Diritto alla dignità

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Testo

Diritto alla Dignità

Dignità: il doveroso rispetto a cui ogni uomo ha diritto per la sua stessa natura. La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.
La sua violazione si può manifestare in diversi casi:
1) nei confronti delle persone disabili
2) nei confronti dei minori
3) nei confronti della vita privata
4) nei confronti della vita familiare
5) nei confronti delle religioni
6) nei confronti della proprietà privata
7) nei confronti dell’iniziativa economica

1)I diritti delle persone portatrici di Handicap rientrano nella sfera dei diritti umani e civili fondamentali.
Il fenomeno dell’esclusione sociale delle persone disabili è dovuto a un’ampia serie di fattori sociali, culturali e politici che vanno da quelli relativi alle varie forme di disabilità (psichiche, fisiche e sensoriali), alle carenze culturali e cognitive, a fenomeni ambientali di esclusione e alle difficoltà di apprendimento e di interrelazione.
L’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.

2) Il lavoro infantile ha conseguenze serie che permangono nell’individuo e nella società oltre gli anni dell’infanzia. I giovani lavoratori non solo affrontano condizioni di lavoro pericolose, ma anche stress fisici, intellettuali ed emotivi. Essi sono destinati ad una vita adulta di disoccupazione e analfabetismo. Infatti Il lavoro minorile è vietato. L’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, fatte salve le norme più favorevoli ai giovani ed eccettuate deroghe limitate.
I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, mentale, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione.

3) Il diritto alla riservatezza consiste nella tutela di situazioni e di vicende personali e familiari dalla curiosità e dalla conoscenza pubblica. Si tratta di situazioni che solo quegli che le ha vissute può decidere di pubblicizzare e che ha diritto di difendere da ogni ingerenza, sia pure condotta con mezzi leciti e non implicante danno all’onore o alla reputazione o al decoro, che non trovi giustificazione nell’interesse pubblico alla divulgazione. La fonte primaria di tale diritto, ancorché esso sia previsto in altre e più specifiche norme, è l’art. 2 della Costituzione, e la sua violazione dà luogo a fatto illecito i cui effetti pregiudizievoli sono risarcibili. La tutela del diritto alla riservatezza può essere richiesta, davanti al giudice sia dalla persona nota che dalla persona non nota. Tuttavia per la persona nota è più facile che operi la previsione dell’art. 97 della legge sul diritto d’autore ovvero che la pubblicazione della fotografia possa avvenire anche senza il consenso dell’interessato ovvero legittimamente, giacché si accompagna ad una esigenza pubblica di informazione, costituzionalmente tutelata. In caso di violazione del diritto alla riservatezza il pregiudizio, morale o patrimoniale, che ne consegue deve essere provato secondo le regole ordinarie. La parte che chiede il risarcimento del danno prodotto da tale illecito deve provare il pregiudizio alla sua sfera patrimoniale e personale, quale ne sia l’entità e quale che sia la difficoltà di provare tale entità.

4) L’art. 1 della legge sull’adozione del 1983 dice che “ogni minore ha diritto alla famiglia”. L ‘art. 29 della Costituzione Italiana definisce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”. E’ vero che ci sono convivenze di tipo familiare (“more uxorio”, come in latino si diceva un tempo), ma è certo che la famiglia nel senso più pieno è quella fondata sul matrimonio.
Ma lasciamo da parte le leggi, che possono sempre cambiare, e guardiamo più da vicino la sostanza delle cose.
Il criterio legislativo che ragionevolmente va scelto è quello del prevalente interesse del figlio. Ora è di tutta evidenza che un bambino per crescere ha bisogno di vivere in un contesto educativo in cui coloro che gli hanno dato la vita, il papà e la mamma, gli vogliano bene e si vogliano stabilmente bene anche tra loro. Questa e la famiglia. Il meglio per un bambino è che coloro che egli chiama papà e mamma lo siano a tutti gli effetti. Cioè dal punto di vista legale e da quello degli affetti. Inoltre per il suo bene è opportuno avere la massima garanzia che il papà e la mamma resteranno sempre uniti.

5) La Libertà religiosa per una persona (ad es. un cittadino di fronte allo stato) viene misurata in base a vari fattori quali la possibilità di cambiare la propria Fede religiosa o di abbandonarla senza limitazioni o ritorsioni da parte di autorità precostituite o l’avere gli stessi diritti dei cittadini che hanno una fede differente, ovvero ancora non essere oggetto di disprezzo o di persecuzione.Essa è tutelata dalla maggior parte degli Stati moderni attraverso Costituzione e, in sede internazionale, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo firmata all’ONU nel 1948. In Italia la Costituzione difende questo diritto agli articoli 3, 7, 8, 19, 20, 117/c a cui si rimanda per approfondimenti. Inoltre concorrono leggi apposite, come il Concordato fra Stato e Chiesa (chiamato nella sua prima stesura col nome di Patti Lateranensi), e intese analoghe fra lo Stato ed altre religioni.
6) La proprietà privata è il diritto di possedere direttamente le cose di cui ciascuno ha bisogno, non solo per il suo mantenimento, ma anche quale ambito in cui affermare liberamente la propria personalità.
La proprietà privata ha dunque un fondamento etico nell’autonomia dell’uomo, che lo porta a non dipendere dalle cose, ma a servirsi di esse, perché se è autonomo, per il libero arbitrio, nel suo agire è responsabile delle sue azioni, questa autonomia deve sussistere anche verso ciò che è oggetto di tale attività.
Sul terreno della proprietà privata si scontrano due ideologie, quella di derivazione liberale e quella marxista.
La prima, con una visione individualistica della natura umana, ha accentuato l’autonomia, senza tener conto di una superiore legge morale e trascurando i doveri sociali dell’uomo. L’altra, al contrario, ha negato tale autonomia, e richiamandosi al diritto di tutti gli uomini di godere dei beni, ha negato la proprietà privata definendola un furto.
In realtà, se la proprietà, attivando l’iniziativa e l’interesse di ciascuno, rappresenta la molla che spinge all’azione l’homo aeconomicus, se la libertà economica è indispensabile ad una società che si fondi sul rispetto dei diritti della persona umana, vi è anche un vincolo morale che ciascuno deve rispettare, ed una funzione sociale che è connessa alla proprietà privata, che deve essere ordinata al raggiungimento del bene comune.
Sul tema la Costituzione Italiana all’art. 42 afferma che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Tale concezione è quella promossa anche dalla dottrina sociale cristiana.
7) Gli art. 41 e 42 Cost. si riferiscono all’iniziativa economica ed alla proprietà privata (per vero, il terzo comma dell’art. 41 riguarda anche l’economia pubblica, ma ciò qui non rileva). L’art. 41 dispone che l’iniziativa economica privata è libera purché non superi i limiti della sicurezza, libertà e dignità umana e – quel che più spesso viene ricordato – si svolga in aderenza alla funzione sociale. La libertà dell’iniziativa economica privata va perciò intesa in senso non illimitato perché essa, se non soggiace alla direzione dello Stato, è pur sempre condizionata dalla prevalente tutela dell’interesse della collettività. Sotto tale profilo, è stato ritenuto che per talune imprese commerciali esercenti anche un servizio di interesse pubblico, quali le farmacie o i laboratori di analisi cliniche, i poteri di intervento del legislatore possono essere più penetranti al fine di assicurare adeguatamente il rispetto dell’utilità sociale (sent. N. 446 (81), nella motivazione e ord. N. 71 (82)).
Correlativamente, quando il pubblico interesse, collegato all’attività imprenditoriale, assuma aspetti sfumati, la libertà di iniziativa economica risulta più ampia e l’esigenza di limitazioni va considerata in relazione alla possibilità di utilizzare strumenti non compressivi, ma piuttosto incentivanti e pertanto intesi a favorire la partecipazione dei privati al perseguimento della generale utilità (ord. N. 31) (83).
La garanzia costituzionale della libertà di impresa non esclude che, tra più aspiranti al suo esercizio, il legislatore possa istituire differenze o graduatorie, attribuendo così la preferenza, anche se trattasi di continuare l’esercizio di imprese già esistenti, a chi possieda una maggiore attitudine ad assicurare la ulteriore e migliore destinazione dei beni aziendali al loro sfruttamento (ord. N. 597 (84), in tema di successione per causa di morte dell’esercizio dell’impresa agricola).
Il contemperamento necessario tra diversi, ed eventualmente contrastanti, interessi relativi all’impiego del medesimo bene produttivo deve essere ispirato in ogni caso al rispetto degli “equi rapporti sociali”, di cui all’art. 44 Cost.: disposizione questa che, pur riferita alla materia agraria, ha una forza espansiva nell’ambito di qualsiasi rapporto di impresa (cfr. sent. Nn. 437 (85) e 692 (86) ord. N. 601 (86 bis)). Più volte la Corte ha affermato che l’autonomia negoziale dei privati riceve una protezione costituzionale soltanto indiretta, ossia in quanto strumento inteso ad attuare l’iniziativa economica. Può allora giustificarsi che, a fini di salvaguardia dell’attività produttiva, vengano introdotte restrizioni alla detta autonomia: ed in tale senso è stata riconosciuta la legittimità delle norme le quali, allo scopo di agevolare il trasferimento del portafoglio delle imprese assicurative poste in liquidazione coatta amministrativa, conservano all’impresa subentrante il potere di disdetta del contratto, non riconoscendolo invece all’assicurato per la durata di due anni (sent. N. 159) (87).
La libertà economica dell’imprenditore è stata ammessa anche per quanto riguarda la scelta del collocamento in cassa integrazione dei lavoratori dipendenti, escludendo peraltro, anche secondo il diritto vivente, che la scelta stessa dipenda dal mero arbitrio del datore di lavoro (sent. N. 694) (88).
Giustificate sono state ritenute le limitazioni disposte, tra l’altro, per motivi di ordine pubblico. Così, ad esempio, quelle che discendono dall’art. 48 della legge reg. Sicilia n. 71 del 1978 (sent. N. 623) (89) e quelle più significative, di cui all’art. 19 l. n. 152 del 1975 che, prevedendo l’estensione delle misure antimafia ad alcune categorie di persone socialmente pericolose (l. n. 575/65), sono apparse alla Corte fonte di una disciplina pienamente razionale, in quanto ispirate al fine di impedire ad individui sospettati di comportamenti illeciti l’ingresso nel mondo economico con il denaro ricavato dall’esercizio di attività delittuose o di traffici illegali (ord. N. 675) (90).
L’istituzione di calmieri è stata ritenuta non riconducibile al fenomeno espropriativi ed alla disciplina per esso dettata dalla Costituzione, ma ricollegabile a limitazioni concernenti l’iniziativa economica privata e finalizzante alla tutela del generale interesse economico e sociale (ord. N. 859) (91).
La Corte ha avuto modo, altesi, di pronunciarsi in materia di iniziativa economica, che deve esercitarsi in maniera da non arrecare danni alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, riaffermando però il proprio potere di controllare la razionalità dei limiti legislativamente fissati in relazione all’utilità sociale (sent. N. 446, cit.) (92), mentre la scelta fra i vari strumenti limitativi adoperabili costituisce compito affidato alla discrezionalità del legislatore (cfr. sent. N. 694 (93) in tema di cassa integrazione), fermo restando il requisito della ragionevolezza delle relative valutazioni.
La necessità di proteggere l’affidamento nella durata legale del contratto, riposto da persone non legate da parentela o coniugio all’inquilino e tuttavia con lui già stabilmente conviventi, ha indotto ad estendere, attraverso una pronuncia additiva (sent. N. 404) (94), la disposizione in tema di successione nel contratto di locazione abitativa (art. 7 l. n. 392 del 1978) anche a persone non espressamente da essa previste. Alla base della pronuncia vi è la considerazione che in tali casi, anche se il contratto è stato formalmente concluso da uno soltanto dei soggetti comunque conviventi, la stipulazione è avvenuta in realtà nell’interesse di tutti gli altri, i quali non possono ragionevolmente rimanere privi, a causa della morte dello stipulante, di un bene indispensabile alla vita dell’individuo.
La tutela costituzionale dell’interesse all’abitazione, quale compito a cui “lo Stato non può abdicare in nessun caso”, è riaffermata nella sent. N. 155 (95), in cui si stabilisce che il canone di locazione nell’edilizia convenzionata non può superare quello fissato per l’edilizia privata, al fine di evitare la grave incongruenza che il destinatario dell’edilizia riservata alle classi meno abbienti subisca un onere finanziario maggiore.

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  1. Silvia

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