una giovane russa Lou Salomè, bella e intelligente ma verrà rifiutato da quest’ultima che convivrà con Paul Rée. Rompe definitivamente con i 2 ed entra in contrasto con sua sorella e sua madre. Nell’83 pubblica “Così parlò Zarathustra”. Si trasferisce a Torino dove appariranno i primi sintomi di squilibrio mentale. Verrà ricoverato a Basilea e dopo la morte della madre, la sorella si prenderà cura di lui, aprendo anche un Archivio per tenere le opere del fratello. Muore nel 1900 proprio quando i suoi scritti erano divenuti famosi.

Caratteristiche del suo pensiero e della sua scrittura

Il suo pensiero è caratterizzato da una radicale messa in discussione della civiltà e della filosofia di vita dell’Occidente, che si traduce in una distruzione programmatica delle certezze del passato. Non si riteneva un uomo, ma della dinamite che avrebbe portato ad una crisi mondiale della conoscenza. Ma dalla sua visione, non solo critica e distruttiva, deriva il carattere propositivo del suo filosofare. Avrebbe contraddetto ciò che mai era stato contraddetto, e questo lo porta alla ricerca di nuove modalità espressive. Usa diversi stili a causa della sua concezione del mondo, che vede non come un sistema organizzato, ma come un caos senza senso né valore.
1. Negli scritti giovanili è ancora legato al saggio e al trattato,
2. mentre dopo “umano, troppo umano” opta per la forma breve dell’aforisma, finalizzato a cogliere le cose al volo, ma che richiede un’interpretazione.
3. “Così parlò Zarathustra” segna il suo passaggio alla poesia in prosa e all’annuncio profetico, ricco di simboli, allegorie e parabole.
L’esistenzialità del suo filosofare è data dal tono personale e coinvolgente dato a questi diversi stili.
Il suo pensiero è programmaticamente asistematico, anche quando progetta opere che hanno l’apparenza della sistematicità o dell’organicità. Dietro il sistema egli scorge una forma specifica di volontà di potenza, cioè un desiderio di impadronirsi della totalità del reale. Desiderio che egli descrive come illusorio e votato all’insuccesso. In virtù della sua filosofia asistematica, al suo “pensiero nomade” non esistono monopoli interpretativi, ma solo tracce o ipotesi di lettura.

Fasi del suo filosofare

La sua opera è divisa in fasi, da considerare delle tappe transitorie di un pensiero in divenire che riunisce, in se stesso, rottura e continuità.
1. scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano.
2. scritti intermedi del periodo “illuministico” o “genealogico”.
3. scritti del meriggio o di Zarathustra.
4. scritti del tramonto o degli ultimi anni.

Il periodo giovanile

Nella “nascita della tragedia dallo spirito della musica” coesistono filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura. Il motivo centrale dell’opera è la distinzione tra apollineo e dionisiaco. Con questa coppia di opposti, egli intende i due impulsi di base dello spirito e dell’arte greca. Con apollineo si intende l’armonia delle forme, mentre con dionisiaco si intendono, la vitalità, il vitalismo e l’istinto. Egli insiste sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca e sull’apollineo come tentativo di sublimare il caos nella forma. In un primo tempo, nella Grecia presocratica, impulso apollineo e impulso dionisiaco convivono separati ed opposti, mentre in un secondo tempo, all’età di Sofocle e Eschilo, apollineo e dionisiaco si armonizzano tra loro, dando origine a capolavori sublimi. Le tragedia è un perfetto esempio di accoppiamento tra apollineo e dionisiaco, in quanto riunisce, in un’unica opera, sia le rappresentazione del mondo, propria dell’apollineo, sia il furore orgiastico, proprio del dionisiaco. Nell’arte successiva, la sintesi tra apollineo e dionisiaco viene messa in forse dal prevalere dell’apollineo, che trionfa sul dionisiaco. Questo processo di decadenza si concretizza nella tragedia di Euripide e nell’insegnamento razionalistico e ottimistico di Socrate.
La sua celebrazione dello spirito tragico e dionisiaco coincide con una forma di celebrazione della vita, che non può venire definita né pessimista, né ottimista. Da Schopenhauer prende la tesi del carattere doloroso e raccapricciante dell’essere, ma respinge la tematica dell’ascesi, a cui contrappone un atteggiamento di entusiastica accettazione dell’essere nella globalità dei suoi aspetti. La vita è dolore, lotta, distruzione, non ha ordine, né scopo, il caso la domina e i valori umani non trovano in essa garanzie precostituite. Di fronte ad essa è dunque possibile mettere in atto due atteggiamenti. Il primo è quello della rinuncia e della fuga, che mette capo all’ascetismo, il secondo è quello dell’accettazione della vita così com’è, atteggiamento che mette capo all’esaltazione della vita e al superamento dell’uomo.
Il mondo è una sorta di gioco estetico e tragico, che solo l’arte riesce a comprendere veramente. Da ciò la natura metafisica dell’arte e la sua funzione di organo della filosofia. Questo dà alla !nascita della tragedia” un carattere romantico, in cui il fenomeno dell’arte viene posto al centro, e con esso e a partire da esso viene spiegato il mondo. Questa esaltazione della tragedia sfocia nell’ideale di una rinascita della cultura tragica, incentrata sull’arte, in particolare sulla musica.

Il pensiero illuministico

“Umano, troppo umano”, caratterizzato da una scrittura aforistica, enigmatica da decifrare, segna l’inizio di un nuovo periodo del suo filosofare, che si suole definire illuministico. Tale periodo risulta caratterizzato dall’esplicito ripudio dei maestri di un tempo, contesta le formule metafisiche di Schopenhauer e le tendenze artistiche di Wagner, riducendole a semplici riflessi della decadenza moderna. La scienza, la riflessione critica, la diffidenza metodica assumono la guida, mentre metafisica, religione e arte appaiono come illusione che bisogna distruggere. L’arte, in particolare, è considerata come il residuo di una cultura di stampo mitico. Il redentore della cultura diventa il filosofo educato agli ideali della scienza. Egli diviene illuminista, ma non perché dotato della fiducia settecentesca nella ragione, ma perché impegnato in un’opera di critica della cultura tramite la scienza. Per scienza egli intende un metodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli errori che gravano sulle loro menti. Metodo che finisce per identificare con un procedimento critico, perché eleva il sospetto a regola di indagine, di tipo storico e genealogico, poiché non crede nell’esistenza di realtà statiche o immutabili, ma che ogni cose sia l’esito di un processo da ricostruire. Questo metodo va impegnato per far scaturire un atteggiamento dal suo opposto, per mettere a nudo le matrici umane dei valori sovrumani. I concetti in cui si incarna la sua filosofia illuministica sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Il primo si identifica con il viandante, colui che grazie alla scienza si emancipa dalle tenebre del passato inaugurando una filosofia del mattino basata sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite. Tra le tenebre e gli errori dell’umanità egli colloca soprattutto la morale e la metafisica.
La morte di Dio e la fine delle illusioni metafisiche.
Per lui Dio è 1) il simbolo di ogni prospettiva oltremondana che ponga il senso dell’essere al di là dell’essere, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo 2) la personificazione delle certezze ultime dell’umanità, ossia di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate attraverso i millenni per dare un senso e un ordine rassicurante alla vita. Per quanto riguarda il primo punto, egli era convinto che Dio e l’oltremondo fossero una fuga dalla vita e una rivolta contro questo mondo. Mentre nel secondo punto, esprime l’immagine di un cosmo ordinato e benefico che è soltanto una costruzione della nostra mente, ai fini di sopportare la durezza dell’esistenza. Gli uomini, per poter sopravvivere, hanno dovuto convincere se stessi e i loro figli che il mondo è qualcosa di logico, di benefico, mentre in realtà è caos, nel senso di difetto di ordine, articolazione, forma… La coscienza di un mondo così divinizzato è così radicata in lui da spingerlo a ritenere superflua ogni ulteriore contro-dimostrazione della non esistenza di Dio. Per lui è la realtà stessa a confutare l’idea di Dio, alla cui origine vi è la paura archetipica di fronte all’essere. Di conseguenza a lui premono 1) l’annuncio dell’evento in corso della morte di Dio, 2) la riflessione sulle conseguenze prodotte da questo fatto decisivo della storia umana. Il grande annuncio della morte di Dio viene da lui dato attraverso il racconto dell’uomo folle, che accusa l’umanità di averlo ucciso. Per lui l’umanità vaga attraverso uno spazio vuoto, l’uomo si ritrova spaesato nel mondo. L’uomo folle si domanda se per noi la grandezza di questa azione non è troppo grande, e se dobbiamo noi stessi divenire dei per apparire almeno degni di essa. L’uomo folle è il filosofo-profeta, mentre le risa ironiche degli uomini al mercato rappresentano l’ateismo ottimistico e superficiale dei filosofi dell’Ottocento. Per reggere la morte di Dio, l’uomo deve farsi superuomo e superare la crisi moderna delle religioni. Ma l’uomo continua a credere in Dio anche se si è confutati continuamente dalla realtà. La morte di Dio coincide con l’atto di nascita del superuomo, infatti solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormai maturo per valicare l’abisso tra uomo e oltre-uomo. Il superuomo ha davanti a sé il mare aperto delle possibilità connesse a una libera progettazione della propria esistenza al di là di ogni struttura metafisica data. L’uomo può divenire superuomo solo dopo essere passato sul cadavere di tutte le divinità. Con il suo ateismo egli non contesta soltanto Dio, ma anche ogni suo ipotetico surrogato, ben conscio che gli uomini, abbattute le antiche divinità, tendono inevitabilmente a crearne altre. Ciò che si intende con Dio, è ciò che storicamente, da parte dei filosofi, è stato concepito come tale, ovvero l’Essere metafisico e il Valore dei valori. Coincidendo con il venir meno delle certezze metafisiche, la morte di Dio coincide con il tramonto definitivo del platonismo, che per lui è la metafisica per eccellenza dell’Occidente. E’ stato proprio Platone a calunniare filosoficamente questo mondo e ad inventare l’idea di un mondo che si contrappone a quello apparente in cui viviamo. In “Aurora” egli presenta la fine del mondo vero in termini di autosoppressione della morale, intendendo dire che è proprio in omaggio ai valori morali e cristiani della veracità e dell’onestà che noi abbiamo finito per sbarazzarci delle idee morali e metafisiche di matrice platonico-cristiana.

Il periodo di Zarathustra

La terza fase del suo filosofare si apre con l’eliminazione del mondo vero, con cui è tolto di mezzo anche il mondo apparente, cioè ogni scissione dualistica della realtà. Dopo la morte di Dio si aprono due possibilità: l’ultimo uomo e il superuomo. Zarathustra non è il superuomo, ma solo il suo profeta, poiché fu il primo a creare l’errore della morale, e il primo ad accorgersene.
L’opera non è un saggio, ma una sorta di poema in prosa, e il suo tono profetico ne rendono difficile la lettura e l’interpretazione. I suoi temi fondamentali sono il superuomo, la volontà di potenza, più sviluppato negli ultimi scritti, e l’eterno ritorno.

Il superuomo.

E’ un concetto filosofico di cui egli si serve per esprimere il progetto di un tipo di uomo qualificato da una serie di caratteristiche che coincidono con i temi di fondo del suo pensiero. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza, di dire sì alla vita, di reggere la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute, di far propria la prospettiva dell’eterno ritorno, di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo, di porsi come volontà di potenza, di procedere oltre il nichilismo, di affermarsi come attività interpretante e prospettica. In quanto tale il superuomo non può far altro che stagliarsi sull’orizzonte del futuro. L’Übermensch di cui parla non è riconducibile a modelli precedenti, è il tipo nuovo, un essere radicalmente altro da quello che ci sta di fronte. E’ un uomo oltre l’uomo, cioè un uomo che si colloca al di là di ogni tipo antropologico dato. E’ un uomo diverso da quello che noi conosciamo, capace di creare nuovi valori e di rapportarsi in un mondo inedito alla realtà. In virtù della totale accettazione della vita, propria dello spirito dionisiaco, la terra cessa di essere il deserto in cui l’uomo è in esilio per divenire la sua dimora gioiosa, e il corpo cessa di essere la prigione o la tomba dell’anima per divenire il concreto modo di essere dell’uomo nel mondo. Nel primo discorso il filosofo descrive la genesi e il senso del superuomo. Lo spirito passa attraverso tre metamorfosi: 1) da cammello, l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio e alla morale, all’insegna del tu devi; 2) diventa leone, l’uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, all’insegna dell’io voglio; 3) per finire con il fanciullo, che rappresenta l’oltreuomo, quella creatura non risentita di stampo dionisiaco che sa dir di sì alla vita e inventare se stessa al di là del bene e del male, a guisa di spirito libero.
Il suo superuomo presenta connotati antidemocratici e reazionari. La liberazione da tutte le autorità umane e divine che lui auspica non è qualcosa che riguarda tutta l’umanità, ma soltanto una parte di essa, un’elite di individui superiori. Un’elite che nella sua qualità di dominatrice ha addirittura bisogno di schiavitù. Ciò non significa che il suo superomismo metta capo ad un progetto politico definito, infatti egli denunzia tutti gli idoli politici del suo tempo. Il suo è un messaggio di tipo filosofico più che politico.

L’eterno ritorno.
Tra le cose che il superuomo deve saper sopportare c’è quello che per il filosofo è il peso più grande: l’eterno ritorno dell’uguale. La storia deve essere interpretata come un grande circolo in cui le vicende del mondo eternamente si ripetono e ritornano. E’ il peso più grande e insopportabile perché è come se ci dicessero che siamo condannati a rivivere continuamente la nostra vita sempre uguale a se stessa. Egli si sgancia dalla visione rettilinea del tempo per riallacciarsi alla concezione ciclica che ne avevano i Greci e l’antica India. La concezione antropologica del filosofo si incentra sull’esaltazione della realtà terrena dell’uomo, quindi l’uomo raggiunge la felicità solo se sa gustare la vita nella sua pienezza, in ogni attimo. Ciò che differenza le de concezioni del tempo è appunto la diversa prospettiva della felicità. Nella concezione lineare del tempo, il compimento del senso della vita è rimandato al futuro, all’aldilà; mentre nella concezione ciclica ogni attimo contiene in sé il proprio valore e il proprio fine. Dunque per lui il senso della storia coincide con l’uomo, attimo dopo attimo. Alla vita è restituita la sua dignità e perfezione, interpretandola nel suo farsi, momento dopo momento.
Il secondo significato che può venire dall’eterno ritorno è una polemica contro lo storicismo, l’idealismo e il positivismo, che pensavano che il cammino della civiltà fosse un fatto inarrestabile. Al contrario egli nega che con il tempo gli uomini migliorino, affermando anzi il contrario.
Nel racconto del pastore e il serpente ci fa capire come l’uomo (il pastore) può trasformarsi in creatura superiore e ridente (il superuomo) solo a patto di vincere la ripugnanza soffocante del pensiero dell’eterno ritorno (il serpente) mediante una decisione coraggiosa nei suoi confronti (il morso alla testa del serpente).

L’ultimo Nietzsche

Nell’ultimo periodo, il tema dell’accettazione delle vita lo porta a polemizzare aspramente contro la morale e il cristianesimo, tipiche forme di coscienza e di azione attraverso cui l’uomo è giunto a porsi contro la vita stessa. La morale, attraverso i tempi, è stata considerata come un fatto evidente che si auto-impone all’individuo, ma non è mai stato preso in considerazione che potesse esserci qualcosa di problematico. Di conseguenza il primo passo da compiere nei confronti della morale è mettere in discussione la morale stessa. Egli intraprende un’analisi genealogica della morale, al fine di scoprirne la genesi psicologica effettiva. Egli ritiene che i presunti valori della morale siano solo una proiezione di determinate tendenze umane. Innanzitutto la voce della coscienza da cui procederebbe la morale, non è nient’altro che la presenza in noi delle autorità sociali da cui siamo stati educati. La moralità è l’istinto del gregge nel singolo e i valori etici sono utili solo per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano. In un primo momento la morale era espressione di un’aristocrazia cavalleresca (morale dei signori), mentre in un secondo momento, in particolare con l’avvento del cristianesimo, la morale appare improntata ai valori del sacrificio di sé (morale degli schiavi). La vittoria di quest'ultima sulla prima si spiega con l’invidia dei sacerdoti per i guerrieri, e di un desiderio di rivalsa nei loro confronti. Così la casta sacerdotale cerca di affermare se stessa attraverso una tavola di valori antitetica a quella dei guerrieri. Questo rovesciamento di valori è rappresentato soprattutto dagli ebrei. Il cristianesimo è dunque una religione frutto del risentimento dell’uomo debole, ed ha prodotto un uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa e che nasconde in sé un’aggressività rabbiosa contro la vita ed uno spirito di vendetta contro il prossimo. Egli propone quindi una radicale tra svalutazione dei valori, e vede il filosofo come un dominatore e legislatore che stabilisca la meta dell’uomo attraverso i lavori preparatori di tutti gli operai scientifici della filosofia e di tutti i dominatori del passato.

La volontà di potenza.
Egli la identifica con l’intima essenza dell’essere, in particolare con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi. La molla fondamentale della vita è la spinta all’autoaffermazione. Non c’è volontà di vita, ma volontà di potenza; la crescita è la vita stessa. Questo costitutivo espandersi della vita trova la sua espressione più alta nel superuomo, perché la sua essenza consiste nel continuo superamento di sé. Ma dire che la vita è autopotenziamento è anche dire che essa è autocreazione, cioè libera produzione di sé medesima al di là di ogni piano prestabilito.
Se l’essenza della vita è il potenziamento della vita e se tale potenziamento si identifica con la creazione che la vita fa di se stessa, ne segue che l’arte, intesa nel senso ampio di forza creatrice, non è soltanto una forma della vita, ma la sua forma suprema. Tant’è vero che egli arriva a parlare del mondo come di un’opera d’arte che genera se stessa. In questo periodo egli rivaluta sia l’arte che la tragedia, che arriva a considerare, rispettivamente, come espressione di forza e pienezza e come modello di comprensione della realtà. La volontà di potenza trova il proprio culmine nell’accettazione dell’eterno ritorno, ma sembra urtare contro l’immodificabilità e l’irrevocabilità del passato, che le si impone e la rende prigioniera. Di questa situazione sono indice le dottrine dettate dallo spirito di vendetta, secondo cui la vita è un castigo. Zarathustra afferma invece il carattere creativo e redentore della volontà rispetto al tempo, grazie alla quale il macigno del così fu si scioglie nel così volli che fosse pronunciato dal superuomo. Questa redenzione del tempo coincide con l’apoteosi del divenire.
La volontà di potenza contiene delle valenze connesse al concetto della volontà di potenza come sopraffazione e dominio. Di fronte a ciò non si può fare a meno di riconoscere che nel suo concetto di volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari.

Il nichilismo
Con nichilismo, in un primo periodo, intende la volontà del nulla, ovvero ogni atteggiamento di fuga e disgusto nei confronti del mondo concreto. In una seconda accezione egli indica il movimento storico da lui riconosciuto per la prima volta e di cui compendia l’interpretazione più essenziale nella breve sentenza:“Dio è morto”. Egli intende per nichilismo la specifica situazione dell’uomo moderno e contemporaneo che , non credendo più nei valori supremi, finisce per avvertire lo sgomento del vuoto e del nulla. Egli si presenta come il primo perfetto nichilista d’Europa, si sente ormai sopra e dopo di esso. Quello di Schopenhauer è un nichilismo passivo, a cui si giunge attraverso l’ascesi, la contemplazione, che porta a una fuga dal mondo, mentre quello di Nietzsche è passivo. Di fronte all’insensatezza del mondo egli si immedesima nei valori della terra per riempire il vuoto lasciato dalla morte di Dio attraverso i valori dionisiaci. L’uomo, in virtù delle metafisiche, si era immaginato dei fini assoluti, ma scoprendo che l’essere non è né uno, né vero, né buono, è piombato nell’angoscia nichilista. Quanto più l’uomo si è illuso, tanto più è rimasto deluso. L’errore del nichilismo moderno consiste nel fatto che esso identifica la mancanza di fini e strutture metafisiche con la mancanza di senso tout-court; quindi nel dire che il mondo non ha alcun senso.

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