Aristotele: tratti principali della sua filosofia

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Testo

Aristotele
Aristotele, a differenza di Platone, elabora una filosofia dell’immanenza, ancorata al mondo delle sostanze, al mondo del divenire. A lui dobbiamo il primo riordinamento del sapere. Si colloca in un periodo di transizione da un'epoca ad un’altra, uomo della polis ma che vive anche la crisi del vecchio sistema. Primo compito del filosofo per lui era quello della ricerca e dell’insegnamento della verità, uomo non più impegnato in politica, ma dedito al sapere.
Vita
Nato nel 383 e morto nel 322 a.C., vive la crisi delle città-stato, con la sottomissione ai macedoni, e l’impero di Alessandro Magno. Il particolarismo delle città che portò il potere macedone è in contrasto però con l’economia ellenica che, grazie all’artigianato e al mercato e all’utilizzo di schiavi, arriva a un livello altissimo. La sottomissione macedone avviene per mezzo dei nobili che, minacciati dalle rivolte popolari e dall’espansionismo persiano, videro nel grande esercito di Filippo di Macedonia un degno sostenitore dei loro interessi. Fu creata una lega con il presupposto di distruggere la potenza persiana, preposto realizzato da Alessandro. Oltre allo sviluppo economico si ha anche quello culturale, con il fiorire di vita intellettuale in vari campi, come la pittura, la letteratura, il teatro, scienze, filosofia e storiografia (per esempio in teatro Euripide e Menandro, in pittura Apelle, Prassitele). Aristotele nasce a Stagira da Nicomaco, medico del re Aminta III, padre di Filippo. Nella sua vita si distinguono 3 periodi: primo periodo, è discepolo di Platone e resterà nell’Accademia fino alla morte del maestro. Secondo periodo, si apre nel 343 quando è chiamato a Pella, alla corte di Filippo, per fare da precettore ad Alessandro. Terzo periodo, dopo l’incoronazione di Alessandro nel 336 torna ad Atene dove fonda il Liceo, la sua scuola (chiamata poi Peritato), protetto e finanziato dalla monarchia macedone. Raccoglie la più grande quantità di testi e informazioni del periodo, dedicandosi a moltissime scienze; alla morte di Alessandro deve scappare dai democratici e da Demostene e si ritira a Calcide dove muore. Teofrasto occupa il suo posto al Liceo. Ci sono giunti solo i testi acroamatici, destinati agli ascoltatori del Liceo (schemi, appunti, tesi, relazioni degli studenti). I testi destinati al pubblico (essoterici) sono andati perduti. I temi sono eterogenei, e sono temi di logica, fisica, metafisica, sugli animali, sull’anima, etica, politica, poetica.
Il sistema del sapere
Aristotele non segue il progetto utopistico politico di Platone ma assegna alla riflessione l’attività del filosofo e a compiti conoscitivi e ne riduce i compiti politici, anche se afferma l’impossibilità di ordine senza stato, essendo l’uomo un animale politico. Per l’uomo ci sono 3 tipi di vita: quella della massa che mira al godimento, quella dell’impegno politico e quella della vita contemplativa. La prima dà una simile alle bestie e degna degli schiavi, la seconda persegue il bene dell’onore, ma esso dipende dagli altri, la terza rende autosufficiente il singolo, che rende nell’ascetismo la sua vita gratificante e piacevole grazie al sapere. A differenza di Platone la realtà aristotelica individua l’essenza delle cose insita nella realtà e nella cosa stessa, è immanente a queste. Il mondo ha una sua regolarità, che le scienze cercano di trovare. Egli realizza un’enciclopedia delle scienze, dove cerca di fornire un quadro complessivo del sapere scientifico. Ogni scienza per lui si basa su principi che sono le premesse per le dimostrazioni. Le dimostrazioni devono essere coerenti e vere. Fra ogni tipo di sapere attua una distinzione, che crea anche distinzione nella realtà nelle sue diverse forme. In più non ci sono gerarchie fra le scienze, ma il sapere è diviso in 3 gruppi: discipline poietiche, pratiche e teoretiche. Le prime sono tecnico-produttive, cioè hanno come fine il prodotto; il loro sapere è empirico, legato alla realtà sensibile, il loro fine è fuori di sé, nel prodotto finale, hanno quindi funzione pragmatica. Le tecniche sono scienze ausiliarie, portano a saperi che possono essere ampliati, per questo sono un sapere da schiavi, imitando o facendo ciò che la natura fa o, nel secondo caso, non sa fare. Le discipline pratiche comprendono etica e politica e riguardano la condotta dell’uomo. Considerano l’azione in se stessa, senza guardare il risultato, mirando al bene. Hanno carattere normativo, indagano la condotta per la ricerca di una vita felice. Ma esse sono soggettivistiche e variano per ogni circostanza, non hanno rigore scientifico come quelle teoretiche. Le prime due discipline riguardano il fare, la terza la vita contemplativa. Si dividono in scienze matematiche, fisiche e filosofia prima o teologia. Le prime due contengono tutti i saperi scientifici, di cui la prima i lati quantitativi (numeri e figure) e la seconda quelli qualitativi (cose e loro movimento), la terza i saperi filosofici. La loro ricerca è il sapere per il sapere, la ricerca speculativa della verità per se stessa, quindi disinteressate, disancorate da un fine, fine in sé. L’uomo si distingue, infatti, dagli altri animali perché dotato di ragione e tende a conoscere, prima spinto dalla meraviglia che lo porta fino alla domanda più alta, sull’origine del tutto e sul senso dell’essere. Quindi queste discipline non si fermano al che della cosa, ma ne cerca le cause, il suo perché, o fermandosi alle cause prossime o arrivando alle cause prime. Nel primo caso è tipico delle scienze, il secondo è tipico della filosofia. Il sapere è quindi conoscenza attraverso le cause. Per la filosofia, la più alta forma di sapere, la realtà è da studiare nella sua universalità, l’essere è studiato come essere. Questa è la metafisica.
Metafisica
Il termine è stato coniato da Andronico di Rodi, che inserì la metafisica prime della fisica, chiamandola così nella sua edizione dell’opera aristotelica. Aristotele la chiama teologia perché tratta di Dio, il principio primo, l’essenza che muove l’universo senza mutare. Indica anche che questa è la scienza dell’essere in quanto essere, indicandola quindi come ontologia. L’essere per Aristotele è in primo luogo sostanza, insieme, sinolo di materia e forma. Ciò che è reale è la sostanza come individuo, formata da materia e forma. La materia è interinata e informe, la forma dà configurazione determinata alla materia. La prima è specifica, la seconda universale. La forma è essenza, ciò che dà l’identità alla sostanza. In più l’essere è accidente, ciò che può appartenere o no ad una sostanza; potenza (può essere o non essere) o atto (esiste); vero, corrisponde a ciò che è effettivamente. Tutti i significati si riconducono però a quello di sostanza. Si distacca quindi da Platone affermando che la trascendenza delle Idee è solo un modo per aumentare gli enti, senza spiegare le cause, da Parmenide, che aveva definito in un unico modo l’essere senza precisione, dai naturalisti, che non hanno descritto le cause. Per quanto riguarda il significato di potenza e atto la materia è potenza, la forma atto, perfezione e realizzazione di una sostanza. Tutto il divenire è passaggio da potenza ad atto. In ogni mutamento si inserisce anche la privazione, cioè il fatto che alla materia manchi ancora una certa forma. Questo non essere è relativo, non assoluto. Le cause del divenire sono di 4 tipi: materiale, formale, efficiente (o motrice) e finale. Negli esseri viventi le ultime tre si riducono ad una sola. Ancora da dire che l’atto dal punto di vista ontologico è superiore alla potenza, perché suo fine. Anche per Aristotele ci sono 2 piani della realtà: il primo è sensibile, l’altro soprasensibile. Questo è superiore ed è studiato dalla teologia. Egli si domanda se ci sia nelle sostanze una gerarchia fra perfezioni (forme). Si ha un limite in alto e in basso. In basso è dato da una materia prima, sostrato di tutte le altre, pensata solo come limite ideale. In alto esiste invece una forma pura. Egli dice che il mondo è in perenne mutamento che porta un movimento eterno che deve essere per forza originato da un principio primo, causa di esso. Esso è motore immobile dell’universo e quindi un Dio, che muove tutto nella sua eternità, nella sua immortalità e nella sua immaterialità e assenza di movimento. E’ sempre in atto, senza potenzialità. Questa causa prima del divenire è identificata con un procedimento logico, che vede l’impossibilità di un’infinità di cause senza una causa prima senza potenzialità. Atto puro, esso è puro pensiero, che non implica potenzialità, ma autocoscienza, pensiero di se stesso. Egli è sia soggetto sia predicato di questo pensiero, pensiero del pensiero; questo dà puro piacere, caratteristica divina. Egli non influisce sul mondo perché non pensa a lui. E’ fine e cui tendono tutte le cose.
Logica
Strettamente legata alla metafisica, descrive con essa i caratteri fondamentali della realtà. Con la logica descrive le regole e i procedimenti usati dalla ragione per costruire i suoi discorsi. Non è scienza perché studia solo il procedimento dimostrativo, comune a tutte le scienze. E’ strumento per la scienza. Il termine è usato per la prima volta dagli Stoici, Aristotele usa il termine analitica, che studia il funzionamento del pensiero e soprattutto il suo linguaggio, studia termini e procedimenti logico-argomentativi. E’ studio propedeutico, preliminare alla ricerca scientifica, sapere formale, descrizione della forma del discorso ma anche con fondamenti ontologici, non si distacca dalla concezione di essere, quindi le forme di pensiero corrispondono a quelle della realtà: infatti le forme di pensiero sono uguali per tutti gli uomini, come sono uguali per tutti le forme della realtà. Egli distingue la logica in dialettica e apodittica. La prima basata su opinioni, basata su concetti probabili, corretti ma non necessariamente veri. Essa aiuta le argomentazioni e a saggiare correttezza e coerenza di un’altra tesi. Per l’argomentazione si usano topos, luoghi logici, schemi argomentativi per la discussione. Affine alla dialettica la retorica, che si muove nell’opinione e studia i diversi luoghi logici, guardando soprattutto l’effetto di persuasione, finalità pratiche. Fra i vari procedimenti importanti sono l’esempio e l’entimema. Il primo convince con un particolare, il secondo, davanti a un gruppo non molto preparato dialeticamente, sviluppa un ragionamento sottacendo le promesse diminuendo la complessità per l’efficacia. Per dimostrare si usano tre fattori: i termini (soggetto, predicato di un giudizio), le preposizioni (giudizi) e i sillogismi (ragionamenti). I termini sono considerati al di fuori della loro connessione; sono universali o individuali, i primi sono anche predicati di molti altri termini (ma anche sggetti di termini più estesi), i secondi sul piano ontologico sono la sostanza, non sono predicati ma soggetti. Nei termini universali si ha distinzione fra genere e specie (divisione di Platone). Il genere ha ,maggiore estensione, è quindi predicato. La specie ha minore estensione ma maggiore comprensione, note caratteristiche che la differenziano. Maggiore è infatti l’estensione minore è la comprensione (inversamente proporzionali). Ci sono termini chiamati categorie, predicati universali per eccellenza, a cui si ricollegano tutti gli altri predicati. Per caratterizzare un termine si ricorre a generi sommi: sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, situazione, avere, fare e patire. Quella più importante è la sostanza, che si divide in prima e seconda. La prima è l’individuo nella sua particolarità sempre soggetto. La seconda è specie o genere, predicati degli individui. Questa distinzione non sarà ripresa nella maturità. Le altre categorie sono accidentali rispetto alla sostanza. Nel giudizio si afferma o si nega qualcosa (predicato) di qualcos’altro (soggetto). Aristotele studia solo gli enunciati dichiarativi, che sono o affermativi o negativi (qualità), universali o particolari o individuali (quantità). Egli esclude quelli individuali e divide quindi le preposizioni in 4 gruppi, inseriti nel quadro degli opposti nel Medioevo: universale affermativo (a), universale negativo (e), particolare affermativo (i), particolare negativo (o); a-o, i-e sono contraddittorie, una esclude l’altra; a-e sono contraddittorie, non sono contemporaneamente vere ma possono essere contemporaneamente false; subcontrarie i-o, contemporaneamente vere ma non contemporaneamente false. Parla poi di definizione, che esprime un concetto, indica cos’è, la sua essenza, proprietà che non può mutare senza perdere la sua identità. Termini e concetti presi a sé sono non si possono affermare veri o falsi, ma il giudizio è vero se ricollega cose collegate nella realtà, falso se collega o divide cose divise e collegate nella realtà. La definizione è un giudizio definitorio. Esso può essere valido ma non reale, vero. Ha a che fare con generi e specie, definisce da un genere una specie, inserendo in un genere prossimo una specie, indicandone però anche la differenza specifica rispetto alle altre specie. In più un predicato appartiene ad un soggetto in altri due modi: secondo il proprio e l’accidente che non rientrano nel giudizio definitorio. Il proprio indica una specificità del soggetto, l’accidente può appartenere o meno ad un soggetto, non connotato specifico. Nella dimostrazione e nell’argomentazione bisogna attuare una concatenazione fra i vari giudizi. Partendo da premesse si arriva ad una conclusione logica e vera grazie al calcolo logico. Si ha in un sillogismo una premessa maggiore, una minore e una conclusione. Predicato della premessa maggiore è il termine maggiore, soggetto della premessa minore il termine minore, si ha termine medio come soggetto della premessa maggiore e predicato di quella minore (prima figura) o predicato di entrambe le premesse (seconda figura) o soggetto di entrambe (terza figura). Queste tre figure sono le principali dei sillogismi, Aristotele trova 14 modi validi, i logici superiori 19, con una quarta figura dove il termine medio è predicato della premessa maggiore e soggetto di quella minore. Anche per i sillogismi si parla di validità e di verità. Come predicati e soggetti si possono usare anche simboli (è il primo a farlo). Ma il sillogismo scientifico si basa solo sulla verità: è quello apodittico, basato su principi veri. Quello basato su concetti probabili è il sillogismo dialettico. Vi sono poi principi e definizioni non dimostrabili, perché premesse e fondamenti teorici. Questi sono propri di una sola scienza, comuni ad alcune scienze, comuni a tutte le scienze (non contraddizione, identità, terzo escluso). Questi ultimi sono principio di ogni forma di comunicazione sensata. Il primo di questi dice che non si possono affermare due cose opposte di una stessa cosa (piano logico), o non si può dire che una realtà può essere o non essere una cosa (piano ontologico). Essi hanno valore universale e necessario e come già detto sono indimostrabili ma sono usati per confutare un’argomentazione che non li rispetti. Indimostrabili perché se lo fossero porterebbero ad altri sillogismi all’infinito. Aristotele nelle sue opere cerca una fondazione delle premesse di tutte le scienze. Usa un metodo deduttivo che utilizza anche il procedimento a lui opposto, quello induttivo, indicando cosa c’è in comune fra i vari casi analizzati. Questo metodo dà le premesse universali. Ma esse non comprendono tutte le esperienze impossibili e sono quindi inesatte. Usa allora l’intuizione intellettuale, trova una facoltà razionale che riunisca le premesse che appartengono ad una scienza. A differenza di Platone afferma che il metodo induttivo è impreciso e affida all’intuizione la presa di coscienza delle essenze.
Fisica
La filosofia seconda si divide in matematica e fisica. La matematica studia gli aspetti quantitativi della realtà, i numeri sono enti autonomi, astratti dalle cose, indipendenti dalle cose stesse. Questo anche per la geometria. Esse sono considerate scienze con principi propri, apparati dimostrativi e oggetti ma hanno un limite perché presentano solo una parte della realtà, non presentando le caratteristiche fisiche. Le scienze fisiche studiano gli aspetti qualitativi della realtà. Richiedono diversa strategia conoscitiva e studiano la realtà naturale nella sua varietà e concretezza, cercando di individuare le cause che producono un avvenimento. Studiano gli oggetti e gli individui come soggetti a movimenti. E’ infatti scienza di movimento, locale, qualitativo, quantitativo, sostanziale. La fisica Aristotelica è finalistica, mira al bene come tutte le cose. La natura è divisa in due realtà: celeste e terrestre. La prima va dai celi più lontani all’astro più vicino, la luna, la seconda, detta anche sublunare, comprende tutto il resto della terra e della sua atmosfera. La terra è al centro dell’universo. Il mondo celeste è formato da un 5° elemento, l’etere, che ha moto circolare. Moto rettilineo verso basso o alto hanno invece gli elementi sublunari (terra, acqua, fuoco, aria). L’etere è quindi più perfetto, in più ogni astro ha una propria forma o anima, intelligenza divina. Nella teoria dei cieli usa il modello geometrico di Eudosso, secondo cui gli astri poggiavano con i pianeti su sfere che ne regolavano il moto risultante. Aristotele ne individua 55 concentriche con centro la terra stessa. Il modello di Eudosso era matematico, quello di Aristotele fisico, le sfere sono di empireo. I pianeti e il Sole sono ognuno su una sfera, le stelle fisse su una calotta sferica. La terra e l’acqua invece si muovono verso il basso, l’aria e il fuoco verso l’alto. Ogni elemento ha luogo naturale: prima la terra, poi l’acqua, aria e il fuoco e tende a tornarvi se strappato da esso. La velocità di caduta è proporzionale al peso dei corpi e il moto rettilineo di un proiettile continua grazie al moto delle particelle dell’aria. Il luogo è limite del corpo, porzione che un corpo occupa, quindi non esiste il vuoto, verificato grazie alla tesi della tensione di un elemento a stare nel suo luogo naturale e a quella di un corpo di mettersi nel posto dove si è spostato un altro corpo. Neanche al di fuori dell’universo si ha vuoto, esso non si può spostare e muoversi di moto circolare su se stesso. Il tempo è considerato come risultante di movimento, di cambiamento, numero del movimento secondo il prima e il poi, misurabile dalla coscienza,che è condizione del tempo. L’universo quindi, non divenendo, è eterno, come gli elementi, le forme, i generi, le specie. Dice poi che l’infinito esiste solo in potenza, come possibilità di aggiungere altre unità di una certa cosa, ma non esiste in atto. E’ imperfetto mentre il finito è perfetto. Studia per la biologia l’anatomia di molte specie, comparandone organi con altre specie e indicandone le funzioni vitali. Classifica quindi le specie studiate in specie e generi, prima con la dicotomia platonica (divisione in 2 di un genere) poi con la differenza specifica che indicava una specie diversa. Studia anche le funzioni degli organi, che ne spiegano la forma e l’importanza. La vita è la causa finale del funzionamento di un organo. In più non percepisce la presenza di una evoluzione e afferma che ogni specie è eterna. Nella riproduzione è il maschio che dà la forma mentre la madre offre solo la materia.
Psicologia
Negli esseri viventi il tessuto degli organi ha in sé la vita solo in potenza. Questa diventa in atto solo grazie a un principio interno di organizzazione, l’anima. L’anima è infatti la forma di un corpo naturale che ha in potenza la vita. L’anima è causa formale, finale e motrice di tale essere. Senza essa il corpo non vive ma essa da sola non vive senza corpo. Perché non è sostanza al di fuori della sua unione con la materia. Ogni essere ha un anima che è disposta gerarchicamente, a seconda delle sue funzioni: funzione vegetativa (propria di tutti, animali e piante, generativa e nutritiva), sensitiva (propria degli animali, sensoriale, appetitivi, motoria), intellettiva (esseri umani, pensare e agire coscientemente). In ogni essere una forma garantisce l’insieme delle funzioni, e quindi per l’uomo si ha l’intellettuale, per l’animale la sensitiva, per la pianta la vegetativa. Il legame corpo-anima fa si che le funzioni mentali siano legate a quelle del corpo e quindi sussista un rapporto continuo fra conoscenza sensibile e razionale. L’anima è come una tabula rasa, senza alcuna scritta prima della nascita. I sensi danno la conoscenza; ai sensi si aggiunge un senso comune, che li combina per capire altre caratteristiche dell’oggetto. Le immagini sensibile si depositano nella memoria in una dimensione temporale che appartiene al passato (ricordo) o al futuro (previsione). L’uomo è l’unico essere vivente in grado di usare la memoria per creare figure fantastiche grazie all’immaginazione. L’intelletto invece estrapola i tratti comuni di un oggetto per arrivare alla sua essenza con un’astrazione dei particolari, con un procedimento induttivo. Le facoltà sensitive sono in potenza che viene trasformata in atto con l’esperienza sensibile. L’intelletto è possibile, in potenza quando riceve forme intelligibili, le essenze della sostanza; si trasforma in atto con l’acquisizione della forma intelligibile, grazie al metodo induttivo (intelletto attivo).
Filosofia Pratica
L’Etica
Obbiettivo di fondo della filosofia della pratica è la riflessione sulla condotta umana sul piano individuale (etica) e su quello della vita associata (politica). L’organizzazione umana non è come negli animali guidata solo dall’istinto e per la sopravvivenza ma per perfezionare se stesso. Lo scopo della polis è il vivere bene, il raggiungere la felicità grazie anche agli altri. Al contrario di ciò che ho detto all’inizio Aristotele non è ascetico, ma tende a vedere la vita dentro alla città come condizione e garanzia per la vita contemplativa. Ogni essere vivente tende alla felicità che per l’uomo, unico animale razionale, è una vita ragionevole, secondo ragione, che realizza in pieno la sua specificità. Abbiamo visto che la felicità non è né piacere né onore, non una felicità sovraumana e irrealizzabile come quella di Platone ma come già detto l’attività della ragione; l’esercizio della virtù infatti può portare l’uomo alla sua perfezione. Entro questa anche i piaceri e gli onori trovano posto. Se le virtù sono controllate dalla sola ragione sono dianoetiche, se controllate dalla ragione con l’intervento delle passioni (frenate dalla prima) sono etiche. Queste hanno origine dall’abitudine, ripetizione che porta a trasformarli da potenza in atto tramite l’esercizio. Ma essi devono fuggire l’eccesso e il difetto, trovare il giusto mezzo tramite la ragione; questo equilibrio varia da persona a persona e deve essere analizzato secondo l’esperienza del singolo. Quindi si ricollega alla tradizione ellenica del senso del limite e della giusta misura. Fra le virtù c’è la giustizia, non è la virtù più alta, il principio assoluto, come in Platone ma attiene alle diverse forme di rapporto sociale. Distingue giustizia commutativa e distributiva. Nella prima a ciascuno viene dato il suo in parti uguali. Nella seconda viene dato secondo i meriti. Non si ha una norma universale e assoluta, ma una legge legata alle varie scene politiche del tempo. Nella trattazione del sommo bene non si può tralasciare l’amicizia e il piacere. L’amicizia è dimensione costitutiva dell’uomo, essere socievole, lontano dalla condizione di bruto e di Dio (autosufficienza). Per amicizia si intende ogni forma di affetto. Necessaria alla vita vissuta bene è una virtù. L’amicizia diventa migliore maggiore è la virtù dei due amici. L’amicizia legata all’utile e al piacere è inferiore, meno salda e meno duratura. L’amicizia fra uguali è migliore di quella fra disuguali. Il pensiero da rifiutare è solo quello che non implica il pensiero e che lo impedisce. Il sapiente li evita perché portano dolore, ma di per sé non sono cattivi. Le virtù dianoetiche sono invece 5: l’intelletto, la scienza, l’arte, la saggezza e la sapienza. Le prime tre sono al capacità di intuire i principi, quella di trarre da essi le deduzioni, quella di produrre altro in più dalla stessa azione del produrre. La saggezza serve per l’impegno intellettuale. Essa comanda cosa è bene per il singolo, la famiglia e la polis. La più elevata è la sapienza, sintesi di intelletto e scienza, virtù suprema di uomini eccellenti. Essa o è divina o esercizio di ciò che c’è di più divino in noi. La felicità perfetta è raggiungibile solo con l’attività teoretica attraverso la sapienza. Per Aristotele ogni uomo tende al piacere; la felicità deve essere quindi mescolata a questo che deve essere però di ordine superiore. L’attività teoretica dà un piacere elevato. Per questo il piacere derivato dall’esercizio dell’intelligenza è un bene.
La Politica
Aristotele rispetta l’autonomia degli individui e delle comunità e non vede la polis come bene da porre sopra tutto come Platone. Lo stesso vale per la proprietà privata che deve essere rispettata per non interferire negli interessi degli altri. Rifiuta la comunanza di beni e famiglie, provocherebbe solo discordia e tensione. La migliore organizzazione deve rispettare la natura umana e non seguire un’utopia. Una prima forma di società è la famiglia, che comprende anche gli schiavi. La casa è luogo di due tipi di rapporti naturali: quello uomo-donna e quello padrone-schiavo. Questa naturalità (per generare e per natura superiore) porta alla formazione di gerarchie. Il padre di famiglia è il capo di casa questo perché rispetto alla donna ha più autorità (razionalità maggiore) e rispetto ai figli maggiore età. Per Aristotele alcuni uomini sono portati a obbedire ed alcuni a comandare. Gli schiavi comprendono la ragione ma non la utilizzano (i barbari per i greci). Anche il corpo mostra differenze. Questo pregiudizio schiavista è contrapposto con la concezione di uomo ma in questo caso predomina la necessità storica: gli schiavi servono a questa società che non può fare a meno di loro. Nella vita della polis vede poi la centralità dell’economia. Analizza lo sviluppo dell’economia monetaria, la crematistica, scienza dell’acquisto dei beni materiali. A fondamento dell’attività economica si ha la proprietà, strumento di cui dispone l’individuo. La famiglia è centro della vita economica (produzione di beni per fabbisogno). C’è poi un altro tipo di economia basato su un uso improprio: lo scambio di beni per accumulare ricchezze. Lo scambio avviene per mezzo di moneta, unità di misura del valore dei diversi beni di mercato. Questi sono richiesti perché utili e vengono pagati per il lavoro occorso per produrli. L’allontanamento dalle forme naturali di scambio si ha con l’usura, scambio di denaro per denaro. Questa è perversione economica, snatura la vita della società. Oltre ad aver studiato molte costituzioni non accetta la monarchia macedone e resta attaccato alla forma della città-stato. Bisogna però lasciare l’autonomia della famiglia e la proprietà privata delle ricchezze. Cittadino è chi partecipa alla vita delle polis (quindi non erano cittadini gli operai e gli artigiani, produttori e dediti a discipline poietiche) diventando giudice o membro dell’assemblea legislativa o del governo della polis. Gli altri devono obbedire. Il suo atteggiamento è descrittivo, non propone modelli costituzionali ma distingue solo le forme politiche corrette e quelle scorrette. Le corrette sono esercitate in vista comune, sono monarchia, aristocrazia, politia (tutti gli individui liberi). Le seconde sono mosse da interesse privato: tirannide, oligarchia e democrazia (governo dei demagoghi, chi finge di fare l’interesse del popolo). La costituzione da preferire se non ci sono individui che eccellono (in quel caso si preferisce monarchia e aristocrazia) è quella della politia. Infatti è giusto mezzo fra governo di molti e di agiati.
Poetica
L’arte è per la prima volta studiata come attività a sé, soprattutto la tragedia, studiata con rigore scientifico. La poetica riguarda le attività che hanno come obbiettivo l’imitazione della realtà. Per Aristotele l’arte non è qualcosa di apparente, ma trasposizione della realtà e quindi forma di conoscenza. Nella tragedia si descrive in modo drammatico fatti umani che hanno contenuti spesso mitici. La concatenazione è compiuta e armonica, quindi il racconto per mantenere la sua verosimiglianza deve essere contestualizzato. L’estetica aristotelica oltre a parlare dell’imitazione parla di verosimiglianza. Prima di tutto per lui la storia dice ciò che è accaduto, la poesia ciò che potrebbe accadere. Storico e poeta non differiscono per stile e struttura compositiva ma per la sola verosimiglianza della poesia. Essa dà una informazione maggiore perché tende a dare un aspetto universale, mentre la storia è particolaristica. Questa universalità coinvolge lo spettatore. Il bello artistico per Aristotele è dato dalle proporzioni e dalle simmetrie che concorrono a realizzare un insieme compatto e completo. Quest’ordine si trova anche nelle scienze. L’opera d’arte è una totalità dipendente dalla coesione di più elementi. Ciò che importa poi è la struttura e non il modo con cui è trattato un fatto. L’arte ha poi una funzione morale grazie al coinvolgimento dello spettatore. La narrazione porta alla catarsi, la trasformazione di casi in emozioni e puro piacere, purificazione delle passioni grazie all’equilibrio.

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