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Categoria: | Filosofia |
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ARISTOTELE:Nel I sec. a.C. Andronico da Rodi, decimo scolara, cioè caposcuola, della scuola aristotelica, pubblicò la prima edizione “critica” degli scritti di Aristotele. Da allora il corpus è stato tramandato nella forma e nella successione datagli da Andronico.
Il peso che Aristotele ha avuto nel pensiero occidentale è quindi legato a quelle opere. Egli, però,, ha scritto molto più di quanto ci sia pervenuto e, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la storiografia filosofica si è notevolmente impegnata per ricostruire le caratteristiche delle opere andate perdute e con esse il processo di formazione del suo pensiero.
Queste ricerche, e il dibattito che ne è conseguito sono molto importanti per la comprensione del pensiero aristotelico, che può apparirci in una luce diversa da quella in cui è stato vissuto per circa due millenni nella storia della filosofia occidentale; ci sembra quindi giusto darne conto, anche se in maniera sommaria.
1 ARISTOTELE E PLATONE
Aristotele è la seconda colonna che, insieme a Platone, sorregge il complesso edificio della filosofia occidentale. Gli altri filosofi che abbiamo incontrato e quelli che incontreremo più avanti possono avere rappresentato delle “pietre di fondazione”, come Parmenide e la scuola Pitagorica, o dei “pilastri di sostegno” come Anassagora o Socrate, oppure delle “minacce alla stabilità dell’edificio” come i sofisti e alcuni esponenti delle cosiddette scuole socratiche; ma le linee di forza fondamentali della costruzione convengono su Platone e Aristotele. Profondamente diversi l’uno dall’altro – per la tradizione addirittura contrapposti -, essi risultano alla fine complementari. E’ noto l’affresco di Raffaello raffigurante la Scuola di Atene in cui i due filosofi sono rappresentati in atteggiamenti opposti , la mano di Platone rivolta al cielo, quella di Aristotele rivolta verso la Terra, mentre procedono affiancati nella stessa direzione. La contrapposizione tra i due, cioè l’elaborazione da parte di Aristotele di una dottrina completamente diversa da quella platonica, è il frutto di un processo assai complesso. Aristotele entrò nella scuola di Platone, l’Accademia, all’età di 17 anni (367) e vi rimase per vent’anni, fino alla morte del maestro (347), collaborando all’attività della scuola anche come insegnante. In questo lungo periodo di permanenza nell’Accademia e di convivenza con Platone, egli elaborò, prima, una forma personale di platonismo e, quindi, una sua propria dottrina originale.
La quasi totalità degli scritti aristotelici sono andati perduti (ne restano solo pochi frammenti).
Il sistema
Abbiamo visto che anche la filosofia di Platone, nonostante la sua preoccupazione di non fossilizzare in una struttura rigida un’attività dinamica come il pensiero, ha assunto nella tradizione le caratteristiche di un sistema.
Dagli scritti di Aristotele che conosciamo risulta invece, subito, una forte tendenza a dare al sapere una sistemazione organica e ordinata. La presentazione del suo pensiero come sistema filosofico perfetto è sembrata pertanto rispondente alla logica interna alla stessa riflessione aristotelica.
La perdita cui abbiamo accennato di gran parte degli scritti aristotelici e il fatto che si siano salvate le cosiddette opere sistematiche, i trattati, ha contribuito alla formazione e alla fortuna di questa immagine di Aristotele.
Il discepolo dell’Accademia: l’”Aristotele perduto”
La ricerca e il dibattito iniziati durante al seconda metà del secolo scorso, cominciando dai frammenti delle opere perdute, hanno permesso di mettere in discussione il rapporto di Aristotele con Platone. Partendo da quel dibattito, un grande storico tedesco della filosofia, Werner Jaeger, ha pubblicato, nel 1923, a Berlino, un’opera dal titolo Aristotele.Prime linee di una storia della sua evoluzione spirituale. Lo Jaeger rifiuta l’immagine tradizionale di Aristotele, condizionata dalla concezione scolastica della sua filosofia, che la riduce ad un rigido “schematismo concettuale”, e cerca di ricostruire la genesi del suo sistema filosofico attraverso una evoluzione che parte dalla sua ventennale presenza all’Accademia e che, pertanto, non può essere priva di elementi di platonismo.
Alcuni degli scritti aristotelici di questo periodo sono in forma di dialogo. Da quanto resta dell’Eudemo, del Protrettico e del dialogo Su la filosofia può cogliere un progressivo allontanamento di Aristotele dalla dottrina del maestro. Anche l’uso del dialogo, come forma espressiva, che rimanda mediamente a Platone assume, all’interno della produzione filosofica di Aristotele, un significato completamente diverso.
Scritti essoterici e scritti acroamatici.
La forma del dialogo compare nelle opere, destinate alla pubblicazione, che Aristotele scrisse nel periodo dell’Accademia: ad esse, definite discorsi essoterici, rimanda lo stesso filosofo in molti degli scritti che ci sono rimasti. Il tipo di argomentazione di questi scritti è molto diverso da quello usato nelle opere sistematiche prodotte da Aristotele quando è a capo della sua propria scuola, il Liceo o Peritato: mentre le prime hanno un linguaggio semplice e chiaro, e soprattutto partono dall’opinione comune, le seconde, dette acroamatiche, contengono l’insegnamento di Aristotele ai suoi discepoli e sono evolte con metodo rigorosamente dimostrativo.
Le opere sistematiche di Aristotele che ci sono pervenute fanno tutte parte degli scritti acroamatici, mentre i frammenti appartengono a quelli essoterici.
Questa situazione delle fonti, che si è determinata fin dall’antichità, può essere spiegata con la dispersione della biblioteca di Aristotele, in vero e proprio naufragio letterario, ed ha comunque fortemente influenzato la conoscenza successiva del pensiero aristotelica, favorendo quella concezione scolastica della sua filosofia di cui parla Werner Jaeger, basata sulla convenzione, già presente nei commentatori più antichi che le opere essoteriche, scritte prevalentemente in forma dialogica, avessero un carattere non scientifico.
E’ però molto difficile pensare che le opere nel periodo dell’Accademia non abbiano avuto una funzione essenziale nella formulazione del pensiero aristotelico. Lo stesso Aristotele, quando nelle opere che ci sono pervenute, rimanda ai discorsi essoterici, sottolinea spesso il carattere esauriente delle argomentazioni ivi contenute. Ma è anche chiaro che dalle opere acroamatiche (le uniche che conserviamo) emerge una nette rottura di Aristotele con la dialettica platonica: una separazione dal maestro, le cui radici però possono affondare nei lunghi anni di frequentazione della scuola platonica e avere trovato espressione già in qualcuno degli scritti essoterici.
Il rifiuto della dialettica
La contrapposizione nel dialogo serve a Platone per sottolineare da un lato il carattere dinamico della ricerca del vero e dall’altro le contraddizioni della realtà, all’interno della quale convivono e sono unificati gli opposti: l’opposizione viene proprio risolta dalla dialettica della partecipazione.
Platone riconduce tutto il reale all’unità del Mondo delle Idee, esaltando al tempo stesso la molteplicità di quel mondo: con il “parricidio di Parmenide” sembra aver conciliato l’inconciliabile.
Aristotele viene, invece, elaborando una concezione della realtà in cui l’inconciliabile non può essere conciliato: gli enti più diversi stanno l’uno accanto all’altro in un rapporto armonico, ma non possono negarsi reciprocamente.
Per Platone l’ordine del mondo sensibile è frutto dell’opera del Demiurgo che lo ha modellato a imitazione e somiglianza delle Idee e del mondo sensibile; l’organizzazione razionale del mondo può essere colta immediatamente dalla ragione umana.
Aristotele non mette in discussione al razionalità del mondo, l’identità di razionale e reale, ma, aggiunge, essa è immediata solamente in Dio: solo il pensiero divino può abbracciare in una visione d’insieme l’armonia razionale dell’universo.
La realtà del mondo, come si presenta ai sensi e alla mente dell’uomo, non è immediatamente riconducibile all’unità: intorno a noi si manifestano opposizioni reali, non dialettiche. Nell’opposizione tra acqua e fuoco, o l’acqua spegne il fuoco o il fuoco fa evaporare l’acqua: il fuoco non può essere acqua e l’acqua non può essere fuoco. Solo attraverso l’osservazione e la riflessione sui dati e sulle regole che da essa si ricavano è possibile conoscere la realtà, le sue leggi e la conseguente armonia dell’universo.
2 L’ENCICLOPEDIA DELLE SCINZE
La filosofia - come abbiamo detto più volte – nasce dall’esigenza di conoscere il Tutto, ma il Tutto, fino ad Aristotele, era considerato un’unità, che eventualmente, come accade nel pensiero platonico, può assumere in sé la molteplicità; la filosofia, come l’antica sapienza, è l’espressione della totalità del sapere, dell’unità della conoscenza. La conoscenza è una ed è conoscenza di tutto.
Aristotele riconosce che la realtà, il Tutto, si presenta a noi in maniera frammentata: è solo diversificando gli strumenti della conoscenza, dando vita a scienze particolari, che sarà quindi possibile cogliere i diversi aspetti della realtà. Per noi, abituati a confrontarci con una moltitudine di scienze suddivise in discipline sempre più specializzate, la cosa può sembrare ovvia, ma ai suoi tempi, Aristotele opera una vera e propria rivoluzione: il suo grandissimo interesse per la biologia, ad esempio, sarebbe stato impensabile in tutti i filosofi che lo hanno preceduto.
Molte delle sue opere che ci sono pervenute, e che, come abbiamo visto, coincidono con i temi dell’insegnamento del suo Liceo, sono dedicate a quelle che noi oggi chiameremmo “scienze naturali” e affrontano molteplici argomenti, dalla meteorologia all’insonnia.
Ma la conoscenza del Tutto non può nascere solo dallo studio della MMMMM, intesa come natura sensibile; ad essa si devono aggiungere : la ricerca delle cause prime e dei principi che regolano il Tutto (Aristotele chiama questo settore di ricerca filosofia prima); uno studio che porti alla conoscenza e alla conoscenza e alla pratica del Bene e della giustizia (l’etica); l’analisi delle azioni e dei comportamenti degli uomini nella loro vita sociale (la politica); lo studio delle produzioni umane (la poetica).
Gli aspetti della realtà sono quindi innumerevoli e a ciascuno di essi corrisponde una scienza; ma, a differenza di quanto accade oggi, quando uno studioso si applica a una sola scienza e, ancora di più, a un aspetto particolare di una sola scienza, Aristotele si occupa di tutte le scienze e per ciascuna di esse cerca di individuare il metodo migliore.
Le scienze, prese nel loro insieme (l’enciclopedia delle scienze) forniscono la conoscenza del Tutto, ma perché questa conoscenza sia unitaria e non contraddittoria è necessario che tutte le scienze abbiano una struttura comune, parlino la stessa lingua.
Aristotele si impegna anche nella ricerca di questa struttura e di questo linguaggio: il risultato sono le sue opere di logica.
3 LA LOGICA
Gli scritti di logica non precedono cronologicamente le altre opere sistematiche, ma, anche seguendo la disposizione di Andronico da Rodi che li ha posti all’inizio della sua edizione delle opere di Aristotele, riteniamo opportuno esporne preliminarmente il contenuto, perché in essi troviamo la descrizione del metodo che il filosofo segue in qualsiasi tipo di ricerca, sia essa rivolta agli aspetti particolari del mondo fisico, sia che miri all’individuazione dei principi primi della realtà. Aristotele tratta della logica nelle opere raccolte sotto il nome comune di Organon (strumento) e, per alcuni principi, nella Metafisica.
La logica pone le condizioni della conoscibilità del reale, condizioni cui deve sottostare il soggetto che conosce, sia rispetto a se stesso sia rispetto all’oggetto da conoscere.
La logica garantisce la conoscenza del reale attraverso la dimostrazione della veridicità delle singole asserzioni. All’intuizione platonica della Verità si sostituisce la dimostrazione: con Aristotele il mito è definitivamente bandito dalla filosofia.
I principi della logica aristotelica
Quelli che la storia della filosofia tramanda come principi fondamentali della logica aristotelica sono impliciti in tutte le opere raccolte nell’Organon, ma trovano una formulazione esplicita anche nella Metafisica.
L’Essere è, il Non - essere non è. Aristotele accetta pienamente l’antico principio di Parmenide: a uno stesso soggetto non si possono attribuire due predicati contrari. Questo è il principio di non contraddizione che si può formulare anche come A non è non – A. Se attribuisco a uno stesso soggetto due predicati opposti (A è A, A è non – A) una delle due affermazioni è sicuramente falsa. Aristotele scrive: “è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione. […] E’ impossibile, infatti, supporre che la medesima cosa sia e non sia”.
Il principio del terzo escluso afferma che dato un soggetto e attribuito ad esso un predicato, questo, rispetto al soggetto, può essere solo affermato o negato; non esiste una terza possibilità, tertium non datur. Aristotele scrive: “Ma non è neppure possibile che ci sia qualcosa di intermedio tra due enunciati contrari, bensì di un’unica cosa è necessario affermare o negare un unico predicato, qualunque esso sia”.
Nella tradizione dei manuali è indicato anche un terzo principio che Aristotele non formula mai in maniera esplicita, ma che si ricava abbastanza facilmente da quanto egli afferma, confutando gli errori di chi nega il principio di non contraddizione. Ogni ente è identico solo a se stesso. Questo principio espresso nella formula A = A, è alla base di ogni linguaggio: è necessario infatti che una parola significhi sempre la stessa cosa. Ogni termine - scrive Aristotele - ha un suo significato e un solo significato.
La logica della proposizione
Quando parliamo emettiamo suoni dotati di senso; alcune di questi suoni sono espressioni semplici o elementari, non possono cioè essere scomposti senza perdere senso o significato. I nomi, come uomo, sono un esempio di queste espressioni. Esistono inoltre espressioni complesse, ognuna delle quali non è un accostamento di espressioni semplici, ma un insieme unificato, come quando diciamo, ad esempio, l’uomo corre. Un’espressione complessa è una proposizione.
Per una vera proposizione, cioè un discorso dichiarativo (apofantico), è sempre necessario un verbo in grado di produrre una asserzione che può essere dichiarata vera o falsa. Questi sono gli unici discorsi che interessano Aristotele e la sua logica. Ce ne sono alcune che non sono vere proposizioni, come i desideri e le preghiere, perché non possono essere veri o falsi.
Nella proposizione il verbo mette in relazione un soggetto con un predicato: ha la duplice funzione di predicare qualcosa di un soggetto, cioè di fornirgli un predicato, e di assicurare il legame tra i due. Per mettere in evidenza questa doppia funzione del verbo, Aristotele consiglia di scomporlo sempre in copula e predicato: le espressioni l’uomo passeggia e l’uomo è passeggiante hanno lo stesso identico significato, ma nella seconda è messa in evidenza la struttura della proposizione (soggetto, copula e predicato). Quindi tutte le proposizioni di cui si interessa la logica possono essere ridotte alla formula, usata da Medioevo in poi, S è P (Soggetto + è + Predicato).
Ma, sostiene Aristotele, esistono diversi modi di predicare (in greco kategorein), cioè di mettere in relazione soggetto e predicato, ed elenca dieci di questi modi, appunto le dieci categorie: sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, essere in relazione, avere, agire, patire.
Lo stesso Aristotele fornisce esempi molto chiari: “Orbene, per esprimerci concretamente, sostanza è, ad esempio uomo, cavallo; quantità è lunghezza dei due cubiti, lunghezza di tre cubiti; qualità è bianco, grammatico; relazione è doppio, maggiore; luogo è nel Liceo, in piazza; tempo è ieri, l’anno scorso; essere in una situazione è si trova disteso, sta seduto; avere è porta le scarpe, si è armato; agire è tagliare, bruciare; patire è venir tagliato, venir bruciato”.
Definendo le caratteristiche della proposizione, cioè di un discorso che asserisce qualcosa, e, quindi, i vari modi in cui questo discorso si può presentare, Aristotele fornisce uno strumento essenziale per rispondere all’istanza originaria della filosofia: scoprire, conoscere la Verità. La nostra conoscenza si manifesta attraverso le proposizioni del tipo S è P, che si possono riferirsi sia ai dati immediati e sensibili come questo vino è dolce sia alle affermazioni più astratte e universali come l’Essere è uno e immutabile.
La via per la ricerca della Verità parte, quindi, dalla possibilità di sapere se ciascuna proposizione e vera o falsa.
Le proposizioni sono di due specie: affermazione (apòphansis) e negazione (katàphasis), che si escludono a vicenda.
Aristotele, oltre alla diversificazione fondamentale S è P attraverso le categorie, cioè in riferimento al tipo di relazione che il verbo stabilisce tra soggetto e predicato, indica altre differenze che emergono tra le proposizioni se ci si riferisce al soggetto, che può universali (tutti, nessuno) o particolari (qualcuno). Inoltre ciascuna proposizione – come abbiamo visto – può essere affermativa o negativa.
Dalla combinazione di questa quattro possibilità risultano quattro tipi di proposizioni, che i logici medievali sintetizzano nella seguente tabella:
A – Universale affermativa: ad esempio, ogni uomo è giusto.
E – Universale negativa: ad esempio, nessun uomo è giusto.
I – Particolare affermativa: ad esempio, qualche uomo è giusto.
O – Particolare negativa: ad esempio, qualche uomo non è giusto.
Per concludere il discorso sulle proposizioni resta da vedere quali possono essere le relazioni delle proposizioni tra loro, cioè come è regolata la loro opposizione.
Nelle Categorie Aristotele analizza l’opposizione relativa ai termini.
Nel De interpretatione estende l’analisi dell’opposizione alla proposizione, ricavandone le possibili situazioni. L’interpretazione del passo non è semplice, può quindi essere utile ricorrere alla schematizzazione del cosiddetto Quadrato di Psello (o “quadrato dell’opposizione), dal quale risulta che due proposizioni opposte possono essere contrarie, contraddittorie, subcontrarie e subalterne.
Le contrarie e le contraddittorie non possono essere entrambe vere, ma mentre le contrarie possono essere entrambe false, per le contraddittorie vale il principio del terzo escluso: una deve essere necessariamente vera e l’altra necessariamente falsa.
Le subalterne possono essere entrambe vere o entrambe false.
Le subcontrarie possono essere entrambe vere, ma non entrambe false.
Una volta in possesso degli strumenti per giudicare la veridicità e la falsità delle proposizioni, si può rendere in esame l’insieme di più proposizioni che costituisce il ragionamento.
contrarie
A E
Ogni piacere è un bene e nessun piacere è un bene
subalterne contraddittorie subalterne
Qualche piacere è un bene qualche piacere non è un bene
I O
subcontrarie
Induzione e deduzione
Il ragionamento è una concatenazione di proposizioni attraverso la quale, partendo da alcune premesse, è possibile arrivare a una conclusione: “i felini sono carnivori, il gatto è un felino, il gatto è un carnivoro”, oppure, “il mio gatto è carnivoro, il tuo gatto è carnivoro, il gatto di Aristotele è carnivoro, i gatti (cioè il genere gatto) sono carnivori”.
Questi due tipi di ragionamento seguono procedimenti completamente diversi: nel primo caso la premessa è di tipo generale e le conclusioni sono di tipo particolare; nel secondo la premessa è particolare e le conclusioni sono di tipo generale (rispetto alla premessa).
Il processo che va dal generale al particolare prende il nome di deduzione, mentre quello che va dal particolare al generale si chiama induzione.
La logica del ragionamento
Al centro dell’analisi del ragionamento troviamo la struttura forse più nota della logica aristotelica, il sillogismo.
Come per la proposizione, il ragionamento che interessa maggiormente ad Aristotele è il ragionamento dimostrativo, in grado di produrre asserzioni che possono essere dichiarate vere o false.
Il sillogismo è il procedimento attraverso il quale si realizza la dimostrazione, si garantisce cioè la verità delle conclusioni.
Il sillogismo è un tipico ragionamento deduttivo; è costituito da due premesse (una maggiore e una minore) e da una conclusione. Le premesse hanno un termine comune detto termine medio che consente di legarle tra loro e di collegare la premessa maggiore alla conclusione. Negli Analitici primi Aristotele sintetizza così la struttura del sillogismo: “se A è predicato di ogni B, e se B è predicato di ogni C, necessariamente A sarà predicato di ogni C”. Un esempio chiarificatore è fornito dallo stesso Aristotele: “Poniamo che A indichi caduta delle foglie, che B indichi possesso di foglie larghe, che C indichi vite. In tal caso, se A appartiene a B (tutte le piante che hanno le foglie larghe perdono infatti le foglie), e se B appartiene a C (dato che ogni vite ha le foglie larghe), senza dubbio A appartiene a C, ossia ogni vite perde le foglie. Il medio B è la causa”.
La validità del sillogismo, cioè di un ragionamento, dipende dalla correttezza del suo procedimento, ma la validità del ragionamento non comporta necessariamente la verità delle conclusioni, che dipende in maniera determinata dal valore di verità delle premesse.
Proprio partendo dal valore di verità delle premesse (e quindi dalla possibilità di stabilire la verità delle conclusioni) Aristotele, nei Topici, suddivide i sillogismi in tre varietà: dimostrativi, dialettici, eristici.
Ma quando, negli Analitici, espone la struttura del sillogismo, egli tralascia questa tripartizione e mette in evidenza il carattere formale del procedimento, la cui correttezza può essere stabilita a prescindere dal contenuto: se tre proposizioni, qualunque esse siano, sono collegate tra loro secondo la regola del sillogismo, il ragionamento è corretto.
Dopo aver isolato l’aspetto formale del pensiero attraverso l’individuazione delle condizioni che rendono valido un ragionamento, vediamo che, anche per Aristotele, Vero e Reale sono inseparabili: il sapere, cioè la conoscenza della Verità, si raggiunge attraverso un ragionamento formalmente corretto, il sillogismo, applicato a contenuti reali.
La formulazione formale del sillogismo diventa strumento di conoscenza quando ai simboli A,B e C si sostituiscono i termini delle proposizioni. A questo punto è necessario che le proposizioni che costituiscono le premesse siano vere e per Aristotele si pone il problema di stabilire che, ad esempio, la proposizione “tutto ciò che ha le foglie larghe perde le foglie” è vera. In altri termini, il problema è quello di costruire le premesse.
La verità delle premesse di un sillogismo non può essere raggiunta attraverso il metodo sillogistico, deduttivo, perché ciò darebbe vita a un circolo vizioso. Se la verità delle conclusioni di un sillogismo è frutto di una dimostrazione, quella delle sue premesse non può essere dimostrata. Non resta che la via del ragionamento induttivo: le premesse del sillogismo sono giustificate dall’induzione e quindi dall’esperienza sensibile.
L’induzione (epagoghè) è tipica del sapere empirico, che trae conclusioni o formula ipotesi generali da una serie di osservazioni ed esperienze sensibili particolari: è il procedimento usato dalla medicina, dalla biologia, dalle scienze naturali in genere, destinate ad applicazioni pratiche.
Induzione e deduzione, entrambe essenziali, concorrono alla formazione della conoscenza: noi impariamo “o per induzione o mediante dimostrazione” – scrive Aristotele – e senza le sensazioni, dalle quali parte l’induzione, è impossibile qualsiasi scienza.
L’induzione per essere formalmente valida deve derivare da una enumerazione completa, ma essa realizzabile solo per gruppi limitati di oggetti, quelli che Aristotele chiama generi; non lo è invece per gruppi il cui numero di oggetti sia illimitato e che Aristotele chiama specie.la verità delle premesse di un sillogismo non può essere garantita quindi esclusivamente dall’induzione.
A questo punto Aristotele introduce un nuovo strumento della conoscenza, l’intuizione intellettuale, destinato a fare da ponte tra i limiti dell’esperienza sensibile, base dell’induzione, e il carattere universale e necessario delle premesse da cui parte la deduzione.
Anche senza una enumerazione completa, attraverso l’analisi di un numero limitato di oggetti, l’intelligenza (nòesis) riesce ad astrarre e intuire l’essenza di quegli oggetti, l’universale. Attraverso questo processo possiamo cogliere l’universale: quando mi viene incontro Callia – scrive Aristotele – io percepisco l’oggetto singolo, l’uomo Callia, ma la sensazione può volgersi all’universale, per cui io intuisco l’uomo.
L’importanza della logica aristotelica
La logica di Aristotele, che egli chiama analitica, assolve a due funzioni essenziali:
- studia e descrive in maniera analitica le operazioni formali de pensiero e del linguaggio (che per Aristotele sostanzialmente coincidono) e quindi pone le condizioni per la conoscenza del Vero. Sotto questo aspetto è stata riconosciuta valida fino al XIX secolo;
- rappresenta il linguaggio comune a tutte le scienze, quindi è strumento di unificazione del sapere: scienza senza un oggetto proprio, ha per oggetto tutte le scienze. In questo senso la logica di Aristotele non ha una carattere puramente formale, ma entra in rapporto con il reale e contribuisce a svelarne la struttura razionale.
L’episème, la conoscenza di ciò che permane, trova nella logica aristotelica uno strumento formidabile per affermarsi.
4 LA NATURA: LA FISICA, LA BIOLOGIA E LA PSICOLOGIA
La conoscenza è un processo complesso che nasce da un movimento ascendente (l’induzione) e da uno discendente (la dimostrazione, o deduzione o inferenza); tra loro però resta una sorta di vuoto, dal momento che l’induzione non può garantire in maniera assoluta la verità delle affermazioni universali, che costituiscono le premesse da cui parte il procedimento deduttivo. Aristotele pensa di superare questo vuoto con un “salto” (l’astrazione e l’intuizione intellettuale) che lega tra loro i due movimenti. Un modo, questo, per legare il mondo del divenire al mondo dell’Essere e fare così di Essere e divenire una sola realtà. Non trattandosi certamente di un legame “forte” e incontrovertibile, nella storia della filosofia successiva, anche e soprattutto nell’aristotelismo, esso è stato spesso trascurato o dimenticato, e ha fatto sì che la natura, il mondo del divenire e dei dati sensibili, il terreno proprio dell’induzione, si sia trovato spesso a perdere ogni legame con il mondo dell’Essere, che tornava in tal modo a contrapporsi ad esso.
Per Aristotele, invece, quel ponte gettato tra il mondo della materia e quello dello spirito impone lo studio accurato del mondo sensibile, perché non può esistere scienza senza la sensazione.
La natura
La natura si caratterizza per il movimento: essa è il mondo del divenire, della generazione. Quando si studia la natura “non vale la pena di demolire ogni dottrina” che si è occupata di essa, come l’identificazione parmenidea della natura con il Non-essere o il pluralismo atomico di Democrito: lo studio della natura può, in quanto tale, prescindere dallo studio dei principi primi e limitarsi all’analisi di ciò che è intrinseco alla natura stessa, il movimento.
La fisica
La fisica è lo studio del movimento in quanto caratteristica essenziale della natura (physis).
Il movimento (o moto) di cui si occupa Aristotele va inteso in una accezione più vasta di quella usata dalla fisica moderna: esso è riconducibile al concetto stesso del divenire. Per Aristotele sono in movimento tutte le trasformazioni della natura: un seme che diventa pianta, come un sasso che rotola giù per un pendio.
Tutte le cose della natura hanno in sé “il principio del movimento e della quiete, alcune rispetto al luogo, altre rispetto all’accrescimento e alla diminuzione, altre rispetto all’alterazione”. Le cose artificiali (ad esempio un letto o un mantello) non hanno in se alcuna tendenza alla trasformazione: esse cambiano solo in quanto sono di legno, di lana, o di altri elementi naturali.