Abelardo

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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ABELARDO

Biografia
filosofo e teologo francese (Palais 1079-Châlon-sur-Saône 1142). Discepolo di Roscellino e di Guglielmo di Champeaux, dalle cui posizioni ben presto dissentì, studiò poi teologia sotto la direzione di Anselmo di Laon, manifestando anche in questa occasione un temperamento ardente di polemista e di dialettico eccezionale. A Parigi nel 1113, non avendo ottenuto gli ordini sacri, ebbe un canonicato e la cattedra alla scuola di teologia di Notre-Dame. Affascinante e famoso maestro, intrecciò con Eloisa, fanciulla di eccezionali qualità, una memorabile relazione amorosa (sono purtroppo perduti al riguardo i componimenti poetici di A. che si suppone abbiano influito sull'arte trovadorica), che ebbe tragica conclusione per opera del canonico Fulberto, zio di Eloisa: costui infatti, nemico personale di A., lo fece evirare. Ritiratosi allora a Saint-Denis, scrisse le sue opere più importanti, mantenendo nel dibattito teologico e filosofico del suo tempo una coerenza e un rigore pari all'altezza del suo ingegno. Di conseguenza non accettò la condanna del Concilio di Soissons (1121) né quella del Concilio di Sens (1141) nel quale ebbe come diretto avversario San Bernardo. Il suo pensiero ebbe profonda influenza sulla posteriore filosofia medievale e principalmente su Giovanni di Salisbury e Pietro Ispano. Il metodo della quaestio da A. riformulato e originalmente impiegato nell'opera Sic et non si integrò nella tecnica espositiva della Scolastica. Opere principali: Dialectica(1121), Sic et non(1121), Theologia(1123), Scito te ipsum(1129). Importanti per la sua biografia sono la Historia calamitatum(1136) e le bellissime lettere scambiate con Eloisa.
Etica
La morale di A. insiste precipuamente sull'intenzione: sia il vizio, come inclinazione a compiere cose illecite, sia la mera azione esterna non hanno in sé rilevanza morale, perché il peccato non consiste nel fare un'azione da cui bisogna astenersi, ma nell'acconsentire a tale azione. La moralità consiste tuttavia in un'intenzione che non sembri soltanto buona, ma che lo sia realmente. Su questa linea A. afferma che i persecutori di Cristo hanno agito bene, poiché hanno seguito la loro coscienza, ma non virtuosamente, poiché hanno compiuto un'azione oggettivamente sconveniente, e perciò meritano l'inferno. La morale di A. risulta così costituita dall'integrazione dell'intenzione con la virtù. Al di là dell'esistenza di una sfera morale vi è inoltre per A. una sfera teologica, che ha la capacità di determinare la convenienza oggettiva degli atti.
Logica
È l'ambito in cui A. dimostra l'originalità del suo pensiero. Sulla scorta di Boezio, di Prisciano e di alcuni scritti logici di Aristotele, egli prende posizione sul problema largamente dibattuto degli universali. Le posizioni fino ad allora elaborate, pur nella varietà delle sfumature, si riducevano a due: quella del realismo, secondo cui l'universale è una cosa ( res), separata dagli individui ma da loro predicabile, in quanto ne rappresenta l'essenza comune; e quella del nominalismo, secondo cui l'universale non è che un mero flatus vocis, poiché gli individui si distinguono tra loro essenzialmente. Tutte le difficoltà delle precedenti soluzioni dipendono dal considerare gli universali come cose separate dall'individuo o identificantisi con esso. Ora, la nota distintiva dell'universale è proprio la sua possibilità di essere predicato di più cose. Tale universalità tuttavia non può essere di una cosa ( res) ma soltanto delle parole. Diventa perciò una funzione logica, senza tuttavia ridursi a un puro flatus vocis, poiché l'universale, pur non fondandosi su un'essenza comune a più individui, si giustifica in quanto esprime uno stato comune. Il termine uomo, p. es., si può convenientemente predicare di Pietro e di Giovanni perché esprime il loro stato di essere uomini, anche se non significa una inesistente comune essenza uomo. Tale soluzione del problema degli universali fu detta "concettualismo ".
Ragione e fede
Parecchi studiosi ritengono A. un razionalista, dimenticando però che in lui è presente il teologo accanto al filosofo e che mantiene una netta distinzione tra filosofia e teologia, conservando in questa il principio di autorità. Tuttavia A. ritiene utile l'uso della dialettica anche nella teologia, non essendovi opposizione tra verità filosofica e verità teologica. In tale spirito deve essere interpretato il trattatello intitolato Sic et non costituito dall'accostamento di contrastanti sentenze della Scrittura e dei Padri, allo scopo non di produrre scetticismo, ma di indicare problemi bisognosi di ulteriore approfondimento, metodo che sarà ripreso da San Tommaso e troverà il suo massimo coronamento nelle Summae.

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