Materie: | Riassunto |
Categoria: | Epica |
Voto: | 1.3 (4) |
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Data: | 15.01.2007 |
Numero di pagine: | 16 |
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Testo
Confronto tra l’episodio di Pier delle Vigne (canto XIII, Inf., Commedia) e quello di Polidoro (libro III, Eneide).
Nel XIII canto Dante si trova nel secondo girone: la selva dei suicidi. La sequenza dell’episodio di Pier delle Vigne si puт dire che abbia inizio al verso 22. Dante sente levarsi da tutte le parti della selva dei lamenti, ma egli non scorge nessuno che possa emetterli, per questo si ferma smarrito. Dante suppone che quei suoni siano prodotti da qualcuno che si nasconde, Virgilio allora lo invita a spezzare un ramoscello, in modo da verificare l’infondatezza dell’ipotesi del poeta fiorentino. E Dante obbedisce. A questo punto, al verso 31, si entra nel vivo dell’episodio. Dante spezza un rametto da un grande pruno, dal quale viene fuori un grido improvviso “Perchй mi spezzi?”, il ramo ora si и colorato di rosso scuro e continua “Perchй mi laceri? Non provi pietа?”, poi il ramoscello avverte il pellegrino di essere stato un uomo e di essere divenuto un cespuglio rinsecchito. Al verso 40 vi и una similitudine: come quando si brucia un pezzo di legno verde, questo da una parte arde e dall’altra fa uscire la linfa (Dante dice “geme”), stridendo al vento, cosм, con timore di Dante che lascia cadere la cima divelta, il ramoscello spezzato emette ad un tempo parole e sangue. Virgilio allora scusa il gesto del discepolo, rivolgendosi allo spirito racchiuso nell’arbusto, dicendo che se Dante avesse potuto credere alla sua sola parola (che и ciт che poi ha visto), di certo non avrebbe commesso quell’atto crudele; confessa inoltre di essere stato lui stesso ad indurlo a compiere quel gesto, di cui ora si pente. Il latino lo invita poi a rivelare a Dante la sua identitа, in modo che quest’ultimo, per fare ammenda del proprio atto, possa ravvivare il ricordo del suo spirito di grande poeta sulla terra, dove deve tornare. L’anima con una perifrasi svela l’identitа: и Pier delle Vigne, che continua narrando come l’invidia abbia decretato la sua fine, prima economicamente poi della vita, infatti per le calunnie di alcuni cortigiani cadde in disgrazia, venne arrestato, accecato col ferro rovente e nel 1249 si suicidт in carcere fracassandosi la testa contro le pareti della cella. In seguito Pier delle Vigne afferma di non aver mai tradito l’imperatore (ragione per cui era stato imprigionato) giurando sulle radici nuove della sua pianta. Infine chiede a Dante, che и ancora vivo, di riscattarlo al ritorno sulla terra. Segue la spiegazione di come le anime dei suicidi vengano imprigionate in quei tronchi: Minosse le scaraventa nella selva del VII cerchio, le anime germogliano come cereali e col tempo crescono; a questo punto subiscono il tormento delle Arpie, che nutrendosi delle foglie e creandovi lacerazioni, provocano negli spiriti dei dannati gemiti di dolore.
Nel canto XIII dell’Inferno Dante fa dire direttamente alla Guida che l’episodio и tratto dal poema virgiliano al verso 48 “ciт c’ha veduto pur con la mia rima”.
Infatti l’episodio del ramo parlante и presente nel libro III dell’Eneide a partire da verso 22. Durante il viaggio verso l’Italia Enea approda in Tracia, lм si appresta a ornare l’altare per un sacrificio, cogliendo alcuni rami di un cespuglio di mirto. Con sorpresa di Enea, dapprima i rami gocciolano di sangue, poi una voce si alza dal profondo e invita il troiano ad allontanarsi da quella terra maledetta. Si tratta dell’ombra di Polidoro, ultimogenito del re di Troia Priamo, ucciso a tradimento dal re tracio dopo essere stato derubato, presso il quale doveva recarsi per vivere lontano dalla guerra.
Il clima dell’episodio narrato da Virgilio и assai diverso da quello dantesco. Il cespuglio di mirto и vivo, si tratta di una pianta sacra a Venere, и cresciuto sulla terra dove giacciono le spoglie del giovane Polidoro e non come punizione divina, al contrario per compensare l’ingiustizia della sua uccisione, inoltre la voce di Polidoro non proviene direttamente dal ramo ma dal terreno; infine il dialogo tra Enea e Polidoro non ha lo stesso valore di quello tra Dante e Pier delle Vigne, quest’ultimo ha per il poeta fiorentino un fine di conoscenza, ossia sapere come le anime dei suicidi giungono in quei rami, mentre il dialogo virgiliano costituisce piщ un intermezzo dai caratteri soprannaturali nel racconto dei viaggi di Enea.
La reazione di Dante ed Enea di fronte al ramo и la medesima: sgomento, ma mentre Dante s’interrompe subito, Enea strappa un altro ramo e un altro, dimostrando il suo essere coraggioso, l’essere un eroe nonostante il turbamento, Dante и invece il pellegrino che si commuove e s’impietosisce di fronte alle sofferenze dei dannati.
Il verso 38 del XIII canto dell’Inferno riprende il verso 42 delle III libro dell’Eneide: “ben dovrebb’esser la tua man piщ pia” e “parce pias scelerare manus”.
Vi и anche un comune senso di sofferenza espresso dall’anima imprigionata attraverso le domande “Quid miserum, Aenea, laceras?” (v.41) e “Perchи mi scerpi?” (v.35).
Mentre Virgilio per descrivere il terrore di Enea indica il suo stato d’animo e la sua condizione interiore (il sangue si gela, la voce si blocca), il Dante autore descrive le azioni del Dante personaggio, molto schematiche e d’effetto: lascia cadere il ramo e riamane immobile.
Personalmente trovт maggiormente ricco di pathos l’episodio narrato da Dante per il coinvolgimento dei personaggi dal punto di vista emotivo; ciт и dovuto principalmente al fine diverso che si propongono i due poemi del fiorentino e del latino, la Commedia и infatti un’opera prettamente di carattere morale e vengono dunque messi in luce le sensazioni interiori e gli aspetti psicologici dei personaggi.
Infine si puт dire che, confrontando la disposizione dei versi, la narrazione virgiliana и piщ rapida.
Inferno: canto XIII
Nesso non era, ancora arrivato di lа (dal guado), quando noi entrammo in un bosco che non aveva alcuna traccia di sentieri.
Non c’erano foglie verdi, ma di colore scuro; non rami lisci e diritti, ma nodosi e contorti; non frutti, ma spine con veleno:
quegli animali selvaggi che (in Maremma) tra il fiume Cecina e la localitа di Corneto odiano i luoghi coltivati, non hanno (per loro dimora) macchie cosм irte e pungentм e cosм folte.
Il bosco и rigido, scheletrico, innaturale; l'armonioso scorrere della vita qui и fissitа, desolazione, morte. Fosco il colore delle fronde; aggrovigliati e come rivolti contro se stessi ('nvolti) i rami; infine la cattiveria: spine avvelenate, strumenti di dolore. L'antitesi, ripetuta tre volte, suggerisce l'innaturalitа del paesaggio. Questo a sua volta и come un'introduzione a una tragedia innaturale: il suicidio. Come ha finemente osservato il Sapegno, lo stile elaborato e aspro di questo canto si accorda, fin dalle terzine iniziali, "con un proposito di strane e orrende fantasie, in cui si rifletta e prenda consistenza poetica l'incubo dм una tragedia che trascende la norma comune dell'umano sentire".
Qui fanno i loro nidi le sozze Arpie, che costrinsero alla fuga dalle isole Strofadi i Troiani con la funesta profezia di mali futuri.
Le Arpie, mostri della mitologia classica, per metа donne e per metа uccelli, cacciarono i Troiani di Enea dalle isole Strofadi con la profezia della fame che essi avrebbero dovuto sopportare nel viaggio verso le rive dei Lazio (Virgilio -Eneide III, 209 sgg). Qui appaiono come annunciatrici dм un male misterioso che si cela nel bosco.
Hanno ali larghe, colli e facce di esseri umani, piedi con artigli, e il grande ventre coperto di penne; si lamentano, in modo strano, sugli alberi.
E il valente maestro: " Prima che tu ti inoltri, sappi che sei nel secondo girone " cominciт a dirmi, " e vi starai fino a quando
tu arriverai all’orribile distesa sabbiosa: perciт guarda ripetutamente e con attenzione; cosм facendo vedrai cose tali che toglierebbero credito alle mie parole ".
Un momento di pausa: la ragione (Virgilio) interviene. L'uomo (Dante), guardando e esaminando (riguarda ben), prenda coscienza della realtа; si basi anche sull'esperienza maturata da altri, ma faccia le proprie esperienze dirette; la ragione indica la via, dа suggerimenti di metodo; la sperimentazione и diritto e dovere dell'individuo.
lo sentivo da ogni parte emettere lamenti acuti, e non vedevo nessuno che li facesse; per questo tutto smarrito mi fermai.
Ritengo che Virgilio pensasse che io credessi che voci cosм numerose uscissero, (passando) tra quegli alberi secchi, da gente che si nascndesse a noi.
Alcuni critici hanno voluto attribuire l'uso di artifici retorici come quello del verso cred'io ch'ei credette ch'io credesse all'intento di parafrasare lo stile concettoso di Pier delle Vigne, il protagonista dell'episodio che sta per cominciare, ma questa spiegazione non chiarisce la funzione che simili moduli espressivi hanno sul piano della poesia. In essi dobbiamo vedere altrettanti mezzi dei quali il Poeta si serve per esprimere, attraverso la distorsione del linguaggio, l'errore intellettuale e morale che ha condotto i suicidi al loro peccato, nonchй, al tempo stesso, l'allucinante atmosfera in cui il loro empio proposito и maturato.
Qui gli occhi, i sentimenti, l'atto perplesso e interrogatorio di Dante vanno da Virgilio agli alberi, da questi alla ricerca dell'origine delle voci, poi ancora a Virgilio: all'intrico dei rami si aggiunge questo intrico psicologico, dell'incertezza di Dante.
Perciт il maestro disse: " Se tu spezzi un qualsiasi ramoscello di una di queste piante, i tuoi pensieri si dimostreranno tutti erronei ".
Gli interventi di Virgilio (versi 16 -21, 28 -30) sono quelli del " maestro "; partecipi ma controllati, calmi, come di chi assolve un grave dovere; Virgilio sa, dunque non c'и stupore o timore in lui, ma la sicurezza precisa e quasi impassibile del chirurgo che guida la mano incerta (allor porsi la mano un poco avante) dell'allievo sul corpo dell'ammalato: sappi... riguarda ben... se tu tronchi.
Allora stesi la mano un poco in avanti, e colsi un ramoscello da un grande albero spinoso; e il suo tronco gridт: " Perchй mi schianti ? "
L'inquietante crescendo dei primi trentatrй versi, l'ansia tesa che dal paesaggio, si trasmette all'animo di Dante, si raccolgono e culminano in questo grido innaturale: e 'l tronco suo gridт. Un vegetale con voce umana. E voce che si articola nell'atto piщ alto dell'intelletto umano, l'interrogazione, lo strumento teso alla ricerca della conoscenza perchй... Fin qui Dante aveva, in silenzio, maturato domande; le aveva tradotte in un gesto (e colsi); ora la risposta и arrivata, ma rimbalza, terribile domanda, quasi atto d'accusa, sul richiedente: non hai tu ... ?
Poi, dopo che si coprм di sangue, ricominciт a dire: " Perchй mi strappi ? non hai tu alcun senso di pietа?
Fummo uomini, e ora siamo trasformati in piante selvatiche: la tua mano dovrebbe essere anche piщ pietosa, se fossimo state anime di serpi ".
Il bosco ha rivelato il suo segreto: fummo uomini, e ora siamo fatti sterpi. Le anime dei suicidi che rifiutarono violentemente il corpo, sono degradate alla prigionia in queste forme arboree dove, impotenti, soffrono contorcendosi e contorcendole, con un dolore che spasima, muto, cieco, sordo, murato nelle fibre del legno, fino a quando le Arpie, pascendosi delle foglie fosche, lo accrescono ma anche gli aprono una via di sfogo: fenestra.
Come da un tizzone verde al quale ad una estremitа sia appiccato il fuoco, che dall’altra stilla gocce di umore e stride a causa dell’arla interna che ne esce,
allo stesso modo dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue; perciт io lasciai cadere il ramoscello, e rimasi immobile come chi ha paura.
La similitudine dei legno che lagrima и gмб nel provenzale Gaucelm Faidнt: "Dagli occhi piango - per dolore - come la legna verde che nel fuoco ardente s'accende piangendo. In Dante essa esprime un'attenzione tesa a cogliere nella natura un significato drammatico, non la pausa lirica, e si inserisce mirabilmente nel tema che и alla base di questo canto: il perdersi dell'umano nella natura arborea, il cristallizzarsi degli alberi nella rigiditа della morte. Quando, attraverso il dolore (il ramoscello spezzato), l'albero-uomo riprende a vivere, ad esprimersi (sanguina, parla), questa manifestazione di vita и simile in tutto ad un processo meccanico, non c'и nulla di libero in essa. Cosм, in conseguenza del calore che ne prosciuga una estremitа, l'umiditа di cui il pezzo di legno messo sul fuoco и pregno, affluisce tutta all'estremitа opposta, e di qui geme, si riversa, condensata in gocce, all'esterno. La reazione di Dante all'innaturale spettacolo non и analizzata: si concretizza in un gesto (lasciai la cima cadere) e in un atteggiamento (stetti come l'uom che teme). "Come spesso avviene in Dante, un fatto si commenta con un altro fatto, e non con termini soggettivi." (Aglianт)
"Se egli avesse potuto credere senza provare" rispose il saggio Virgilio: "o anima ferita, ciт che ha veduto soltanto per mezzo della mia poesia,
non avrebbe stesa la mano contro di te; ma la cosa, in sй incredibile, mi spinse a indurlo a compiere un atto che rincresce a me per primo.
Rima sta per poesia; qui in particolare indica il poema di Virgilio, l'Eneide. Nel libro terzo (versi 19 -68) Virgilio narra l'episodio di Polidoro, figlio di Priamo re di Troia, fatto uccidere a tradimento da Polinestore, re della Tracia, e sul cui tumulo crebbero dei virgulti. Enea, giunto sul luogo, ne strappт alcuni; dai rami spezzati e sanguinanti usci la voce di Polidoro. Ma il senso della trasformazione dell'uomo in pianta и profondamente diverso, nei versi di questo canto, rispetto a quello dell'episodio virgiliano. Il contrasto cosм netto fin dall'inizio in Dante, tra natura arborea e natura umana (dal ramo escono parole e sangue), appare in Virgilio assai piщ attenuato. Ciт che atterrisce Enea и il sangue che sgorga dal virgulto spezzato. Solo in un secondo momento Polidoro parlerа; le sue parole non saranno piщ allora motivo di terrore, ma soltanto di meraviglia. L'idea tragica si diluisce cosм in una successione cronologica. Bene osserva in proposito l'Aglianт: "In Virgilio gli effetti sono sempre anticipati... e al momento culminante, al gemito e alle parole di Polidoro, si arriva progressivamente, attraverso un regolare crescendo... La linea ascendente и invece in Dante rapidissima". E ancora: "A Virgilio interessava l'episodio nel suo complesso, il fatto prodigioso, l'avventura sensazionale, nel quadro generale delle peripezie di Enea; a Dante interessa far sentire l'angoscia, la pena anche morale dello stato in cui si trovano i suicidi".
Nell'episodio di Polidoro il dramma dell'anima-pianta si risolve in un raffinato contrappunto di impressioni naturalistiche, non prorompe, come qui, nel grido di una coscienza offesa (ben dovrebb'esser la tua man piщ pia).
Va aggiunto inoltre che, mentre questa metamorfosi ha in Virgilio un valore positivo, essendo per Polidoro "il risarcimento, accordato dal cielo in compenso dell'iniqua morte datagli da Polinestore" (Medin), in Dante и la espressione della condanna inflitta da Dio a chi si и privato da sй della vita.
Di qui anche la diversitа di tono tra i due episodi: elegiaco nell'Eneide, tragico in questo canto dell'inferno.
Ma digli chi tu fosti, cosicchй invece di un qualche risarcimento ravvivi la tua fama nel mondo dei vivi, dove gli и lecito ritornare. "
Tua fama rinfreschi: quasi tutti i dannati manifestano il desiderio che la loro memoria continui a vivere in terra; soprattutto quelli che, pur essendo peccatori, furono anche magnanimi e degni, per alcuni aspetti, di ammirazione. Pier delle Vigne sembra crucciarsi, piщ che della sua condizione presente, delle calunnie con le quali и stata offesa la sua fama, la sua onorabilitа. Dante sentirа pietа di questo cruccio fino a esserne accorato. Non sarа pietа per la sorte del peccatore che и voluta dalla giustizia di Dio, alla quale il Poeta cristiano non puт non consentire; sarа invece partecipazione alla giusta sofferenza di Pier delle Vigne provocata dal misconoscimento della sua lealtа.
E il tronco (disse) : " Mi attiri, con l’esca delle tue dolci parole in modo tale, che io non posso tacere; e a voi non pesi se io mi trattengo un poco a discorrere.
Io sono colui, che tenni tutte e due le chiavi del cuore di Federico, e che le girai, aprendo e chiudendo, cosм delicatamente,
che esclusi quasi ogni altra persona dalla sua intimitа: fui tanto fedele al mio glorioso incarico, che a causa di ciт perdetti la quiete e la salute.
L’invidia, rovina di tutti и male delle corti, che mai ha distolto il suo sguardo disonesto dalla corte imperiale,
aizzт tutti gli animi contro di me; e gli aizzati aizzarono tanto l’imperatore, che le gloriose onorificenze si convertirono in cupi dolori.
Pier delle Vigne nato a Capua alla fine del secolo XII, studiт legge a Bologna; in gioventщ conobbe la miseria e gli stenti; acquistatosi suoi meriti, fece parte come notaio della corte imperiale di Palermo, dove entrт nelle grazie di Federico Il di Svevia, fino a diventare consigliere segreto, " protonotaro ", giudice della Magna Curia e cancelliere del Regno di Sicilia. Accusato - e Dante ritiene a torto - forse di arricchimenti illeciti, di eccesso di potere e di tradimento, da cortigiani invidiosi e offesi dalla sua fortuna, dopo vent'anni di onori, cadde in disgrazia del suo signore che lo fece incatenare e accecare (1248); l'anno dopo, disperato, si uccise. Fu uomo colto, raffinato, poeta in volgare, rinomato per la sua eloquenza e per la maestria del suo comporre in latino.
Il mio animo, per sprezzante compiacimento, credendo che con la morte si sarebbe sottratto al disprezzo, mi rese ingiusto contro me stesso (che ero invece) giusto.
Ingiusto fece Me contra me giusto: la ingiustizia che Pier delle Vigne fa a se stesso и anzitutto violazione di un diritto inalienabile: il diritto alla vita. Per un cristiano l'uomo non puт togliersi la vita, essendo questa un dono di Dio. Con molta penetrazione si esprime in proposito un antico commentatore, il Buti: "Quelle cose che l'uomo non si puт dare, non si dee togliere; anzi le dee tenere quanto vuole colui che gliele dа; e, se le rifiuta, ragione и che non le riabbia".
L'ingiustizia, che il protonotaro imperiale ha commesso uccidendosi, non va quindi considerata soltanto in rapporto alla sua vita giusta, ma in rapporto alla sua vita senza ulteriori specificazioni di valore. In altri termini, agli occhi di Dio l'atto del suicida и altrettanto riprovevole qualunque sia la validitа morale delle opere da questo compiute in vita. Naturalmente, sul piano umano, e agli effetti della poesia, il fatto che Pier delle Vigne si uccida senza aver nulla da rimproverarsi colora di patetico la sua tragedia.
Giova ricordare мn proposito come tutte le vicende che, nella Commedia, le anime narrano di se stesse, sono dal Poeta concepite come messaggi di veritа morale che ci giungono dal mondo dove piщ non si puт mentire; le azioni piщ abominevoli, per il fatto di proporsi come esempi negativi, acquistano la dignitа del sacro. Nessuna perт di queste storie, messe nella cornice dell'al di lа, a contrasto con la condizione eterna, di chi ne fu il protagonista, и in Dante soltanto un esempio: quale piщ quale, meno, tutte sfuggono ad una definizione unilaterale e aprioristica delle nozioni di bene e di male in esse contenute. Come in tutta la grande arte, questa definizione и in Dante sempre proposta, mai imposta: lo schema, concettuale si invera di continuo nella varia e ricca umanitа dei suoi personaggi.
Per le mostruose radici di questo albero vi giuro che mai venni meno alla fedeltа verso il mio signore, che fu tanto degno di rispetto.
E' del De Sanctis l'osservazione che fino a questo appassionato giuramento Pier delle Vigne ha parlato senza commuoversi, esprimendosi in una forma ricercata (in cui и come un compiacimento per la propria perizia di maestro dell'ars dictandi) e sottile, e che solo di fronte all'accusa di tradimento egli palesa, attraverso il dolore, la propria umanitа, mentre il suo linguaggio, libero infine da ogni preoccupazione formale, ritrova la schiettezza delle grandi passioni: "vi и una cosa, una sola cosa seria che gli pesa, l'infamia che si tenta gittare sulla sua memoria, l'accusa che gli и lanciata di traditore. Qui и il patetico del racconto: qui la sua immaginazione si scalda, di sotto alla veste del cortigiano spunta l'uomo, e il suo linguaggio diviene semplice ed eloquente".
E se l’uno o l’altro di voi torna nel mondo, renda giustizia alla mia memoria, che и ancora prostrata per il colpo che l’invidia le inferse ".
Virgilio attese un poco, e poi mi disse: " Dal momento che egli tace non perdere tempo; ma parla, rivolgigli domande, se hai piacere di sapere di piщ ".
Perciт io dissi a lui: " Domanda ancora tu ciт che credi possa appagarmi; perchй io non potrei, da cosм grande pietа sono toccato nel cuore! "
Perciт riprese: " Se ti verrа fatto spontaneamente il favore che le tue parole chiedono in tono di preghмera, spirito prigioniero, ti sia gradito ancora
di dirci in che modo l’anima si rapprende in questi duri nodi; e rivelaci, se puoi, se mai qualche anima si libera da simili membra.
Allora il tronco soffiт forte, e poi quel soffio si convertм in tali parole " Vi sarа data una risposta breve.Il suo secondo discorso - premette Pier delle Vigne - sarа una breve comunicazione. In realtа i sedici versi di cui и composto non sono pochi, soprattutto se paragonati ai ventiquattro del primo. Brevemente sta perт a significare la volontа dell'anima di non parIar troppo del proprio supplizio; il tono и staccato, oggettivo, impersonale: sarа risposto a voi.
Quando l’anima crudele (contro il corpo) si separa dal corpo dal quale essa stessa si и strappata, Minosse la manda al settimo cerchio.
Cade nella selva, e non le и prescelto il luogo; ma lа dove il caso la scaglia, qui germoglia come seme di frumento.
Cresce in forma di virgulto e di pianta selvatica: poi le Arpie, pascendosi delle sue foglie, le procurano dolore, e un varco alle manifestazioni di esso.
Come le altre (anime) verremo (nella valle di Giosafаt) a riprendere i nostri corpi, ma non per questo alcuna di noi se ne rivestirа, poichй non и giusto avere ciт di cui ci si и privati.
Trascinererno penosamente i nostri corpi (fin qui), ed essi saranno appesi nella mesta selva, ciascuno alla pianta in cui и chiusa la sua anima nemica a se stessa ".
L'anima, mentre dа le notizie richieste sul proprio itinerario attraverso l'inferno (si parte... la manda... cade... la balestra... germoglia... surge), si fa a poco a poco nuovamente partecipe, della sua estrema vicenda: l'anima del suicida и feroce contro il corpo dal quale s'и divelta, strappata con violenza e sforzo come radice dal proprio terreno, e contro se stessa; e alla fine - dopo la prefigurazione oggettiva della processione che seguirа al Giudizio Universale - scopre con un brivido, fra tanti corpi, il suo: ciascuno al prun..
Noi eravamo ancora tutti intenti all’albero, credendo che ci volesse dire altre cose, quando fummo sorpresi da un rumore,
come colui che sente arrivare il cinghiaie e i cani e i cacciatori al luogo dove si и appostato, e ode le bestie e lo stormire delle fronde.
Finora questo canto и stato quasi totalmente privo di azione apparente, anche se ricchissimo di svolgimenti psicologici. Qui, con notevolissimo risalto, irrompe nell'immobile il movimento. "La selva che credevamo ormai di conoscere ci rivela ignote paurose profonditа sprigionando dal suo oscuro seno inattesi esseri umani e inattesi mostri, in un tumulto di caccia, dove con infernale travolgimento il cacciato и l'uomo." (Parodi)
Ed ecco apparire due dal lato sinistro, nudi e pieni di graffi, che scappavano cosм in fretta, da rompere ogni fronda del bosco.
Quello (che correva) davanti (gridava): " Presto corrimi in aiuto, corrimi in aiuto, o morte ! " E l’altro, che si accorgeva di restare pericolosamente indietro, gridava: " Lano, non furono cosм abili
le tue gambe nella battaglia del Toppo! " E poichй forse gli mancava il fiato, di sй e di un cespuglio fece un viluppo annodato strettamente.
Dilapidatori dei propri beni, quindi nudi, inseguiti dalle cagne (forse i rimorsi o, secondo alcuni, i creditori), i due sono Lano da Siena (forse Ercolano Maconi), ucciso a Pieve del Toppo in una battaglia fra Senesi e Aretini (alle giostre: ai tornei; и detto con crudele ironia), e Giacomo da Sant'Andrea, padovano, morto nel 1239, famoso per le sue stravaganze.
Lano grida invocando una seconda morte impossibile; il compagno и colui che "si sente rimaner solo nel pericolo e grida dietro all'altro uno scherno ch'и una maledizione, in cui si fondono insieme invidia e disperazione"(Parodi).
Dietro di loro c’era la selva piena di nere cagne, bramose e veloci come cani da caccia sguinzagliati in quel momento,
Azzannarono quello che si era nascosto (nel cespuglio), e lo lacerarono pezzo per pezzo; poi se ne andarono portando (con sй) quelle membra dolenti.
Allora la mia guida mi prese per mano, e mi condusse al cespuglio che piangeva inutilmente attraverso gli squarci sanguinanti.
Diceva il cespuglio: " O Giacomo da Sant’Andrea, a che ti и servito farti scudo di me? che colpa ho io della tua vita colpevole? "
Quando il maestro si fermт presso di lui, disse: " Chi fosti, che attraverso tante ferite emetti parole dolorose insieme a sangue? "
Il bosco non и costituito di soli alberi; come le selve maremmane non tocche ancora dall'uomo, che Dante prende come punto di partenza naturale per la sua fantasia: esso и un intrico quasi impenetrabile di piante grandi e piccole, sterpi, alberi, bronchi, pruno, vermena, pianta silvestra, e poi ancora una proliferazione di fronde, rami, ramicel, stecchi, frasche, fraschette, rosta, punte, cesto. Pier delle Vigne, anima nobile, и un gran pruno; ora invece Virgilio и fermo, ritto presso un cespuglio: un'anima da poco.
Chi fosse non si sa. Il Boccaccio parla dei molti suicidi fiorentini di quel tempo: forse Dante lo ha lasciato di proposito anonimo. E' un fiorentino: i' fui della cittа... e tanto basta.
La selva infernale scompare in dissolvenza, e dietro, a chiusura di canto, si profila Firenze, l'altra cittа di Satana, gemella di Dite, la tua cittа, che di colui и pianta che pria volse le spalle al suo fattore (Paradiso IX, 127-128). Ancora una volta l'inferno ha la sua controfigura in terra.
Ed egli (rispose) a noi: " O anime che siete arrivate per vedere lo strazio indecoroso che ha staccato con tanta violenza le mie fronde da me stesso,
radunatele ai piedi del cespuglio miserevole. Io fui della cittа (Firenze) che mutт il primo patrono (Marte) con il Battista (San Giovanni Battista); onde egli (Marte) a causa di ciт
sempre la affliggerа con la sua arte (la guerra); e se non fosse che sul ponte dell’Arno rimane ancora un’immagine di lui,
quei cittadini che piщ tardi la fondarono nuovamente sulle ceneri rimaste dopo Attila, avrebbero fatto fare il lavoro inutilmente.
La distruzione di Firenze ad opera di Attila - confuso con Totila re dei Goti, che assediт la cittа nel 542 - и leggenda. Come osserva l'Aglianт, Firenze appare, nelle parole di questo suicida, "dominata da un potere diabolico". Il suo destino sembra dipendere "da quel frammento di statua, quasi da un idolo". Al riparo dell'effigie (coniata sul fiorino) del patrono cristiano operano ancora gli influssi malefici dell'antico dio della guerra: una minaccia di annientamento incombe sulla cittа dilaniata dalla discordia e induce i suoi abitanti al suicidio.
Io mi impiccai nella mia casa ".
Sto cercando gli appunti o la relazione su tema Pier delle Vigne e Polidoro. Frequento il Liceo Scientifico.