Arthur Shopenhauer

Materie:Tesina
Categoria:Filosofia

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Testo

ARTHUR SCHPENHAUER
VITA E OPERE
Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da un ricco commerciante e da una scrittrice di romanzi. Quando Danzica cessa di essere "città libera" e viene inglobata nella Prussia, suo padre, fervente repubblicano, trasferisce la famiglia ad Amburgo, altra città libera dell' Hansa. La giovinezza di Arthur è costellata di viaggi, nei quali il padre vede uno strumento di istruzione e di preparazione professionale del commercio: egli soggiorna per due anni a Le Havre, in Francia (1797-99), visita Praga (1800), compie con i genitori un lungo viaggio attraverso l' Olanda, Inghilterra, Francia, Svizzera, Austria, Prussia. Dopo la morte del padre, suicida nel 1805, gli succede per breve tempo nell' attività commerciale, ma poi decide di dedicarsi agli studi. La madre, intanto, trasferitasi a Weimar, apre un salotto letterario,frequentato anche da Goethe, con cui il giovane Arthur avrà qualche incontro. Pur vivendo per qualche tempo anch' egli a Weimar, abita in una casa diversa da quella della madre, di cui non approva la condotta emancipata. Al compimento del ventunesimo anno riceve parte dell' eredità paterna, che gli consente di vivere di rendita. Frequenta l' università di Gottinga, dove Jacobi lo introduce alla lettura di Platone e di Kant, che costituiscono le due fonti filosofiche più influenti sulla sua formazione, almeno per quanto riguarda il pensiero occidentale. Rilevantissima fu, infatti, l' influenza esercitata su Schopenhauer dalla lettura delle Upanishad, i testi sacri della sapienza indiana, incentrati soprattutto sulla dottrina dell' Uno-tutto, cioè sull' unità sostanziale che soggiace alla molteplicità dei fenomeni. A Berlino segue anche le lezioni di Schleiermaker e di Fichte, che trova insopportabile. Durante un nuovo soggiorno a Weimar, scrive la quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813), che egli considererà sempre come un lavoro fondamentale, indispensabile per la comprensione delle opere successive. Separatosi definitivamente dalla madre, dal 1814 al 1818 vive a Dresda. Qui scrive dapprima un' opera su La vista e i colori (1816), in cui si risente l' influenza di Goethe e poi, nel 1818, il mondo come volontà e rappresentazione, pubblicato l' anno successivo. Visita l' Italia nel 1819 (Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli) e nel 1822 (Milano, Firenze, Trento). Frattanto, ottenuta la libera docenza, si trasferisce a Berlino, dove tiene lezioni all'università nelle stesse ore di quelle di Hegel, per fargli concorrenza: il risultato é che si trova senza allievi. Nel frattempo arrivano le prime, poco favorevoli, recensioni del Mondo , mentre le copie dell'opera, rimaste invendute, vanno al macero. Schopenhauer decide di porvi rimedio non riscrivendo il libro, ma lavorando ad una serie di aggiunte, che saranno raccolte con il titolo di Supplementi e pubblicate come secondo volume nella seconda edizione del Mondo (1844). Nel 1831 Schopenhauer si trasferisce a Francoforte per sfuggire all'epidemia di colera che travaglia Berlino (e che costerà la vita ad Hegel). Un decennio dopo la morte di Hegel, quando l'hegelismo accusa i primi scossoni, Schopenhauer comincia a ottenere qualche consenso e a guadagnare qualche discepolo. Ma la grande fama gli arriverà soltanto nel 1851 con i Parerga e paralipomena, in due volumi, che raccolgono vari saggi, tra cui i famosi Aforismi sulla saggezza della vita e La filosofia delle università, aspra requisitoria contro gli ambienti filosofici accademici della Germania. Ora Schopenhauer riesce a vendere bene anche il Mondo e ne ottiene una terza edizione (1859). Nel 1860 Schopenhauer muore di polmonite.
IL SUO PENSIERO
LA CONOSCENZA
Fondamento della dottrina schopenhaueriana della conoscenza vi è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Alla prospettiva di Kant, Schopenhauer apporta però sostanziali correzioni e, soprattutto, ne intende in maniera originale il significato generale. Per Kant il fenomeno, cioè il mondo della natura, rappresenta l' unico oggetto della conoscenza umana, condizionata dalle forme a priori della sensibilità e dell' intelletto: pertanto esso coincide con la realtà stessa dal momento che soltanto nel mondo fenomenico l' uomo può organizzare la propria esistenza. Il fenomeno è sinonimo di "apparenza", poiché la cosa in sé, che è al di là del mondo fenomenico, sfugge alla conoscenza umana; ma in esso non è "parvenza", cioè realtà ingannevole al di sotto della quale si nasconde la realtà vera. Lo stesso noumenco (la cosa in sé) che nella prima edizione della Critica della ragion pura appare ancora come un indefinibile X soggiacente al fenomeno, nella seconda edizione viene risolto in un "concetto limite", indispensabile per la definizione teorica della nozione stessa di fenomeno, ma privo di ogni realtà sostanziale. Per Schopenhauer, invece il fenomeno - anche per lui risultato delle forme a priori della conoscenza umana - è soltanto una parvenza che, simile al "velo di Maya" di cui parla la filosofia indiana, copre la realtà vera, che è quella cosa in sé. Riprendendo una tradizione filosofico-letteraria che va da Pindaro a Shakespeare e Calderon de la Barca, Schopenhauer ripete che la vita è sogno, anche se il sognare obbedisce a regole precise, valide per tutti e insite nelle stesse strutture conoscitive dell' uomo. Se per Kant il fenomeno è un punto d' arrivo della conoscenza umana, per Schopenhauer esso deve essere travalicato per giungere al noumeno, della realtà vera delle cose e, quindi, anche dell' uomo. Per questo egli preferisce la prima alla seconda edizione della Critica della ragion pura: dietro suo consiglio il capolavoro di Kant fu pubblicato nell' edizione del 1781, anziché in in quella del 1787, allorché Karl Rosenkranz e Friedrich Wilhelm Schubert diedero alle stampe, nel 1838-42, la prima raccolta completa delle opere del filosofo di Konigsberg. Il mondo come volontà e rappresentazione inizia con le parole: "Il mondo è una mia rappresentazione" la rappresentazione è il risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Nessuno di questi due termini, infatti, può stare senza l' altro. Da un lato, il soggetto è "ciò che tutto conosce, senza essere conosciuto da alcuno", ossia ciò che non diventa mai oggetto della conoscenza propria o altrui. Dall' altro , il soggetto non può conoscere se non un oggetto: se non ci fosse un oggetto, il soggetto non conoscerebbe nulla; ma in questo caso non sarebbe neppure più soggetto, poiché esso è tale soltanto in quanto conosce. Erroneamente il realismo - che Schopenhauer chiama anche materialismo - fa derivare il soggetto dall' oggetto, partendo da una realtà materiale esterna che informa di sé la soggettività. Ma altrettanto erroneamente l' idealismo risolve l' oggetto nel soggetto, come sua produzione interna. Né il soggetto può prevalere sull' oggetto né l' oggetto sul soggetto: la conoscenza, infatti, è data dall' unione di entrambi, intesi come le due componenti indissolubili e paritetiche della rappresentazione. Anche per Schopenhauer, come per Kant, la filosofia prende le mosse dell' analisi delle forme a priori della conoscenza, sebbene esse vengano intese un po' diversamente. Per Kant, le forme a priori erano condizioni soggettive della possibilità dell' oggetto conoscitivo. Ma per Schopenhauer - come abbiamo appena visto - nega qualsiasi priorità del soggetto rispetto all' oggetto, non solo nel senso idealistico fichtiano, per cui il soggetto "pone" l' oggetto, ma anche nel senso trascendentale kantiano, per cui il soggetto "costituisce" l' oggetto. L' elemento veramente originario, da cui dipendono sia il soggetto sia l' oggetto, è la rappresentazione. Le forme a priori, quindi non saranno condizioni della rappresentazione, bensì sue conseguenze: esse sono già implicite in quel fatto assolutamente primo che è l' indissolubilità del rapporto tra soggetto e oggetto nella rappresentazione. Le forme a priori sono tre: lo spazio e il tempo (che corrispondono alle intuizioni pure di Kant) e la causalità (a cui si riducono le dodici categorie kantiane). Lo spazio e il tempo hanno principalmente la funzione di determinare l' oggetto in una pluralità di individui, resi specifici appunto dai loro rapporti spazio-temporali, cioè dall' essere collocati in una determinata posizione e inseriti in una determinata successione di momenti. Spazio e tempo fungono, quindi "da principio di individuazione" della materia, differenziando all' interno di essa ciascun oggetto individuale da tutti gli altri. La causalità costituisce invece l' essenza stessa della materia, percepita e individualizzata dallo spazio e dal tempo. Infatti, la realtà è essenzialmente attività: lo stesso termine tedesco Wirklichkeit (realtà) deriva da wirken, "agire" o "esercitare un' azione su qualcosa". Noi non possiamo percepire le cose nello spazio o nel tempo se non in quanto esse agiscano le une sulle altre, cioè in quanto le une sono causa e le altre effetto. La rappresentazione della realtà non è dunque altro che la rappresentazione della causalità - cioè dell' azione reciproca degli oggetti - nello spazio e nel tempo. Schopenhauer dice che, in omaggio a Kant, possiamo continuare a chiamare sensibilità la facoltà dello spazio e del tempo. Ma avverte giustamente che nel suo sistema l' uso di questo termine è improprio, poiché la sensibilità presuppone già la materia da cui provengono le sensazioni, mentre nella sua concezione la materia, coincidendo con la causalità, nasce soltanto all' interno della rappresentazione. La facoltà della causalità è invece l' intelletto, inteso ancora una volta, in modo assai diverso da Kant. Per Kant esso è la facoltà del giudizio, cioè della conoscenza mediata, nella quale le rappresentazioni immediate (intuizioni) vengono unificate in una "rappresentazione di rappresentazioni", cioè in un concetto. Per Schopenhauer, invece, l' intelletto opera intuitivamente, al pari della sensibilità: infatti la causalità, che è la specifica forma a priori dell' intelletto, non è una categoria in senso kantiano, cioè un concetto che unifica più intuizioni o più concetti ma si fonda - come si è visto - sulla rappresentazione immediata della realtà come attività. Conoscere non significa quindi giudicare, come per Kant: la realtà viene colta intuitivamente nelle forme dello spazio, del tempo e della causalità. Sensibilità e intelletto non sono più kantianamente opposti, come l' aspetto passivo e quello attivo della conoscenza, ma convergenti in un' unica conoscenza immediata, così come scompare la contrapposizione kantiana tra le intuizioni dello spazio e del tempo e la categoria della causalità. Questa origine comune di spazio, tempo e causalità è anche dimostrata dal fatto che essi, senza ricorrere al modello kantiano , possono essere spiegati piuttosto come espressioni di quel principio di ragion sufficiente che Schopenhauer aveva illustrato nella Quadruplice radice del 1813. Il principio della ragion sufficiente - di ascendenza leibniziano-wolfiana - consiste nello spiegare il perchè delle cose, più esattamente, "perchè una cosa sia piuttosto che non sia": a tale scopo occorre instaurare un rapporto necessario tra la cosa da spiegare e quella che la spiega. A seconda delle forme assunte da questo rapporto il princìpio di ragion sufficiente può presentarsi in quattro configurazioni ("radici") diverse, mostrando di discendere da una "quadruplice radice": 1) la prima "radice" spiega la dimensione del divenire dei corpi naturali ( principium rationis sufficientis fiendi ) attraverso la connessione tra la causa e l' effetto fisici (necessità fisica); in altri termini, la prima manifestazione del principio di ragion sufficiente è la causalità, per cui, dato un evento, so con certezza che esso deve avere una causa e per questo è detto "del divenire". 2) La seconda spiega il conoscere razionale dell' uomo ( principium rationis sufficientis cognoscendi ) per mezzo della relazione tra antecedente e conseguente (necessità logica): se nella 1° radice si trattava della causalità fisica, ora la causalità in gioco è quella logica. Nel ragionamento concepiamo, cioè, il rapporto tra premessa e conseguenza come nel mondo fisico concepiamo quello tra causa ed effetto. 3) La terza giustifica l' essere ( principium rationissufficientis essendi ) come definito dai rapporti dello spazio e del tempo, determinando così la concatenazione degli enti aritmetici e geometrici (necessità matematica). Con la terza radice, Schopenhauer interpreta kantianamente lo stesso principio di causa/effetto nella sfera matematica, poichè l'essere è ciò che si definisce nello spazio e nel tempo, i quali, a loro volta, sono i fondamenti della geometria. Tra l'espressione algebrica a sinistra dell'uguale e quella a destra (oppure tra il triangolo e i teoremi che da esso derivano), vige un rapporto analogo a quello causa/effetto del mondo fisico. 4) La quarta, infine, sta alla base dell' agire ( principium rationis sufficientis agendi ), in quanto stabilisce la connessione causale tra l' azione che si compie e i motivi per cui è compiuta (necessità morale). Il rapporto che si instaura tra il motivo di un'azione e la sua conseguenza è analogo a quello che intercorre tra la causa e l'effetto nel mondo fisico, sicchè non esistono azioni umane prive di motivi. Il principio di ragion sufficiente riconduce pertanto ogni forma di connessione tra le rappresentazioni a espressioni di causalità (in senso fisico, o logico, o matematico, o morale) e, insieme, mostra la convergenza tra la causalità, da un lato, e lo spazio e il tempo, dall' altro. Se le rappresentazioni proprie della sensibilità e dell' intelletto hanno carattere immediato e intuitivo, quelle della ragione sono invece mediate, cioè "rappresentazioni di rappresentazioni", ovvero concetti. La ragione svolge, quindi, per Schopenhauer una funzione analoga a quella svolta per Kant dall' intelletto. Essa congiunge più rappresentazioni in un' unica rappresentazione, cioè "giudica". Dato che i concetti, essendo rappresentazioni astratte , sono esprimibili soltanto attraverso parole, la ragione è anche la facoltà del linguaggio. Ragione e linguaggio sono le due facce della stessa medaglia: in molte lingue, nota Schopenhauer, esse sono espresse dalla medesima parola, corrispettiva del greco logos, "ragionamento". Il linguaggio e la ragione costituiscono, dunque, ciò che distingue gli uomini dagli altri esseri viventi, mentre l' intelletto, avendo ancora per oggetto semplici rappresentazioni immediate e intuitive, appartiene anche agli animali. Oltre al linguaggio, la ragione è strettamente connessa con la riflessione pratica, cioè con la capacità di orientare l' azione in base alle argomentazioni del pensiero riflesso; nonchè con la scienza, la cui caratteristica fondamentale è la riconduzione del caso particolare alla legge naturale, cosa impossibile senza concetti che unifichino sotto di sé una pluralità di rappresentazioni subordinate.
LA VOLONTA’
Il mondo della rappresentazione per Schopenhauer è un velo illusorio che occulta la vera realtà, la cosa in sè che sta a monte del mondo fenomenico. Ma come si può attingere questa realtà autentica? Di sicuro non attraverso la conoscenza intellettiva e razionale, dal momento che essa, fondata sulle forme a priori dello spazio, del tempo e della causalità, non può uscire dalla sfera della rappresentazione, e quindi del fenomeno. Se l'uomo fosse una pura testa alata d'angelo , ovvero se non fosse altro che soggetto sottostante alle forme a priori del conoscere, non sarebbe mai possibile pervenire al noumeno. Ma così non é. Oltre ad essere un soggetto conoscente, l'uomo è anche soggetto corporeo. Ora, il corpo ha una duplice valenza: da un lato, esso è soltanto un oggetto tra gli oggetti, sebbene più immediato degli altri: in questo senso esso non sfugge alle leggi della rappresentazione e ricade pienamente nel mondo fenomenico. D'altra parte, però, il corpo è anche la sede in cui si manifesta una forza assolutamente irriducibile alla rappresentazione, una forza primigenia che non è un oggetto tra gli oggetti e che sfugge ad ogni determinazione causale da parte delle altre cose: sotto questo aspetto il corpo è espressione di volontà . Tramite l'esperienza corporea l'uomo può così giungere alla cosa in sé, al fondamento noumenico che sta alla base di ogni manifestazione fenomenica della realtà, precedentemente e indipendentemente da ogni rappresentazione secondo le forme a priori della conoscenza. La cosa in sé, che Kant aveva dichiarato inconoscibile e che gli idealisti avevano eliminato come contradditoria, è dunque volontà . I caratteri fondamentali di questa volontà noumenica sono l'unità e l'irrazionalità. La volontà è una, dato che, non essendo determinata dalle forme a priori della conoscenza, sfugge alle condizioni dello spazio e del tempo e, quindi, al principio di individuazione: solo il fenomeno si rifrange in una pluralità di individui, mentre la cosa in sé è unica. Se un solo uomo riuscisse per assurdo ad annientare completamente la volontà che è in lui, verrebbe soppressa la volontà in generale, e il mondo intero sparirebbe. Per le stesse ragioni la volontà è irrazionale: infatti la ragione esiste solamente nel mondo della rappresentazione, del quale è l'espressione più elevata, essendo la facoltà dei concetti, cioè delle rappresentazioni più complesse, sintesi delle rappresentazioni immediate della sensibilità o dell'intelletto. La volontà è quindi un'aspirazione senza fine e senza scopo, un tendere che non conduce a nessun ordine e a nessuna acquisizione definitiva. Essa è una forza cieca e inconscia, puro istinto, pura volontà di vivere . Se da una parte il mondo è la rappresentazione che scaturisce dal rapporto tra soggetto e oggetto, dall'altra esso è l' oggettivazione della volontà . La volontà infinita che costituisce la cosa in sé, infatti, si oggettiva (ovvero si realizza) in una serie progressiva di gradi. Al livello più basso vi sono le forze stesse della natura: la gravità, l'impenetrabilità, la solidità, la fluidità, l'elettricità, il magnetismo, le proprietà chimiche e tutte le altre proprietà delle cose. Queste forze non possono però essere considerate come entità fisiche connesse da rapporti causali, come fa generalmente la scienza: al contrario, esse sono forze metafisiche che agiscono in completa indipendenza da quella legge della causalità che vale solo nel mondo dei fenomeni. Nei successivi gradi della vita animale e vegetale, la volontà si oggettiva nelle diverse specie, con tutte le caratteristiche e tutte le forme di impulso vitale che sono ad esse proprie. L'ultimo grado di oggettivazione è costituito dall'uomo, in cui la volontà si realizza nei singoli individui umani, forniti ciascuno di uno specifico volere che, sul piano fenomenico, si esprime come volontà razionale. Le oggettivazioni della volontà che precedono l'ultimo grado (il mondo fenomenico in cui la volontà si frantuma nella pluralità degli individui) si sottraggono ai rapporti di spazio, tempo e causalità, e quindi anche al principio di individuazione. Esse sono perciò paragonabili alle idee di Platone in quanto al pari di esse costituiscono le entità universali in cui si sostanzia la vera realtà, rispetto alla quale il mondo fenomenico non è che una pallida immagine e una illusoria moltiplicazione: per Schopenhauer però le idee non sono ancora la realtà vera, cioè la cosa in sé, ma soltanto il termine intermedio tra quest'ultima (che è la volontà infinita) e la parvenza del mondo fenomenico. La dottrina platonica delle idee e quella kantiana della distinzione tra fenomeno e cose in sé convergono quindi, a parere di Schopenhauer, verso un'unica verità fondamentale: il mondo che noi conosciamo tramite l'esperienza sensibile e la conoscenza intellettuale-razionale è pura illusione e ci rimanda necessariamente a qualche cosa che sta al di là di esso.
IL PESSIMISMO
La concezione della cosa in sé come volontà porta Schopenhauer ad un radicale pessimismo. Dal momento che la volontà è irrazionale, ciò che noi consideriamo nel mondo ordine e armonia è soltanto illusione. L'ordine della società civile e politica non è che il fragile rivestimento di un'accozzaglia di pulsioni ed egoismi, che non tardano a manifestarsi con effetti prorompenti appena venga meno la forza coercitiva che li trattiene. La storia, ben lontana dall'essere quella progressiva esplicazione del razionale che appariva ad Hegel, è una sequela di irrazionalità e di follie. La stessa ragione, in cui il pensiero illuministico aveva ravvisato lo strumento della trasformazione del mondo, spesso non è che il mezzo per giustificare, dando loro un'apparenza logica, i ciechi impulsi e gli sfrenati egoismi degli uomini. Viceversa, una più onesta considerazione della realtà vede a fondamento di essa un'aspirazione senza scopo che porta ad una eterna ed inconsulta tensione, ad un bisogno che non può mai avere posa duratura. La volontà, in quanto è desiderio di qualcosa che deve ancora essere raggiunto, é privazione, e quindi dolore e sofferenza. Ma quando per avventura l'oggetto della volontà venga conseguito, la soddisfazione non è che momentanea e si traduce subito in noia . Infatti, quando sia placato il bisogno, e con esso la volontà che lo sostiene, la vita, che non è altro che volontà, appare come svuotamento di se stessa e priva di senso. Così l'esistenza è una penosa altalena tra due mali, la privazione e la noia. L'esistenza dell'uomo è caratterizzata dall'infelicità e Schopenhauer dice: Se ad un Dio si deve questo mondo, non ci terrei ad essere quel Dio: l'infelicità che vi regna mi strazierebbe il cuore .
NEGAZIONE DELLA VOLONTA’
L'oggettivazione della volontà nel mondo fenomenico è principio di sofferenza e di dolore. La liberazione da questi mali deve quindi necessariamente passare attraverso la negazione del mondo fenomenico, in cui la nostra individualità è legata alla catena dei bisogni e delle soddisfazioni. Bisogna dunque attingere una forma di conoscenza che non obbedisca più al principio di ragion sufficiente, il quale, attraverso le forme a priori dello spazio, del tempo e della causalità, determina necessariamente la dimensione individuale dell'uomo. Questo scopo è conseguito mediante l' arte che è per Schopenhauer conoscenza delle idee . Nell'esperienza artistica infatti il soggetto riesce a svincolare l'oggetto dalle condizioni spaziali, temporali e causali che lo individualizzano e riesce a contemplarlo come una specie universale, come un'essenza, come l'immediata oggettività della volontà. L'artista appare, così, quale soggetto assoluto di una conoscenza pura, precedente al processo di fenomenizzazione. Anche le idee sono rappresentazioni, ma in esse l'elemento rappresentativo si riduce al fatto primario e universale del necessario rapporto tra soggetto e oggetto. In esse la relazione tra le due componenti della conoscenza non è ancora (o non è più, dal momento che con l'arte si ripercorre al contrario il processo conoscitivo) determinata dalle forme a priori. Nell'arte, tra soggetto e oggetto non vi è dunque alcuna mediazione, ma il secondo occupa interamente la coscienza del primo, oppure, il che è lo stesso, il primo si perde nel secondo. Naturalmente ciò comporta, da parte dell'artista, la capacità di negare anche la sua propria individualità, liberandosi di tutti gli interessi e di tutte le volontà particolari che lo legano alla determinatezza fenomenica: egli deve diventare un puro contemplatore disinteressato. Questa capacità di liberarsi dall'individualità per contemplare l'universale non solo per un attimo, ma per tutto il tempo necessario alla riproduzione dell'esperienza artistica nell'opera d'arte, è ciò che contraddistingue il genio dall'uomo prosaico. L'arte, tuttavia, costituisce solamente il primo gradino del processo di negazione della volontà da parte dell'individuo. Essa è pur sempre qualcosa di temporaneo, in quanto legata al momento della contemplazione dell'idea, sia attraverso l'opera creatrice dell'artista, sia attraverso la fruizione dell'opera d'arte da parte dello spettatore. Una più duratura liberazione dai mali della volontà può derivare dalla morale , la quale rappresenta la naturale continuazione dell'attività artistica. La virtù , infatti, nasce sempre da una forma di conoscenza. Attraverso la virtù, però, la conoscenza va al di là delle manifestazioni fenomeniche della volontà, che costituiscono l'esperienza ordinaria, e attinge la vera natura della volontà stessa, rendendo l'uomo consapevole delle dolorose conseguenze cui essa conduce. La conoscenza cessa così di acconsentire all'impulso vitale fondamentale e di fungere da 'motivo' (inteso come 'ciò che muove') dell'azione umana, ma diventa piuttosto un quietivo della volontà : essa si traduce in un atteggiamento di negazione del volere, in modo da sortire immediatamente anche un effetto sulla vita pratica dell'uomo. Per far questo, bisogna estendere dal piano conoscitivo a quello pratico quella sospensione del 'principio di individuazione' che è già stata realizzata dalla contemplazione artistica. In questo modo, l'uomo non considererà più se stesso come un individuo contrapposto ad altri individui, cioè come espressione di bisogni e interessi che lo portano necessariamente al conflitto con il suo vicino. Al contrario, egli opererà in modo da far convergere in un'unica realtà il proprio io e quello degli altri, eliminando ogni conflittualità tra gli individui. Questo obiettivo viene conseguito dapprima in negativo, limitandosi a non compiere azioni che possano ledere la volontà degli altri: è questo il diritto , che si realizza esteriormente nell'ambito dello Stato. Successivamente il superamento della contrapposizione inter-individuale deve essere conseguito anche mediante un agire in positivo, cioè attraverso un atteggiamento fattivamente caritatevole nei confronti del prossimo: in ciò consiste la compassione , che può nascere solamente nella sfera dell'interiorità dell'uomo. Ma diritto e compassione si limitano a negare la volontà individuale, eliminando il conflitto tra uomo e uomo. Un più alto grado del processo di liberazione dai mali della vita richiede invece una negazione della volontà di vivere in se stessa. A questo scopo è infatti finalizzata l' ascesi , intesa come sistematica mortificazione dei bisogni della vita sensibile (in primis dell'impulso sessuale) in modo da ridurre il più possibile non solo il nostro consapevole consenso alla volontà, ma la stessa oggettivazione della volontà noumenica nel mondo fenomenico. L'ideale a cui ogni procedura ascetica deve tendere è la completa negazione della volontà, ovvero, il che è lo stesso, l'affermazione della nolontà , della non volontà. L'esito finale del processo di negazione della volontà deve quindi portare al nulla. Con questo termine Schopenhauer non indica alcunchè di positivo, come potrebbe essere l'estasi in cui il mistico si perde nella totalità del divino, dato che il contenuto estatico sfugge a ogni comunicazione inter-personale, e quindi si colloca al di là del piano della filosofia. Il nulla esprime esclusivamente la completa negazione della volontà di vivere, la quale porta con sé anche la negazione del mondo come oggettivazione di questa volontà. Nella formulazione del concetto di nulla Schopenhauer è stato indubbiamente influenzato dalla nozione di Nirvana, che è centrale nel pensiero delle Upanishad. Tuttavia, nella concezione indiana il Nirvana appare ancora come qualcosa di positivo: un nulla-tutto in cui l'individuo si perde, risolvendo completamente in esso la sua specificità. In quanto tale, per Schopenhauer il Nirvana degli indiani è ancora un'illusione. Il nulla deve essere qualcosa di assolutamente negativo, la pura e semplice 'nolontà' , senza alcun riempimento sostitutivo del vuoto a cui essa porta. Per questo motivo Schopenhauer porta come modello più appropriato le vite dei santi, che si sono completamente liberati dal condizionamento della volontà. Ma nella tradizione cristiana il vuoto lasciato dalla negazione del mondo si riempie positivamente dalla comunione tra il santo e la divinità. Attraverso l'ascesi il misticismo cristiano giunge alla totale affermazione di Dio; quello di Schopenhauer è invece un misticismo ateo che rifiuta il mondo per giungere alla pura negatività. In questo senso la sola speranza che l' uomo, almeno in quanto individuo, ha di conseguire il nulla é la morte , la quale dissipa l'illusione che separa la coscienza individuale dall'universale e dà la certezza della fine temporale dell'individuo. Paradossalmente, dunque, la morte costituisce l'unica nota di speranza nella pessimistica concezione schopenhaueriana della realtà.
L’ARTE E LA MUSICA
" L'arte si deve necessariamente considerare come il grado più alto, come l'evoluzione più perfetta di quanto esiste; ci offre infatti essenzialmente la stessa cosa che il mondo visibile; ma più concentrata, più perfetta, con scelta e con riflessione: possiamo quindi, nel vero senso della parola, chiamarla il fiore della vita. Se il mondo come rappresentazione non è che volontà divenuta visibile, l'arte è precisamente tale visibilità resa più chiara; la camera oscura che abbraccia meglio e con una sola occhiata; è lo spettacolo nello spettacolo, la scena nella scena. "
L’arte ha per Schopenhauer un doppio valore. Valore teoretico . La ragione, la quale ci consente di raggiungere le alte vette ed astrazioni della matematica e della fisica, grazie alla quale abbracciamo gli infiniti spazi cosmici ed oltre, è tuttavia prigioniera del principium individuationis, non può squarciare il velo di Maya e fornirci una conoscenza concettuale di ciò che vi è al di là. Dunque il requisito per tale conoscenza è l’evasione, pur momentanea dalla volontà. Questa condizione è realizzata nella contemplazione, nel rapimento estetico visto che in questa particolare condizione ci liberiamo momentaneamente degli impulsi della volontà è ciò che l’arte rappresenta, il puro dato sensibile diventa simbolo, metafora della pura idea che vi soggiace. È evidente che, essendo la ragione esclusa da tale processo conoscitivo, ed essendo i concetti e le parole, i mezzi attraverso cui essa opera, non è possibile esprimere con i linguaggi tradizionali ciò che risiede oltre il mondo dominato dalla volontà. Il linguaggio dell’arte è invece un linguaggio allegorico, che si esprime per metafore, immagini delle idee. Tutte le arti sono rappresentazione dei diversi gradi di oggettivazione della volontà dai più bassi del mondo inorganico fino al più alto: l’uomo. Tuttavia come ribadisce lo stesso Schopenhauer negli ultimi periodi del §52 lo stesso mondo come rappresentazione visto dall’asceta che è riuscito a svincolarsi dalla volontà è una visione rasserenante di quest’ultima e delle sue oggettivazioni sensibili ed ideali. L’arte non fa che rendere ciò che nel mondo è già visibile (agli occhi dell’asceta) più chiaro ancora, concentrato nella purezza e perfezione dell’idea. Valore catartico . Partendo dall’assunto che il mondo mosso dalla volontà è dominato dalla guerra, dagli egoismi e dal dolore e che nessun essere (dal sasso, all’animale, all’uomo) ne è libero, bensì tutti sono ugualmente destinati alla sofferenza in modo proporzionale al grado di consapevolezza, la contemplazione estetica, in quanto consente all’uomo di liberarsi momentaneamente dalla volontà sottrae allo stesso tempo l’uomo alla sofferenza, al ciclo di dolore (desiderio), piacere (appagamento) e noia (assenza di desiderio) che contraddistingue la sua condizione. La musica occupa una posizione eccentrica rispetto alle altre arti. Infatti non è solo rappresentazione, immagine, allegoria di un’idea, ma è l’allegoria, l’immagine, la rappresentazione della volontà medesima di cui è oggettivazione al pari delle idee. Ad essa vengono dedicati il §52, ultimo del libro terzo “Il mondo come rappresentazione” nel capitolo “L’idea platonica: l’oggetto dell’arte” e nel capitolo 39 dei “Supplementi al libro terzo” intitolato “Sulla metafisica della musica”. Essendo l’immagine stessa della volontà ci consente di cogliere l’in sé di ogni fenomeno, la forma pura privata della materia (in abstracto). Ma cos’è la volontà se non impulso cieco e irrazionale, passione, sentimento? E proprio questo è il linguaggio della musica: il sentimento, contrapposto al concetto della ragione. Questo esprime la musica quando “parla”: ci racconta la vita più intima e segreta della volontà, attraverso i gradi della sua oggettivazione, dal mondo inorganico all’uomo, dalla forza bruta ai più delicati moti e sentimenti dell’animo umano. Schema che visualizza la concezione schopenhaueriana della musica come immediata oggettivazione della Volontà al pari delle idee rispetto alle quali si trova allo stesso livello. Così come poi le idee sono ordinate secondo una precisa gerarchia di consapevolezza che culmina nell’uomo (l’essere che, in quanto dotato di ragione è fra tutti il più consapevole) e si moltiplicano attraverso le dimensioni spazio-temporali e causali originando tutti i fenomeni esistenti, così la musica stessa è ordinata in una gerarchia di suoni di altezza crescente che sono in diretto parallelismo con le varie idee ed i fenomeni in cui esse si oggettivano e particolarizzano La musica nella sua struttura raccoglie perciò l’intero mondo. Di conseguenza Schopenhauer procede nella sua analisi metafisica della musica (che ripercorreremo nella pagine seguenti), instaurando una serie di parallelismi e analogie fra mondo e musica. Infatti al pari delle idee la musica è immediata oggettivazione e copia della medesima volontà e differisce perciò dalle idee solo nella forma. Al pari delle altre arti la musica è in grado di sottrarci momentaneamente alla sofferenza, ma non solo. Vista la sua natura è in grado di influire sulla volontà, riproducendo in noi gli infiniti moti di quest’ultima (ruolo che vedremo affidato alla melodia), il suo incessante ciclo di insoddisfazione e appagamento. Non è tuttavia da ritenere che per questo motivo perda il suo potere catartico. Infatti non è in grado di farci soffrire veramente essendo solo pura, distaccata, rappresentazione. Come tutte le arti anche la musica esige che “la volontà resti fuori dal gioco e che noi ci limitiamo ad essere puro soggetto conoscente” " Quando, invece, nella realtà con i suoi orrori, è la volontà stessa ad essere sollecitata ed angosciata, non abbiamo più a che fare con suoni e rapporti numerici, ma siamo noi in persona adesso la corda tesa, pizzicata e vibrante ".
FRASI SIGNIFICATIVE
“Chiunque noi siamo, e qualunque cosa possediamo il dolore ch’è essenza della vita non si lascia rimuovere”
“L’infelicità è per il nostro animo il calore che lo mantiene tenero”
“La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.”
“L’amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo”
L’uomo è l’unico animale che provoca sofferenza agli altri senza altro scopo che la sofferenza come tale”
“Il giudizio universale è il mondo stesso”
“La vita umana è un continuo oscillare fra il dolore e la noia”
Ogni giubilo eccessivo nasce sempre dall’illusione di aver trovato nella vita qualcosa che è impossibile trovarvi, e cioè la pacificazione definitiva del tormento”
“Nella monogamia l’uomo ha troppo sul momento e troppo poco nel tempo; per al donna è il contrario”
“Il perpetuarsi dell’esistenza dell’uomo non è che una prova della sua lussuria”
“Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell’istinto sessuale. [...] Se la passione del Petrarca fosse stata appagata, il suo canto sarebbe ammutolito”
“La malinconia attira, il tedio respinge”
“La vera vita del pensiero dura soltanto fino al confine delle parole: oltre il pensiero muore”
“Ciò che ha valore non viene stimato, e ciò che è stimato non ha alcun valore”
“Dei mali della vita ci si consola con al morte, e della morte con i mali della vita. Una gradevole situazione”
“Si può essere saggio solo alla condizione di vivere in un mondo di stolti”
“...alla fine tutti quanti siamo e restiamo soli”
“Io non ho scritto per gli imbecilli. Per questo il mio pubblico è ristretto”
“È la cattiveria il collante che tiene insieme gli uomini. Chi non ne ha abbastanza si distacca”
“Il filosofo non deve mai dimenticare che la sua è un’arte e non una scienza”
“Gli uomini completamente privi di genio sono incapaci di sopportare la solitudine”
“Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo”
“Alla natura sta a cuore solo la nostra esistenza, non il nostro benessere”
“Più si invecchia, meno quel che si vede, si fa e si vive lascia traccia nello spirito: non fa più alcuna impressione, siamo ormai insensibili”
“Più ristretto è il nostro campo di azione, di visuale e di relazioni, e più siamo felici”
Veniamo adescati alla vita dall’illusorio istinto del piacere: e veniamo mantenuti in vita dall’altrettanto illusoria paura della morte”
“Ogni sera siamo più poveri di un giorno”
“Dal punto di vista della giovinezza la vita è infinita; dal punto di vista della vecchiaia è un brevissimo passato”
“Si può dire quello che si vuole! Il momento più felice di chi è felice è quando si addormenta, come il momento più infelice di chi è infelice è quando si risveglia”
“A parte poche eccezioni, al mondo tutti, uomini e animali, lavorano con tutte le forze, con ogni sforzo, dal mattino alla sera solo per continuare ad esistere: e non vale assolutamente la pena di continuare ad esistere; inoltre dopo un certo tempo tutti finiscono. È un affare che non copre le spese”
“Per non diventare molto infelici il mezzo più sicuro è di non pretendere di essere molto felici”
“Tutti gli uomini vogliono vivere, ma nessuno sa perché vive”
“L’amicizia, l’amore e l’affetto degli uomini li si ottiene solo dimostrando loro amicizia, amore e affetto. [...] Per sapere quanta felicità può ricevere una persona nella sua vita, basta sapere quanta ne può dare”
“La solitudine rende oggettivi; la compagnia rende sempre soggettivi”
“Il giustificato sprezzo degli uomini ci porta a rifugiarci nella solitudine. Ma il deserto di questa a lungo andare dà angoscia al cuore. Per sfuggire al suo peso, dunque, bisogna portarsela in società. Bisogna cioè imparare ad essere soli anche in compagnia, a non comunicare agli altri tutto ciò che si pensa, (a non) prendere alla lettera quello che dicono, al contrario, ad aspettarsi molto poco da loro, sia moralmente che intellettualmente”
“La malvagità, si dice, la si sconta nell’altro mondo; ma la stupidità in questo”
“Ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e se stessi. [...] Tutti i pezzenti sono socievoli, da far pietà”
“Il denaro è la felicità umana in abstracto; perciò chi non è più capace di goderla in concreto si attacca al denaro con tutto il suo cuore”
“Dopo che ogni sofferenza fu bandita nell’Inferno, per il Paradiso non restò altro che la noia: ciò dimostra che la nostra vita non ha altre componenti che la sofferenza e la noia”
“Se ad un Dio si deve questo mondo, non ci terrei ad essere quel Dio: l'infelicità che vi regna mi strazierebbe il cuore ”
“Chi ama la Verità odia gli dèi, al singolare come al plurale”
“Il grande dolore che ci provoca la morte di un buon conoscente e amico deriva dalla consapevolezza che in ogni individuo c’è qualcosa che è solo suo, che va perduto per sempre”
“Chiunque ami un altro essere quasi come se stesso, sia il figlio, la moglie o un amico, se questo essere gli sopravvive muore solo a metà: chi invece non ha amato altri che se stesso vuota il calice della morte fino in fondo”
“Che cosa si può pretendere da un mondo in cui quasi tutti vivono soltanto perché non hanno il coraggio di suicidarsi!”
“Ciò che rende gli uomini socevoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi. ”
“Il suicida è uno che, anziché cessar di vivere, sopprime solo la manifestazione di questa volontà: egli non ha rinunciato alla volontà di vita, ma solo alla vita. ”
“La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente ”
“Le religioni sono come le lucciole: per splendere hanno bisogno delle tenebre. ”
“L'intelligenza è invisibile per l'uomo che non ne possiede. ”
“Noi ci consoliamo delle sofferenze della vita pensando alla morte, e della morte pensando alle sofferenze della vita”

Griglia riassuntiva:
la critica all'idealismo
Schopenhauer critica in generale "i tre grandi ciarlatani" idealisti, e in particolare Hegel, "sicario della verità", la cui filosofia è mercenaria, al servizio dello Stato:
"Hegel, insediato dall'alto, dalle forze al potere, fu un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell'audacia scodellando i più pazzi e mistificanti non sensi"
il suo pensiero è "una buffonata filosofica".
i riferimenti del suo pensiero
Furono Kant, da cui prese la distinzione tra fenomeno e noumeno, interpretandola però in modo difforme dallo stesso Kant, attribuendo al fenomeno una valenza di illosorietà a quello sconosciuta (dato che al contrario per il filosofo di Koenigsberg proprio del fenomeno e anzi solo del fenomeno si piò dare conoscenza rigorosamente scientifica e valida), Platone (da cui trasse la concezione delle idee, anche qui però intese in modo originale, "forme eterne sottratte alla caducità dolorosa del nostro mondo" (Abbagnano) come strato ontologico intermedio tra il centro della realtà, che è cieca Volontà e l'apparenza fenomenica più superficiale), e la filosofia indiana, da cui appunto trae la decisiva convinzione del carattere ingannevole del mondo sensibile, che altri filosofi occidentali avevano sì in precedenza definito imperfetto, e al limite prossimo al nulla (Parmenide, Platone, Plotino), ma mai giudicato deformante inganno.
1a) il mondo come rappresentazione
Noi non conosciamo le cose in sé stesse ("vediamo non il sole né la terra"), ma in quanto sono rapportate al soggetto, dipendenti dal soggetto, "interne" ad esso (conosciamo "l'occhio che vede il sole, la mano che sente il contatto con la terra"), e il soggetto filtra la realtà con le tre categorie (una sorta di a-priori, che il soggetto pone mediante l'intelletto, analogamente a Kant, con la differenza che per Sch. le categorie hanno una matrice fisiologica, piuttosto che trascendentale)
• (spazio e tempo (che rendono molteplice l'oggetto)
• la causalità (che lo rende un "cosmo conoscitivo"), poste come per Kant, dall'intelletto
la causalità a sua volta, in quanto principio di ragion sufficiente, assume quattro forme, ossia
causa fiendi (cioè del divenire; regola i rapporti causali);
causa cognoscendi (regola i rapporti tra i giudizi);
causa essendi (regola i rapporti tra le parti del tempo e dello spazio);
causa agendi (regola i rapporti tra le azioni);
Essa è perciò fenomeno, nel senso di apparenza, in parentela stretta col sogno, analogamente a Pindaro ("l'uomo è il sogno di un'ombra"), Sofocle, Shakespeare ("noi siamo di tale stoffa, come quella di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è chiusa in un sonno"), Calderòn, o, con espressione di derivazione indiana, "velo di Maya".
" è Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi nê che esista, nê che non esista; perchê ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente (Il mondo come volontà ..., paragrafo 3)
ma c'è il modo per giungere alla realtà in sé stessa:
1b) e come volontà
esistenza della Volontà
Ne posso essere certo in quanto
a)ho accesso diretto alla mia volontà, che sperimento essere la mia più intima essenza, facente tutt'uno con il moto del mio corpo (che posso infatti conoscere o oggettivandolo, o dall'interno, come mosso dalla volontà).
Io sono volontà, Wille zum Leben, impulso prepotente;
b)per analogia estendo questo a tutto il reale:
osservando nei fenomeni naturali "l'impeto violento e irresistibile con cui le acque si precipitano negli abissi, ... l'ansia con cui il ferro vola verso la calamita, la violenza con cui i poli elettrici tendono a riunirsi ...[riconosciamo] quell'identica essenza che in noi persegue i suoi fini al lume della conoscenza, ma che qui non ha che impulsi ciechi, sordi, unilaterali e invariabili" (§ 23 Il mondo come volontà e rappresentzione)
sua essenza
La Volontà è inconscia...
Come ricorda Abbagnano: "essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest'ultimo: lo spazio, il tempo e la causalità. Innanzitutto la Volontà primordiale è inconscia, poichê la consapevolezza e l'intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Di conseguenza, il termine Volontà, preso in senso metafisico-schopenhaueriano, non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di impulso (e in questo senso si comprende perchè Schopenhauer attribuisca la volontà anche alla materia inorganica e ai vegetali)."
...unica...
In secondo luogo, la Volontà risulta unica, poichò esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, che dividono gli enti, si sottrae costituzionalmente a ciò che egli chiama "principio di individuazione". Infatti la Volontà non è qui più di quanto non sia là, più oggi di quanto non sia stata ieri o sarà domani. Essa, dice Schopenhauer, "è in una quercia come in un milione di querce".
...eterna...
Essendo oltre la forma del tempo, la Volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un Principio senza inizio nè fine. Per questo, Schopenhauer scrive che "alla Volontà è assicurata la vita" e paragona il perdurare dell'universo nel tempo ad un "meriggio eterno senza tramonto refrigerante", oppure all'"arcobaleno sulla cascata", non toccato dal fluire delle acque (op.cit., paragrafo 54).
...assurda e cieca.
Essendo al di là della categoria di causa, e quindi di ciò che Schopenhauer denomina "principio di ragione", la Volontà si configura anche come una Forza libera e cieca, ossia come un'Energia incausata, senza un perchè e senza uno scopo. Infatti noi possiamo cercare la "ragione" di questa o quella manifestazione fenomenica della Volontà, ma non della Volontà in se stessa, esattamente come possiamo chiedere ad un uomo perchè voglia questo o quello, ma non perchè voglia in generale. Tant'è che a quest'ultima domanda l'individuo non potrebbe rispondere che "voglio perchè voglio", ossia, traducendo la frase in termini filosofici, " perchè c'è in me una volontà irresistibile che mi spinge a volere". Infatti, la Volontà primordiale non ha una mèta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà, ed ogni motivazione o scopo cade entro l'orizzonte del vivere e del volere (op.cit., paragrafo 29).
consegnenze etiche
Vi è in Schopenhauer un rifiuto di ogni ottimismo:
1. cosmico (quello delle religioni, con la loro idea di Provvidenza)
"Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l'appagamento; tuttavia per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non ancora conosciuto. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole... bensì rassomiglia soltanto all'elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento" (op.cit., paragrafo 38).
La realtà è una '"arena di esseri tormentati e angosciati, i quali esistono solo a patto di divorarsi l'un laltro, dove perciò ogni animale carnivoro è il sepolcro vivente di mille altri e la propria autoconservazione è una catena di morti strazianti"
"Se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, i campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, dove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perchê il nostro mondo non offre materiale per un'impresa siffatta" (op.cit., paragrafo 59)
"A diciassette anni, ancora privo di ogni cultura, fui colpito dalla miseria della vita così profondamente come Buddha nella sua gioventù, quando vide per la prima volta la malattia, la vecchiaia, il dolore e la morte. La verità che del mondo mi parlava chiaro e tondo, ebbe presto il sopravvento sui dogmi ebraici che mi erano stati inculcati; e la mia conclusione fu che questo mondo non poteva essere l'opera di un ente assolutamente buono... "
"Verrà un tempo in cui la dottrina di un Dio come creatore sarà considerata in metafisica, come ora, in astronomia, si considera la dottrina degli epicicli"
“Dei mali della vita ci si consola con al morte, e della morte con i mali della vita. Una gradevole situazione”
“Noi ci consoliamo delle sofferenze della vita pensando alla morte, e della morte pensando alle sofferenze della vita”
“...alla fine tutti quanti siamo e restiamo soli”
“Alla natura sta a cuore solo la nostra esistenza, non il nostro benessere”
“Ogni sera siamo più poveri di un giorno”
“Dal punto di vista della giovinezza la vita è infinita; dal punto di vista della vecchiaia è un brevissimo passato”
“Si può dire quello che si vuole! Il momento più felice di chi è felice è quando si addormenta, come il momento più infelice di chi è infelice è quando si risveglia”
“A parte poche eccezioni, al mondo tutti, uomini e animali, lavorano con tutte le forze, con ogni sforzo, dal mattino alla sera solo per continuare ad esistere: e non vale assolutamente la pena di continuare ad esistere; inoltre dopo un certo tempo tutti finiscono. È un affare che non copre le spese”
“Se è stato un Dio a creare questo mondo, non vorrei essere lui: la sofferenza nel mondo mi spezzerebbe il cuore”
“Chi ama la Verità odia gli dèi, al singolare come al plurale”
2. storico (il progresso, come in Hegel, Comte, Marx e altri):
in realtà la storia ci inganna facendoci credere che le cose cambino sostanzialmente, mentre ha ragione l'Ecclesiaste: non vi è nulla di nuovo sotto il sole in ogni tempo fu, è e sarà sempre la stessa cosa (Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 38)
"Mentre la storia ci insegna che in ogni tempo avviene qualcosa di diverso, la filosofia si sforza di innalzarci alla concezione che in ogni tempo fu, è, e sarà sempre la stessa cosa" (Supplementi, capitolo 38)
3. sociale (secondo cui l'uomo è naturalmente buono verso gli altri):
"Ogni giubilo eccessivo nasce sempre dall’illusione di aver trovato nella vita qualcosa che è impossibile trovarvi, e cioè la pacificazione definitiva del tormento"
"chi considera bene .. scorge il mondo come un inferno, che supera quello di Dante in questo, che ognuno è diavolo per l'altro."
"l'uomo è l'unico animale che faccia soffrire gli altri al solo scopo di far soffrire"
“Ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e se stessi. [...] Tutti i pezzenti sono socievoli, da far pietà”
"Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo, una belva, che attende solo il momento propizio per scatenarsi ed infuriare contro gli altri" (Parerga, 2, 114)
"Come l'uomo si comporti con l'uomo, è mostrato, ad esempio, dalla schiavitù dei negri. Ma non v'è bisogno di andare così lontani: entrare nelle filande o in altre fabbriche all'età di cinque anni, e d'allora in poi sedervi prima per dieci, poi per dodici, infine per quattordici ore al giorno, ed eseguire lo stesso lavoro meccanico, significa pagar caro il piacere di respirare. Eppure questo è il destino di milioni, e molti altri milioni ne hanno uno analogo"
"la vita è un continuo oscillare tra dolore e noia"
2) la liberazione
/
Schopenhauer rifiuta il suicidio come via alla liberazione per due motivi :
\
1) perchè "il suicidio, lungi dall'essere negazione della volontà, è invece un atto di forte affermazione della volontà stessa" in quanto il suicida "vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate" (ivi, paragrafo 69), per cui anzichê negare veramente la volontà egli nega piuttosto la vita;
2) perchê il suicidio sopprime unicamente l'individuo, ossia una manifestazione fenomenica della Volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo in un individuo rinasce in mille altri, simile al sole che, appena tramontato da un lato, risorge dall'altro." (Abbagnano)


Essa ha come momenti principali
a)l'arte: "mentre la conoscenza, e quindi la scienza, è continuamente irretita nelle forme dello spazio e del tempo, ed asservita ai bisogni della volontà, l'arte, secondo Schopenhauer, è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee, ossia alle forme pure o ai modelli eterni delle cose." (Abbagnano)
"Mentre per l'uomo comune, il proprio patrimonio conoscitivo è la lanterna che illumina la strada, per l'uomo geniale è il sole che rivela il mondo".
b) la compassione, che rompe la catena di egoismi che mette ogni individuo contro l'altro, causando inutile e assurda sofferenza.
“L’amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo”
c) l'ascesi
essa nasce dall'"orrore" dell'uomo "per l'essere di cui è manifestazione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nocciolo e l'essenza di un mondo riconosciuto pieno di dolore" (ivi, paragrafo 68), è l'esperienza per la quale l'individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere: "Con la parola ascesi... io intendo, nel senso più stretto, il deliberato infrangimento della volontà, mediante l'astensione dal piacevole e la ricerca dello spiacevole, l'espiazione e la macerazione spontaneamente scelta, per la continuata mortificazione della volontà" (ivi).
comporta la perfetta castità, la rinuncia ai piaceri, l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l'automacerazione
Fino ad arivare alla noluntas
"il deliberato infrangimento della volontà,... per la continuata mortificazione della volontà"
"Quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà - dice Schopenhauer alla fine della sua opera - è certamente il nulla per tutti coloro che sono ancora pieni della volontà. Ma per gli altri, in cui la volontà si è distolta da se stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee è, esso, il nulla" (ivi, paragrafo 71).

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