Materie: | Appunti |
Categoria: | Economia |
Download: | 285 |
Data: | 06.03.2001 |
Numero di pagine: | 15 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
Download
Anteprima
appunti-politica-economica_3.zip (Dimensione: 15.42 Kb)
trucheck.it_appunti-di-politica-economica.doc 82.5 Kb
readme.txt 59 Bytes
Testo
n.b.: CB = banca centrale
OMO: Dtg;CB – Dt-1g;CB
• Eccesso scorte monetarie famiglie.
• •B*
• domandano valuta estera/offrono valuta nazionale E
SVALUTAZIONE = manovra di aumento di tasso di cambio perseguita dall'autorità di politica economica.
Per valutare gli effetti di una svalutazione bisogna distinguere 2 casi:
➢ perfetta mobilità dei capitali
➢ controllo sui movimenti di capitale.
• Nel caso di perfetta mobilità dei capitali:
E MD B* eccesso di domanda di valuta
nazionale E
la CB deve intervenire per non far diminuire E.
la banca centrale vende valuta nazionale/acquista valuta
estera (accumula riserve valutarie).
E P (M/P)
Se c’è perfetta mobilità dei capitali un aumento di E determina un aumento della domanda di scorte monetarie e per far fronte a questo squilibrio di portafoglio, c’è una variazione di attività finanziarie denominate in valuta estera, questo determina un eccesso di domanda di valuta nazionale, che determinerebbe una riduzione del tasso di cambio.
Qui è costretta ad intervenire la banca centrale (che ha deliberatamente aumentato il tasso di cambio), a seguito di questo suo intervento il comportamento del settore privato è tale per cui questo tasso di cambio diminuisce, se la banca centrale non interviene l’iniziale aumento del tasso di cambio viene controbilanciato da questa successiva diminuzione e l’intervento della banca centrale è stato inutile.
Per evitare questo, la banca centrale deve intervenire in modo da non far diminuire il tasso di cambio; il suo intervento si concretizza nella vendita di valuta nazionale e nell’acquisto di valuta estera.
Questo significa che la banca centrale accumula riserve valutarie.
Inoltre l’aumento del tasso di cambio ha prodotto un aumento del livello dei prezzi, che a sua volta può far sì che lo stock di moneta reale in realtà non cambi. Più che lo stock di moneta reale in realtà non cambia, si può dire che le famiglie in presenza di un aumento del tasso di cambio domandano scorte monetarie maggiori, e questo determina uno squilibrio nel portafoglio delle famiglie, ma questo squilibrio di portafoglio può essere assorbito se si tiene presente che aumenta anche il livello dei prezzi, e quindi le scorte monetarie valutate in termini reali non sono aumentate rispetto alle situazioni ottimali decisa dalle famiglie.
Quindi alla fine le famiglie si ritrovano di nuovo in equilibrio grazie ad un aumento del livello dei prezzi, però nel frattempo hanno ceduto B* e la valuta estera è affluita nel bilancio della banca centrale.
In questo caso la svalutazione ha funzionato come un imposizione fiscale perché ha trasferito B* dai bilanci del settore privato ai bilanci della banca centrale.
• Controlli sui movimenti di capitale.
MD
E P M/P i,r
Surplus partite
correnti :IM>X
se c’è controllo sui movimenti dei capitali, abbiamo sempre che c’è un aumento del tasso di cambio, (perché questa è l’ipotesi di partenza, nel senso che stiamo assumendo che la banca centrale per qualche motivo intenda svalutare il cambio) questo determina un aumento del prezzo e una diminuzione dei saldi liquidi reali.
Se c’è controllo sui movimenti dei capitali non si può più recuperare l’equilibrio facendo variare B*, allora la conseguenza di questi cambiamenti è un aumento del tasso di interesse nominale e reale che comporta 2 conseguenze: da un lato l’aumento del tasso di interesse fa diminuire la domanda di moneta , dall’altro fa emergere un surplus delle partite correnti, cioè IM>X;
di fronte questa eventualità la banca centrale interviene vendendo valuta nazionale e acquistando riserve valutarie.
Questo finora detto è il contenuto delle 2 lezioni precedenti.
L’autorità (banca centrale, etc..) che emette moneta ha uno strumento in più che è l’inflazione, per ridurre il reddito del settore privato e trasferire il potere d’acquisto dal settore privato al settore pubblico.
Dobbiamo ricordare che il deficit del settore pubblico in termini nominali che abbiamo scritto come:
Pt (Gt + Itg – Tt ) + i Dt-1g,p – E (i* B*cbt-1) =
= (Dtg,p - Dt-1g,p) + ( BMt – BMt-1) – E( B*cbt - B*cbt-1)
cioè spese al netto del prelievo fiscale valutate in termini nominali, più gli oneri finanziari sul debito pubblico messo nel periodo precedente e in possesso del settore privato, meno i crediti netti della banca centrale nei confronti del resto del mondo valutati in termini di valuta nazionale e quindi moltiplicati per il tasso di cambio.
Il fabbisogno del settore pubblico può essere finanziato in tre modi: facendo variare le disponibilità del debito pubblico nel portafoglio del settore privato, oppure creando base monetaria, oppure modificando la disponibilità di riserve valutarie da parte della banca centrale.
Supponiamo che si sia raggiunto un limite di emissione del debito pubblico, (vale a dire è ragionevole supporre che il settore privato non sia disposto a sottoscrivere un volume indistinto di debito pubblico).
Se un governo non trova più persone disposte a fargli credito, se non ha altri metodi per finanziare il proprio fabbisogno, l’unica cosa che può fare è emettere un decreto in cui si dice “a tutti coloro ai quali prima dovevo 100, ora devo 10”, questa è una operazione di consolidamento del debito pubblico ed è applicabile in casi estremi.
Ad esempio l’unico caso di consolidamento del debito pubblico nella storia italiana è quello successivo alla seconda guerra mondiale.
Dopo la seconda guerra mondiale parte del debito di guerra fu consolidato.
Le condizioni critiche della finanza pubblica alla fine degli anni 80 e agli inizi degli anni 90, incominciavano a far ritenere possibile un operazione di consolidamento , se non addirittura un ripudio del debito pubblico.
Cioè si riteneva che ad un certo punto il governo italiano potesse dire “da oggi in poi non sono più debitore nei confronti di nessuno, chi mi ha prestato i soldi è stato molto generoso, mi dispiace ma non se fa più niente”.
Si cominciò a discutere di ripudio o di consolidamento del debito pubblico perché alcuni gruppi politici che avevano intenzione di sollevare questo scontento tra i risparmiatori , per creare una situazione di emergenza; oppure c’è una interpretazione che ha una chiara legittimità nella teoria economica cioè quella di dire che forse si era raggiunto un livello tale del debito pubblico che il settore privato riteneva ulteriori espansioni del debito pubblico non più tollerabili.
Quindi la dimensione del debito pubblico esistente sui mercati finanziari era la dimensione massima dei titoli del debito pubblico oltre il quale il settore privato non si dichiarava più disposto ad accettare titoli del debito pubblico, perché aveva paure che un BOT o un CCT in più avrebbero compromesso drasticamente la solvibilità del governo italiano e quindi lo Stato sarebbe stato costretto a ripudiare o a consolidare il debito.
È teoricamente possibile e giustificabile che ad un certo punto la possibilità che ha lo Stato di finanziare il suo deficit emettendo titoli da far sottoscrivere al settore privato sia limitato:
Dtg,p - Dt-1g,p =0
ciò oltre questo limite lo Stato non può più usare questo strumento per il collocamento dei titoli del debito pubblico presso il settore privato.
In questo caso il deficit pubblico in termini reali possiamo scriverelo come:
DEF reale= (Gt + Itg – Tt ) + i Dt-1g,p – E(i* B*cbt-1)
Pt
Il valore nominale del deficit:
Pt Def = ( BMt – BMt-1) – E( B*cbt - B*cbt-1)
Tutto questo per dire che se si preclude allo Stato la possibilità di finanziarsi convincendo il settore privato a sottoscrivere titoli del debito pubblico, il fabbisogno può essere finanziato esclusivamente facendo variare la base monetaria.
Se ci troviamo in un regime di cambi fissi, siccome non ci aspettiamo che ci siano variazioni del tasso di cambio: Et = Et-1; e siccome assumiamo che ci sia sempre piena occupazione: Qt = Qt-1, e che le grandezze esterne ovvero P* e i* siano grandezze esogene; tutto ciò fa si che anche lo stock di moneta in circolazione non cambia, ma se lo stock di moneta in circolazione non cambia non cambia la base monetaria e questo significa che l’unica possibilità per finanziare il fabbisogno è quello di mutate la disponibilità di riserve valutarie da parte della banca centrale.
Pt Def = – E( B*cbt - B*cbt-1)
Quindi in ultima istanza, l’unica possibilità (anche se dal punto di vista teorico è possibile ritenere che uno Stato finanzi il proprio fabbisogno usando 3 diversi criteri di finanziamenti, in realtà se si considera il caso di un economia con cambi fissi, lo stock di moneta non cambia) di finanziare il fabbisogno del deficit è quello di far variare la disponibilità di riserve valutarie da parte della banca centrale.
Se c’è un deficit, questo deficit viene finanziato riducendo le riserve valutarie in possesso della banca centrale.
Se c’è un surplus di bilancio, questo viene finanziato da un accumulo di riserve valutarie nel bilancio della banca centrale.
In presenza di un deficit pubblico si riesce a difendere la parità valutaria fin tanto che si dispone di riserve valutarie, ma se non si dispone di riserve valutarie, la presenza del deficit pubblico mina la stabilità del tasso di cambio.
Quindi la disponibilità di riserve valutarie è un segnale importante della capacità della banca centrale di difendere la parità valutaria e dei governi di finanziare i deficit.
Una scarsa disponibilità di riserve valutarie, è un pessimo segnale che un paese manda, di difendere il cambio o di finanziare un deficit.
In cambi flessibili, siccome la parità valutaria può cambiare (noi sappiamo che se ci troviamo in cambi flessibili la disponibilità di riserve valutarie della banca centrale cambia) , abbiamo che:
B*cbt - B*cbt-1 = 0
non c’è ragione per la banca centrale di far variare la disponibilità valutaria se il regime di cambi consente, in presenza di squilibri, che questi squilibri si scarichino sulla parità della valuta nazionale nei confronti della valuta estera. Per cui avremo che la variazione dello stock di moneta in circolazione finanzia il deficit pubblico:
Mt – Mt-1= DEFt
Pt
la variazione dello stock di moneta in circolazione equivale ad una variazione della base monetaria.
Dall’equazione:
Pt Def = ( BMt – BMt-1) – E( B*cbt - B*cbt-1)
siccome stiamo in cambi flessibili e quindi non c’è ragione di far variare la disponibilità di riserve valutarie, l’ultimo termine è =0, il fabbisogno è finanziato da una variazione della base monetaria, vale a dire da una variazione dello stock di moneta in circolazione.
L’equazione
Mt – Mt-1= DEFt
Pt
possiamo riscriverla moltiplicando e dividendo per la stessa quantità:
DEFt = Mt – Mt-1 Mt = Mt – Mt-1 Mt = Mt – Mt-1 Mt
Pt Mt Pt Mt Mt Pt
Dalla teoria quantitativa della moneta sappiamo che lo stock di moneta in circolazione è una certa proporzione del livello dei prezzi, (Q e v sono senza indici perché abbiamo più volte argomentato che queste sono quantità costanti, vuoi perché l’economia si trova in piena occupazione, vuoi perché la velocità di circolazione dipende da fattori istituzionali che si possono ritenere costanti ), cioè:
Mt = Q Pt
v
Allora il deficit è uguale:
Q Pt - Q Pt-1
DEFt = v v . Mt
Q Pt Pt
V
Moltiplicando e dividendo per una stessa quantità:
DEF = Pt – Pt-1 Mt Pt-1
Pt Pt Pt-1
DEFt = Pt – Pt-1 Mt Pt-1
Pt-1 Pt Pt
P^t = Pt – Pt-1 Pt = 1 + P^t
Pt-1 Pt-1
Tasso di inflazione
Noto questo possiamo scrivere:
DEF = P^t Mt
1 + P^t Pt
questo significa che in cambi flessibili un modo che ha a disposizione l’autorità di politica economica per finanziare il deficit è quello di promuovere il processo inflazionistico direttamente proporzionale a questo deficit.
Quindi l’inflazione è come se costituisse un imposizione fiscale; è un po’ come se l’imposta che finanzia il deficit fosse costituita da:
Mt/Pt che rappresenta la base imponibile e P^t/1+P^t che rappresenta l’aliquota fiscale; ed è come se da questo punto di vista ci fosse una analogia con un espressione del tipo: T =ty.
Utilizziamo questa analogia per interpretare l’equazione di prima: c’è un certo deficit che va finanziato generando un gettito fiscale, la base imponibile che ha a disposizione lo Stato è lo stock di moneta reale in circolazione; su questo base imponibile lo Stato applica l’aliquota che dipende dal tasso di inflazione e quindi generando un tasso di inflazione diverso lo Stato riesce a finanziare il suo deficit perché sottrae capacità d’acquisto al settore privato.
RIASSUMENDO: possiamo concludere questa prima parte della lezione dicendo che un governo che si trova a dover finanziare il proprio fabbisogno, il proprio deficit, può incontrare degli ostacoli nel finanziare questo deficit convincendo il settore pubblico a sottoscrivere titoli del debito pubblico. Questo può avere diverse giustificazioni: per esempio il settore privato non vuole sottoscrivere oltre una quota fisica di titoli del debito pubblico oppure, cosa che è equivalente, quanto più alto è il debito pubblico che è già sottoscritto dal settore privato ulteriori quote di debito pubblico da sottoscrivere richiedono tassi di interesse via via più elevati perché per convincere il settore privato a sottoscrivere altri titoli bisogna pagare di più.
Il governo ha davanti a se altre 2 vie: quella della diminuzione delle disponibilità valutarie e quella della creazione di base monetaria.
Abbiamo visto come in cambi fissi l’alternativa fra finanziamento del fabbisogno con moneta o con riserve valutarie è una falsa alternativa, nel senso che se lo Stato decidesse di finanziarsi convincendo la banca centrale a creare moneta questo produrrebbe delle tensioni sul mercato delle valute che poi alla fine la banca centrale sarebbe costretta a controbilanciare facendo variare la disponibilità di riserve valutarie.
In cambi flessibili il governo può finanziare il proprio fabbisogno decidendo se far variare la disponibilità di riserve valutarie oppure se finanziare questo fabbisogno attraverso un processo inflazionistico.
Questa condizione:
i = i* + Et – Et-1
Et-1
ci dice che se il tasso di cambio ( Et – Et-1 /Et-1) aumenta ( se c’è una svalutazione o altro), perché la condizione di cui sopra sia rispettata deve aumentare il tasso di interesse interno (i), ma l’aumento di quest’ultimo determina un aumento della velocità di circolazione della moneta che è funzione del tasso di interesse (V(i)), e se aumenta il tasso di interesse diminuisce la domanda di saldi liquidi reali (MD/P) che è invece funzione inversa della velocità di circolazione della moneta perché è uguale a Q/v(i), se diminuisce (MD/P), vuol dire che aumenta la domanda di attività finanziarie denominate in valuta estera. Cioè:
i v(i) MD/P = Q/v(i)
Possiamo ragionare allo stesso modo se ci si aspetta che aumenti il tasso di cambio, allora aumenta il tasso di interesse è come se gli individui già si aspettano oggi che il tasso di cambio aumenterà e iniziano a pretendere un tasso di interesse maggiore sulle attività finanziarie.
In un regime di cambi fissi la possibilità che ha un governo di finanziare il proprio fabbisogno è condizionata dalla disponibilità di riserve ufficiali.
Se la banca centrale non avesse riserve ufficiali sarebbe costretta a finanziare il proprio fabbisogno svalutando la moneta.
Supponiamo che il governo abbia un urgente fabbisogno da finanziare, per finanziare questo fabbisogno la banca centrale comincia ad usare le proprie riserve valutarie e ad un certo punto queste riserve finiscono con l’esaurirsi e la banca centrale dovrà dichiarare finita l’esperienza dei cambi fissi e dovrà svalutare la moneta.
Però se il settore privato è attento a questo succedersi di eventi, si renderà conto che a meno che il governo non decida di smetterla con i fabbisogni da finanziare e comincia ad avere dei surplus di bilancio, presto o tardi le riserve della banca centrale finiranno.
Se il settore privato si aspetta questo, si aspetta anche che la velocità di circolazione della moneta aumenti, riduce la sua domanda di saldi liquidi reali e aumenta la domanda in valuta estera per acquistare attività finanziarie denominate in valuta estera, questa determina una ulteriore tendenza alla svalutazione del tasso di cambio.
Questo in genere succede se si rompe l’equilibrio della bilancia dei pagamenti.
Cosa si intende per crisi della bilancia dei pagamenti?
Supponiamo di trovarci di fronte a questo grafico:
Ris. Uff.
R
t0 t
cambi fissi cambi flessibili
in cui sull’asse delle ascisse rappresentiamo il tempo e sull’asse delle ordinate la disponibilità di riserve ufficiali da parte della banca centrale.
Supponiamo che l’economia si trovi in un regime di cambi fissi e il governo di questa economia ha un fabbisogno da finanziare; allora la banca centrale parte con un certo ammontare di riserve valutarie e per finanziare il fabbisogno diminuisce l’ammontare di queste riserve.
Può accadere però che ad un certo punto che il settore privato si sta accorgendo che il fabbisogno del deficit pubblico persiste e quindi la riduzione progressiva delle riserve di disponibilità valutarie della banca
centrale fa sì che il settore si accorga che tra poco la banca finirà le sue riserve e sarà costretta a svalutare, ma il settore privato anticipa la svalutazione della banca centrale e siccome sa che tra un certo periodo di tempo la banca centrale svaluterà la valuta già ora si anticipa , riduce la domanda di saldi liquidi acquista valuta estera per acquistare attività finanziarie denominate in valuta estera ma facendo questo rende ancora più problematico il finanziamento, perché la banca centrale oltre a perdere riserve per finanziare il fabbisogno perde riserve perché il settore privato acquista valuta estera per acquistare attività finanziarie in valuta estera.
Per rendersi conto di ciò, la banca centrale può decidere di terminare con l’esperienza dei cambi fissi e passare ad un regime di cambi flessibili.
Quindi fino all’istante di tempo t0 c’erano cambi fissi ma ad un certo punto la banca centrale non si dichiara più disposta a perdere riserve valutarie per difendere la parità valutaria e allora si arriva da t0 in poi ad un prevalere di cambi flessibili.
Il passaggio brusco da un regime di cambi fissi ad un regime di cambi flessibili ha determinato il fatto che si sia raggiunto il livello minimo di riserve valutarie in possesso della banca centrale.
Il punto è individuare qual è l’ammontare minimo di riserve valutarie che non desta preoccupazioni nel settore privato?
Non c’è un ammontare specifico. Dalle lezioni di macroeconomia quando si discute della trappola di liquidità, si dice che si entra in una fase di trappola di liquidità quando il asso di interesse è sufficientemente basso, il che significa che in periodi di diminuzione del tasso di interesse produrrebbero aumento del prezzo dei titoli non giustificati dal settore privato e quindi quest’ultimo a seguito di un aumento del tasso di interesse non domanda più titoli.
Allora quando si raggiunge questo livello minimo del tasso di interesse, la domanda di moneta diventa infinitamente elastica.
Sono quindi le opinioni soggettive del settore privato, le aspettative del settore privato, che stabiliscono il valore soglia del tasso di interesse.
Per crisi della bilancia dei pagamenti si intende una situazione molto generale, in cui la difesa del cambio non è ritenuta possibile o conveniente da parte della banca centrale: non è ritenuta possibile perché per esempio non si hanno sufficienti risorse per difendere la parità valutaria e non è ritenuta conveniente perché si realizza e si prende atto che il settore privato ha delle aspettative che non sono compatibili con quella parità valutaria e quindi deliberatamente si decide di non sprecare riserve valutarie per la difesa di un tasso di cambio che non è condiviso dal settore privato.
Il punto è da che cosa dipendono le aspettative del settore privato?
Per esempio un segnale che il settore privato coglie per decidere se le riserve valutarie a disposizione della banca centrale sono sufficienti o meno, sono compatibili con l’obiettivo di parità valutaria della banca centrale, un segnale dicevo è l’ampiezza del fabbisogno.
In presenza di fabbisogni del settore pubblico ingenti allora si può ingenerare in una crisi della bilancia dei pagamenti.
Un caso storico di crisi di bilancia dei pagamenti, l’Italia lo ha vissuto nel 1992.
Esiste un limite all’indebitamento dello Stato presso il settore privato.
Supponiamo di muoverci in una economia chiusa, e considerare che unica alternativa a disposizione dello lo Stato per finanziare il suo debito è di ricorrere da una parte all’emissione di titoli del debito pubblico e da un’altra all’emissione di base monetaria.
Se lo Stato emette base monetaria , lo Stato paga pochi interessi ma genera l’inflazione.
Un governo che non voglia produrre inflazione è costretto a finanziare il proprio debito deficit emettendo titoli del debito pubblico.
Quindi apparentemente al governo è disponibile un’alternativa: se scegliere più o meno inflazione e quindi se emettere più o meno titoli del debito pubblico.
Ci sono due economisti molto acuti: SARGENT – WALLACE che hanno riflettuto su come questa sia una falsa alternativa a disposizione del governo.
Il governo non può decidere se avere o non avere inflazione perché presto o tardi secondo questi economisti il Governo dovrà finanziare il deficit pubblico per forza con una imposta da inflazione.
Piuttosto, dicono questi economisti, quanto più si ritarda questo momento tanto più elevata sarà l’inflazione di equilibrio nel lungo periodo.
Proviamo a riflettere su questo pensiero:
P^, D*
inflazione
inflazione
P^1
P^2
t0 t
il punto chiave sollevato da questi economisti, è che per qualche motivo il settore privato non è disposto a sottoscrivere quantità infinite di dedito pubblico, questo può avere diverse giustificazioni.
Per semplicità supponiamo che fino all’istante di tempo t0 il settore privato sia disposto a sottoscrivere titoli del debito pubblico, oltre questo all’istante di tempo il settore privato non è più disposto a sottoscrivere titoli del debito pubblico.
Questo è un modo artificiale di porre la questione ma comunque il punto essenziale ciò che lo Stato non può all’infinito far sottoscrivere i titoli del debito pubblico dal settore privato viene rispettato.
Nel grafico di cui sopra rappresentiamo sull’asse delle ordinate sia il tasso di inflazione (P^) che la variazione dei titoli del debito pubblico, lo Stato può scegliere di avere una bassa inflazione oggi, però questo comporta un maggior ricorso all’emissione di titoli del debito pubblico e per esempio supponiamo che il tasso di crescita del debito pubblico sia quello segnato sul grafico.
Quindi questa è l’inflazione che lo Stato decide di avere in un certo istante di tempo, questo è la crescita del debito pubblico (vedere dal grafico) prima emette poco debito pubblico ma più passa il tempo e più è costretto, se non aumenta l’emissione di base monetaria ad emettere titoli del debito pubblico.
Raggiunto il tempo t0 il settore privato decide di non sottoscrivere più titoli del debito pubblico, e l’unico modo che ha il governo di finanziarsi è di stampare moneta, ma a questo punto lo Stato è costretto a stampare moneta anche per finanziare il servizio del debito, quindi l'inflazione sarà del livello rappresentato dopo t0.
Supponiamo che il governo decida di avere nel primo periodo un tasso di inflazione ancora più basso (P^2 ), questo vuol dire che dovrà ricorrere ad una emissione di titoli del debito pubblico ancora più sostenuta.
Se si riduce il canale di finanziamento monetario del deficit pubblico potrebbe aumentare l’altro canale di finanziamento dato dalla sottoscrizione di titoli del debito pubblico; questo fa sì che il tasso di crescita del debito pubblico sia ancora più elevato, al momento il settore pubblico si comporta come prima lo Stato deve , come prima stampare moneta per finanziarsi.
Nel secondo caso l’inflazione che si genera è più elevata della prima.
Da questo schema emerge non che lo Stato ha un alternativa se generare o meno inflazione, ma questo schema ci chiarisce che questa è una falsa alternativa a disposizione dello stato e lo stato comunque nel lungo periodo sarà costretto a generare inflazione per finanziare il debito pubblico; piuttosto lo Stato ha una scelta che è quella di ridurre l’inflazione di equilibrio di lungo periodo consentendo ora una minore crescita del costo del debito pubblico e quindi consentendo ora un tasso di inflazione maggiore.
Quindi quanto minore è il tasso di inflazione che ora lo Stato è disposto a produrre tanto più alto sarà il tasso di inflazione di prima.
1
1