Stime per successione ereditaria

Materie:Riassunto
Categoria:Estimo
Download:10937
Data:03.05.2007
Numero di pagine:21
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
stime-successione-ereditaria_1.zip (Dimensione: 23.25 Kb)
trucheck.it_stime-per-successione-ereditaria.doc     83 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

LE STIME PER SUCCESSIONI EREDITARIE
PREMESSA
La successione si ha quando uno o più soggetti subentrano a un altro soggetto nella titolarità di diritti o obbligazioni di carattere patrimoniale. La successione può avvenire fra i vivi, con un atto come la vendita o la donazione o per la morte del de cuius. La materia è regolata dagli articoli del codice civile che vanno dal 456 al 768.
La successione riguarda tutti i diritti e le obbligazioni a carattere patrimoniale esclusi quelli che si estinguono con la morte (usufrutto, uso, abitazione). La successione si apre al momento della morte e nell’ultimo domicilio del de cuius al quale sono chiamati i successori che comprendono: tutti coloro che sono nati o concepiti (entro 300 giorni dalla morte del de cuius) al tempo dell’apertura della successione. Con l’ultimo domicilio del defunto viene individuato il tribunale competente.
Alla successione può quindi partecipare chiunque ne sia chiamato, purché ne abbia le capacità. La chiamata alla successione può essere a titolo universale o a titolo particolare. La prima riguarda gli eredi ai quali spetta la totalità o parte del patrimonio del defunto comprendente attività e passività; di quest’ultime deve risponderne totalmente. Il chiamato diventa erede con l’accettazione.
La seconda riguarda il legatario che diviene titolare di uno o più diritti espressamente indicati dal de cuius. Il legato si ha solo nella successione testamentaria, quando nel testamento compaia; il legatario non risponde di eventuali debiti del defunto ma solo di quelli gravanti sul legato. Quest’ultimo si acquista senza accettazione, ma vi si può rinunciare, il legatario per entrare in possesso del bene deve però farne richiesta agli eredi o agli altri legatari.
A seconda della causa, la successione può essere: legittima, testamentaria o necessaria
SUCCESSIONE LEGITTIMA
Si ha in mancanza di un testamento e la successione avviene per legge. La legge prevede le seguenti categorie di eredi legittimi:
● Il coniuge;
● i figli (per rappresentazione i loro discendenti);
● i genitori o gli ascendenti legittimi di grado superiore;
● i fratelli e le sorelle;
● i parenti fino al sesto grado
● lo Stato.
La partecipazione di eredi ne esclude quella di altri e sono:
● il coniuge e i figli non sono mai esclusi;
● i figli escludono tutti tranne il coniuge;
● in mancanza di figli si contano i fratelli e i genitori;
● ascendenti e collaterali escludono gli altri parenti;
● i parenti entro il sesto grado escludono lo Stato.
Tra i figli non si fa distinzione di sesso e di matrimonio, né fra figli legittimi, naturali, legittimati e adottivi. I figli naturali sono equiparati ai legittimi, quando sono stati riconosciuti. I figli naturali non riconosciuti e non riconoscibili che però avevano diritto al mantenimento, hanno diritto a un assegno pari alla rendita della quota eredità che avrebbero dovuto avere se fossero stati riconosciuti. I figli adottivi vengono esclusi dall’eredità dei parenti del genitore che li adotta e anche il contrario. Nel caso in cui manchi il figlio si applica la rappresentazione (tranne il figlio adottivo).
La quota che spetta ai fratelli si ripartisce in modo che al fratello unilaterale vada la metà di quello che spetta a un fratello germano. Ai fratelli premorti, dichiarati assenti ecc…, subentra la rappresentazione.
Il coniuge separato senza addebito ha gli stessi diritti del coniuge non separato. Il coniuge separato con addebito o sono addebitati entrambi i coniugi, se al momento della successione godeva degli alimenti a carico del de cuius, ha diritto a un assegno vitalizio non superiore in ogni caso all’entità della prestazione alimentare. Il coniuge è escluso dalla successione se il de cuius è legato da valido matrimonio al momento della morte.
Gli ascendenti legittimi succedono solo nel caso in cui manchino entrambi i genitori, i figli o loro discendenti, i fratelli o loro discendenti. Nel caso in cui ci sia una compartecipazione, metà del patrimonio va agli ascendenti paterni e metà a quelli materni, altrimenti all’ascendente di grado minore. La rappresentazione non si applica per linea ascendente.
Se mancano tutte le categorie di parenti fino al sesto grado, è unico erede lo Stato che non può ereditare i debiti.
SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
Si ha successione testamentaria quando il de cuius lascia un testamento. Questo è un atto revocabile con il quale il testatore dispone, dopo la sua morte, di tutte le proprie sostanze o parte di esse (in quest’ultimo caso la successione è legittima).
Le disposizioni testamentarie sono a titolo universale attribuendo la qualità di erede e a titolo particolare attribuendo la qualità di legatario. La prestazione del legato può essere a carico di eredi o altri legatari e questi si dicono onerati. Alla prestazione sono tenuti tutti gli onerati in base alla loro quota. La cosa legata e tutte le sue pertinenze deve essere data al legatario nello stato in cui si trova al momento dell’aperta successione; anche se vi sono state aggiunte dopo il testamento (nel caso esso sia un fondo), così come i frutti o gli interessi che sono dovuti al legatario al momento dell’apertura della successione.
SUCCESSIONE NECESSARIA
La legge tutela alcune categorie di eredi che hanno sempre diritto a una quota di eredità e sono detti legittimari. Questi sono: il coniuge, i figli e gli ascendenti legittimi. La quota di patrimonio spettante ai legittimari è detta riserva o quota legittima. La restante parte di patrimonio è detta quota disponibile.
Ai figli legittimi sono equiparati i figli naturali, i legittimati e gli adottivi. I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non si oppongano altrimenti decide il giudice.
Gli ascendenti legittimi sono legittimari solo se mancano i figli o loro rappresentanti e in caso di più ascendenti l’eredità è ripartita con il criterio indicato per la successione legittima.
Al coniuge solo o in concorso con altri chiamati è riservato il diritto di abitazione nella casa abitata a uso famigliare compresi i mobili, se di proprietà del defunto o comuni. (Per il coniuge separato vedi la successione legittima).
Il patrimonio del de cuius in base al quale si determinano le quote disponibili è detto asse ereditario che deve comprendere i beni al momento della morte e le eventuali donazioni fatte in vita. Se con il testamento o con le donazioni il de cuius ha intaccato la quota di riserva, si può avere la successione necessaria, con la quale si reintegrano le quote legittime. Questa operazione deve essere fatta da un giudice su richiesta degli eredi legittimari o dai loro aventi causa. La riduzione inizia dalle disposizioni testamentarie e avviene in modo proporzionale al valore dei singoli beni senza distinzione tra eredi e legatari. Dopodichè se ciò non è ancora sufficiente, la riduzione si estende alle donazioni partendo dall’ultima. Non sono soggette le donazioni fatte da oltre 20 anni. Se, attraverso disposizioni testamentarie e donazioni vi è ancora una quota disponibile, si ripartisce secondo la successione legittima. Se a un erede legittimario è assegnata tutta la quota disponibile da testamento, concorre con gli altri eredi alla divisione della quota legittima; così come se da testamento ha solo una parte della quota disponibile, concorre con gli altri alla divisione dell’eredità e della parte disponibile.
RIUNIONE FITTIZIA DEI BENI E STIMA DELL’ASSE EREDITARIO
La quota spettante ai legittimari e la quota disponibile si calcolano sull’intero patrimonio del de cuius al momento della successione, ovvero sull’asse ereditario. Ciò comprende i beni del de cuius al momento della morte (beni relitti) e le sue donazioni fatte in vita. Per stimare l’asse ereditario occorre fare una riunione fittizia delle donazioni e dei beni relitti. La formazione dell’asse ereditario richiede le seguenti operazioni:
1. stima dei beni relitti;
2. determinazione dei debiti;
3. stima delle donazioni.
I beni relitti vengono stimati a valore di mercato, con riferimento all’aperta successione, nello stato in cui si trovano e senza trascurare eventuali miglioramenti o diversa destinazione, al netto di eventuali mutui, usufrutti, enfiteusi, rendite. Non si utilizza un particolare procedimento estimativo, e se non è possibile la stima sintetica del valore di mercato, si usa la capitalizzazione dei redditi. Per i beni privi di mercato si usano aspetti come: il valore di costo di riproduzione, valore di surrogazione, valore di trasformazione. Data la varietà dei beni di stima sono necessarie conoscenze ampie in campo estimativo, ma per i beni più comuni si noti che:
• i fondi rustici si calcolano a cancello aperto, stimando a parte il valore delle scorte, dei frutti pendenti e delle anticipazioni colturali;
• i titoli si valutano comprendendo gli interessi maturati dall’ultimo giorno di godimento della successione, secondo le loro quotazioni ufficiali;
• i depositi bancari o postali si considerano calcolando le frazioni degli interessi maturati fino al giorno dell’aperta successione;
• i crediti vanno riferiti al momento dell’aperta successione, posticipandoli o anticipandoli con saggio d’interesse opportuno;
• i debiti vengono calcolati come i crediti.
Nella fase di inventario va accertato se i beni sono di proprietà del de cuius e, se sono in comproprietà, il loro valore viene calcolato in base alla quota di spettanza del defunto. Se questi era sposato occorre sapere se i coniugi erano in separazione o in comunione dei beni; se in comunione, i beni acquistati prima del 20/9/1975 sono di proprietà di chi li aveva comperati (a meno che dopo la legge 151 del ’75 non abbia deciso di metterli in comunione).
La stima delle donazioni viene fatta come per le collazioni (paragrafo 8). Sono da includere nell’asse ereditario i beni alienati dal defunto nei sei mesi precedenti la morte, a meno che il ricavato non risulti presente sotto forma di denaro o altri beni acquistati.
COMUNIONE DEI BENI DAL MOMENTO DELLA SUCCESSIONE ALLA DIVISIONE
Se vi sono più coeredi chiamati alla successione, si forma fra essi una comunione ereditaria. I coeredi partecipano all’eredità in base alla quota che a loro spetta, e l’uso delle cose comuni è regolato dal codice civile. La comunione cessa con la divisione, con la quale ogni erede diventa proprietario dei beni o parti di essi. Durante il tempo della comunione, la messa ereditaria e i beni che la compongono, possono cambiare il loro valore. La moneta cambia il suo valore di acquisto e i beni si svalutano o si rivalutano in modo diverso. Lo stato di qualche bene può modificarsi per logorio, per accidenti fortuiti, per colpa o merito di chi ne è in possesso. Alla massa ereditaria si aggiungono i frutti e gli interessi prodotti dai beni in comunione e donati soggetti a collazione, e da quelli restituiti per integrazione della quota dei legittimari. Per questo il valore stimato dell’asse ereditario al momento dell’aperta successione, non serve più all’atto della divisione; si procede alla stima della massa dividenda che richiede le operazioni di: pagamento dei debiti, collazione e calcolo dei prelevamenti.
PAGAMENTO DEBITI, COLLAZIONE, PRELEVAMENTI
Prima di procedere alla divisione dei beni, è necessario determinare il valore della massa dividenda netta.
La prima operazione da fare è il pagamento dei debiti e dei legati. I coeredi pagano i debiti in base alle loro quote, salvo disposizioni testamentarie. Se i coeredi con più di metà del patrimonio concordano la vendita per il pagamento dei debiti, si procede prima alla vendita dei beni mobili e poi degli immobili che rechino minor pregiudizio agli interessi dei condividenti. Se non vi sono opposizioni, l’asta può farsi tra gli stessi condividenti e senza pubblicità. Pagati i debiti ereditari e nei confronti di terzi, ogni erede deve rendere conto dei suoi debiti al defunto e agli altri coeredi; ciò succede quando un erede ha goduto dei frutti prodotti da un bene in comunione. Per tanto egli riceverà la sua quota diminuita dei debiti o di quanto di essi rimane, sono da considerare anche la collazione e i prelevamenti.
La collazione è l’obbligo imposto ai figli legittimi e naturali e al coniuge di conferire alla massa dividenda tutte le donazioni dirette (denaro o beni materiali) e indirette ricevute dal de cuius. Quest’ultime sono le spese straordinarie nei confronti di un erede (matrimonio, avviamento di un’attività), pagamenti dei premi assicurativi sulla vita a favore di un erede, spese per pagarne i debiti, rinuncia alla riscossione di crediti. Alcune donazioni possono essere esonerate dalla collazione, ma ciò vale solo fino alla quota disponibile, se ciò è per volere del de cuius. Non sono soggette a collazione le spese ordinarie (mantenimento, educazione, malattia, abbigliamento, nozze), ma se ne tengono conto se eccedono notevolmente la misura ordinaria, secondo le condizioni economiche del defunto. Sono inoltre escluse le donazioni al coniuge di modesto valore e i beni periti non per colpa del donatario. Sono soggetti a collazione anche i frutti e gli interessi dei beni soggetti a collazione. La collazione di un bene immobile si fa rendendo il bene in natura o imputandone il suo valore, se alienato o ipotecato, la collazione si fa per imputazione. I prelevamenti possono essere compiuti dagli eredi per i beni che siano della stessa natura e qualità di quella delle donazioni, per un valore che sia proporzionale alle quote. Ciò accade quando vi è collazione per imputazione dei beni donati, o se vi sono debiti imputabili alla quota di un erede.
STIMA DELLA MASSA DIVIDENDA
La massa dividenda è costituita dal patrimonio ereditario, al netto di debiti e pesi eventuali; concorrono a comporla:
1. i beni in comunione e i frutti prodotti al momento della successione, a meno che non siano già stati ripartiti tra gli eredi;
2. il denaro ricavato dalla vendita di beni di prima divisione e relativi interessi;
3. i beni immobili donati soggetti a collazione e conferiti in natura, con i relativi frutti al momento della successione;
4. donazioni soggette a collazione e conferite per imputazione, con frutti e interessi al momento della successione;
5. i debiti verso i coeredi e il de cuius con relativi interessi.
I beni in comunione e quelli reimmessi materialmente nella massa dividenda per collazione in natura, si stimano a valore di mercato con riferimento al momento della divisione. Le svalutazioni e rivalutazioni dei beni che compongono la massa e intervenute durante la comunione, vengono ripartite tra i coeredi (sempre in base alle quote). Le donazioni collate per imputazione si stimano a valore di mercato riferito al tempo dell’aperta successione.
Il valore delle donazioni soggette a collazione per imputazione si determina coi criteri che valgono anche per la riunione fittizia:
• del denaro donato si tiene conto del valore al tempo dell’apertura della successione;
• il valore dei titoli rispecchia le quotazioni che aveva in borsa al momento dell’apertura;
• i beni mobili vengono imputati tenendo conto della qualità e quantità donata e dei prezzi che vi erano al momento dell’apertura;
• il bestiame è imputato come sopra;
• i beni immobili e mobili deteriorabili, si imputano per il loro valore al momento dell’apertura.
In quest’ultimo punto bisogna stabilire se i beni possono essere stati migliorati o deteriorati dal donatario, ma che può aver compiuto spese straordinarie per la loro conservazione:
• il valore da imputare è quello che il bene avrebbe se non fosse stato migliorato;
• il valore da imputare è quello che il bene avrebbe se non fosse stato deteriorato;
• sono accreditate al donatario le spese straordinarie per la conservazione del bene e non perché egli aveva danneggiato la cosa; tali spese vanno addebitate senza valutazioni e interessi.
Se vi sono stati prelevamenti per compensare donazioni o debiti, i beni prelevati sono stimati al momento dell’apertura della successione.
FORMAZIONE DELLE QUOTE EREDITARIE
La divisione ereditaria prevede il calcolo delle quote di diritto spettanti agli eredi e la formazione delle quote di fatto ai quali vengono assegnate.
Stimato il valore della massa dividenda, il calcolo delle quote si fa in base alla categoria e al numero degli eredi in concorso; in tal modo si determinano le frazioni di eredità spettanti per legge o testamento a ogni erede. Il prodotto delle frazioni per il valore della massa fornirà i valori delle quote.
La formazione delle quote di fatto prevede che siano costituite porzioni da assegnare in proprietà a ogni condividente, in modo che ogni quota di fatto abbia un valore pari alla quota di diritto e in modo che siano rispettate certe disposizioni di legge, nonché le disposizioni del testatore.
Nella divisione amichevole i coeredi affidano a un perito l’incarico di stimare la massa dividenda e allestire il progetto di divisione.
Nella divisione testamentaria il defunto stabilisce le norme per formare le porzioni (queste norme sono vincolanti), salvo che il valore effettivo dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore. Se quest’ultimo incarica una persona, la sua proposta è vincolante per gli eredi, a meno che tutti facciano un’istanza al giudice che deve verificare che la persona designata non sia venuta meno alle richieste del de cuius.
La divisione giudiziale è di compito del giudice o del notaio delegato, i quali possono avvalersi della consulenza di un perito. Questi redige il progetto di divisione attenendosi alle regole generali che seguono, a meno che non vi sia un diverso accordo fra i coeredi.
Le porzioni da assegnare ai coeredi devono essere omogenee, ossia ogni bene dovrebbe essere proporzionato in parti proporzionali alle quote di eredità, anche se la cosa non è così facile. Il codice civile dispone che opere di importanza storico/artistica non debbano essere divise. Se vi sono opere indivisibili al coerede spettano nella loro totalità e se eccedono la sua quota gli sarà addebitata l’eccedenza; ma se nessun coerede vuole accettare il bene indivisibile, questo viene venduto all’asta e il ricavato entra nella massa dividenda. Se invece il bene è conteso tra i coeredi e questi non raggiungono un accordo, esso viene posto all’asta fra essi.
Nella divisione di terreni bisogna tenere conto che il capitale agrario annesso a un fondo è da considerarsi inseparabile dal fondo stesso.
L’assegnazione delle porzioni di uguale valore si fa tramite estrazione. Per le porzioni differenti si procede mediante attribuzione. Se della massa ereditaria fa parte un’ azienda condotta in partecipazione dai coeredi, questi hanno diritto di prelazione sull’azienda.
Secondo la legge n. 151 del ’75, al coniuge del defunto viene riservato il diritto di abitazione e di utilizzo del mobilio che fosse di proprietà del se cuius o in comunione. Se il valore dell’abitazione rientra nella quota del coniuge, è sufficiente immettere tali beni nella quota a lui assegnata; ma se il valore eccede la quota nasce una servitù d’uso e abitazione, il cui valore riduce per prima la quota del coniuge e, se non basta, le quote dei figli.
LE STIME IN MATERIA DI ESPROPRIAZIONE
ASPETTI FONDAMENTALI DELLA MATERIA
L’espropriazione è la privazione forzata del diritto di proprietà, fatta per motivi di pubblico e generale interesse.
Il testo unico n. 327/2001, con le modifiche introdotte dal decreto n. 302/2002, identifica l’oggetto e l’ambito dell’esproprio, definendo i soggetti interessati e individuando i beni che possono essere oggetto; tratta anche delle indennità ai soggetti coinvolti nell’ esproprio.
OGGETTO E AMBITO DI APPLICAZIONE DEL TESTO UNICO SULLE ESPROPRIAZIONI
Le espropriazioni previste possono riguardare interventi di natura urbanistica che, oltre il fabbricato, comprendano l’apposizione dei vincoli alle opere già esistenti (manutenzione di area verde).
I soggetti che intervengono nella pratica di esproprio sono: l’espropriato, l’autorità espropriante, il beneficiario dell’espropriazione e il promotore dell’espropriazione. Per espropriato si intende il soggetto che dal catasto risulti titolare del diritto da espropriare. Per autorità espropriante è colui che è titolare del potere di espropriazione e ne cura il procedimento. Per beneficiario dell’espropriazione è il soggetto che gode dell’esproprio. Per promotore dell’espropriazione si intende il soggetto che chiede l’espropriazione.
Gli atti per procedere all’esproprio sono emanati dalla stessa autorità che realizza l’opera di pubblica utilità. Le amministrazioni statali e gli enti locali, organizzano un ufficio per le espropriazioni, con a capo un dirigente che controlla le fasi dei procedimenti. Vi è un responsabile per ogni procedimento che, anche con l’aiuto di tecnici, coordina e cura le operazioni fino all’emanazione del decreto di esproprio, che spetta al dirigente dell’Ufficio. Unificando i compiti del soggetto realizzatore con chi provvede agli atti, e quello di consentire a ciascuna amministrazione di operare secondo un modello organizzativo proprio, si rendono più rapide le procedure evitando conflitti di competenze.
LE FASI DEL PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO
Vi è uno stretto collegamento tra la normativa sull’esproprio e quella urbanistica, sia a livello di pianificazione territoriale, sia di quella di realizzazione delle opere previste.
Il procedimento espropriativo si svolge per fasi che sono regolate da norme precise; la prima sottopone il bene al vincolo preordinato all’esproprio, la seconda è la dichiarazione di pubblica utilità, la terza è l’emanazione del decreto di esproprio.
Se in un P.R.G. o sua variante, si rende necessario la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, un bene può essere sottoposto a vincolo preordinato all’esproprio. Ha durata cinque anni, durante i quali, avvenga la dichiarazione di pubblica utilità. Se la Regione non è contraria, il Consiglio comunale può disporre che sul bene vincolato possano essere eseguite opere diverse da quella di partenza (sempre entro i 5 anni). La pubblica utilità si intende dichiarata quando ne viene approvato il progetto definitivo o lo strumento urbanistico che la prevede. Il provvedimento che dispone la pubblica utilità, indica il termine entro il quale dovrà essere eseguito e, in mancanza di esso, si ritiene di cinque anni; per ragioni giustificate si può ottenere una proroga non superiore ai due anni (deve essere fatta prima della scadenza dei 5 anni), altrimenti la dichiarazione di pubblica utilità decade. Nella fase di redazione progettuale di tale opera, i proprietari dei beni espropriati possono chiedere al responsabile del procedimento di espropriare frazioni residue dei beni per i quali risulti disagevole un futuro utilizzo. L’amministrazione può accogliere in tutto o in parte le osservazioni.
Approvato il progetto definito viene comunicato ai proprietari dei beni da espropriare l’invito a fornire ogni elemento utile a determinare il valore del bene per un conseguente indennizzo.
Efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità, il promotore dell’espropriazione compila l’elenco dei beni e dei relativi possessori, indicando le somme offerte. Gli interessati possono entro trenta giorni depositare documenti o fare osservazioni. Al fine delle indennità, i proprietari e il beneficiario possono essere convocati dal promotore; egli valuta le osservazioni e, con l’aiuto dell’Ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio e dalla Commissione incaricata di definire annualmente i valori agricoli medi dei terreni, determina provvisoriamente l’indennità di esproprio. Se il proprietario comunica di condividere l’indennità, entro trenta giorni, in sessanta questa gli viene corrisposta; il proprietario e il beneficiario concludono un accordo di cessione volontaria trascritto entro quindici giorni all’Ufficio dei beni immobiliari. Nel caso di non accettazione la somma provvisoria di indennizzo è ridotta del 40% se è un’area edificabile e depositata presso la Cassa depositi e prestiti. Avvenuto il pagamento, il decreto di esproprio viene emanato e eseguito entro due anni.
La partecipazione degli interessati nella fase progettuale, come in quella di attribuzione del valore, viene fatta in modo che non sorgano disaccordi; la legge prevede infatti vantaggi a favore dei proprietari che cedono volontariamente il loro bene.
INDENNITÀ DI ESPROPRIAZIONE
Sotto consiglio dell’autorità espropriante, i proprietari che non hanno concordato la cessione volontaria, possono avvalersi di un consiglio peritale costituito da tre tecnici: uno da loro designato, uno dal beneficiario e uno dal presidente del tribunale civile. Se il proprietario non vuole un collegio peritale, l’autorità affida la determinazione dell’indennità a un’apposita Commissione provinciale.
L’indennità varia a seconda che l’espropriazione sia fatta da un pubblico o siano opere private di pubblica utilità e a seconda del tipo di bene espropriato.
INDENNITÀ DI ESPROPRIAZIONE PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE PRIVATE DI PUBBLICA UTILITÀ
Se l’espropriazione è finalizzata a opere che non siano: edilizia residenziale pubblica, convenzionata, agevolata o denominata, nonché nell’ambito di insediamenti produttivi di iniziativa pubblica, l’indennità è pari al valore veniale del bene.
Per valore veniale si intende:
● in caso si esproprio totale, il valore di mercato del bene, riferito al momento della cessione volontaria o alla data del decreto di emanazione del decreto, senza tenere conto dei vincoli di preordinati, ne delle migliorie che avrà l’opera; la distinzione fra aree agricole e fabbricabili va fatta secondo quanto stabilito dagli strumenti urbanistici.
● Nel caso di espropriazione parziale, nella perdita del valore di mercato subita dalla parte residua, perdita identificata con il valore complementare della parte espropriata (valore di mercato di tutta la proprietà meno la parte residua).
Se in questo caso si ha un vantaggio, alla parte espropriata va detratto l’importo corrispondente al vantaggio.
L’INDENNITÀ NEL CASO DI ESPROPRIO DI UN’AREA EDIFICABILE O LEGITTIMAMENTE EDIFICATA DA PARTE DI UN SOGGETTO PUBBLICO
L’indennità è data dalla media ridotta del 40% fra il valore venale dell’area e una somma pari al reddito dominicale rivalutato e moltiplicato per dieci (comma 1) . La riduzione del 40% non si applica se: il proprietario cede volontariamente il bene, se l’accordo di cessione si è concluso per colpa non imputabile al all’espropriato, a questo è stata offerta un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva (comma 2) e, in fine, se l‘indennità si è calcolata per questioni di urgenza.
L’indennità può essere ridotta dell’ultima dichiarazione ai fini ICI presentata dall’espropriato prima della determinazione dell’indennità provvisoria (comma 7). Se il valore indicato risulta maggiore all’indennità determinata come nel comma 1, l’espropriante corrisponde all’espropriato una somma aggiuntiva pari alla differenza fra le maggiori imposte pagate negli ultimi cinque anni rispetto a quelle che sarebbero risultate sulla base di un valore pari all’indennità (comma 8). Se l’area edificabile è utilizzata a scopo agricolo, al coltivatore spetta un’indennità aggiuntiva pari al valore agricolo medio della coltura praticata. La stessa indennità spetta a chiunque coltivi il fondo da almeno un anno.
Per riconoscere un’area edificabile valgono le seguenti disposizioni:
● le possibilità legali ed effettive sono quelle che vi sono al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o cessione volontaria, senza che vi siano costruzioni abusive;
● se l’area ha un vincolo di inedificabilità assoluta, o ne viene esclusa la realizzazione di edifici di natura privata, non è possibile edificare;
● l’edificabiltà è regolata con un decreto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (comma 5)
● fino all’entrata in vigore del regolamento le possibilità di edificazione sono verificate valutando: la presenza di strade pubbliche, presenza di servizi pubblici, domanda a scopo edificatorio insieme a una già iniziata edificazione regolare.
Se l’espropriazione riguarda costruzioni legalmente edificate l’indennità comprende il valore del fabbricato più quello del terreno (valore venale), ma se della costruzione mancano la concessione edilizia o è difforme, l’indennità tiene conto della sola area. Se la costruzione ha una parte non legittima, per le due parti si valutano con i criteri sopraccitati. Equiparate alle costruzioni legittime quei fabbricati con una sanatoria dall’esito quanto mai positivo.
Le disposizioni degli articoli 37 e 38 si possono riassumere:
● l’indennità per l’esproprio è uguale alla media ridotta del 40% tra il valore venale e dieci volte il reddito dominicale rivalutato;
● la riduzione del 40% non si applica per cessione volontaria, per cause non imputabili al proprietario o perché l’indennità promissoria era minore agli otto decimi di quella definitiva;
● l’indennità si riduce al minor valore ai fini ICI;
● l’indennità è aumentata delle imposte pagate in più negli ultimi cinque anni, rispetto a quelle che dovevano essere pagate con un imponibile pari all’indennità;
● se l’area edificabile è stata coltivata, a chi la coltiva spetta un’indennità pari al valore agricolo medio delle colture praticate;
● l’area legittimamente edificata ha un indennità pari al valore del fabbricato, ma se il fabbricato o parte di esso è illegittimo, l’indennità comprende la sola area.
L’INDENNITÀ NEL CASO DI ESPROPRIO DI UN’AREA NON EDIFICABILE DA PARTE DI UN SOGGETTO PUBBLICO
I valori agricoli medi dei terreni sui quali si basa l’indennità di sproprio, vengono determinati entro il 31 gennaio, da una Commissione provinciale, riferendosi a ogni regione agraria, in cui viene suddiviso il territorio della provincia, ai terreni delle diverse colture che non hanno vincoli di contratti agrari. Il valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, è quello del valor di costo di ricostruzione, stimato tenendo conto dello stato di conservazione.
Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore, spetta un’indennità aggiuntiva pari al valore medio dei terreni coltivati (comma 4); stessa indennità spetta al fittavolo che deve abbandonare il fondo che coltivava da almeno un anno prima della data di dichiarazione di pubblica utilità. Al proprietario vengono rimborsate le imposte pagate sul fondo per qualsiasi trasferimento.
Gli articoli 40 e 42 si riassumono nel seguente modo:
● nell’indennità al proprietario è compreso il valore medio delle colture praticate, più il valore dei terreni non coltivati, più il valore di ricostruzione dei fabbricati non abusivi;
● al proprietario coltivatore o imprenditore, spetta un’indennità aggiuntiva pari al valore delle colture praticate;
● l’indennità al proprietario aumenta in base alle imposte da lui pagate per l’ultimo trasferimento dell’immobile;
● al fittavolo che coltivi il fondo da almeno un anno prima della dichiarazione di pubblica utilità, spetta l’indennità per il valore della coltura praticata.
CESSIONE VOLONTARIA
L’accordo di cessione volontaria può essere concluso in qualsiasi momento prima che sia concluso il decreto di esproprio, e la legge cerca di favorirlo dando indennità maggiori di quelle che spetterebbero in caso di mancato accordo. Le maggiorazioni concesse sono:
● se la cessione riguarda un’area edificabile, l’indennità non subisce la riduzione del 40%;
● se la cessione riguarda un fondo agricolo l’indennità si aumenta del 50% per il valore delle colture praticate e valore della coltura prevalente nella zona per le aree non coltivate, esclusi i manufatti;
● se la cessione riguarda un fondo agricolo coltivato dal proprietario, il corrispettivo è calcolato moltiplicando per tre l’indennità come sopra.
SOGGETTI AVENTI DIRITTO ALL’INDENNITÀ E REGIME FISCALE PER MEDESIMA
L’indennità spetta al proprietario o possessore del bene da espropriare. Dopo la trascrizione del decreto di esproprio all’Ufficio dei registri immobiliari, i diritti gravanti sul bene possono essere fatti valere sull’indennità. Per chi non eserciti un’impresa commerciale, l’indennità, il corrispettivo per la cessione volontaria e gli interessi per eventuali ritardi sono considerati redditi imponibili pari al 20%.
UTILIZZAZIONE DI UN IMMOBILE SENZA TITOLO, IMPOSIZIONE DI SERVITÙ, DANNEGGIAMENTO E OCCUPAZIONE TEMPORANEA
Oltre all’espropriazione di un immobile, la legge prevede anche l’utilizzazione di un bene in assenza di un valido provvedimento, l’imposizione di servitù e l’occupazione temporanea.
L’UTILIZZAZIONE SENZA TITOLO DI UN BENE PER SCOPI DI INTERESSE PUBBLICO
Può succedere che un’Amministrazione occupi un immobile in modo “illegittimo”, cioè senza che vi sia un provvedimento di pubblica utilità o che esso sia inefficace. In questi casi l’Amministrazione può acquisire l’immobile e il proprietario può, facendo ricorso, ottenere un risarcimento (nel caso gli venga negata la restituzione). Il risarcimento è commisurato al valore di mercato del bene occupato, considerando anche le capacità legali o effettive. L’entità del risarcimento è ridotta al valore ICI (comma 4). Il valore del bene è maggiorato degli interessi legali dal momento dell’occupazione. Il valore di mercato del bene si ritiene al momento da cui decorre il calcolo degli interessi legali.
Il risarcimento è sottoposto al regime fiscale dell’indennità di esproprio o della cessione volontaria.
L’IMPOSIZIONE DI SERVITÙ A UN BENE NON ESPROPRIATO O IL SUO DANNEGGIAMENTO
Spetta un indennità al proprietario che dall’esecuzione di un’opera pubblica e di pubblica utilità sia gravato da una servitù che subisca una permanente diminuzione di valore per perdita, o ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà. La determinazione dell’indennizzo deve tener conto della diminuzione di valore del fondo danneggiato o gravato da servitù.
L’OCCUPAZIONE TEMPORANEA E L’OCCUPAZIONE D’URGENZA PREORDINATA
Aree non destinate all’esproprio possono essere occupate temporaneamente, se questo è indispensabile. L’occupazione è disposta dall’autorità espropriante, la quale notifica al proprietario il giorno e l’ora di entrata in possesso. L’indennità è pari, per ogni anno di occupazione, a un dodicesimo dell’indennità di esproprio, e per ogni mese a un dodicesimo dell’indennità annua. Se per particolare urgenza, all’avvio dei lavori non è percorribile il normale iter, si ha l’occupazione d’urgenza, allora viene emanato un decreto che dispone l’occupazione anticipata degli immobili, e determina provvisoriamente l’indennità di esproprio. Il proprietario può accettare l’indennità con i relativi vantaggi per la cessione volontaria, oppure può fare opposizione; in tal caso l’indennità definitiva sarà determinata normalmente. Nel periodo tra la data di entrata in possesso d’urgenza, e la data di determinazione dell’indennizzo, è dovuta l’indennità di occupazione.
RETROCESSIONE TOTALE O PARZIALE
Se entro dieci anni dalla data di esecuzione del decreto di esproprio, l’opera non è stata realizzata, l’espropriato previo pagamento di un corrispettivo all’espropriante, può chiedere la restituzione del bene. Tale restituzione è detta retrocessione totale. Se l’opera non ha utilizzata una parte dei beni acquisiti, l’espropriato può chiedere la restituzione di tali beni previo pagamento di un corrispettivo. Tale restituzione è detta retrocessione parziale. Il corrispettivo per la retrocessione può essere concordato dalle parti.
1

Esempio



  


  1. antonio

    appunti per redigere uba successione

  2. antonio martone

    determinazione ,in una sucessione , valore deprezzamento immobile da frazionare gravato da servitu di passo