Diritto

Materie:Riassunto
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Testo

LO STATO
Lo Stato è un tipo di organizzazione politica sorto dal 400 al 600 in Europa, e poi gradatamente diffuso nel resto del mondo. In Africa per esempio ha cominciato ad esistere solo 40 anni fa, grazie alla decolonizzazione. Per distinguere questa forma di organizzazione politica da quelle del passato viene definito stato moderno.
I vari stati sono molto diversi tra loro: esistono stati democratici e stati autoritari, stati unitari e stati federali, monarchie e repubbliche.
Le caratteristiche dello stato moderno sono:
• Un territorio, che deve essere delimitato da confini;
• Un popolo;
• Un apparato, che esercita un potere politico su quel territorio e sul quel popolo.
Si può utilizzare la parola stato per indicare l’insieme di questi tre elementi, cioè un territorio e un popolo governati da un apparato politico, e si parla quindi di stato comunità. Oppure si può vedere l’apparato politico come un organo a sé rispetto al popolo e al territorio e quindi si parlerà di stato apparato.
Si definisce stato quell’apparato che esercita un potere politico su un determinato territorio e su un determinato popolo.
Nello stato moderno l’apparato che governa è separato dai cittadini che sono governato. L’apparato costituisce lo stato e i cittadini costituiscono la società.
La società civile è costituita dalle relazioni che i cittadini stabiliscono autonomamente tra loro, a seconda dei loro desideri ed interessi.
Lo stato invece è l’apparato stabile che esercita il potere politico sulla società civile, che detta le regole e che si occupa degli interessi comuni a tutti.
La distinzione tra società civile e stato corrisponde anche alla differenza tra pubblico e privato:
- è pubblico ciò che appartiene allo stato e che lo riguarda;
- è privato ciò che appartiene ai singoli cittadini o a gruppi di cittadini che si organizzano nella società civile.
Si parlerà quindi di:
- economia pubblica che comprende le attività produttive, commerciali intraprese dallo stato in base a interessi che lo stato ritiene collettivi;
- economia privata che comprende le attività produttive, commerciali intraprese dai cittadini in base ai loro interessi.
Esistono quindi:
- istituzioni private, che sono le famiglie, le imprese, le società commerciali, le associazioni, le scuole private.
- istituzioni pubbliche, che sono il parlamento, i giudici, la polizia, le scuole pubbliche.
Infine si parla di:
- diritto pubblico, che comprende le norme emanate dallo stato che regolano l’organizzazione dello stato stesso e i suoi rapporti con i cittadini;
- diritto privato, che comprende le norme emanate dallo stato per regolare i rapporti che i cittadini stabiliscono tra di loro.
Lo stato è un’entità astratta, impersonale, invisibile, che non s’identifica con le persone che agiscono a suo nome, ma che sta sopra di esse. È quindi è una persona giuridica, che possiede la capacità giuridica e la capacità d’agire.
La capacità giuridica consiste nel fatto che lo stato può essere titolare di diritti e di doveri verso i cittadini e verso gli altri stati. Ad esempio un cittadino che deve pagare un’imposta non è obbligato nei confronti del funzionario dell’ufficio imposte, ma nei confronti dello stato.
La capacità d’agire consiste nel fatto che lo stato può compiere atti giuridici (come emanare leggi, pronunciare sentenze, stipulare contratti, sottoscrivere trattati internazionali) che hanno effetti giuridici neo confronti dei cittadini o degli altri stati. Dato che lo stato è un’ entità impersonale, esso può agire soltanto attraverso organi che sono costituiti da persone fisiche che agiscono a suo nome.
Lo stato è formato da moltissimi organi, che sono differenti per le competenze, per il modo in cui vengono costituiti, per il criterio con cui le persone vengono affidate ad ognuno di essi.
Ogni organo agisce per nome e per conto dello stato.
Dal punto di vista della composizione esistono:
• organi monocratici, formati cioè da una sola persona fisica, che può agire da sola in nome dello stato, come per esempio il presidente della repubblica, il presidente del consiglio, il prefetto, il giudice di pace;
• organi collegiali, formati da più persone fisiche che devono esprimere congiuntamente la volontà dell’organo, come ad esempio la camera dei deputati, il consiglio dei ministri, la corte costituzionale, la corte d’appello.
• Organi complessi, che sono organi formati da più organi, come ad esempio il governo che è formato dal presidente del consiglio, dai ministri e dal consiglio dei ministri.
Dal punto di vista delle funzioni che svolgono esistono:
• Organi legislativi;
• Organi giudiziari;
• Organi esecutivi;
• Organi amministrativi.
Per scegliere le persone fisiche che ricoprono gli incarichi pubblici c’è una distinzione tra:
• Organi politici che hanno il compito di prendere decisioni che riguardano la collettività (negli stati democratici derivano dall’investitura popolare. I membri eletti dai cittadini hanno un mandato temporaneo, come ad esempio il parlamento, il governo, il presidente della repubblica).
• Organi burocratici che hanno il compito di mettere in pratica le decisioni prese dagli organi politici. Sono costituiti da funzionari e impiegati, eletti stabilmente tramite un concorso, come ad esempio polizia, esercito, scuole.
• Organi costituzionali: hanno il compito di definire l’indirizzo politico generale dello stato e si trovano al vertice dello stato. Le loro funzioni sono stabilite dalla Costituzione. In Italia sono il parlamento, il governo, il presidente della repubblica e la corte costituzionale.
In tutti gli stati contemporanei il potere politico non è esercitato solo dallo stato, ma anche da altre persone giuridiche pubbliche. Questi sono gli enti pubblici territoriali, cioè regioni, province e comuni, che riproducono in piccolo le caratteristiche dello stato: sono infatti formati da un territorio, da un popolo e da un apparato.
Esistono anche degli enti pubblici non territoriali, che sono dotati di personalità giuridica distinta dallo stato e svolgono particolari funzioni, come ad esempio la Banca d’Italia o l’Inps.
In tutte le società esistono alcune forme si potere diverse dal potere politico.
• Potere economico, è il potere esercitato da coloro che detengono le ricchezze e i particolari mezzi di produzione (come ad esempio i banchieri, gli industriali e i proprietari) e proprio per questo possono costringere altri ad avere determinati comportamenti.;
• Potere spirituale, cioè potere esercitato dalle chiese sui fedeli in materia di fede, di comportamenti morali e di pratiche di culto.
• Potere ideologico, è quello degli intellettuali che possono influenzare gli altri attraverso la formulazione e la diffusione di certe idee.
Ciò che distingue il potere politico da tutti gli altri poteri è il fatto che si può ricorrere all’uso della forza per ottenere il rispetto dei propri comandi. Tutti i cittadini infatti sanno che se non rispettano le norme emanate dallo stato, possono essere privati con la forza delle loro proprietà, della libertà e in alcuni paesi anche della vita.
Lo stato non detiene semplicemente la forza, ma il monopolio della forza. La prima ragione dell’esistenza di uno stato è di impedire ai cittadini di usare la forza nelle loro relazioni, ne a scopo offensivo ne a scopo difensivo. I cittadini non possono farsi giustizia da soli. Qualsiasi atto violento compiuto da un soggetto che non sia lo stato è considerato illegittimo.
Non basta semplicemente che lo stato abbia il monopolio della forza, ma deve anche possedere quei mezzi necessari, quali esercito e polizia, che intervengano con la forza dove è necessaria, per rendere quindi questo monopolio effettivo. Ovviamente lo stato non deve ricorrere sempre all’utilizzo della forza per farsi obbedire.
Sovranità e indipendenza
Lo stato è un ente sovrano, cioè significa che sta al di sopra e che non riconosce nessun altro potere superiore al suo. La sovranità di uno stato si manifesta sia all’interno del proprio territorio, cioè potere esclusivo di usare la forza nei confronti dei suoi cittadini; sia verso l’esterno, cioè nei confronti degli altri stati. Ogni stato ha diritto di impedire qualsiasi intervento di un altro stato sul proprio territorio.
Le relazioni che interrcorrono tra i vari stati sono regolate da norme giuridiche che formano il diritto internazionale.
Limitazione della sovranità
i limiti possono essere distinti tra limiti incontrati sul piano internazionale e limiti incontrati sul piano interno.
• Sul piano internazionale l’aumento delle relazioni tra gli stati ha portato gli astati stessi ad assumere vincoli e legami limitando volontariamente la propria sovranità. Questi vincoli derivano dall’adesione a trattati, alleanze e organizzazioni internazionali. In Europa esiste un organizzazione sopranazionale, l’Unione europea, che ha il potere di emanare delle leggi che sono efficaci negli stai membri.
• Sul piano interno:
- l’affermazione della sovranità popolare ha posto lo stato sotto il controllo dei cittadini. Il potere legislativo è affidato a rappresentanti eletti dal popolo. Inoltre il popolo con il referendum può decidere sulle leggi dello stato.
- La sovranità dello stato è sottoposta a norme giuridiche (Costituzione e le leggi) e i cittadini possono rivolgersi ai giudici quando lo stato non rispetta le norme.
- All’interno dei confini dello stato operano altri enti territoriali che svolgono funzioni di governo sui territori di loro competenza.
Lo stato di oggi è meno sovrano rispetto a cento anni fa. Sul piano internazionale contano di più le organizzazioni internazionali come l’Onu e l’Unione europea; sul piano interno contano sempre di più le singole regioni e le grandi città.
Sul piano internazionale gli apparati militari appartengono ancora solamente agli stati, non esistono eserciti sopranazionali capaci di imporre con la forza ai singoli stati le decisioni prese dagli organismi internazionali.
Territorio
La delimitazione esatta del territorio è molto importante perché consente di stabilire con precisione fin dove arrivano i poteri di uno stato e dove cominciano i poteri di un altro stato.
Il territorio di uno stato comprende quella parte di terraferma che è delimitata da confini. I confini sono stabiliti attraverso accordi tra gli stati confinanti. Se questo accordo viene a mancare, per esempio perché uno stato rivendica un territorio che un altro stato considera proprio, inizia un conflitto territoriale, che può risolversi pacificamente attraverso trattati o ricorrendo al giudice internazionale(come la corte dell’Aia) oppure attraverso la guerra. Al termine del conflitto verranno ridisegnati i confini a seconda dell’esito della guerra.
Oltre alla terraferma il territorio di uno stato comprende:
• Il sottosuolo fino alla profondità raggiungibile dall’uomo (importante per le risorse minerarie che il sottosuolo possiede);
• Lo spazio atmosferico che si trova al di sopra della terraferma. Lo stato ha diritto di impedire a qualsiasi aereo di sorvolare sul suo territorio senza un’autorizzazione. La sovranità non si estende oltre l’atmosfera.
• Le acque territoriali che comprendono il tratto di mare lungo le coste. L’ampiezza delle acque territoriali è di 12 miglia dalla costa. Oltre le 12 miglia inizia il mare aperto.
• Le navi e gli aerei di uno stato anche se si trovano in altri confini.
Le sedi diplomatiche godono di un’ “immunità”, infatti lo stato che le ospita non può intervenire con la forza in questi edifici.
Popolo
Il popolo di uno stato è formato da tutti coloro che sono riconosciuti come cittadini dello stesso stato. La parola cittadino è stata introdotta durante la rivoluzione francese in sostituzione della parola suddito, per sottolineare che gli appartenenti alla comunità non hanno soltanto il dovere di obbedire, ma anche dei diritti nei confronti dello stato.
Ogni stato stabilisce le norme in base alle quali una persona è riconosciuta come cittadino. Queste norme però non sono uguali in tutti gli stati e può capitare che una persona sia cittadina di più stati o che sia apolide, cioè senza cittadinanza.
In una situazione demografica stabile non ci sono problemi riguardo alla cittadinanza, infatti sono cittadini di uno stato tutti coloro che vivono stabilmente entro i suoi confini.
Il problema della cittadinanza nasce diventa complesso nelle epoche di forti flussi migratori.
Il riconoscimento della cittadinanza si basa su due criteri:
• Diritto di sangue, cioè la cittadinanza è riconosciuta solo ai figli di cittadini, ovunque siano nati e ovunque risiedano. Questo criterio è di tipo etnico, non conta dove una persona vive, ma da chi discende.
• Diritto del suolo, cioè sono cittadini tutti coloro che nascono nel territorio dello stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, oppure tutti coloro che risiedono legalmente per un certo numero di anni entro i confini dello stato. Questo criterio è di tipo territoriale, sulla base della residenza, non conta infatti il gruppo etnico, ma conta dove una persona è nata o vive stabilmente.
Alcuni stati adottano un sistema misto. In altri come ad esempio la Germania prevale il principio etnico. In altri ancora come la Francia prevale il principio territoriale.
L’Italia adotta un sistema misto. Secondo la legge la cittadinanza italiana può essere acquisita in tre modi, per nascita, matrimonio o per concessione.
• È cittadino per nascita il figlio di padre o madre italiani, anche se nato all’estero, è necessario quindi che anche un solo genitore possieda la cittadinanza.
• Diventa cittadino per matrimonio lo straniero o la straniera che sposa una cittadina o un cittadino italiano, purché lo straniero risieda da almeno 6 mesi al momento del matrimonio.
• Può diventare cittadino per concessione lo straniero che possiede certi requisiti (come per esempio essere residente in Italia per un certo numero di anni) e presenta domanda al capo dello stato. In questo caso la cittadina è concessa con decreto del presidente della repubblica.
La cittadinanza italiana può essere persa:
• Quando il cittadino vi rinuncia;
• Quando il cittadino accetta in un governo straniero, un impiego che comporta l’obbligo di fedeltà verso di esso.
Se un cittadino italiano riceve una cittadinanza straniera, per matrimonio per esempio, non perde la cittadinanza italiana.
Nell’ultimo decennio l’emigrazione degli italiani all’estero è quasi cessata mentre ha cominciato a crescere il numero degli immigranti stranieri nel nostro paese.
La legge italiana fa una distinzione tra due tipi di stranieri:
• I cittadini dei paesi aderenti all’Unione europea, che godono della condizione comune di cittadini europei e possono soggiornare liberamente nei in qualsiasi stato membro.
• I cittadini extracomunitari, cioè gli stranieri provenienti da paesi esterni dalla Comunità europea.
DIRITTO D’ASILO: viene concesso a chi è perseguitato nel suo paese per motivi religiosi. Possono venire nel nostro paese, perché è libero.
A volte si parla di nazione come sinonimo di stato, ma questo non è corretto. Questo perché per formare una nazione ci vogliono più elementi rispetto a quelli necessari per formare uno stato. La nazione riguarda il popolo, la cultura, gli usi, i costumi, la religione, la lingua. Quindi lo stato non sempre coincide con la nazione. In Irlanda per esempio prevale la nazionalità, perché rifiutano di sentirsi inglesi. Anche in Spagna ci sono delle etnie che vogliono la loro indipendenza,come i baschi o i catalani, quindi lo stato non coincide con la nazione. In svizzera pur essendoci diverse etnie, fanno tutti parte di un’unica nazione e di un unico stato. Quando si tenta di far coincidere lo stato e la nazione, si posso no creare dei problemi, come è successo in ex – Jugoslavia.
La costituzione
La costituzione è l’insieme dei principi fondamentali che stanno alla base dell’ordinamento giuridico di uno stato o più semplicemente è la legge fondamentale dello stato.
Essa stabilisce le norme di base a cui tutte le leggi dello stato devono ispirarsi e fissa i principi a cui lo stato deve attenersi nell’esercizio del potere politico. Negli stati contemporanei si presenta sotto la forma di un documento scritto, in cui i principi fondamentali sono indicati in modo solenne e sintetico.
Stato assoluto: il potere del sovrano è giuridicamente illimitato.
Stato costituzionale: la sovranità è sottoposta ai principi fondamentali della costituzione.
Il passaggio dallo stato assoluto allo stato costituzionale è dovuto alle rivoluzioni della borghesia nel 700 e 800, a partire da quella americana.
Lo scopo essenziale delle costituzioni è di proclamare solennemente i diritti inviolabili dei cittadini.
In Gran Bretagna non è mai stata emanata una costituzione scritta. Ancora oggi le norme costituzionali dello stato britannico non sono contenute in un unico documento, ma in varie leggi emanate in periodi storici diversi e sono in parte formate da norme consuetudinarie.
Le costituzioni sono testi brevi, contengono infatti solo le disposizioni di carattere generale e lasciano alle leggi ordinarie il compito di fissare norme più particolareggiate. Ad esempio la costituzione italiana contiene 139 articoli, mentre il codice civile quasi 3000 e il codice penale oltre 700.
Nel corso della storia vi è stata la tendenza di estendere il contenuto delle costituzioni.
Le costituzioni liberali dell’800 sono dette costituzioni brevi, infatti avevano un contenuto particolarmente ristretto. Si limitavano infatti a elencare in modo sintetico le fondamentali libertà dei cittadini e ad affidare il potere legislativo al parlamento.
L’ampliamento dei compiti dello stato, avvenuto nel 900, ha portato alla stesura di costituzioni lunghe che disciplinano in modo più scrupoloso le garanzie di libertà dei cittadini a fissano i fini e i limiti che lo stato deve seguire per intervenire nella società e nell’economia.
Il contenuto di ogni costituzione varia a seconda delle epoche e a seconda del tipo di stato. Le costituzioni tendono a regolare due questioni:
• I rapporti tra lo stato e la società civile, quindi le libertà dei cittadini e i poteri d’intervento dello stato nella società;
• L’organizzazione interna dello stato, quindi gli organi dello stato, i loro rapporti ecc.
Un’altra differenza tra le costituzioni riguarda la posizione che assumo all’interno di un ordinamento giuridico.
Ogni costituzione, essendo legge fondamentale dello stato, si trova in posizione superiore rispetto alle altre leggi.
Esistono:
• costituzioni flessibili, cioè che non prevedono particolari meccanismi giuridici per garantire che tale superiorità fosse veramente mantenuta. Quindi le norme di queste costituzioni possono essere modificate dal parlamento con semplici leggi ordinarie (come era accaduto allo Statuto Albertino).
• Costituzioni rigide, cioè che i cambiamenti al testo della costituzione possono essere apportati soltanto attraverso una particolare procedura più lunga e più complessa rispetto a quella dell’approvazione delle leggi ordinarie. Tutto questo è fatto per fare in modo che qualsiasi mutamento della costituzione venga deciso con un’adeguata riflessione e con un ampio consenso.
Le leggi ordinarie non possono contenere disposizioni contrastanti con le norme costituzionali. Le costituzioni rigide prevedono che le leggi siano poste ad un controllo di costituzionalità, a cui spetta il compito di eliminare quelle disposizioni in contrasto con la costituzione. Negli Stati uniti questo controllo è affidato a giudici ordinari, in Italia questo compito è affidato alla corte costituzionale.
Le costituzioni dell’800 erano flessibili perché avevano lo scopo di garantire la borghesia contro i poteri del sovrano mediante l’istituzione di un parlamento elettivo dotato di potere legislativo. Il parlamento però era eletto a suffragio ristretto ed era quindi formato solo dai rappresentanti della borghesia il parlamento dava quindi garanzie a favore della propria classe.
Nel 900, in seguito dell’introduzione del suffragio universale, i parlamenti erano formati dai rappresentanti di tutte le classi sociali e da partiti politici. Diventa quindi importante contrapporre le norme della costituzione al di sopra del parlamento in modo da impedire che esse possano essere modificate da qualsiasi maggioranza parlamentare.
Le costituzioni vengono emanate quando si verifica un profondo cambiamento politico, quando cioè un nuovo regime si sostituisce al vecchio. Le costituzioni possono essere concesse dall’alto o dal basso. Sono costituzioni concesse dall’alto le costituzioni liberali dell’800 che furono emanate dai sovrani per rispondere a pressioni popolari. Con questo atto i sovrani rinunciavano al potere assoluto e riconoscevano i diritti dei cittadini e la sovranità del parlamento. Di questo tipo è lo Statuto Albertino, concesso nel 1848 da Carlo Alberto.
Le costituzioni concesse dal basso furono concesse a seguito a un mutamento, pacifico o violento, del regime politico oppure a seguito della conquista dell’indipendenza. In questi casi le forze politiche convocavano un’assemblea costituente, formata da rappresentanti eletti dal popolo, per redigere il testo della costituzione.
Le costituzioni sono il risultato di un patto concluso tra le forze politiche dominanti.
Le costituzioni liberali dell’800 concesse dai sovrani sancivano un patto tra nobiltà e borghesia. Le costituzioni democratiche del 900, concesse dal basso, rappresentano un patto tra un insieme più largo di forze politiche e di gruppi sociali.
I gruppi politici che hanno aderito al patto costituzionale hanno uno specifico interesse a rispettarlo e a pretendere che gli altri lo rispettino, perché altrimenti l’equilibrio politico sociale potrebbe rompersi e provocare gravi conseguenze.
FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
Lo stato moderno è caratterizzato dall’esistenza di un apparato politico centrale che detiene la sovranità all’interno di un determinato territorio. Le strutture tipiche degli stati contemporanei sono il risultato di un processo storico iniziato in Europa alla fine del feudalesimo. In quel periodo esistevano diversi centri di potere, che iniziano a sparire con la nascita delle monarchie nazionali, che si formano in Francia, Spagna e Inghilterra a partire dal ‘400.
Si consolida così il potere dei sovrani e nascono delle nuove strutture organizzative, che saranno poi quelle tipiche degli stati moderni:
- un esercito permanente;
- una burocrazia formata da funzionari centrali e periferici;
- un sistema fiscale capace di far affluire nelle casse dello stato, i proventi delle imposte;
- una legislazione uniforme su tutto il territorio dello stato.
LO STATO ASSOLUTO
La forma di stato che emerge in questo periodo è quella dello stato assoluto, dove il sovrano è al di sopra della legge e tutti i poteri sono in mano sua. Nella storia ci sono stati diversi modelli di stato assoluto, come in Spagna e in Francia. In Inghilterra il fenomeno è meno accentuato, perché stava prendendo sempre più potere la borghesia.
Questa forma di stato entra in crisi con il passare del tempo, perché l’uso della forza non è più giustificato.
LO STATO LIBERALE
Sul finire del ‘700 si rompe l’equilibrio tra borghesia e nobiltà, che aveva permesso in passato la formazione dello stato assoluto. La rottura avviene in diversi momenti: prima con la rivoluzione inglese nel 1640, poi quella americana nel 1776 ed infine con quella francese nel 1789. Queste rivoluzione contribuiscono a definire un nuovo modello di stato che è lo stato liberale.
Lo stato liberale è soprattutto uno stato costituzionale, dove il potere politico è sottoposto ad una costituzione che stabilisce i diritti dei cittadini, ponendo un freno all’azione dello stato. Questa forma di stato adotta la divisione dei poteri suggerita a Montesquie, quindi: il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere esecutivo devono essere affidati ad organismi differenti e autonomi tra loro. Il potere esecutivo rimane nelle mani del re, il potere legislativo è affidato ad un parlamento composto da due camere, la camera alta che rappresenta l’aristocrazia e la camera bassa che rappresenta la borghesia. Infine il potere giudiziario è affidato ai giudici.
I primi stati liberali non erano democratici, perché era uno stato fondato su una base sociale ristretta. Questo perché il suffragio era limitato in base al censo e la maggioranza della popolazione era quindi esclusa dal diritto di voto. Lo stato liberale è uno stato elitario, cioè retto da una piccola minoranza, a cui potevano accedervi tutti, perché non era ereditario come nello stato assoluto, ma si basava sulla ricchezza. Infine lo stato liberale è limitato, nel senso che i suoi compiti si limitano ad assicurare che le relazioni tra i cittadini si svolgano nell’ordine, nella sicurezza e nel rispetto delle libertà altrui. Per il resto lascia fare ai privati, non intervenendo per realizzare il benessere e la felicità dei cittadini e non cerca di correggere le differenze sociali o di aiutare i più deboli.
La principale debolezza dello stato liberale sta, quindi, nell’incapacità di affrontare le questioni di ordine sociale che con il rapido sviluppo dell’industria e la formazione della classe operaia diventano, nel corso dell’800 sempre più forti. Gli operai iniziano a pretendere, tramite i sindacati, i loro diritto, perché sono costretti a subire pesanti condizioni di lavoro e a vivere ai limiti della sopravvivenza a causa dei bassi salari. All’inizio si crea l’assistenzialismo, ovvero lo stato interviene ad aiutare i più poveri, ma non interviene ancora nell’economia.
Nasce così il movimento operaio e questi si battono per ottenere migliori condizioni salariali e di lavoro. Queste esigenze sono portate avanti dai partiti socialisti che sono le prime organizzazioni politiche di massa. Gli esiti di questi movimenti sono diversi: in alcuni stati la borghesia cerca di mantenere la propria egemonia, favorendo la nascita di un regime autoritario (stato fascista); in altri stati, invece, i partiti della classe operaia conquistano il potere politico e fondano un nuovo regime, come per esempio in Russia (stato socialista); e in altri, infine lo stato liberale concede qualche diritto evolvendosi lentamente in uno stato democratico, basato su un compromesso tra operai e borghesi.
LO STATO FASCISTA
In Italia prevalse la repressione con la nascita dello stato fascista, che nacque come reazione della classe dominante e di quelle medie contro la classe operaia. Questo favorisce l’avvento di un regime autoritario in grado di imporre con la forza l’ordine e la disciplina, per eliminare i conflitti sociali.
Nello stato fascista vengono abolite le libertà civili e politiche, con la repressione delle elezioni. Non sono più ammessi scioperi e le organizzazioni sindacali. Viene limitata la libertà di opinione e la stampa è sottoposta a censura. Restano, invece le libertà economiche e il diritto di proprietà privata, anche se presto verranno limitate anche queste. Tutto questo viene fatto anche perché si temeva che la rivoluzione russa, dove pensavano che per ottenere il socialismo bisognava usare la forza, potesse estendersi anche in Italia, dove nel 1921 il partito socialista si spacca in due, perché una parte è rivoluzionaria (comunisti d’accordo con i russi)) e una parte è più moderata.
Nelo stato fascista spicca la figura di un capoo, che è un uomo forte che riesce ad esercitare personalmente tutti i poteri. Il parlamento perde dunque il suo carattere elettivo.
Viene definito stato totalitario nel senso che pretende di dirigere dall’alto tutti gli aspetti della vita privata dei cittadini, come per esempio l’arte e la cultura che sono assoggettate alle ideologie del regime.
LO STATO SOCIALISTA
Nella forma di governo socialista, che nasce nel 1892, emerge il proletariato e il supporto ideologico è quello di Karl Marx, che definiva il contrasto tra il proletariato e la borghesia inevitabile e permanente. L’idea portante del socialismo è quella della dell’eguaglianza economico – sociale. Nasce quindi come critica alla società liberale, che era basta sulle disuguaglianze tra uomini.
La lotta tra le classi (borghesia e proletariato) cercherà di eliminare qualsiasi classe e di eliminare il capitalismo. Volevano creare una società dove la proprietà privata fosse abolita e tutti i mezzi di produzione appartenessero allo stato e questa è la caratteristica fondamentale dello stato socialista.
Questa forma di stato entra in crisi, perché non poteva reggere il confronto con il capitalismo, soprattutto sul piano economico, perché l’economia era stagnante.
LO STATO DEMOCRATICO
Lo stato democratico è il risultato della trasformazione avvenuta nello stato liberale in conseguenza delle conquiste politiche e sociali delle classi popolari. Per un verso lo stato democratico mantiene gli aspetti tipici dello stato liberale da cui deriva e viene perciò anche designato come stato liberal-democratico; per altri versi introduce, però, elementi nuovi che lo contrappongono al regime liberale e permettono di considerarlo come una forma di stato diversa e distinta dalla precedente. Attualmente lo stato democratico è la forma di stato tipica di tutte le società ricche e industrializzate.
La caratteristica fondamentale dello stato democratico è quella di reggersi su un compromesso tra le classi sociali: a differenza dello stato liberale, le classi popolari godono dei diritti politici e partecipano alla vita dello stato; a differenza dello stato socialista la libertà di iniziativa economica resta e la borghesia conserva il controllo sui mezzi di produzione.
L'elemento che permette più immediatamente di distinguere lo stato democratico dallo stato liberale è la presenza del suffragio universale: tutti gli uomini e tutte le donne adulti hanno il diritto di votare e di essere eletti. Alla base dello stato democratico c’è un parlamento elettivo, espressione della sovranità popolare, in cui sono rappresentati gli interessi, le idee, gli orientamenti di gruppi sociali diversi.
Il principio su cui si fonda lo stato democratico è perciò quello del pluralismo che considera come un elemento positivo per permettere l'esistenza di una pluralità di interessi, di opinioni, di organizzazioni.
Le decisioni politiche vengono prese a maggioranza e hanno valore per tutti, minoranza compresa. In secondo luogo la minoranza, pur dovendo rispettare le decisioni della maggioranza, ha diritto di esprimere pubblicamente il suo dissenso e cercare di cambiarle. Infine la minoranza deve avere la possibilità di diventare maggioranza e di assumere a sua volta il governo del paese (alternanza al potere).
L'esistenza del suffragio universale implica un'altra conseguenza,ovvero che essendoci tantissimi elettori, è necessario che esistano delle organizzazioni che siano in grado di unirli e di rappresentarli nello stato: i partiti politici.
I partiti non sono, però, l'unico tipo di organizzazione presente nello stato democratico. Le organizzazioni più importanti sono i sindacati dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro. Non esistono solo questi, ogni categoria, ogni ceto sociale, ogni gruppo professionale è organizzato in associazioni.
Il più rilevante mutamento che si è verificato dallo stato liberale allo stato democratico riguarda l’ampliamento dei compiti dello stato. Lo stato democratico non si limita a garantire l'ordine e ad assicurare il rispetto delle leggi ma interviene attivamente in campo sociale e in campo economico. Viene chiamato: stato interventista, stato assistenziale o stato sociale.
Questa profonda trasformazione è avvenuta sotto la spinta di due esigenze diverse: la pressione esercitata dalle richieste e dalle lotte popolari e le ricorrenti crisi economiche.
L’ avanzata dette classi popolari ha indotto lo stato ad assumersi il compito di correggere le disuguaglianze e gli squilibri sociali creati da un regime di libertà economica incontrollata e di adottare provvedimenti a favore degli strati più deboli (servizi pubblici, assistenza sociale ecc.).
Le crisi economiche, e soprattutto la grande crisi iniziata nel 1929 negli Stati Uniti, hanno mostrato che il mercato non era in grado di trovare spontaneamente il proprio equilibrio e che, al contrario, la libera azione delle forze di mercato poteva portare a periodi di depressione e di disoccupazione di massa.
Lo stato interviene erogando servizi pubblici e contributi assistenziali, controllando l'andamento dell'economia, adottando strumenti di pianificazione o di programmazione dell'economia.
Il massimo sviluppo dello stato sociale è avvenuto negli anni Sessanta in concomitanza con una fase di grande espansione economica. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta questo modello ha cominciato ad entrare in crisi, perché all’interno dei partiti si era creata una grande corruzione e si comincia così a parlare di liberalismo e di privatizzazione dei servizi.
Tutte queste forme di stato possono avere diverse forme di governo. X es negli Stati Uniti c’è uno stato democratico e la forma di governo è quella presidenziale.
TEORIA DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI
- funzione legislativa, che consiste nel fare le leggi e stabilire perciò le norme generali e astratte a cui tutti i soggetti dello stato si devono attenere;
- funzione esecutiva o amministrativa, che consiste nel realizzare in modo pratico e concreto i fini che lo stato si propone, entro i limiti stabiliti nelle leggi;
- funzione giurisdizionale, che consiste nel risolvere le controversie tra i cittadini in base alla legge e nel giudicare sulle violazioni delle leggi.
FORME DI GOVERNO
- PRESIDENZIALE:
La tipica forma di governo presidenziale è quella che fu adottata nella costituzione degli Stati Uniti d'America del 1787. I costituenti americani, dovendo fondare un nuovo stato, presero come modello la forma di governo esistente in quel momento in Inghilterra che era di tipo costituzionale, adottando i principi della separazione dei poteri. Essi sostituirono al sovrano un presidente eletto direttamente dal popolo, che conservò gli ampi poteri di cui il re in quell'epoca ancora disponeva.
Il sistema presidenziale è di tipo dualistico: il potere esecutivo e il potere legislativo sono, infatti, affidati a due organi separati e del tutto indipendenti tra loro che vengono eletti direttamente dal popolo. Il presidente è titolare del potere esecutivo ed è contemporaneamente capo dello stato (riunisce, in sostanza, le due cariche che, nei sistemi parlamentari, spettano rispettivamente al capo del governo e al presidente della repubblica). Egli viene eletto direttamente dal popolo ogni 4 anni e non è responsabile di fronte al parlamento. Ciò significa che il parlamento non può costringerlo alle dimissioni con un voto di sfiducia e che pertanto il suo mandato quadriennale non può essere interrotto (tranne in presenza di comportamenti illegali del presidente).
Il presidente della repubblica esercita il potere esecutivo attraverso i propri ministri. La supremazia del presidente rispetto ai ministri è molto netta. Essi sono responsabili unicamente di fronte al presidente, e possono essere da lui revocati e sostituiti.
Il potere legislativo è affidato a un parlamento eletto direttamente dal popolo. Il parlamento è indipendente dal presidente che non ha il potere di sciogliere il parlamento e di indire elezioni anticipate e pertanto i parlamentari restano in carica fino alla fine del loro mandato, qualunque sia la politica che essi adottano.
La completa indipendenza dei due poteri fondamentali fa sì che entrambi siano forti, ciascuno nel proprio ambito di competenza: il presidente ha un ampio potere nelle scelte politiche e amministrative, ma è limitato dalle norme di legge emanate, in piena autonomia, dal parlamento.
Tra i poteri del parlamento c’è anche quello dell'approvazione del bilancio dello stato, con il quale esso delibera le entrate e le spese dell'amministrazione, esercitando un incisivo controllo sull'azione del presidente.
Un sistema di tipo semi-presidenziale è stato adottato anche in Europa dalla costituzione francese del 1958 che ha segnato il passaggio dalla IV alla V repubblica. Anche qui il potere esecutivo fa capo ad un presidente della repubblica, eletto direttamente dal popolo ogni 7 anni e non responsabile di fronte al parlamento. Però i due principali poteri dello stato non sono così nettamente indipendenti fra loro come negli Stati Uniti: il presidente della repubblica nomina un governo che deve avere la fiducia del parlamento (e può quindi essere costretto a dimettersi); d'altra parte il presidente può sciogliere le camere, nel caso queste non rispecchiano la sua linea politica.
- PARLAMENTARE
La forma di governo parlamentare deriva dall'evoluzione degli stati liberali europei dell'Ottocento ed è attualmente la forma di governo più diffusa in Europa. Essa può essere adottata sia da stati monarchici che da stati repubblicani:
- nelle monarchie parlamentari la funzione di capo dello stato è assunta da un re, nominato per via ereditaria e dinastica;
- nelle repubbliche parlamentari la carica di capo dello stato spetta invece a un presidente della repubblica eletto, con un mandato temporaneo, dal parlamento.
Alla base dello stato c’è un unico potere, quello del parlamento, che è eletto direttamente dal popolo; a esso non compete soltanto la funzione legislativa (come nei sistemi presidenziali), ma anche il compito di nomianre il governo e di controllarne l'operato. Infatti il governo, che detiene il potere esecutivo, deve avere la fiducia del parlamento.
il governo e a volte il capo dello stato,però, possono sciogliere il parlamento e indire delle elezioni anticipate.
L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
LE RELAZIONI INTERNAZIONALI
Le relazioni che si stabiliscono tra gli stati costituiscono un particolare tipo di società che viene chiamata società internazionale o comunità internazionale. I soggetti che vi partecipano sono costituiti dagli stati, ovvero da quegli apparati che all’interno di ogni stato detengono il potere politico.
Le relazione tra gli stati si basano su un piano si parità, ovvero tutti gli stati sono giuridicamente uguali e hanno gli stessi diritti. Come ogni stato ha un suo diritto interno,m anche nella società internazionale ci sono norme giuridiche che regolano i rapporti tra gli stati e l’insieme di queste norme costituisce il diritto internazionale.
Mentre all’interno della nazione esiste un’autorità superiore che sia in grado si imporre, anche con la forza, il rispetto delle norme, nella società internazionale non esiste nessuna autorità superiore agli stati, che abbia il potere di emanare leggi e di farle rispettare con la forza. Questa mancanza di un potere superiore agli stati potrebbe portare ad una situazione di guerra premanente tra gli stati. Questo però di solito non avviene perché tra gli stati si forma un equilibrio che nessuno degli stati avrebbe vantaggio a rompere. In pratica gli stati possono violare le norme internazionali, ma se lo fanno, rompono l’equilibrio e vanno incontro alle reazioni degli altri stati, es sanzioni economiche o guerre.
Gli stati sono tutti uguali sul piano giuridico (sono infatti tutti ugualmente sovrani), ma sostanzialmente non sono tutti uguali perché esistono stati più forti, grandi, ricchi e stati deboli, piccoli e poveri. Quindi l’equilibrio internazionale finisce per essere determinato dai rapporti che ci sono tra gli stati più grandi, più forti e più ricchi, che vengono anche definiti “grandi potenze”.
Per oltre 40 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, il mondo fu retto da un equilibrio bipolare, cioè un equilibrio basato su due poli principali, che sono le due superpotenze USA e URSS, che avevano una diretta influenza su una serie di stati minori. Questo equilibrio si basava sull’esistenza di una parità militare che le due superpotenze cercavano continuamente di scavalcare o di riaffermare e per questo era definito equilibrio del terrore.
Dall’inizio degli anni 90 la situazione però è cambiata. Questo cambiamento anche alla scomparsa si di una di queste due potenze, l’URSS, con il crollo dei regimi comunisti. Con questo avvenimento sono finite le ostilità tra Russia e USA, e hanno raggiunto degli accordi per la riduzione degli armamenti nucleari.
Ora non è facile prevedere quale tipo di equilibrio internazionale si creerà, ma sta già nascendo un contrasto tra nord e sud del mondo. In pratica un conflitto tra i paesi ricchi e industrializzati del nord America, dell’Europa e dell’Asia orientale e quei paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e del sud America, dove vive la maggioranza della popolazione mondiale.
LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Le norme del diritto internazionale possono derivare da due fonti: consuetudine e i trattati.
Consuetudine: numerose norme del diritto internazionale si sono formate per via consuetudinaria attraverso i secoli, con lo sviluppo dei rapporti tra gli stati. Per esempio l’immunità delle sedi diplomatiche, le procedure per le stipulazioni dei trattati, l’estensione della sovranità degli stati nell’atmosfera, nel sottosuolo e nelle acque territoriali. Si tratta di norme non scritte che hanno una portata generale, ovvero vengono riconosciute da tutti gli stati.
Trattati: sono accordi tra due o più stati che regolano questioni di interesse comune su un piano di reciprocità. Questi trattati vincolano gli stati che li hanno sottoscritti, e non hanno quindi portata generale. I trattati sono preceduti da trattative che si svolgono tra i rappresentanti del governo di ogni stato, che sottoscriveranno il trattato nel momento in cui si raggiunge un accordo. Dopo la firma il trattato deve essere sottoposto alla ratifica (approvazione) da parte degli altri organi dello stato, per esempio l’accettazione del parlamento. da questo momento in poi il trattato entra in vigore. Quando i trattati vengono conclusi da soli due stati si chiamano bilaterali, un esempio è la definizione dei confini. Se invece i trattati riguardano più stati sono chiamati multilaterali, per esempio circolazione delle merci.
LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
In molti casi i trattati multilaterali danno vita ad organizzazioni permanenti che vigilano, al di sopra degli stati, sull’osservanza dei trattati stessi e che hanno il potere di prendere iniziative internazionali nelle materie di loro competenza. Queste vengono chiamate organizzazioni internazionali.
L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONE UNITE (ONU)
La più importante organizzazione internazionale è l’ONU. Questa fu fondata subito dopo la seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici del conflitto, mediante l’approvazione della carta di san Francisco (26/06/45), che rappresenta l’accordo giuridico multilaterale che costituisce lo statuto dell’ONU. A questa nuova organizzazione fu assegnato il compito di mantenere la pace tra gli stati. Inizialmente gli stati aderenti erano 50, poi sono diventati 188, grazie all’adesione di nuovi stati indipendenti. L’ONU ha sede a New York nel “palazzo di vetro” e o suoi organi principali sono:
-l’assemblea generale, che viene convocata una volta all’anno e riunisce tutti gli stati membri. Quest’assemblea ha il potere di adottare risoluzioni su qualsiasi argomento di carattere internazionale, con votazioni a maggioranza (ogni stato ha diritto ad un voto).
-consiglio di sicurezza, che ha il potere effettivo, cioè il potere di decidere degli interventi concreti. È un organo formato da 15 stati membri, di cui 10 sono eletti ogni 2 anni dall’assemblea generale 5 sono membri permanenti. I membri permanenti sono USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina. Ognuno di questo stati ha il diritto di veto su ogni decisione del consiglio di sicurezza, e quindi possono impedire qualsiasi intervento.
-segretariato generale, che viene eletto dall’assemblea generale e resta in carica 5 anni. Dirige l’apparato burocratico delle nazioni unite e cura l’esecuzione delle decisioni del consiglio di sicurezza.
-corte di giustizia internazionale, che è composta da 15 giudici nominati per 9 anni dall’assemblea generale e giudica le controversie che insorgono tra gli stati. Ha sede all’AIA (Paesi Bassi).
La finalità fondamentale dell’ONU è quella di mantenere la pace e la sicurezza tra le nazioni. Per raggiungere questo scopo l’art 1 dello statuto affida all’ONU il compito:
“di perseguire con mezzi pacifici le soluzione delle controversie tra gli stati che potrebbero portare alla violazione della pace, di prendere efficaci misure per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere atti di aggressione. Se un conflitto tra due o più stati giunge a minacciare la pace, il consiglio di sicurezza ha il potere di prendere due tipi di misure:
-misure che non comportano l’uso della forza militare, per es sanzioni economiche;
-misure che comportano l’uso della forza militare.
Per mettere in pratica il secondo tipo di misura, l’ONU non dispone di un esercito stabile proprio, ma si serve di contingenti armati messi a disposizione degli stati membri. L’ONU però non si limita ad intervenire nei conflitti, ma svolge anche una funzione di promozione della cooperazione internazionale in vari settori, per esempio si occupa dello sviluppo agricolo ed economico dei paesi del terzo mondo; promuove piani di protezione ambientale.
Uno degli aspetti più importanti dell’ONU riguarda la difesa dei diritti umani. Uno dei primi atti dell’assemblea generale fu l’approvazione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10/12/48). Numerose convenzioni internazionali hanno applicato i principi di questa dichiarazione a temi più specifici come la discriminazione raziale e l’apartheid, oppure per eliminare discriminazioni contro le donne, contro la tortura, per i diritti dei bambini.
Nel 1998 con il trattato di Roma è stata decisa l’introduzione di un tribunale internazionale che dovrà giudicare coloro che commettono delitti contro i diritti umani.
L’azione dell’ONU a favore della cooperazione internazionale viene fatta attraverso numerose organizzazioni specializzate che hanno carattere universale:
-l’organizzazione internazionale del lavoro (OIL), con sede a Ginevra;
-l’organizzazione delle nazioni unite per la scienza, l’educazione e la cultura (UNESCO), con sede a Parigi;
-l’organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), con sede a Roma;
-l’organizzazione mondiale per la sanità (WHO), con sede a Ginevra;
-il fondo monetario internazionale (FMI), con sede a Washington;
-il fondo delle nazioni unite per l’infanzia (UNICEF), con sede a New York.
L’azione dell’ONU si è dimostrata finora di scarsa efficacia nell’impedire le guerre. Dal 1948 ad oggi infatti, si sono verificati più di 100 conflitti armati dove l’ONU si è rilevato impotente. Questo è dipeso soprattutto dal veto delle grandi potenze, che hanno impedito l’intervento delle nazioni unite nei conflitti in cui esse erano parti in causa o comunque erano coinvolti dei loro alleati.
LE ORGANIZZAZIONI REGIONALI
Ci sono altre alle organizzazioni internazionali che uniscono singoli gruppi di paesi in particolari zone del pianeta e che vengono chiamate organizzazioni regionali. Una delle organizzazioni regionali più importanti è l’Unione Europea.
LA REPUBBLICA ITALIANA E L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
La costituzione italiana stabilisce che l’ordinamento giuridico italiano si delega alle norme internazionali. Le norme internazionali hanno quindi una portata generale e valgono automaticamente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Con questa norma costituzionale lo stato si impegna a non adottare leggi in contrasto con le norme del diritto internazionale e a considerare incostituzionali quelle leggi che non rispettano tale principio.
L’UNIONE EUROPEA
CARATTERI GENERALI
L’Unione Europea è un’organizzazione internazionale di cui fanno parte 25 stati europei, l’UE ha il potere di emanare le proprie leggi che sono immediatamente e automaticamente efficaci in tutti gli stati membri. Questo comporta una limitazione della sovranità degli stati aderenti e fa sì che l’UE sia un’organizzazione sopranazionale (sopra le nazioni) e non solo un’organizzazione internazionale (tra le nazioni).
L’UE ha assunto questa denominazione nel 1992 per effetto del trattato di Maastricht che ha voluto così creare un’unificazione più ristretta tra i popoli europei.
IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA
La conclusione della seconda guerra mondiale sancì la fine dell’egemonia europea sul resto del mondo. Emersero così due nuove superpotenze, gli USA e l’URSS, e in Europa si crearono due blocchi contrapposti, sotto l’influenza delle due superpotenze.
Nel giro di pochi anni caddero anche gli imperi coloniali europei, in particolare quello di Gran Bretagna e Francia.
Questa situazione di debolezza spinse i paesi europei del blocco occidentale ad una collaborazione reciproca. Il processo di integrazione europeo iniziò nel 1951 quando 6 paesi europei (Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) crearono, con il trattato di Parigi, la Comunità del carbone e dell’acciaio (CECA). Successivamente, nel 1957, con il trattato di Roma, gli stessi paesi crearono la comunità europea per l’energia atomica (EURATOM) e la Comunità economica europea (CEE).
Queste 3 comunità europee restano ancora alla base dell’Unione Europea. La CECA e l’EURATOM agiscono in ambiti specifici (carbone, acciaio, energia nucleare), mentre la CEE ha funzione generale. La sua finalità principale è quella di creare un unico mercato tra gli stati membri, e quindi di assicurare la libera circolazione dei servizi, delle merci e delle persone. Questa sua natura prevalentemente economica si è estesa con il tempo anche ad altri campi, come l’ambiente, la sanità, i trasporti. Per questo il trattato di Maastricht del 1992 ha tolto l’aggettivo economica dalla denominazione CEE, prendendo il nome di CE (comunità europea).
L’istituzione della CE doveva costituire un primo passo verso l’unità anche politica dei paesi europei per arrivare ad un unico stato europeo di tipo federale. Questo compito è risultato molto difficile perché i paesi avevano diversi interessi ed era difficile trovare dei compromessi. Malgrado questo la comunità europea è riuscita ad espandersi: dai 6 originari si sono aggiunti Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Svezia e Finlandia.
La CE ha raggiunto un’unione più stretta tra gli stati membri. I più importanti progressi sono avvenuti a partire dalla seconda metà degli anni ’80. In particolare tra il 1986 e il 2001 sono stati conclusi 4 importanti trattati:
-nel 1986 il trattato di Lussemburgo, detto anche Atto Unico europeo, che ha disposto la creazione di un mercato unico a partire dal 1/1/93;
-nel 1992 il tratta di Maastricht, detto trattato dell’Unione Europea, che ha istituito l’UE e fissato le tappe per l’adozione della moneta unica;
-nel 1997 il trattato si Amsterdam ha ampliato le competenze dell’UE e ne ha modificato l’organizzazione;
-nel 2001 il trattato di Nizza ha impostato modifiche istituzionali in vista dell’allargamento dell’UE a 27 stati.
In seguito a questi cambiamenti le norme fondamentali su cui si basa l’UE sono state contenute in due principali documenti:
-il trattato dell’unione, che stabilisce le norme fondamentali per il funzionamento dell’UE (Maastricht ‘92)
-il trattato istitutivo della comunità europea, che stabilisce le norme fondamentali per il funzionamento della comunità europea (Roma ’57).
Questo due trattati internazioni cono stati stipulatati dagli stati secondo le procedure del diritto internazionale.
LA CITTADINANZA EUROPEA
Con la nascita dell’UE viene istituita anche la cittadinanza europea. Tutti i cittadini degli stati membri sono automaticamente cittadini europei e hanno il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio dell’Unione.
L’ORGANIZZAZIONE
I più importanti organi dell’UE sono:
• il consiglio dei ministri: è il massimo organo dell’UE. Esercita il potere legislativo. È formato dai ministri dei governi degli stati membri e non è un organo permanente. Si riunisce a seconda delle necessità con i ministri competenti per risolvere le varie questioni. La presidenza del consiglio è tenuta a rotazione da ciascun paese dell’Unione per un periodo di 6 mesi (in Italia il primo semestre del ’96). Il consiglio dei ministri non è politicamente responsabile di fronte al parlamento europeo, da cui non può ricevere la sfiducia, e non è responsabile di fronte a nessun altro organi europeo. I singoli ministri devono rispondere solo davanti ai propri parlamenti nazionali. Prima dell’atto unico dell’86 le decisioni venivano prese all’unanimità, ma questo rallentava molto il funzionamento dell’UE e si è deciso di adottare due metodi: per decisioni importanti si è continuato a votare all’unanimità, con l’approvazione di tutti gli stati membri, per le altre decisioni invece è sufficiente la maggioranza. Ogni stato non ha solo un voto, ma un numero di voti proporzionale alle sue dimensioni, per es l’Italia 10 voti. Per fare in modo che una decisione venga approvata sono necessari 62 voti con 10 stati favorevoli.
• il consiglio europeo: è formato dai capi di stato (Francia) e di governo (tutti gli altri) degli stati membri e dal presidente della commissione. Si riunisce almeno 2 volte l’anno nel territorio del paese che ha la presidenza di turno. Questi incontri sono stati istituzionalizzati dall’atto unico europeo, ma soprattutto dal trattato di Maastricht, secondo cui il consiglio europeo dà all’Unione l’impulso necessario allo sviluppo e ne definisce gli orientamento politici generali. Quindi il consiglio europeo ha una funzione orientativa per gli altri organi comunitari, ma non ha nessun potere decisionale.
• la commissione: ha sede a Bruxelles, in Belgio. La commissione detiene il potere esecutivo. È un organismo permanente formato da 20 commissari. Il presidente è nominato dal consiglio dei ministri (a magg qualificata). I commissari sono invece proposti dagli stati membri e nominati dal consiglio dei ministri. I 5 maggiori stati membri (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna)hanno il diritto di proporre due commissari ciascuno, mentre gli altri uno solo. Una volta nominata la commissione si deve presentare davanti al parlamento europeo per ottenere l’approvazione. Il parlamento controlla la sua attività e può anche sfiduciarla, costringendola alle dimissioni. La commissione resta in carica 5 anni, come il parlamento europeo e viene nominata subito dopo le elezioni del parlamento. La commissione ha due compiti principali:
-ha potere di iniziativa, ovvero prepara le proposte di regolamenti o di direttiva da sottoporre alla deliberazione del consiglio europeo;
-cura l’esecuzione delle decisioni del consiglio, assicurandosi che le norme del trattato e i regolamenti siano rispettati dagli stati membri, che può denunciare alla corte di giustizia.
• il parlamento europeo:ha sede a Strasburgo, in Francia. Viene eletto a suffragio universale ogni 5 anni dai cittadini di tutti i paesi dell’UE ed è formato da 26 deputati. Questi deputati vengono votati in base alle dimensioni di uno stato, ma anche gli stati più piccoli hanno una rappresentanza sufficiente. All’interno del parlamento i deputati non sono divisi per nazione ma per partito politico. Inizialmente il parlamento aveva solo poteri di tipi consultivo, ma con il tempo ha rafforzato la sua posizione all’interno dell’Unione, grazie al fatto di essere l’unico organo europeo eletto direttamente dai cittadini. Il parlamento non esercita pienamente il suo potere legislativo, che spetta al consiglio dei ministri. I poteri del parlamento possono essere divisi in:
-funzione legislativa: pur non avendo il potere di fare le leggi, il parlamento collabora con il consiglio dei ministri alla formulazione dei regolamenti e delle direttive. Per alcune materie il parlamento dà solo un parere, che il consiglio dei ministri può anche non tenere conto (procedura di consultazione). Per altre materie invece sono previste procedure di cooperazione in cui le scelte del parlamento hanno un peso maggiore;
-bilancio: il parlamento ha potere deliberativo sulle spese facoltative dell’UE e può respingere il bilancio;
-controllo sul potere esecutivo: il parlamento approva la commissione e può darle anche la sfiducia costringendola alle dimissioni.
• la corte di giustizia: ha sede a Lussemburgo. Il controllo giurisdizionale sull’osservanza dei trattati e degli atti normativi dell’UE è svolto dalla corte di giustizia, che è formata da 15 giudici designati dai governi, in carica per 6 anni. La corte ha il compito di giudicare sulle controversie in merito all’applicazione dei trattati istitutivi dell’Unione. A essa può rivolgersi la commissione quando questa ritiene che uno stato non abbia rispettato gli impegni comunitari.
GLI ATTI NORMATIVI
Si dividono in regolamenti e direttive.
Regolamenti: i regolamenti sono atti normativi che hanno portata generale, cioè si applicano automaticamente in tutti gli stati membri e hanno efficacia diretta e immediata. Sono quindi obbligatori per tutti i cittadini dell’Unione Europea ed entrano a far parte dell’ordinamento giuridico di ogni stato membro. Queste sono delle eccezioni perché di solito le decisioni degli organismi internazionali vincolano gli stati, ma non obbligano i cittadini. In materia di competenza i regolamenti dell’UE prevalgono sulle leggi dei singoli stati membri. Quindi le leggi interne non possono contrastare le norme dei regolamenti.
Direttive: le direttive sono atti normativi che vincolano gli stati membri a cui si rivolgono. Esse firmano gli obbiettivi da raggiungere, ma lasciano agli stati la scelta delle forme e dei mezzi da usare. Si tratta quindi di atti rivolti allo stato e non hai cittadini. Se uno stato non provvede ad adeguare la propria legislazione a una direttiva nei termini stabiliti può essere condannato dalla corte di giustizia, come è successo più volte all’Italia, che si è trovata spesso in ritardo nell’adempire agli obblighi.
Regolamenti e direttive sono approvate dal consiglio dei ministri.
IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO (non è segnato sul programma)
Il processo legislativo inizia con la commissione, che predispone un testo di regolamento o di direttiva e lo presenta al consiglio, che dopo aver discusso, lo invia al parlamento europeo. A questo punto sono previste diverse procedure che vanno applicate a seconda della materia regolata dall’atto normativo:
-la procedura di consultazione, dove il parere del parlamento non è vincolante e il consiglio può anche non tenerne conto;
-la procedura di cooperazione e di codecisione, secondo la quale il parlamento può apportare modifiche ai testi di regolamento o direttiva e il consiglio non può respingerle se non all’unanimità.
Una volta approvati dal consiglio, i regolamenti e le direttive sono pubblicate sulla gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
LE COMPETENZE
Il potere dell’UE di emanare norme che si impongono ai singoli stati membri può essere esercitato solo per le materie previste dal trattato istitutivo. Queste competenze dell’unione sono state progressivamente ampliate dall’atto unico e dal trattato di Maastricht, che individua 20 settori dell’UE, come agricoltura, sanità, ambiente, ecc.
Principio di sussidiarietà: la comunità interviene nei settori che non sono di sua competenza solo se gli obbiettivi non sono sufficientemente realizzati dai singoli membri, e vengono quindi realizzati a livello comunitario. Questo principio porta a due conseguenze:
-l’unione può intervenire anche su materie non specificamente indicate nel trattato:
-nel far questo mantiene un ruolo sussidiario nei confronti degli stati membri. Non può sostituirsi ad essi ma può intraprendere quelle politiche che i singoli stati non potrebbero svolgere per conto proprio.
LE POLITICHE COMUNI
Le politiche comuni sviluppate dall’UE sono numerose. L’obbiettivo principale della comunità europea è quello di creare un mercato unico europeo. Il primo passo è stato fatto con l’abolizione dei dazi doganali sulle merci tra i paesi della comunità (1968). Un altro passo importante è stato fatto nel 1986 con l’atto unico europeo, con il quale 12 paesi della comunità hanno deciso di realizzare un mercato unico in Europa, quindi libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali. Vengono così eliminate tutte le barriere legali che ostacolano la libertà di circolazione. Per esempio il mancato riconoscimento dei titoli di studio rendeva difficile lo spostamento dei lavoratori qualificati; si è adottata la stessa aliquota IVA per favorire lo spostamento delle merci.
La realizzazione del mercato unico europeo ha richiesto l’armonizzazione delle legislazioni nazionali.
La politica agricola è la politica più antica della comunità europea e di maggior peso economico. Ha lo scopo di garantire gli approvvigionamenti e di correggere gli squilibri presenti nelle agricolture dei singoli paesi. Il suo principale strumento è il “fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia”.
L’obbiettivo più ambizioso dell’UE è stato quello di sostituire le monete nazionali con un’unica moneta europea. Un primo passo è stato quello del 1978 con la nascita del sistema monetario europeo (sme), con il quale ogni stato s’impegnava a mantenere stabile il valore della propria moneta rispetto a quella degli altri paesi. L’obbiettivo della moneta unica è stato fissato in 3 fasi, dal trattato di Maastricht. L’ultima fase è iniziata il 1° gennaio 1999 quando è stato emesso l’euro e si è conclusa nel 2002 quando l’euro ha sostituito le monete nazionali. È stata istituita anche la banca centrale europea a cui spetta il compito di emettere la nuova moneta e di controllarne la circolazione. Gli stati che aderiscono all’unione monetaria si sono assunti l’impegno di rispettare alcuni parametri economici, contenuti nel patto di stabilità.
Gli obbiettivi della politica di coesione economica e sociale sono:
-promuovere l’adegua,mento strutturale delle regioni in tardo sviluppo, per es sud Italia;
-promuovere la riconversione delle aree gravemente colpite dal declino industriale;
-migliorare la formazione professionale e le del lavoro.
Nel campo della politica estera, fino a poco tempo fa, ogni stato agiva per conto proprio ed era raro che l’Europa esprimesse una posizione sui più gravo problemi internazionali. Questo perché la politica estera, la difesa e l’ordine pubblico costituiscono le prerogative essenziali della sovranità e per questo i singoli stati non vogliono rinunciarvi. Quindi per es in una situazione grave come la guerra del Golfo d’Europa si è trovata in un ruolo debole e non poteva fare molto.
Per affrontare questo problema, l’atto unico e il trattato di Maastricht hanno previsto una procedura speciale di cooperazione politica, che faciliti il raggiungimento di una posizione comune degli stati membri sulla politica e sfera di sicurezza e sulla giustizia e gli affari interni (politica comune dell’immigrazione e del diritto di asilo, lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata).
IL FUTURO DELL’UNIONE EUROPEA
Il processo d’integrazione europea era nato all’interno di un Europa divisa in blocchi, quindi escludeva la metà orientale del continente, che era sotto il controllo sovietico. Dopo la caduta del comunismo si è posto il problema di estendere l’Unione anche a quei paesi ex comunisti che hanno adottato forme di stato di tipo democratico. L’ingresso dei 12 paesi che ne hanno fatto richiesta avverrà in due fasi: nella prima fase è previsto l’ingresso di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia Estonia e Cipro (2004); nella seconda fase dovrebbero entrare Lettonia, Lituania, Slovacchia, Romania, Bulgaria e Malta. L’allargamento dell’UE tenderà ad aggravare il problema delle differenze economiche, sociali e politiche fra gli stati membri.
Però questi paesi hanno un grado di sviluppo diverso e quindi si dovrebbero fare delle eccezioni nei trattati e darebbe luogo ad un’Europa a due velocità, una con il gruppo dei paesi più ricchi e solidi che procede verso l’integrazione e un gruppo di paesi più deboli sul piano economico e instabili sul piano politico.
Quando il processo di integrazione sarà finito in Europa ci saranno 27 paesi membri e sarà necessaria una profonda revisione delle istituzioni europee. L’UE continua a reggersi su un ordinamento poco democratico perché l’unica istituzione eletta dai cittadini è il parlamento che ha poteri limitati. Un’unione allargata può funzionare solo se le sue istituzioni non dipendano più direttamente dai singoli governi dei paesi aderenti ma abbiano una certa autonomia e siano legittimate dai cittadini. Si arriverebbe quindi ad una federazione formando gli Stai Uniti d’Europa. Questo porterebbe un’ulteriore limitazione della sovranità degli stati membri ed è quindi difficile da realizzare.
LE VICENDE COSTITUZIONALI DELLO STATO ITALIANO
L’unificazione
Il processo di unificazione d’Italia si realizzò attraverso l’espansione del regno di Sardegna. Tra il 1859 e il 1860 il regno di Sardegna ottenne dei territori che prima erano indipendenti o appartenevano agli austriaci. Il regno d’Italia fu proclamato nel 1861 e non era uno stato nuovo, ma la continuazione del regno sardo.
Il primo re d’Italia conservò il nome di Vittorio Emanuele II, che aveva assunto in quanto re di Sardegna. Allo stato italiano vennero estese le leggi e gli obblighi internazionali del regno di Sardegna. Anche per quanto riguarda la costituzione accadde lo stesso, venne infatti esteso a tutta Italia lo Statuto Albertino, concesso nel 1848 da Carlo Alberto. Questa soluzione fu l’esito che le correnti liberali moderate riuscirono ad ottenere rispetto alle correnti democratiche. Le correnti democratiche avevano sostenuto che subito dopo l’unificazione sarebbe dovuta essere convocata un’assemblea costituente, con il compito di stabilire il nuovo ordinamento dello stato. Prevalse invece la linea della continuità.
Lo Statuto Albertino
Lo Statuto Albertino fu emanato nel 1848 da Carlo Alberto per far fronte ai moti insurrezionali che si stavano diffondendo in tutta Europa. Era quindi una costituzione concessa dall’alto. Lo Statuto Albertino contiene un’apertura molto limitata ai principi liberali: il ruolo centrale dello stato è nelle mani del sovrano, che detiene il potere esecutivo, e lo esercita attraverso i “suoi” ministri che è libero di eleggere e revocare. Questi ministri sono responsabili del loro operato solamente di fronte al re e non nei confronti del parlamento. Il re aveva una forte influenza sul potere legislativo, che era affidato ad un parlamento bicamerale. La camera dei deputati è elettiva, a sufragio universale limitato per censo, mentre il senato è formato dai membri nominati a vita dal re. Le due camere si riunivano soltanto su convocazione del re. Il re poteva sciogliere la camera dei deputati e indire nuove elezioni.
Lo statuto prefigura uno stato confessionale, la religione cattolica è la religione dello stato, le altre sono semplicemente tollerate.
Lo statuto non prevede nessuna particolare procedura per modificare le proprie norme e lascia questa funzione al parlamento tramite leggi ordinarie. È quindi una costituzione flessibile.
Il periodo liberale
Il regime che s’instaurò fin dall’inizio fu di tipo liberale parlamentare. Già nei primi anni di applicazione dello Statuto Albertino si affermò un maggiore potere del parlamento, soprattutto della camera dei deputati, che finì per assumere il ruolo politico più importante del senato, i quali membri erano nominati dal re.
La conseguenza più significativa fu che il governo iniziava ad essere responsabile nei confronti del parlamento che poteva provocarne le dimissioni con il voto di sfiducia. Il presidente del consiglio e i ministri continuavano a essere nominati dal re, ma dovevano ottenere il voto di fiducia delle camere. In questo modo il governo iniziava ad essere autonomo e non doveva più essere l’esecutore delle volontà del re.
Il rafforzamento del potere del parlamento e la diminuzione del potere del re non avvennero in modo pacifico, il re infatti pretendeva di intromettersi nelle scelte politiche del paese, cercando di imporre la sua volontà. La reazione del re arrivò a minacciare seriamente lo stesso regime liberale, attraverso una battaglia per il “ritorno allo statuto”, e quindi per riportare la supremazia della corona sul parlamento. Nello stesso periodo però si svilupparono i sindacati e il partito socialista. Nei primi del 900 sotto la direzione di Giolitti, la classe politica liberale rinunciò allo scontro con il movimento operaio e avviò lo stato italiano verso un processo di democratizzazione.
Processo di democratizzazione: questo processo coincide con la progressiva estensione del diritto al voto. Nel 1861 il diritto al voto era riconosciuto in base al censo. Nel 1882 il diritto al voto non era più riconosciuto in base al censo, ma comunque venivano esclusi gli analfabeti e quindi buona parte della popolazione. Nel 1912 il diritto al voto venne riconosciuto anche agli analfabeti che avessero compiuto i 30 anni. Nel 1919 venne tolto anche questo limite e il diritto al voto fu riconosciuto a tutti i maschi con almeno 21 anni di età (suffragio universale maschile).
Nel 1919 venne inoltre adottato il sistema proporzionale che assicurava a tutti i gruppi politici una rappresentanza in parlamento proporzionale al numero dei voti ottenuti. In conseguenza a queste due riforme il parlamento subì una completa trasformazione, infatti fino a prima era dominato da esponenti liberali mentre ora la maggioranza proveniva da due partiti di estrazione popolare, il partito socialista e quello popolare, di ispirazione cattolica.
Il partito fascista
Il passaggio dal regime liberale a quello fascista si realizzò tra il 1922 e il 1925. Nel 1922 Mussolini (capo del partito fascista), ricevette dal re Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il governo. La scelta del re fu determinata dal fatto che si voleva mettere alla guida dello stato un uomo forte, che fosse in grado di bloccare il movimento operaio e il processo di democratizzazione. Nei due secoli precedenti il partito fascista era caratterizzato per le sanguinose aggressioni squadriste contro i sindacalisti e contro i socialisti, ottenendo così l’appoggio dei proprietari terrieri, dei gruppi industriale e della piccola borghesia che si sentiva minacciata dai disordini provocati dai conflitti sociali.
Nel 1923 il parlamento accettò di legalizzare le squadre armate fasciste, che vennero organizzate come milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Nello stesso anno venne introdotto un nuovo sistema elettorale che consentiva di assegnare i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti.
Nelle elezioni del 1924 il partito fascista riuscì ad ottenere il controllo della camera dei deputati, mettendo i partiti di opposizione in una posizione minoritaria.
Alla fine di quell’anno Mussolini riuscì a superare la crisi dovuta alla morte del socialista Matteotti, sbarazzandosi così dei suoi precedenti alleati e instaurando il regime fascista.
Organizzazione del regime: l’instaurazione del partito fascista venne attuata attraverso una serie di leggi ordinarie che mutarono completamente lo Statuto Albertino. Al centro dello stato venne posta la figura del capo del governo che era responsabile solamente di fronte al re non nei confronti del parlamento. Inoltre poteva nominare e revocare a suo piacimento i ministri. Il governo possedeva il potere legislativo, il parlamento aveva una semplice funzione di ratifica. Per assicurare la fedeltà al partito da parte della camera dei deputati, l’elezione di questi avveniva attraverso un’unica lista predisposta dal partito fascista. Nel 1939 la camera dei deputati fu sostituita dalla camera dei fasci e delle corporazioni i cui membri erano nominati dal governo o dal partito fascista. I comuni e le province non erano più elettivi, ma anche questi designati dal governo. E nei comuni i sindaci furono sostituiti dai podestà.
Vennero vietati tutti i partiti diversi da quello fascista.
Soppressione delle libertà sindacali e civili. Contro il movimento operaio furono adottate misure drastiche: fu vietato lo sciopero e abolita la libertà sindacale. I lavoratori erano organizzati in un unico sindacato fascista obbligatorio. Il regime fascista tentò di organizzare il mondo del lavoro e dell’economia in corporazioni, che raggruppavano datori di lavoro e lavoratori. Lo scopo era quello di impedire la contrapposizione tra classi sociali e di imporre la collaborazione, ma tutto questo non funzionò. Le libertà civili vennero man mano eliminate. Vennero introdotti controlli sulla stampa, sulla radio, sul cinema. Il dissenso politico venne perseguito penalmente. Fu introdotta la pena di morte per i reati contro lo stato. Nel 1926 fu istituito un tribunale speciale per la difesa dello stato, con giudici che avevano il compito di giudicare i reati politici. Nel 1938 vennero introdotte le leggi razziali contro gli ebrei. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania.
La caduta del fascismo e la resistenza
Con lo sbarco delle truppe americane in Sicilia, avvenuto nel luglio del 1943, le sorti della guerra erano sfavorevoli per italiani e tedeschi. In Italia l’opposizione alla guerra diventò forte anche nel partito fascista. Tra il 24 e il 25 luglio del 1943 il gran consiglio del fascismo votò favorevole a maggioranza un ordine del giorno contro Mussolini, e nominò il generale Badoglio a capo del governo. Badoglio mise fuori legge il partito fascista e s’impegnò a convocare le elezione della camera dei deputati entro la fine della guerra. Il re e Badoglio volevano far tornare in vita lo Statuto Albertino, volevano quindi riportare il regime liberal-monarchico che c’era prima del fascismo. Nel 1943 il governo concluse l’armistizio con gli anglo-americani, senza però organizzarsi per la difesa di una possibile reazione dei tedeschi, che erano diventati nemici. L’Italia fu così occupata dalle truppe tedesche e i9l re e Badoglio abbandonarono Roma e andarono prima a Brindisi e poi a Salerno, sotto la protezione degli anglo-americani.
la repubblica di Salò e il regno del sud. Dall’armistizio alla liberazione (25 aprile 1945) l’Italia si trovò divisa in due parte: al nord c’erano i tedeschi, al sud gli anglo-americani.
Nell’Italia settentrionale i tedeschi restaurarono un regime fascista, sotto la guida di Mussolini, ovvero la repubblica di Salò. Contro di loro si organizzò la resistenza armata condotta dalle formazioni partigiane e coordinata clandestinamente dai partiti antifascisti.
Nell’Italia meridionale invece il potere politico rimase nelle mani del re e del governo Badoglio, ma ebbero un ruolo importante i sei partiti antifascisti che sono: partito d’azione, comunista, socialista, liberale, democrazia cristiana, democrazia del lavoro. Questi partiti avevano costituito la Cnl, cioè comitato di liberazione nazionale.
Il periodo transitorio. Con il patto di Salerno stipulato tra Cnl e monarchia si decise di creare un regime transitorio in attesa della fine della guerra. Dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944:
• Venne deciso di rinviare la scelta tra monarchia e repubblica alla fine della guerra e di affidare la scelta ad un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale e con il compito di emanare la costituzione del nuovo stato;
• Il re Vittorio Emanuele III si ritirò e assunse il ruolo del capo dello stato il figlio Umberto, con il titolo di luogotenente del regno, per rispettare il principio della tregua;
• Venne formato un nuovo governo di cui facevano parte i 6 partiti antifascisti e la presidenza fu affidata a Ivanoe Bonomi, presidente della Cnl.
Dopo la guerra si sarebbero svolte le elezioni per l’assemblea costituente. per questo periodo il parlamento doveva esercitare il potere legislativo emanando decreti.
Dopo la liberazione, il governo decise di lasciare la scelta tra monarchia e repubblica direttamente ai cittadini attraverso il referendum, invece che lasciare la scelta all’Assemblea costituente. poco prima della data del referendum il re abdicò in favore del figlio che assunse quindi il titolo di re d’Italia con il nome di Umberto II.
Proclamazione della repubblica e l’Assemblea costituente
Il 2 giugno 1946 i cittadini votarono per il referendum tra monarchia e repubblica e per l’assemblea costituente. Queste furono le prime elezioni della storia a suffragio universale, infatti nel 1945 era stato deciso che anche le donne avevano il diritto al voto. Con una differenza minima di voti, vinse la repubblica. Si presentò una netta divisione geografica, infatti nelle regioni del centro nord prevalse la repubblica, mentre al sud la monarchia. Lo stato italiano diventò così una repubblica e il re Umberto II fu costretto a lasciare il paese.
Nell’elezione dell’Assemblea costituente prevalsero i tre partiti di massa: la Democrazia cristiana, che sostituiva il Partito popolare, il partito socialista e il partito comunista. I partiti liberali assunsero una posizione minore.
L’assemblea costituente elesse come capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola. Il compito di redigere la prima stesura della costituzione fu affidato ad una commissione e nel 1947 questa presentò un progetto di costituzione all’Assemblea. nel 1947 venne approvato il testo definitivo della costituzione ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Il 31 gennaio 1948 l’Assemblea costituente si sciolse e poco dopo si svolsero le elezioni per la camera dei deputati e per il senato. Il 12 maggio fu eletto anche il primo presidente della repubblica italiana: Luigi Einaudi.
La costituzione della repubblica italiana
La Costituzione italiana è un documento composto da 139 articoli più 18 Disposizioni transitorie e finali.
Il testo si apre con i Principi fondamentali ed è suddiviso in due parti:
• La prima parte, chiamata “diritti e doveri dei cittadini”, in cui tratta il rapporto tra stato e cittadini;
• La seconda parte, chiamata “ordinamento della repubblica”, in cui tratta l’organizzazione dei poteri.
Seguono le Disposizioni transitorie e finali, che contengono norme transitorie per il passaggio al nuovo ordinamento. La Costituzione italiana è una costituzione rigida in quanto necessita di particolari e complesse procedure per poter essere modificata. La costituzione prefigura una forma di stato di tipo democratico e una forma di governo di tipo parlamentare.
L’ispirazione ideale e politica della Costituzione. Il contenuto della costituzione riflette la situazione politica del dopoguerra. La lotta di liberazione antifascista aveva fatto emergere speranze e attese per un cambiamento profondo della società e dello stato. Non si voleva tornare allo stato liberale pacifista, ma si voleva costituire uno stato più libero, più democratico, più aperto ai bisogni delle varie classi.
I partiti antifadscisti avevano collaborato con il Cnl durante la resistenza, e questa collaborazione continuò anche durante il dopoguerra.
Quasi tutti gli articoli della costituzione furono approvati con grande maggioranza. Solo in qualche caso l’Assemblea costituente si trovava in posizioni diverse. Da questo derivarono le due principali caratteristiche della Costituzione:
• Una forte tensione innovativa e riformatrice rispetto alla situazione in cui si trovava l’Italia;
• La costante ricerca di un compromesso tra i valori delle correnti politiche dell’Assemblea costituente. questo compromesso è molto evidente nella prima parte della costituzione e si basa su un equilibrio tra i valori della tradizione cattolica, come la solidarietà, i valori della tradizione socialista e comunista, come ad esempio l’uguaglianza sociale, i valori della tradizione liberale come ad esempio la libertà individuale.
Gli anni 50: mancata attuazione della costituzione
Una volta entrata in vigore la Costituzione era necessario emanare leggi per realizzare le riforme che la costituzione richiedeva, per adeguare l’ordinamento giuridico ai principi costituzionali, per istituire nuovi organismi, come le regioni e la corte costituzionale, previsti dalla costituzione.
Tutto questo però si verificò in maniera limitata nei primi anni di vita della Costituzione.
I governi centristi. Tutto questo dipese dalla svolta politica che si verificò tra il 1947 e il 1948 a seguito del mutamento politico avvenuto in campo internazionale, la rottura dell’alleanza tra USA e URSS e l’inizio della guerra fredda.
Nel 1947 i comunisti e i socialisti vennero esclusi dal governo. Nel 1948 le prime elezioni si svolsero in un clima di contrapposizione tra il fronte popolare, formato da comunisti e socialisti e tutti gli altri partiti. Vinse la Democrazia cristiana.
Iniziò così un periodo di governi centristi, formati dalla Dc e dai tre piccoli partiti laici, cioè socialdemocratici, liberali e repubblicani, che volevano favorire lo sviluppo economico nell’ordine e nella stabilità sociale. Comunisti e socialisti rappresentavano l’opposizione.
I ritardi nell’attuazione della costituzione. Il rinnovamento previsto dall’Assemblea costruente non fu realizzato. Vennero eluse le scadenze che la Costituzione aveva previsto per l’attuazione per la sua attuazione. Fu mantenuta quindi una continuità tra lo stato repubblicano e il precedente stato fascista. Le leggi emanate durante il fascismo rimasero in vigore anche se contrastavano i principi costituzionali. Nella pubblica amministrazione continuò a prevalere una mentalità autoritaria e conservatrice, quindi non in sintonia con i nuovi principi democratici. Alla fine degli anni 50 entrarono in funzione la corte costituzionale nel 1956, il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, nel 1957 e il consiglio superiore della magistratura, nel 1958.
Gli anni 60 e 70: il processo di attuazione della costituzione
Nei primi anni 60 il Partito socialista entrò nel governo con la Democrazia cristiana.
Iniziò il periodo dei governi di centro-sinistra basati su un programma di riforme. Alla fine degli anni 60iniziò un periodo di movimenti sociali (il primo fu il movimento studentesco del 68) che durò anche nel decennio successivo. Tutto questo fece accelerare il processo delle riforme: furono adottate misure di democratizzazione dello stato e della pubblica amministrazione, furono ampliate le libertà civili e fu esteso l’intervento pubblico a favore dei ceti più deboli.
Tutto questo provocò violente reazioni: ci furono infatti oscuri complotti tra gruppi fascisti e apparati dello stato che provocarono molte stragi. Questi complotti portarono alla reazione da parte di gruppi di sinistra che diedero vita ad azioni terroristiche fino ad arrivare al rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, presidente della Dc.
Di fronte a tutte queste tensioni i centro-sinistra entrò spesso in crisi e verso la fine del decennio si costituirono i governi di unità nazionale, formati dalla Democrazia Cristiana, appoggiati da tutti i partiti, compreso quello comunista.
Tra il 1960 e il 1980 ci furono una serie di riforme:
• La riforma della scuola media, che estendeva l’obbligo fino a 14 anni;
• L’introduzione della programmazione economica;
• L’istituzione delle regioni ordinarie;
• L’attuazione del referendum;
• L’emanazione dello statuto dei lavoratori;
• La riforma fiscale;
• La riforma del diritto di famiglia, che eguagliava l’uomo e la donna i famiglia;
• La legge di parità tra uomo e donna sul lavoro;
• La riforma sanitaria.
Venne istituita anche la corte costituzionale che eliminò tutte quelle norme in contrasto con la costituzione.
Gli anni 80: la mancata riforma della costituzione
All’inizio degli anni 80 le forze politiche cambiarono l’atteggiamento nei confronti della costituzione. In questo periodo cominciò a diffondersi l’esigenza di una revisione della costituzione e delle norme che riguardano l’ordinamento dello stato. Tutto questo ebbe origine da un giudizio negativo sul funzionamento del sistema italiano, dovuto all’instabilità dei governi, alla fragilità delle maggioranze, alla frammentazione dei partiti, la mancanza di alternanza al governo tra maggioranza e opposizione, ecc.
Di fronte a questa situazione venne posto il problema di realizzare una riforma istituzionale, attraverso la modificazione dei meccanismi previsti dalla costituzione per il funzionamento dei massimi poteri dello stato. L’Assemblea costituente si era posta come obbiettivo di impedire il risorgere di forme di governo autoritario e dittatoriale e si era preoccupata meno di assicurare alle istituzioni condizioni di stabilità, efficienza e capacità decisionale.
Tra il 1983 e io 1985 il problema venne affrontato dalla commissione Bozzi, ma le proposte di questa non ebbero alcun seguito.
Inoltre negli anni 80 l’Italia entrò in una fase di crescita economica e di accumulazione delle ricchezze.

Gli anni 90
Un cambiamento rapido e improvviso si verificò negli anni 90.
Si sciolsero tutti i più importanti partiti tra cui anche la Dc e il Pci.
Nacquero nuovi partiti. Nel 1993 venne adottato un sistema elettorale maggioritario, che favoriva il raggruppamento dei partiti in due schieramenti, destra e sinistra. Per la prima volta ci fu l’alternanza al governo. Nelle elezioni del 1994 salì al governo la destra, nel 96 la sinistra e nel 2001 ancora la destra.
Furono istituite commissioni bicamerali per le riforme istituzionali con il compito di riscrivere la seconda parte della costituzione, dapprima la commissione De Mitalotti e poi, dopo il suo fallimento, la commissione D’Alema. La commissione D’Alema riuscì a formulare un nuovo testo della seconda parte della costituzione, che conteneva:
• L’adozione dei una forma di stato di tipo federale;
• L’elezione diretta del presidente della repubblica;
• La differenziazione dei poteri delle due camere.
Nel 1998 il parlamento lasciò cadere la proposta.
Nel 2001 venne approvata la riforma del titolo V della Costituzione, riguardante le regioni e gli enti locali, e riprendeva le norme proposte dalla commissione D’Alema, per la trasformazione dello stato in senso federalista.
I DIRITTI E I DOVERI DEI CITTADINI
LA SOCIETÀ CIVILE NELLA COSTITUZIONE
La costituzione dedica un ampio spazio alla società civile a ai rapporti che intercorrono tra la società e lo stato. Questo deriva da un duplice orientamento presente nella costituzione:
- un orientamento garantista, diretto a stabile in modo preciso e analitico i diritti dei cittadini e la loro sfera di libertà rispetto allo stato;
- un orientamento sociale diretto, a prevedere le modalità di intervento dello stato a favore dei gruppi sociali più deboli per correggere le disuguaglianze.
Il primo orientamento, di stampo liberale, configura un ruolo negativo dello stato. Il secondo orientamento, di stampo socialista e cattolico, fa emergere un ruolo politico dello stato. La costituzione afferma questi diritti nella prima parte “Diritti e doveri dei cittadini”.
LIBERTÀ E UGUAGLIANZA
Libertà e uguaglianza sono, dai tempi della rivoluzione francese, i due principi fondamentali su cui vengono basati i rapporti tra stato e società civile. Anche la costituzione italiana si basa su questi 2 principi e nell’art. 2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” e stabilisce il principio di uguaglianza.
Nel tempo libertà e uguaglianza hanno creato diversi conflitti.
Il primo problema nasce dal fatto che questi due principi sono tra loro contradditori, perché una completa libertà delle persone favorirebbe la disuguaglianza, mentre un’uguaglianza completa delle persone sarebbe possibile solo riducendo al minimo le libertà di tutti. Queste due posizioni estreme sono individuabili nel pensiero liberale, con la libertà massima, e nel pensiero socialista, che mira ad un’uguaglianza economica e sociale per tutti.
La costituzione italiana cerca di raggiungere un difficile equilibrio tra libertà e uguaglianza.
Il secondo problema nasce dal fatto che la libertà può essere intesa in due modi diversi: come libertà formale e come libertà sostanziale.
Per libertà formale si intende l’assenza di impedimenti da parte dello stato. Quindi i cittadini sono considerati liberi di compiere certi comportamenti. Per esempio: se lo stato non vieta la pubblicazione di libri e giornali, tutti hanno formalmente la libertà di stampa oppure lo stato non vieta a nessuno di andare a scuola, quindi tutti i cittadini hanno formalmente il diritto allo studio.
Questa concezione, di tipo liberale, è stata criticata dai socialisti che sostengono che per avere una piena libertà di stampa, per esempio, occorrono i mezzi economici necessari per pubblicare libri e giornali. Allo stesso modo i meno abbienti non potranno permettersi il proseguimento degli studi. In conclusione le libertà formali le hanno tutti, ma possono essere esercitate concretamente solo da chi possiede i mezzi economici.
Nella libertà sostanziale, invece, lo stato non deve limitarsi a non vietare certi comportamenti, ma deve intervenire per renderli accessibili a tutti. Per esempio mettendo a disposizione di chi ne necessita, mezzi economici e materiali.
Quindi l’uguaglianza formale dà a tutti i cittadini, in modo astratto, parità di diritti, ma solo l’uguaglianza sostanziale attribuisce a tutti la stessa possibilità di esercitarli.
La costituzione italiana appoggia l pensiero liberale e pone i cittadini sullo stesso piano di fronte alla legge, ma allo stesso tempo dice che lo stato deve intervenire per aiutare i cittadini più deboli.
Il terzo problema nasce dal fatto che la società civile può essere considerata come un insieme di individui singoli che agiscono indipendentemente gli uni dagli altri oppure come un insieme di gruppi di individui.
Nel primo caso (pensiero liberale) le libertà non possono che essere concepite come libertà individuali che spettano a ciascuna persona. Nel secondo caso, invece, oltre a considerare le libertà dei singoli, bisogna considerare le libertà dei gruppi e degli individui all’interno di questi.
Questa concezione è stata elaborata dal pensiero cattolico che si è sempre rifiutato di accettare la netta contrapposizione tra una società civile formata da singoli individui e un apparato statale sovrano. Il pensiero cattolico valorizza, invece, l’esistenza dei gruppi che agiscono tra gi individui e lo stato. La più importante di queste comunità intermediarie è la famiglia, poi ci sono le chiese, le imprese, le scuole e i partiti.
La costituzione italiana garantisce le libertà individuali classiche dei liberali, ma tiene in considerazione anche i diritti di queste molteplici collettività.
I DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità. È un’affermazione generale che assume i diritti di libertà come un dato essenziale dello stato italiano, senza però indicare quali sono le libertà che la repubblica si impegna a riconoscere e garantire. Lo farà poi nella prima parte della costituzione.
I diritti della persona umana vengono definiti inviolabili, ma non significa che questi non possono essere mai limitati, significa, invece, che questi diritti sono parte integrante dello stato italiano e che non possono quindi essere aboliti nemmeno attraverso la modificazione della costituzione.
I diritti di libertà sono considerati sia come diritti dei singoli sia come diritti nelle formazioni sociali, dove l’uomo svolge la sua personalità. Questo riferimento alle formazioni sociali ha due significati: prima di tutto significa che le formazioni sociali hanno dei diritti propri e una propria sfera di libertà rispetto allo stato. Ma significa anche che i diritti degli individui vengono tutelati anche all’interno delle formazioni sociali.
Importanti applicazioni di questo principio sono lo statuto dei lavoratori e la riforma del diritto di famiglia.
IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA
L’art 3 della costituzione enuncia il principio di uguaglianza ed è diviso in due commi: il primo comma enuncia il principio dell’uguaglianza formale, il secondo quello dell’uguaglianza sostanziale.
Il principio dell’uguaglianza formale dice che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociale”. Questo significa che la legge è uguale per tutti ed è una conquista della rivoluzione francese rispetto ai vantaggi che venivano dati ai nobili e al clero che erano giudicati da tribunali diversi rispetto al popolo.
Significa anche che la legge deve trattare tutti i cittadini allo stesso modo senza discriminazioni. Per esempio in passato in Italia c’erano molte leggi che discriminavano la donna; ora sono state abolite.
Non bisogna limitarsi, però, all’uguaglianza di fronte alla legge, perché va bene avere gli stessi diritti, ma bisogna avere anche i mezzi per esercitarli. Nel secondo comma dell’art.3 viene enunciato il principio dell’uguaglianza sostanziale: “È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” (stato sociale interventista).
Anche questi due principi entrano in conflitto tra loro perché nel primo si dice che non ci devono essere discriminazioni e tutti devono essere trattati allo stesso modo, mentre nel secondo si dice che bisogna trattare in modo diverso le persone più bisognose. Però una distinzione di trattamento è legittima se fondata su situazioni effettivamente diverse. Tocca alla corte costituzionale pronunciarsi sulla legittimità dei trattamenti differenziati stabili nelle leggi, ovvero sulla ragionevolezza delle leggi. Per esempio una donna non può fare un turno di notte perché rischioso. Questo sarebbe un’ingiustizia per l’uomo, ma viene compensata con la colmazione dello svantaggio iniziale della donna.
LA TUTELA DELLE LIBERTÀ: RISERVA DI LEGGE E RISERVA DI GIURISDIZIONE
La costituzione stabilisce, per i diritti di libertà, una riserva di legge. Questo significa che questi diritti possono essere limitai solo nei casi e nei modi stabiliti da una legge approvata dal parlamento. Questo garantisce i cittadini in due sensi. Il primo luogo i cittadini conoscono queste norme generali e si possono quindi regolare di conseguenza nei loro comportamenti senza che le autorità competenti possano prendere provvedimenti ingiusti. In secondo luogo con la riserva di legge il potere di stabilire quando limitare la libertà dei cittadini spetta solo al parlamento, ovvero l’unico organo eletto dal popolo.
La costituzione stabilisce anche una riserva di giurisdizione. Questo significa che i provvedimenti con cui vengono limitate le libertà degli individui possono essere decisi solo dal giudice. La garanzia per i cittadini consiste nel fatto che i giudici sono organi indipendenti dal potere politico e devono prendere le decisioni basandosi solo sulla legge. Questi provvedimenti presi dai giudici vanno motivati in nodo che il cittadini sappia le ragioni per cui la sua libertà è stata limitata e quindi difendersi.
LA LIBERTÀ PERSONALE
Per libertà personale si intende la libertà rispetto a qualsiasi costrizione fisica. Secondo l’art. 13 della costituzione, infatti, è considerata violazione della libertà personale qualsiasi forma di detenzione, d ispezione e perquisizione personale. È stata la prima libertà ad essere garantita nel corso della storia, grazie alla Magna Charta (1215).
In teoria l’autorità di polizia non potrebbe arrestare nessuno senza un provvedimento del giudice, ma è la stessa costituzione a prevedere un’eccezione: “In casi di urgenza l’autorità di polizia può limitare la libertà di una persona senza un precedente ordine del giudice e deve informare entro 48 ore l’autorità giudiziaria che entro le successive 48 ore deve consolidare la posizione della polizia.
La legge attualmente accetta due casi eccezionali in cui la polizia può intervenire senza l’ordine del giudice: il caso della flagranza (una persona è colta nel momento in cui compie il reato) e il caso di fermo di indiziati (quando c’è il sospetto fondato che una persona possa fuggire).
Secondo la costituzione un imputato non è colpevole fino a quando non è condannato definitivamente, quindi le restrizioni delle libertà possono avvenire solo se c’è un concreto pericolo che la persona in attesa di giudizio possa commettere altri reati, fuggire o inquinare le prove.
Per evitare questo il giudice può usare delle misure cautelari, come:
- il divieto di espatrio;
- l’obbligo di presentazione alla polizia;
- arresti domiciliari;
- divieti di restare in n determinato luogo;
- custodia cautelare in carcere, fatta quando le altre risultano inadeguate.
I termini massimi per la custodia cautelare variano a seconda della gravità, ma non possono superare i 4 anni. La costituzione cerca di garantire il rispetto di alcuni diritti umani fondamentali per i detenuti. Prima di tutto è vietata qualsiasi forma di tortura e comunque queste pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.
LA LIBERTÀ DI DOMICILIO, DI CORRISPONDENZA E DI CIRCOLAZIONE
Un prolungamento della libertà individuale sono: l’inviolabilità del domicilio, il diritto di alla libertà e alla segretezza della corrispondenza, il diritto di circolazione e di soggiorno.
L’inviolabilità del domicilio è garantita con le stesse modalità previste per la libertà personale. Le perquisizioni e le ispezioni domiciliari possono essere decise soltanto da un giudice, con atto motivato e nei casi previsti dalla legge.
La costituzione garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra via di comunicazione, come la posta o il telefono. Le intercettazioni postali e telefoniche possono essere effettuate solo su ordine del giudice nei casi previsti dalla legge. La costituzione garantisce ad ogni cittadino la possibilità di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo gli obblighi di legge, come il militare o l’esistenza di imputazione penale.
LA LIBERTÀ DI RIUNIONE E DI ASSOCIAZIONE
Nella storia i fenomeni collettivi, come le manifestazioni o le assemblee sono sempre state guardate con sospetto. Adesso, invece, le libertà collettive sono ammesse ampiamente e viste anche di buon occhio (scioperi, organizzazioni sindacali).
Per la libertà di riunione la costituzione pose il solo limite che si svolgano pacificamente e senza armi. Possono essere fatte in luoghi aperti al pubblico (come uno stadio o un anfiteatro) senza chiedere nessun permesso; oppure sono fatte in luoghi pubblici (come le piazze) e in questo caso bisogna avvisare la polizia.
Mentre le riunioni sono incontri momentanei, le associazioni sono forme organizzative stabili e per formarle non bisogna chiedere nessuna autorizzazione.
Ci sono, però, tre tipi di associazioni vietate dalla costituzione:
- le associazioni che perseguono fini che sono vietati dalla legge penale, cioè le associazioni per delinquere, come le associazioni mafiose;
- le associazioni segrete atte alla cospirazione contro lo stato, che contrastano anche i valori democratici;
- le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Questo è vietato, perché non ci possono essere in una democrazia gruppi privati che svolgono un’attività politica con dei mezzi militari (fascismo).
LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO
La libertà di manifestazione del pensiero è tipica dell’occidente ed è stata fatta contro chi pretende di affermare un’unica verità.
Il principio di pluralismo ideologico ha fatto fatica ad affermarsi e tuttora esistono regimi autoritari che affermano un’unica verità dello stato.
L’articolo 21 della costituzione afferma che tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. Questa libertà di manifestazione del pensiero non è illimitata, infatti sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le manifestazioni contrarie al buon costume.
Inoltre la libertà di manifestazione del pensiero non può arrivare a ledere i diritti fondamentali della persona. Il codice penale, infatti prende in esame alcuni reati di opinione, come l’uso di espressioni offensive, calunniose o diffamatorie rivolte a singole persone o nei confronti di istituzioni come il parlamento, la religione cattolica (vilipendio), la diffusione di segreti di stato o di informazioni su indagini giudiziarie.
Se si forma un monopolio dell’informazione, si crea una minaccia alla libertà di pensiero. Per esempio: quando più reti televisive o più giornali appartengono ad un unico proprietario. Dovrebbero esserci, invece, molti centri di informazione per creare un’effettiva libertà di opinione.
I MEZZI DI COMUNICAZIONE
La costituzione garantisce la libertà di espressione attraverso qualsiasi mezzo.
Stampa Un comma dell’art. 21 vieta qualsiasi forma di controllo preventivo (autorizzazioni e censure) da parte dello stato sul contenuto di libri e giornali che possono essere quindi diffusi liberamente. La via preventiva viene usata dai regimi autoritari che controllano qualsiasi cosa prima che venga pubblicata. In Italia solo dopo la loro diffusione, le pubblicazioni possono essere soggette a sequestro, ma solo su ordine del giudice (riserva di giurisdizione) e solo nei casi previsti dalla legge (riserva di legge), ovvero quando vengono commessi dei reati di opinione oppure quando la pubblicazione non indicale persone responsabili di questa (stampa clandestina).
Il parlamento al fine di stabilire il pluralismo delle testate giornalistiche, ha fatto una legge cono cui stabilisce che nessun gruppo editoriale o finanziario può assumere una posizione dominante nell’ambito della stampa quotidiana (non può avere più del 30%).
In Italia la censura al teatro è stata abolita nel 1962, mentre per quanto riguarda il cinema c’è ancora, ma si limita al buon costume. Fin dalla nascita della radio e della televisione, l’esclusiva di fare programmi l’aveva lo stato, che l’affidò alla RAI.
Questo creava un monopolio pubblico che contrastava i principi dell’art. 21. dal 1976, però, vennero introdotte le televisioni e le radio private locali. Questo creava, però, la presenza di due grandi concentrazioni di potere, quindi per evitare questo la legge si propone di impedire la formazioni di posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazioni di massa. In particolare è vietato il controllo contemporaneo di quotidiani e reti televisive oltre i limiti imposti dalla legge. In più non si possono avere più di tre reti televisive.
LA LIBERTÀ RELIGIOSA
L’art 19 della costituzione riconosce a tutti di professare liberamente la propria fede, di farne propaganda, di esercitarne il culto. L’art 20 aggiunge che sono vietate le discriminazioni a danno delle associazioni e delle istituzioni di carattere religioso. I non credenti, gli atei, hanno lo stesso diritto di professare le loro convinzioni.
RAPPORTI TRA LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE
i due principali modelli adottati nel corso della storia europea sono lo stato confessionale e lo stato laico.
Il modello confessionale è tipico degli stati assoluti. In questo c’è un'unica religione ufficiale dello stato, le altre sono combattute o appena tollerate. Lo stato e la chiesa si presentano come due entità separate che si appoggiano a vicenda. Gli esempi sono le monarchie francesi e spagnole e lo statuto albertino con la chiesa cattolica o la monarchia inglese con la chiesa anglicana.
Lo stato laico è la proposta dei liberali e consiste nella completa separazione tra stato e chiesa. Lo stato è pienamente sovrano nella sua sfera politica e la chiesa lo è nelle questioni di fede. In questo modo non riceve particolari protezioni dallo stato, ma non subisce nessuna forma di controllo. Secondo il Cavour “libera chiesa in libero stato”.
L’art 8 della costituzione dice che “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, però nell’art 7 la costituzione prende in esame i rapporti con la chiesa cattolica sostenendo che “lo stato e la chiesa cattolica sono indipendenti e sovrani e i loro rapporti sono regolati dai patti lateranensi”. Questi patti vennero fatti da Mussolini nel 1929 per sanare la rottura del 1870 quando Roma venne conquistata dallo stato italiano. I patti lateranensi erano formati da due principali documenti: con il trattato lo stato rinunciava alla propria sovranità sul territorio della Città del vaticano, che si costituisce come stato autonomo; in questo modo venne ristabilito in modo simbolico il potere temporale del papa; con il concordato che regolava il trattamento della chiesa cattolica all’interno dello stato italiano. Questo concedeva molto alla chiesa, tra cui l’introduzione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ampie esenzioni fiscali per gli enti ecclesiastici, il riconoscimento del matrimonio con rito cattolico.
Negli anni successivi all’entrata in vigore della costituzione ci fu un lungo dibattito sul mantenere o no i patti lateranensi. Il trattato non fu mai messo in discussione, mentre il concordato fu molto criticato, perché molte norme che conteneva erano in contrasto con la costituzione.
Le trattative tra il governo e la Santa Sede per la modifica del concordato, iniziate nel 1967, furono lunghe e faticose. Solo con il concordato del 1984 si arrivò ad una soluzione. Questo nuovo accordo mantiene alcuni fondamentali privilegi a favore della chiesa cattolica. Lo stato e la chiesa cattolica s’impegnarono a riconoscere la rispettiva sovranità e indipendenza e a basare i loro rapporto sulla reciproca collaborazione. Sono state stabilite esenzioni fiscali per gli enti ecclesiastici che operano nel territorio italiano, purché abbiano fini religiosi, di culto, di beneficenza o d’istruzione.
I matrimoni celebrati con rito cattolico continuano ad avere effetti civili per lo stato; l’insegnamento della religione cattolica è rimasto, ma in modo facoltativo; è stato stabilito un contributo dello stato al sostentamento del clero, l’8 per mille; viene dichiarato che la religione cattolica non è più la sola religione di stato.
Secondo la nostra costituzione le religioni diverse da quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo propri statuti, basta che non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano e i loro rapporti con lo stato sono regolati per legge sulla base di intese con relative rappresentanze.
LA COSTITUZIONE E L’ECONOMIA
Ci sono due aspetti particolari che caratterizzano le norme della costituzione sull’economia:
-lo speciale rilievo assegnato al lavoro, alla tutela dei lavoratori dipendenti e alle loro forme di organizzazione e di azione collettiva (sindacati, scioperi);
-il ruolo attribuito allo stato sia nella gestione diretta dei settori economici, sia nell’indirizzo generale dell’iniziativa economica privata e dell’economia nel suo complesso.
La costituzione configura un sistema a economia mista, in cui l’economia privata è affiancata da un’economia pubblica in cui lo stato svolge una funzione di orientamento generale e di programmazione.
I RAPPORTI ETICO SOCIALI
I tre aspetti che concernono la vita sociale sono:
la famiglia: viene definita dalla costituzione come una “società naturale”. La famiglia è titolare di diritti e le relazioni all’interno di questa devono basarsi sull’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi. La costituzione considera la famiglia fondata sul matrimonio ed impone alla legge di assicurare l’uguaglianza tra i figli legittimi e quelli nati al di fuori del matrimonio, sia sul piano giuridico che sul piano patrimoniale ed ereditario. Prima della riforma sul diritto di famiglia (1975) la famiglia tradizionale si basava sull’autorità del marito sui figli e sulla moglie.
la salute: per la costituzione la tutela della salute rappresenta un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse per la collettività. Un importante passo avanti nel riconoscimento del diritto alla salute è stato realizzato con la riforma sanitaria (1978). La riforma ha introdotto il sistema della sicurezza sociale, in base al quale l’assistenza sanitaria gratuita spetta a qualsiasi cittadino ed è fornita da un unico servizio, il servizio sanitario nazionale.
l’istruzione: la costituzione garantisce la libertà d’insegnamento così come garantisce la libertà della scienza e dell’arte. Lo stato non può imporre un determinato indirizzo politico o ideologico agli scienziati, agli artisti e agli insegnanti. Lo stato si impegna ad istituire scuole pubbliche per tutti gli ordini e i gradi, ma garantisce ai privati il diritto si istituire scuole e istituti privati, purché non pesino sullo stato. Per garantire il diritto allo studio, in particolare ai più meritevoli con disagi economici, .la repubblica ha istituito borse di studio, assegni alle famiglie che devono essere attribuite per concorso. La costituzione infine stabilisce che l’istruzione è obbligatoria e gratuita per almeno 8 anni.
DOVERI DEI CITTADINI
La costituzione prevede i seguenti obblighi dei cittadini nei confronti dello stato:
-il dovere di fronte alla repubblica e il dovere di osservare la costituzione e le leggi;
-la difesa della patria. Molti paesi democratici hanno deciso di rendere facoltativo i servizio militare e di istituire il servizio civile. I cittadini possono essere chiamati alla difesa della patria solo di fronte ad eventi eccezionali;
-il dovere di pagare i tributi, in ragione della capacità contributiva.

I PARTITI POLITICI
I partiti politici negli stati contemporanei
I partiti politici sono organizzazioni che hanno come fine la conquista e la gestione del potere politico. Costituiscono il canale di collegamento tra la società civile e le i istituzioni statali, infatti esprimono le idee di una parte della popolazione, formulando in base a questo i loro programmi e cercando di farli valere all’interno delle istituzioni pubbliche. Hanno quindi una duplice funzione: sono organizzazioni private e volontarie e allo stesso tempo svolgono funzioni pubbliche.
I partiti come organizzazioni private. I partiti sono organizzazioni private e volontarie, ognuno è libero di iscriversi o ad un partito. Qualunque gruppo di cittadini può fondare un nuovo partito. Ogni partito tende ad esprimere contemporaneamente gli interessi di determinati gruppi sociali (per es gli interessi della borghesia industriale o degli operai) e le idee presenti nella società civile (ad es idee liberali, cattoliche, socialiste, comuniste, ecc). Non esiste sempre l’esatta corrispondenza tra partito, interessi e idee, infatti tali aspetti sono in continuo movimento e i partiti tendono a modificare il loro programma e la loro ideologia per ottenere maggiori consensi. A partire dagli interessi e dalle ideologie il partito formula il programma politico, cioè quella serie di misure, leggi, provvedimenti che intende sostenere all’intero degli organi dello stato.
Le funzioni pubbliche dei partiti.
• Costituiscono il canale di selezione dei dirigenti politici, è infatti molto difficile entrare a far parte di un’assemblea elettiva (parlamento, consigli regionali o comunali) senza l’appoggio di un partito. I candidati alle elezioni sono designati dai partiti, e quindi i cittadini devono scegliere tra quelle persone nominate dai partiti.
• I partiti che ottengono la maggioranza alle elezioni formano il governo dello stato e ne designano i ministri.
• L’indirizzo politico dello stato è formato dai partiti di maggioranza.
I partiti costituiscono l’asse portante dello stato. Questo però non significa che parlamento e governo non sono importanti, infatti i programmi dei partiti vengono effettivamente realizzati solo quando sono fatti propri dal parlamento e attuati dal governo.
Il processo di democratizzazione e lo sviluppo dei partiti
I partiti dei notabili: finché rimase in vita lo stato assoluto e il sovrano governava senza il consenso esplicito della società, i partiti non avevano ragione di esistere. I primi partiti nacquero con il primo stato rappresentativo, che si era formato in Inghilterra a seguito della rivoluzione del 1688, che pose alla base dello stato il potere elettivo. All’interno del parlamento inglese vi erano due partiti: i whigs e i tories, che però non erano ancora dei veri e propri partiti. Si trattava infatti di raggruppamenti costituiti all’interno del parlamento che avevano scarsi contatti con il resto della società. Questi tipi di partiti vengono chiamati partiti dei notabili perché si formano attorno a figure importanti del mondo politico, che sono proprio i notabili.
I partiti di massa: con l’allargamento del diritto al voto nell’800 e con il suffragio universale nel 900, cambia la fisionomia dei partiti, nascono infatti nuovi partiti che sono quelli di massa. I primi sono quelli socialisti, che nascono alla fine dell’800. il loro scopo non è di gestire il potere politico, ma di organizzare la classe operaia per ottenere nuove conquiste politiche. Per questo adottano un’organizzazione capillare e di massa, aprono sezioni in tutto il paese e si impegnano a rispettare la disciplina del partito. La complessità e l’ampiezza di questi partiti fa sì che si crei un apparato formato dai funzionari e dai dirigenti del partito che si dedicano stabilmente e professionalmente all’attività politica, e nascono così i politici di professione.
I partiti di massa sono anche conosciuti come partiti di integrazione sociale perché consentono a larghi strati di popolazione di organizzarsi verso una meta comune. Questi partiti sono spesso affiancati da organizzazioni collaterali che si occupano di particolari problemi o particolari categorie di persone, come organizzazioni di giovani, di donne, organizzazioni sindacali.
Per tutto il 900 i partiti di massa sono stati i partiti dominanti, ma nel verso la fine del secolo si è assistito un declino di questo modello. Soprattutto nei paesi in cui la democrazia esiste da molto tempo i partiti tendono a non presentarsi più come organizzazioni dalle ideologie ben definite, ma come centri di raccolta degli interessi più diversi che cercano con ogni mezzo di procurarsi il massimo numero di voti. Si parla infatti della trasformazione da partiti di massa a partiti piglia-tutto, cioè partiti poco ideologici, interessati a sfruttare ogni occasione per ottenere il successo elettorale.
I partiti politici nella costituzione
La Repubblica italiana è nata anche grazie al contributo dei partiti che hanno sconfitto il fascismo, e per questo la Costituzione ne riconosce il ruolo affermando che “tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale”. Da questa definizione derivano alcuni principi, come:
• La formazione dei partiti è libera, l’unico limite è che non si può riorganizzare il partito fascista.
• La repubblica si fonda sul pluralismo dei partiti.
• Ai partiti è riconosciuta la funzione di determinare la politica nazionale.
• I partiti devono rispettare il partito democratico, cioè che la minoranza deve rispettare le decisioni della maggioranza, ma ha piena libertà di agire, con tutti i mezzi pacifici, per diventare a sua volta maggioranza e assumere la guida del paese. Si parla quindi di alternanza pacifica al potere tra minoranza e maggioranza.
Gestire u n partito richiede molto denaro. Anche le campagne elettorali costano: ogni candidato, se vuole essere eletto, deve spendere milioni in pubblicità per farsi conoscere. Una soluzione possibile a questo problema è il finanziamento pubblico dei partiti: cioè ogni partito riceve dallo stato il denaro per finanziare l’attività e le proprie campagne elettorali. Questo metodo è considerato un modo per prevenire la corruzione, in quanto, svolgendo funzioni pubbliche è giusto che siano finanziati dallo stato, altrimenti potrebbero essere tentati di ricorrere a pratiche illecite per procurarsi il denaro. Alcuni però sostengono che non è giusto questo metodo in quanto sono organizzazioni private e volontarie. Il finanziamento pubblico fu introdotto nel 1974 e fu parzialmente cancellato da un referendum del 1993. attualmente i partiti ricevono un contributo dallo stato per il rimborso delle spese sostenute nella campagna elettorale, nella misura di due euro per voto ottenuto.
I sistemi di partiti
L’insieme dei partiti che opera in un paese costituisce il sistema di partiti. I sistemi di partiti si differenziano tra di loro per due aspetti: il numero dei partiti che esistono in un paese e per il grado di omogeneità o disomogeneità politica esistente tra loro. Questi aspetti dipendono dalle caratteristiche storiche e culturali di ogni paese, i partiti infatti riflettono le divisioni o le fratture esistenti nella società tra classi sociali, aree geografiche, ideologie, ecc. più ampie cono queste fratture e più è probabile che i partiti siano numerosi e portatori di posizioni distanti tra di loro.
I sistemi di partiti possono essere ricondotti a due modelli principali: i sistemi bipartitici e i sistemi multipartitici.
Sistemi bipartitici: in questi sistemi la competizione politica si svolge esclusivamente attraverso due partiti che si differenziano per il fatto che uno è orientato su posizioni riformatrici o progressiste (qnd di sinistra) e l’altro su posizioni tradizionaliste e conservatrici (qnd di destra). Un esempio sono gli Stati Uniti dove la competizione si svolge tra il partito democratico e quello repubblicano. Possono essere considerati bipartitici anche i sistemi in cui ci sono più di due partiti, ma solo due sono abbastanza forti, sul piano elettorale, com’è accaduto in Inghilterra.
È stato spesso sostenuto che i sistemi bipartitici sono in grado di garantire un migliore funzionamento della democrazia, infatti il partito che prevale alle elezioni conquista la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento e forma il governo, mentre il partito sconfitto è destinato a svolgere il ruolo dell’opposizione. Questo sistema garantisce la stabilità dei governi, in quanto essendo formati da un solo partito riescono a completare la legislatura, e l’alternanza al potere, che è vitale per la democrazia e costituisce uno stimolo per entrambi i partiti perché quello che governa corre il rischio ad ogni elezione di non essere più eletto e quello che fa parte dell’opposizione ha la possibilità di salire lui al governo. L’inconveniente di questo sistema è che gli elettori hanno una scelta molto limitata, infatti è possibile che i due partiti formulino programmi molto simili.
Sistemi multipartitici: in questo sistema la competizione non avviene solamente tra due partiti ma tra numerosi partiti molto diversi. In questo sistema un partito solo non è in grado di ottenere la maggioranza alle elezioni e per questo i governi sono formati da coalizioni di partiti, che però sono poco stabili in quanto sono formate da partiti che hanno interessi diversi. Proprio a causa di questo ci sono stati periodi di forte instabilità politica in Francia e Germania. In questi paesi nel secondo dopoguerra c’è stata una semplificazione del sistema dei partiti e ci si è avvicinati ai sitemi bipartitici. Nella Francia della V repubblica i partiti principali sono 4 o 5, ma cono raggruppati in due soli schieramenti, destra o sinistra, e nella Germania federale la competizione politica si svolge tra il partito socialdemocratico e la democrazia cristiana.
L’evoluzione del sistema dei partiti in Italia
Inizialmente (fino al ‘48), in Italia c’era il sistema multipartitico. La caratteristica del sistema italiano consisteva nel fatto che i partiti italiani non erano raggruppati in due schieramenti on competizione tra loro (destra e sinistra). Il maggior partito italiano era la Democrazia cristiana, che occupava una posizione di centro e si alleava con i partiti minori sia di destra che di sinistra, e questo gli permise di rimanere sempre al governo. Il secondo partito era il Partito comunista italiano, che rimase sempre all’opposizione. Nei primi cinquant’anni di repubblica non si è mai verificata l’alternanza al governo che invece era avvenuta negli altri stati europei, e per questo fu definita democrazia bloccata. Si parla anche di bipartitismo imperfetto, in quanto è stato dominato da due partiti la Dc e il Pci che non si sono mai alternati al governo.
Nei primi anni ’90 questo sistema è stato travolto, anche per effetto delle leggi elettorali di tipo maggioritario. L’Italia è l’unico paese che ha subito un ribaltamento del proprio sistema politico. Attualmente non esiste nessuno dei partiti degli anni 90, alcuni sono scomparsi e altri hanno cambiato nome e sostanza. Nonostante l’adozione del sistema maggioritario, il numero dei partiti non è diminuito, infatti ci troviamo ancora oggi in un sistema multipartitico. Questi partiti sono organizzati in due coalizioni:
➢ Una coalizione di centro-destra: la casa delle libertà, formata nel 2001 comprendeva Forza Italia, Alleanza Nazionale, il Centro cristiano democratico, i Cristiani democratici uniti e la Lega Nord;
➢ Una coalizione di centro-sinistra: l’ulivo, che nel 2001 comprendeva i Democratici di sinistra, la Margherita, i Comunisti italiani e i Verdi.
Inoltre nel 2001 c’erano due partiti, Rifondazione comunista e Democrazia europea, che non si riconoscevano in nessuna coalizione e per questo correvano da soli.
I gruppi d’interesse
Sono organizzazioni che pur non presentandosi alle elezioni e non avendo l’obbiettivo della gestione del potere politico, hanno concreta influenza sulle decisioni dello stato e quindi contribuiscono indirettamente a formulare la politica dello stato. Questi sostengono gli interessi di particolari categorie e sono anche detti gruppi di pressione in quanto premono sui partiti o sugli organi dello stato per ottenere decisioni a loro favorevoli.
I sindacati
I gruppi di pressione più importanti sono i sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori. Hanno una forte influenza infatti il governo raramente prende provvedimenti di politica economica senza consultare i sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori. La concertazione è una pratica molto diffusa nei paesi europei e consiste nell’incontro tra governo, sindacati e confindustria per concordare provvedimenti di politica economica.
Altri gruppi d’interesse
Nello stesso modo dei precedenti agiscono molti altri gruppi d’interesse. Ogni categoria di cittadini è rappresentata da organizzazioni che ne tutelano gli interessi e che premono sui partiti e sul governo per ottenere provvedimenti a esse favorevoli. Un esempio sono le organizzazioni degli agricoltori, degli artigiani, dei commercianti, dei medici, ecc. ogni associazione può trasformarsi in gruppo d’interesse se è abbastanza forte da trovare ascolto nei partiti, tra i membri del parlamento, i ministri, ecc.
Aspetti positivi e negativi
La funzione dei gruppi di pressione è vista positivamente in quanto permette di stabilire un collegamento tra i partiti e lo stato con i cittadini. Esistono però anche aspetti negativi: ad esempio gli interessi dei gruppi forti possono prevalere su quelli dei gruppi più deboli. Un altro problema si verifica per gli interessi di vitale importanza, che spesso vengono espressi in forma organizzata. Le organizzazioni che difendono quegli interessi, come ad esempio le organizzazione dei consumatori, sono molto deboli, e il problema sta nel fatto che lo stato può tendere a privilegiare gli interessi dei commercianti e degli industriali, quindi gli interessi opposti, come già in passato si è verificato.
L’azione dei gruppi di interesse può portare alla corruzione, infatti un gruppo d’industriali o di uomini d’affari può pagare deputati, ministri o funzionari di partito per ottenere un provvedimento favorevole.
LE ELEZIONI E LE ALTRE FORME DI PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA (tutto questo capitolo non è segnato nel programma)
La democrazia
Il principio democratico viene posto a fondamento dell’assetto costituzionale. La parola democrazia significa letteralmente “potere del popolo” e si pu8ò quindi affermare che uno stato è democratico quando il popolo ha il diritto e la concreta possibilità di determinare l’orientamento politico dello stato stesso e quando i governanti sono sottoposti alla volontà popolare. Questo significa che il principio democratico implica una legittimazione del potere politico “dal basso”.
Le concezioni più importanti sul piano storico sono quelle della democrazia diretta e della democrazia rappresentativa.
Democrazia diretta: si ha democrazia diretta quando il popolo ha il potere di decidere direttamente sulle questioni politiche che lo riguardano. In questo caso i governanti devono limitarsi a eseguire le decisioni espresse dalla volontà popolare. Nel corso della storia questo modello è stato applicato raramente, anche se permette di realizzare più concretamente il principio della sovranità popolare. Questo modello può essere applicato all’interno di piccole comunità, dove i cittadini possono facilmente riunirsi e discutere su ogni questione, mentre è più difficile da applicare nei grandi stati. Ma anche se fosse possibile applicarlo, non è detto che tutti i cittadini possiedano tutte le informazioni necessarie a prendere una decisione e non è detto che siano in grado di prendere decisioni che valutino gli interessi della collettività. Può anche essere dannoso utilizzare una democrazia diretta, perché può favorire forme di consenso plebiscitario alle proposte di leader che usano il loro ascendente per gestire un potere autoritario.
Democrazia rappresentativa. Questo modello è anche definito modello della democrazia indiretta o delegata. Secondo questo modello la sovranità del popolo non sta nel decidere sulle questioni politiche, ma nello scegliere i suoi rappresentanti, ai quali spetta in via esclusiva il potere di formulare la politica dello stato, quindi il popolo non governa direttamente , ma indirettamente attraverso i suoi rappresentanti che ha scelto. Il popolo non può influire sulle decisioni, ma può decidere periodicamente se mantenerli o sostituirli. Il momento in cui si esprime la volontà popolare sono quindi le elezioni. Questo modello è l’unico che ha avuto la piena attuazione durante la storia e oggi tutti gli stati democratici si basano sulla democrazie rappresentativa. Questo modello può essere attuato in due modi diversi. una volta stabilito che lo stato è democratico se il popolo ha il potere di eleggere i suoi rappresentanti, rimane il problema di decidere quali organi devono essere eletti dal popolo. Per risolvere questo problema esistono due soluzioni:
-nelle forme di governo presidenziale il popolo elegge direttamente sia il parlamento che il capo di governo, e sono quindi sistemi dualistici.
-nelle forme di governo parlamentare il popolo elegge direttamente solo il parlamento e gli altri organi dello stato derivano a loro volta dal parlamento e sono quindi eletti indirettamente dalla sovranità popolare, e sono detti sistemi monistici.
Per quanto riguarda i giudici, generalmente non sono eletti dal popolo ma sono assunti per concorso pubblico, infatti devono giudicare in base alla legge e non secondo la volontà del popolo.
Anche la democrazie rappresentativa presenta aspetti negativi, come per esempio il fatto che la distanza tra i rappresentanti e gli elettori è molto forte; gli elettori non possono intervenire nella politica se non durante le elezioni; le decisioni vengono prese dai rappresentanti senza consultare i cittadini. E per questo dal popolo viene espressa l’esigenza di una partecipazione più diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica o di una loro consultazione su questioni di particolare importanza. Queste esigenze sono state in parte accolte in molti stati contemporanei, tra cui l’Italia, che pur basandosi su una democrazia rappresentativa ammettono alcuni istituti di democrazia diretta.
La regola della maggioranza. Il popolo è formato da una pluralità di individui, che hanno idee, esigenze e interessi diversi e contrapposti. E per questi motivi è difficile stabilire quale orientamento deve essere seguito. Per questo motivo viene accettata universalmente la regola della maggioranza, secondo cui in una democrazie prevalgono quelle posizioni che ottengono il consenso della maggioranza della popolazione (in caso di democrazia diretta) e la maggioranza dei rappresentanti (se è una democrazia rappresentativa). Questo non significa che gli orientamenti della maggioranza siano migliori, ma è difficile trovare un altro metodo per risolvere questo problema. Per avere senso questa regola deve essere applicata solamente in due condizioni:
-la formulazione delle idee politiche deve essere libera, cioè ogni cittadini deve essere libero di scegliere la propria posizione politica. Quindi un sistema politico è democratico solo se ammette la libertà di manifestazione del pensiero e se ammette il pluralismo delle idee e dei partiti.
-la maggioranza deve rispettare le idee della minoranza, quindi non deve impedire alla minoranza di esprimersi o di organizzarsi, altrimenti non si parlerebbe di democrazia.
La democrazia nel sistema costituzionale italiano
Il modello attuato dalla costituzione italiana è quello di tipo rappresentativo. Inoltre la costituzione ammette alcuni istituti di democrazia diretta, il più importante dei quali è il referendum popolare abrogativo. Il sistema rappresentativo utilizzato dalla costituzione italiana è di tipo parlamentare, il popolo elegge infatti solamente i rappresentanti del parlamento. Gli altri organi derivano dal parlamento: il presidente della repubblica è eletto dalle due camere in seduta comune, il governo è espressione della maggioranza che si costituisce nel parlamento e risponde al parlamento del suo operato. A sua volta il governo è a capo della pubblica amministrazione, che è composta da un numero elevato di funzionari e di pubblici dipendenti che non sono eletti ne direttamente ne indirettamente dal popolo, ma per concorso.
Il principio della democrazia rappresentativa riguarda anche gli enti pubblici territoriali, cioè regioni, province e comuni. Qui il popolo elegge sia i parlamenti, cioè consigli regionali, provinciali e comunali, ma anche il governo, cioè presidente della regione, della provincia e il sindaco. Possiamo dire che la forma di governo delle regioni è di tipo presidenziale.
Il parlamento europeo viene eletto direttamente dai cittadini di tutti gli stati membri.
In Italia esistono tre tipi di elezioni:
-le elezioni politiche, cioè le elezioni per la camera dei deputati e del senato, a cui partecipa tutto il corpo elettorale.
-le elezioni amministrative, cioè le elezioni regionali, provinciali e comunali a cui partecipano i corpi elettorali di ciascuna regione, provincia, comune. Nei comuni maggiori dal popolo sono eletti anche i consigli di quartiere.
-elezioni europee, cioè le elezioni dei deputasti italiani al parlamento europeo, alle quali partecipa tutto il corpo elettorale italiano.
Tutti questi tipi di elezione si svolgono a distanza di cinque anni.
Il corpo elettorale, il voto, l’astensione
In Italia il suffragio è universale. Hanno infatti diritto al voto tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Nel 1975 la maggiore età è stata fissata a 18 anni. Per le elezioni del senato invece il diritto al voto è limitato a coloro che hanno compiuto 25 anni.
La costituzione stabilisce che un cittadino può essere privato del diritto al voto in causa di:
-incapacità civile;
-sentenza irrevocabile;
-indegnità morale.
Inoltre non possono votare:
-gli imprenditori dichiarati falliti non possono votare per 5 anni;
-i condannati a pene detentive per reati molto gravi (i detenuti sottoposti a custodia cautelare possono continuare a votare);
-i condannati all’interdizione dai pubblici uffici.
Diritto al voto agli stranieri: la costituzione riserva il diritto al voto ai soli cittadini italiani. Si discute sull’opportunità di attribuire il diritto al voto anche agli stranieri che risiedono stabilmente in Italia. Il principio democratico esige infatti che chi vive e lavora legalmente in Italia deve avere la possibilità di votare. Per quanto riguarda i cittadini europei residenti in un paese dell’Unione Europea il diritto al voto era stato riconosciuto già nel trattato di Maastricht.
Il corpo elettorale. Il corpo elettorale è costituito dall’insieme dei cittadini che hanno diritto al voto. L’appartenenza al corpo elettorale risulta da appositi elenchi, cioè le liste elettorali, che ogni comune deve compilare e aggiornare in base ai cittadini residenti in quel territorio.
Il voto degli italiani all’estero. Fino a poco tempo fa i cittadini italiani che risiedono all’estero dovevano venire in Italia per esercitare il loro diritto al voto. Ora invece possono votare dallo stato in cui vivono. Nella legislatura attuale 12 deputati e 6 senatori saranno eletti in una “circoscrizione estero” e rappresentano in parlamento gli italiani che risiedono all’estero.
Il voto. La costituzione stabilisce che il voto è personale ed uguale, libero e segreto.
-personale perché ogni elettore deve esercitare personalmente il diritto al voto, non può delegare altri a votare per lui;
-uguale, perché il voto dei vari elettori ha lo stesso peso. Non ce n’è uno che conta di più;
-libero e segreto, perché la segretezza ha lo scopo di assicurare che tutti gli elettori possano votare liberamente, senza sottostare a nessun controllo e a nessun condizionamento da parte di altri. Proprio per questo la legge stabilisce che la votazione deve avvenite per iscritto su una scheda al chiuso della cabina elettorale e che l’elettore, dopo aver votato, depositi la scheda ripiegata dentro l’urna. Sono considerate nulle le schede sulle quali compaiono scritte o segni tali da poter risalire alla persona.
Votare è un dovere?l’esercizio del voto è un dovere civico. Questa affermazione ha valore sul piano politico e morale,ma non ha conseguenze politiche, chi non vota infatti non incorre a nessuna conseguenza. Tutto questo risponde alla logica del sistema democratico, secondo cui il voto, deve essere frutto di una convinzione personale e non può essere ottenuto attraverso la minaccia di sanzioni. È lo stato che deve convincere i cittadini all’utilità di votare, ma non può costringerli.
L’astensionismo. Il fenomeno dell’astensionismo elettorale è molto diffuso in tutte le democrazie contemporanee. In quei paesi è considerato normale il disinteresse per le elezioni da parte della popolazione. In Italia non ci sono di questi problemi, infatti la partecipazione si è mantenuta al di sopra degli altri paesi democratici, anche se a partire dagli anni settanta si è verificata una leggera diminuzione dei votanti.
I sistemi elettorali
Negli stati democratici viene utilizzata una grandissima varietà di sistemi elettorali. I numerosi sistemi elettorali possono essere ricondotti a due tipi fondamentali: i sistemi maggioritari e i sistemi proporzionali.
Sistema maggioritario. Il sistema maggioritario attribuisce i seggi solo a chi vince le elezioni. Si basa quindi sul principio del “chi arriva primo prende tutto”. il sistema più antico è quello maggioritario a collegio uninominale, che fu adottato dai regimi liberali europei dell’800 ed è attualmente in uso negli stati Uniti, in Canada e Australia. Secondo questo sistema il territorio viene diviso in tante aree geografiche dette collegi, quanti sono i deputati da eleggere. Se ad esempio il parlamento è composto da 500 deputati, il territorio verrà suddiviso il 500 collegi. Ad ogni collegio spetta il diritto di eleggere un solo deputato, e per questo è chiamato collegio uninominale. Ogni partito presenta in ogni collegio un solo candidato e gli elettori sceglieranno tra i candidati designati dai partiti. Sarà eletto deputato il candidato che otterrà il maggior numero di voti. I voti ai candidati rimasti in minoranza vanno perduti. Se ad esempio ad un collegio si presentano 3 candidati, uno prende il 40% dei voti e gli altri due il 30%, il primo diventerà deputato e i voti degli altri due andranno perduti anche se insieme formano il 60%. Questo sistema penalizza i partiti piccoli. Se infatti un partito non ottiene il maggior numero di voti in un collegio, non avrà nemmeno un rappresentante in parlamento. Per esempio un candidato riceve il 25% di voti sul piano nazionale ma non arriva primo in nessun collegio, rimane escluso in quanto non ha vinto in nessun collegio. Il sistema maggioritario costituisce un disincentivo alla formazione dei partiti piccoli e favorisce la formazione si un sistema di partiti basato su pochi grandi raggruppamenti. Quindi se ad esempio ad un collegio si presentano 3 candidati, uno prende il 40% dei voti e gli altri due il 30%, il primo diventerà deputato, ma se gli altri due sui coalizzano e presentano un solo candidato avranno la possibilità di superare il primo. Nella maggior parte dei paesi che adotta questo sistema esistono sistemi bipartitici.
Sistema maggioritario a doppio turno. Il sistema maggioritario può essere introdotto in forma corretta. Ad esempio in Francia dal 1958 è in vigore un particolare sistema maggioritario a collegio uninominale, in cui le elezioni si svolgono in due turni.
Al primo turno tutti i partiti presentano i loro candidati in ogni collegio uninominale. Se uno riceve il 50% dei voti viene direttamente eletto, negli altri casi si svolge un secondo turno (il ballottaggio) tra quei candidati che al primo turno hanno ottenuto almeno più del 12,5% dei voti. In questo modo i partiti minori hanno la possibilità di presentarsi ad ogni elezione al primo turno e nel caso non riescono a essere eletti in parlamento, possono fare confluire i loro voti, nel secondo turno, sui partiti maggiori a loro più affini.
Sistema proporzionale. Tramite questo sistema vengono attribuiti i seggi in proporzione ai voti ottenuti, e si basa sul principio del “tutti prendono qualcosa in proporzione alla loro forza elettorale”. Questo sistema è molto diffuso nei paesi dell’Europa continentale, dove ci sono i sistemi multipartitici. Generalmente, ma non sempre, questo sistema è applicato dividendo il territorio in collegi plurinominali, dive vengono eletti un certo numero di deputati. Se ad esempio il parlamento è formato da 500 deputati, il territorio può essere suddiviso in 100 collegi che nomineranno 5 candidati. In ogni collegio i partiti presentano una lista di candidati. Gli elettori voteranno la lista e i seggi in palio in quel collegio vengono distribuiti tra i partiti in proporzione ai voti ottenuti. Se per esempio i seggi in palio sono 10 e si presentano 3 liste e la prima riceve il 40% dei voti e le altre due il 30%, la prima otterrà 4 seggi e le altre due 3 seggi. In questo modo tutti i voti sono stati trasformati in seggi e nessun voto è andato perso. Inoltre anche i partiti minori hanno ottenuto un seggi, in proporzione ai voti ottenuti. Un sistema è puro quando la % dei seggi assegnati a ciascun partito corrisponde esattamente alla % di voti ottenuti sul piano nazionale.
Il sistema proporzionale può essere corretto per evitare l’accesso in parlamento di formazioni politiche troppo piccole, quindi evitare la frammentazione dei partiti e garantire la formazione di maggioranze stabili. Ad esempio si stabilire uno sbarramento, cioè i seggi in palio non vengono distribuiti tra tutti i partiti che hanno partecipato alle elezioni, ma solo tra quelli che hanno superato a livello nazionale una certa % di voti. Questo sistema è adottato dalla Repubblica Federale della Germania che prevede uno sbarramento del 5%. Un’altra possibile correzione consiste nell’attribuire un premio di maggioranza, quindi il partito p i partiti maggiori ricevono un numero di seggi più altro rispetto a quello che gli spetterebbe in base ad una distribuzione proporzionale.
Gli effetti del maggioritario e del proporzionale. I sue sistemi presentano vantaggi e svantaggi opposti:
-il sistema maggioritario favorisce la governabilità a scapito della rappresentatività del parlamento: tende a semplificare il sistema dei partiti e a garantire una maggiore stabilità governativa, ma lascia numerosi cittadini senza rappresentanti in parlamento.
-il sistema proporzionale favorisce la rappresentatività del parlamento a scapito della governabilità: offre infatti una piena rappresentanza delle diverse correnti politiche della società civile, ma permette la frammentazione dei partiti, non determina automaticamente la posizione del governo, non ne garantisce la stabilità.
Altri aspetti negativi dei sistemi maggioritari sono rappresentati dal fatto che:
-nei sistemi maggioritari basati su collegio uninominale i cittadini possono scegliere una sola persona, nei sistemi proporzionali invece, il cittadino vota per un partito. Il problema è legato al fatto che se i cittadini possono votare una sola persona, i partiti sono indotti a presentare candidati di prestigio che riscuotono anche personalmente la fiducia degli elettori, la simpatia del candidato o la sua notorietà possono diventare più importanti delle sue idee.
-il candidato sia una persona senza scrupoli che conquista il voto dei cittadini in cambio di favori.
-inoltre nei collegi uninominali i candidati potranno favorire gli interessi locali a discapito di quelli generali.
Tutti questi inconvenienti possono essere risolti se il voto è dato al partito. Ma può succedere che gli eletti saranno fedeli al partito, ma possono non essere graditi ai cittadini.
Non esiste un sistema elettorale senza inconvenienti, ma esistono sistemi elettorali corretti che consentono di dare una maggiore rappresentatività ai sistemi maggioritari e di garantire una maggiore efficienza e stabilità ai sistemi proporzionali.
I sistemi elettorali in Italia
La Costituzione italiana non corsitene nessuna disposizione sulla natura del sistema elettorale. Stabilisce solamente che entrambe le camere sono elette a suffragio universale diretto e aggiunge che le elezioni per il senato si devono svolgere su base regionale. Per quanto riguarda regioni, province e comuni la costituzione lascia alla legge il compito di stabilire quali sistemi elettorali si devono adottare, e questo significa che la fisionomia dei sistemi elettorali è lasciata a legge ordinaria. Nei primi 47 anni, l’Italia ha adottato per queste elezioni un sistema proporzionale di tipo puro, in modo da garantire una stretta corrispondenza tra voti ottenuti e seggi assegnati. Questo sistema è però stato messo sotto accusa, in quanto è accusato di essere una delle cause delle disfunzioni del sistema politico italiano. Gli è inoltre stato attribuito di alimentare la frammentazione dei partiti, di ostacolare la governabilità e di impedire ai cittadini di eleggere il governo. Per questo si è presentata la necessità di riformare il sistema elettorale.
Le riforme elettorali. Tra il 1993 e il 1999 sono state varate 4 riforme elettorali:
-la riforma delle elezioni dei comuni e delle province, approvata dal parlamento;
-la riforma delle elezioni del senato, realizzata mediante l’abrogazione di alcune norme della legge elettorale precedente;
-la riforma delle elezioni della camera dei deputati, approvata dal parlamento con una legge, allo scopo di applicare anche alla camera dei deputati i principio introdotti dal referendum per il senato,
-la riforma delle elezioni dei consigli regionali, approvata dal parlamento con una legge. Inoltre fu approvata anche l’elezione diretta del presidente della regione.
Le elezioni dei deputati al parlamento europeo non sono cambiate, e continuano a basarsi sul sistema proporzionale.
Il referendum abrogativo
Il referendum è una votazione in cui il popolo è chiamato a pronunciarsi su una singola questione con un sì o con un no. Il referendum è un istituto di democrazia diretta perché consente al popolo di prendere una decisione direttamente e non tramite i suoi rappresentanti. La costituzione italiana ammette il referendum solo per abrogare delle leggi già esistenti, e quindi il popolo può solamente togliere efficacia alla legge, ma non può modificarla e ne può introdurne una nuova. E per questo è un potere di tipo negativo. La costituzione infatti ha voluto riservare al parlamento il potere di introdurre nuove leggi o di modificare quelle esistenti. Dato che il referendum costituisce una forma di controllo popolare sull’operato del parlamento, è sempre stato visto con diffidenza dai partiti, tanto che la sua approvazione deriva al 1970, 22 anni dopo l’approvazione della costituzione. Secondo la costituzione possono essere sottoposte a referendum solo le leggi emanate dal parlamento e gli atti venti forza di legge, come ad esempio i decreti-legge e i decreti legislativi emanati dal governo. La richiesta di abrogazione può essere totale o parziale, totale quando si chiede di l’abrogazione dell’intera legge, parziale quando si chiede l’abrogazione di singole disposizioni previste dalla legge. Inoltre la costituzione sancisce che il referendum non è ammesso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia o di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
La richiesta del referendum può essere effettuata da 5 consigli regionali o tramite 500000 elettori. Nel caso in cui il referendum viene attuato tramite i 500000 elettori, i promotori del referendum devono presentare la richiesta presso la corte di cassazione ed hanno 3 mesi di tempo per raccogliere le 500000 firme, che devono essere autenticate e apposte su speciali moduli vidimati.
Se si riescono a raccogliere tutte le firme bisogna effettuare due tipi di controllo:
-la corte di cassazione deve controllare il numero e la regolarità delle firme (è detto controllo di legittimità);
-se l’esito del controllo è positivo, la richiesta del referendum passa alla corte costituzionale che deve valutarne l’ammissibilità, e deve inoltre controllare la chiarezza del quesito.
Oltre alle cause descritte in precedenza, il referendum non è ammesso quando la proposta sottopone al corpo elettorale una “pluralità di domande eterogenee”. In questo caso infatti l’elettore non riesce ad esprimere la sua volontà in modo chiaro semplicemente con un sì o u no.
Una volta superati i due controlli, il presidente della repubblica, su deliberazione del consiglio dei ministri, indice il referendum fissandone la data. La legge fissa un calendario molto preciso:
-la raccolta delle firme deve svolgersi tra 1 gennaio e il 30 settembre;
-il controllo della cassazione deve avvenire entro il 15 dicembre;
-la sentenza di ammissibilità della corte costituzionale deve essere pronunciata entro il 10 febbraio;
-le elezioni referendarie devono svolgersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Il referendum, anche se già indetto, non viene effettuato se il parlamento provvede ad emanare una nuova legge che abroga o modifica la precedente, sulla quale è stato chiesto il referendum. Se però la legge viene modificata solo formalmente, il referendum si svolge sulla nuova legge.
Per evitare che il referendum interferisca con le elezioni politiche, la legge stabilisce che la richiesta del referendum non può essere fatta nell’anno che precede la scadenza delle camere, ne nei 6 mesi dopo l’elezione di queste. In caso di elezioni anticipate, il referendum viene rimandato di un anno.
Alla votazione del referendum partecipano tutti i cittadini e sulla scheda elettorale viene posto il quesito del referendum e due caselle, una con il sì e una con il no. Il sì equivale a pronunciarsi a favore dell’abrogazione, il no viceversa. Per rendere valida la votazione è necessario che partecipi la maggioranza degli aventi diritto. La legge è abrogata sei si ottiene la maggioranza dei si.
Dopo tutto ciò, il presidente della repubblica può sospendere per 60 giorni l’effetto del referendum abrogativo, per dar modo al parlamento di colmare con una nuova legge il “vuoto legislativo” determinato dalla maggioranza dei si.
Il ricorso al referendum. In seguito all’entrata in vigore della legge di attuazione del referendum nel 1970, è stato fatto ampio ricorso a questo istituto. Le richieste di referendum sono state 127, delle quali:
-53 giunte a votazione. Di questi 53, 18 sono rimasti senza effetto perché non c’era la maggioranza degli aventi diritto, 16 si sono conclusi con la maggioranza dei no e 19 si sono conclusi con la maggioranza dei si, e quindi la legge è stata abrogata.
-62 giudicate inammissibili;
-12, il parlamento è riuscito ad evitare la votazione approvando una nuova legge.
Il giudizio sul referendum è controverso:
-alcuni sostengono che grazie a questo hanno avuto finalmente l’effettiva possibilità di pronunciarsi su questioni di grandissima importanza, quali aborto, divorzio, ecc. ed inoltre il referendum ha portato il parlamento a fare delle riforme che altrimenti non avrebbe mai fatto;
-altri sostengono che è stato fatto un uso troppo esagerato dei referendum e quindi i cittadini sono stati sottoposti a troppi quesiti, molte volte di scarsa importanza.
Altre forme di democrazia diretta e di partecipazione
Referendum sulle leggi costituzionali. Se le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali sono approvate dalle due camere con maggioranza assoluta possono essere sottoposte a referendum entro 3 mesi, se il referendum viene richiesto da 1/5 dei membri di una camera, da 500000 elettori o da 5 consigli regionali. Non si può fare il referendum se quelle leggi sono approvate dai 2/3.
Referendum locali e regionali. È possibile sottoporre a referendum popolare questioni che riguardano una singola regione o un singolo comune secondo le norme stabilite da ogni regione. Questi referendum oltre ad essere abrogativi possono essere consultivi, cioè i cittadini non sono chiamati a decidere se mantenere o no un provvedimento, ma a esprimere la lori posizione sulla questione proposta.
L’iniziativa popolare delle leggi e delle petizioni. Con l’iniziativa popolare delle leggi il popolo può intervenire nella fase iniziale del processo legislativo inviando al parlamento un progetto di legge sottoscritto da 50000 elettori. Inoltre la legge riconosce a tutti i cittadini il potere di rivolgere petizioni per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
La partecipazione. A partire dagli anni ’70 sono state introdotte forme di partecipazione diretta dei cittadini, sia come utenti, sia come lavoratori dipendenti, alla gestione e al controllo dei servizi e dei poteri pubblici. Nel ’74 sono stati istituiti nelle scuole gli organi collegiali (a vari livelli consigli di classe, consigli di istituto) di cui fanno parte rappresentanti dei genitori, dei docenti e degli studenti. Le stesse forme di partecipazione sono state introdotte anche nelle università, nell’esercito e nella polizia.
IL PARLAMENTO
La camera e il senato
Il parlamento si compone di due camere:
-la camera dei deputati, formata da 630 deputati elettivi;
-il senato della repubblica, formato da 315 senatori elettivi e da un piccolo numero di senatori a vita.
Il parlamento italiano è quindi un parlamento bicamerale. Le due camere si riuniscono sempre separatamente, salvo in casi previsti dalla costituzione. Ogni decisione del parlamento deve poi ottenere l’approvazione di ciascuna camera. Le due camere hanno gli stessi poteri e le stesse funzioni e per questo si parla di bicameralismo uguale o paritario.
Modelli di parlamenti bicamerali. I parlamenti moderni nacquero sulla base di due modelli:
-secondo l primo modello, sorto in Inghilterra, le due camere rappresentavano classi sociali diverse, una camera elettiva (in Inghilterra camera dei comuni) che esprimeva gli interessi innovatori della borghesia, l’altra camera non elettiva (in Inghilterra la camera dei Lords) che esprimeva gli interessi conservatori della nobiltà.
-nel secondo modello invece, sorto negli Stati Uniti, una camera (dei rappresentanti) rappresenta l’insieme dei cittadini, l’altra (il senato), rappresenta gli stati membri della federazione. Questo modello fu applicato anche da altri stati federali, come ad esempio la Germania.
Il sistema bicamerale italiano. Il sistema bicamerale italiano non corrisponde a nessuno dei due modelli. Entrambe le camere durano 5 anni e sono formate da membri eletti a suffragio universale diretto. Nel senato oltre ai membri elettivi ci sono due tipi di senatori a vita:
-5 cittadini nominati dal presidente della repubblica scelti tra coloro “che hanno illustrato la patria per meriti nel campo sociale, artistico e letterario”;
-tutti gli ex presidenti della repubblica che diventano per diritto senatori.
Ci sono differenze per quanto riguarda l’età richiesta per votare:
-per la camera dei deputati possono votare i cittadini che hanno compiuto 18 anni;
.per il senato possono votare i cittadini che hanno compiuto 25 anni.
Per quanto riguarda l’eleggibilità, bisogna avere 25 anni per diventare deputato e 40 per diventare senatore.
La costituzione stabilisce che il senato è eletto a base regionale, ma questo non è stato seguito dalle leggi ordinarie e quindi questa differenza con la camera dei deputati non è stata attuata.
Ragioni del bicameralismo. Non c’è più la motivazione legata al fatto che le due camere rappresentano i diversi interessi delle classi sociali diverse. L’unico motivo per spiegare il mantenimento di due camere con le stesse funzioni e gli stessi poteri è quello di assicurare un approfondimento maggiore nell’elaborazione delle leggi. La doppia discussione e la doppia approvazione consente di effettuare un lavoro più accurato, ad esempio una camera può correggere gli errori dell’altra, introdurre delle modifiche prima che la legge entri in vigore.
Gli inconvenienti. Questo sistema presenta dei difetti, come per esempio tempi troppo lunghi, inutili ripetizioni, scarsa efficienza delle assemblee legislative. Inoltre dato che nelle camere si formano le stesse maggioranze, il reciproco controllo è inutile. Inoltre la situazione italiana è considerata anomala nell’ambito europeo, in quanto alcuni paesi hanno adottato il sistema monocamerale, altri hanno mantenuto il bicameralismo, ma le funzioni delle due camere sono diverse. La prima camera è eletta sempre a suffragio universale diretto, ma è dotata di maggiori poteri. La seconda camera invece svolge funzioni ausiliari o integrative e non è quasi mai eletta dal corpo elettorale. I membri della seconda camera sono per la maggior parte indicati dagli enti territoriali o da altri organi statali. (in Inghilterra la camera dei Lords è di nomina regia. In Italia si discute sulla possibilità di abbandonare il sistema bicamerale, facendolo così diventare un parlamento monocamerale. Ma questa proposta non ha avuto molto successo. Ci sono due proposte:
-differenziare la composizione delle due camere, trasformando il senato in una camera regionale;
-differenziare le funzioni attribuendo per esempio alla prima camera la funzione legislativa e alla seconda il controllo sul governo.
Il parlamento in seduta comune
La camera dei deputasti e il senato si riuniscono e deliberano sempre separatamente. Ma in alcuni casi previsti dalla costituzione, si riuniscono ed operano come se fossero un unico organo. E in tal caso si dice che il parlamento si riunisce in seduta comune.
-il caso più importante è quello dell’elezione del presidente della repubblica. A essi giungono 3 delegati per ogni regione, per la Val d’Aosta 1 solo. Sempre in seduta comune viene fatto il giuramento del presidente della repubblica.
-per eleggere 5 giudici costituzionali;
-per eleggere 10 componenti del consiglio superiore della magistratura;
-per mettere in stato d’accusa il presidente della repubblica per alto tradimento e attentato alla costituzione.
I parlamentari
I parlamentari sono i rappresentanti del popolo. infatti in democrazia rappresentativa il popolo non esercita la sua sovranità direttamente, ma attraverso i propri rappresentanti.
I parlamentari hanno la forte tendenza a fare gli interessi dei gruppi che li hanno votati piuttosto che fare gli interessi generali del paese. Il parlamentare infatti deve la sua elezione al partito che ha deciso di presentarlo alle elezioni e ai voti ricevuti dagli elettori e sarà molto tentato a ricompensarli per ottenere successivamente la stessa opportunità. Per evitare questo fenomeno la costituzione stabilisce il principio di divieto di mandato imperativo, che stabilisce che i parlamentari non sono vincolati dal mandato ricevuto dagli elettori. E anche se sono stati eletti per rappresentare gli interessi di gruppi sociali, una volta entrati in parlamento, non sono più costretti a rispettare quel vincolo. Da questo principio derivano varie conseguenze:
-i parlamentari non possono essere revocati in nessun caso dagli elettori;
-sono liberi di assumere posizioni diverse rispetto a quelle prese durante la campagna elettorale;
-se il parlamentare abbandona il partito rimane comunque membro del parlamento fino alla fine del suo mandato.
Il principio di divieto di mandato operativo ha un’applicazione molto limitata. Infatti anche se ogni parlamentare è formalmente libero di assumere qualsiasi posizione, resta comunque molto condizionato dal partito e dagli interessi locali dei suoi elettori. Quindi nasce un vincolo sostanziale rispetto al partito.
Le immunità parlamentari: L’immunità parlamentare è una particolare protezione giuridica. Questa è nata con la nascita dei parlamenti moderni con lo scopo di difendere i parlamentari dal potere del re, che avendo il potere esecutivo e giudiziario, avrebbe potuto facilmente limitare la liberà dei parlamentari. Il fine dell’immunità parlamentare non è di dare privilegi individuali ai parlamentari, ma di permettere al parlamento di agire in modo libero e indipendente, senza essere condizionato dal potere esecutivo. Esistono due tipi di immunità parlamentare:
-l’irresponsabilità per le opinioni date e per i voti espressi: i deputati e i senatori hanno piena e totale libertà di parola e di opinione e non possono essere imputati di diffamazione o di qualsiasi altro reato di opinione. I parlamentari hanno una libertà d’opinione superiore rispetto al popolo, perché essendo rappresentanti del popolo devono avere la possibilità di dire tutto ciò che ritengono utile senza timore di incorrere qualche sanzione.
-l’immunità processuale, che riguarda i reati di qualsiasi tipo commessi dai parlamentari, anche al di fuori delle loro funzioni. I giudici possono procedere liberamente contro un parlamentare che sia sospettato di aver commesso un reato, quindi il parlamentare può essere interrogato ed essere sottoposto a processo. I giudici devono però essere autorizzati dalla camera alla quale il parlamentare appartiene prima di sottoporre il parlamentare a misure che limitino la sua liberta, come ad esempio l’arresto (a meno che il parlamentare non venga colto mentre compie un reato o nel caso in cui la detenzione sia stata stabilita senza sentenza definitiva di condanna), perquisizioni domiciliari o personali, intercettazioni telefoniche, sequestro della corrispondenza.
Prima della riforma del ’93 l’immunità parlamentare era molto più estesa, infatti l’autorizzazione della camera a cui appartiene il deputato era necessaria prima di avviare qualsiasi indagine. Quindi le camere potevano sottrarre i propri membri attraverso la negazione dell’autorizzazione.
L’indennità. I parlamentari ricevono un’indennità stabilita dal parlamento stesso. In passato il suffragio universale era ristretto e potevano arrivare al parlamento soltanto coloro che erano in grado di mantenersi con le proprie rendite. La progressiva democratizzazione dello stato ha portato in parlamento esponenti delle classi lavoratrici che non potevano permettersi di non lavorare per la durata del mandato. E per questo è sta istituita l’indennità che ha consentito agli strati meno abbienti di avere propri rappresentanti in parlamento.
Organizzazione e funzionamento
La camera e il senato sono assemblee molto numerose e per lavorare in modo funzionale devono organizzarsi e dotarsi di regole di funzionamento.
I regolamenti parlamentari. La costituzione affida ad ogni camera la possibilità di stabilire autonomamente le norme per il proprio funzionamento interno. Ogni camera adotta un regolamento parlamentare che deve essere approvato a maggioranza assoluta.
I presidenti. Ogni camera elegge un presidente assistito da un ufficio di presidenza. Il presidente dirige la discussione, mette in votazione le deliberazioni, ne proclama i risultati, provvede al buon andamento della camera e della sua organizzazione.
L’assemblea plenaria e le commissioni. Per le questioni più importanti le camere si riuniscono in assemblea plenaria con la presenza di tutti i loro componenti (si riuniscono “in aula” Montecitorio per i deputati e palazzo Madama per i senatori), ma molto del lavoro parlamentare viene svolto all’interno di organismi più ristretti, che sono le commissioni. L’assemblea plenaria è la sede naturale per lo svolgimento dei dibattiti politici più importanti, mentre le commissioni rappresentano una sede specializzata per affrontare le questione con maggiore approfondimento. Esistono diversi tipi di commissioni:
-le commissioni permanenti, che sono 14 alla camera e 13 al senato, e si occupano ognuna di una materia, ad esempio esteri, sanità, cultura, ecc. Le commissioni svolgono importanti funzioni nel processo legislativo e possono riunirsi in sede referente o sede deliberante. Possono anche riunirsi al di fuori del processo legislativo, per discutere liberamente su qualsiasi questione e possono anche formulare delle risoluzioni. In questo modo hanno un ruolo importante nel determinare l’indirizzo politico del parlamento sugli argomenti di loro competenza e possono esercitare in più stretto controllo politico sul governo.
-le commissioni bicamerali, che sono formate congiuntamente da deputati e senatori e hanno specifici compiti di controllo in particolari settori della vita politica o amministrativa. Ad esempio la commissione per il controllo sui servizi segreti, la commissione bicamerale per gli affari regionali, ecc. Fa parte di questo tipo di commissioni la commissione bicamerale per le riforme istituzionali che nel ’97 ha elaborato la proposta di revisione della seconda parte della costituzione.
-le commissioni d’inchiesta vengono costituite per legge allo scopo di condurre indagini su problemi di rilevanza sociale o politica e hanno poteri più estesi rispetto alle normali commissioni, infatti possono chiamare i cittadini a testimoniare di fronte a loro. Il loro scopo non è di approvare leggi o trovare risoluzioni, ma quello di ricostruire la verità su fatti importanti politicamente e di fare conoscere questa verità all’opinione pubblica. Fanno parte di questo tipo le commissioni d’inchiesta sulla mafia (o commissioni antimafia) e la commissione d’inchiesta sulle stragi.
I gruppi parlamentari. I gruppi parlamentari rappresentano i partiti in parlamento. Tutti i deputati e i senatori di un ciascun partito formano un gruppo parlamentare. I loro presidenti, detti capogruppo, hanno un ruolo istituzionale molto importante, sono infatti i portavoce ufficiali del proprio partito in ogni camera. Riuniti formano la conferenza dei presidenti di gruppo (o conferenza dei capigruppo) a cui spetta il compito di programmare i lavori di ogni camera.
Le deliberazioni delle camere. Le camere sono organi collegiali, cioè formati da una pluralità di persone che agiscono in modo unitario. Le votazioni avvengono mediante alcune regole:
-numero legale, per rendere valide le deliberazioni della camera è necessario che sia presente la maggioranza dei loro componenti. Per quanto riguarda i regolamenti parlamentari la maggioranza si presume e si procede a contare il numero dei presenti solo quando se ne fa un esplicita richiesta. Il numero legale è obbligatorio quindi, solo quando si procede a una votazione che richiede il conteggio dei voti.
-maggioranze richieste: la costituzione stabilisce che le deliberazioni devono essere approvate a maggioranza semplice, cioè la ,maggioranza dei presenti più uno. Questa regola vale anche per l’approvazione delle leggi. Questa regola vale anche quando ci sono molti assenti, quindi una minoranza può anche far approvare una legge, questo perché in caso contrario gli assenti potrebbero bloccare il funzionamento del parlamento. In alcuni casi indicati dalla costituzione è necessaria la maggioranza assoluta, cioè la metà più uno dei membri della camera indipendentemente dal numero dei presenti. Questo vale ad esempio per le leggi costituzionali, per i regolamenti parlamentari, per l’elezione del presidente della repubblica dopo il terzo scrutinio. In altri casi sono richieste maggioranze più ampie, come i due terzi.
-metodi di votazione: le votazioni solitamente si svolgono a scrutinio palese, cioè ogni parlamentare esprime il suo voto pubblicamente, assumendosi quindi la responsabilità che ne consegue davanti agli elettori e all’opinione pubblica. Lo scrutinio segreto non è ammesso per questione di particolare importanza indicate dai regolamenti parlamentari, ad esempio votazioni sulle persone o sui diritti di libertà. Per le materie economiche non è più ammesso per evitare il problema dei franchi tiratori.
La pubblicità. Tutto ciò che avviene all’interno del parlamento può essere conosciuto all’esterno. È necessario infatti che i cittadini sappiano come agiscono i loro rappresentanti. La pubblicità è prevista dalla costituzione ed è disciplinata dai regolamenti parlamentari: le seduti sono aperti al pubblico, è assicurata la presenza dei giornalisti, la televisione può effettuare riprese anche in diretta, il resoconto delle sedute viene pubblicato negli atti parlamentari.
La durata delle camere e lo scioglimento anticipato
Ciascuna camera resta in carica 5 anni. Questo periodo è chiamato legislatura. Alla fine della legislatura il presidente della repubblica dichiara lo scioglimento delle camere e contemporaneamente indice le elezioni, che devono avvenire entro 70 giorni dallo scioglimento delle camere precedenti.
Scioglimento anticipato delle camere. Le camere possono essere sciolte anche prima della scadenza. E quindi si terranno le elezioni anticipate entro 70 giorni dallo scioglimento. Lo scioglimento delle camere dopo 5 anni è un atto dovuto, lo scioglimento anticipato è un rimedio eccezionale. La costituzione stabilisce che lo scioglimento è disposto dal presidente della repubblica e questa facoltà non può essere esercitata negli ultimi sei mesi del suo mandato, questo per evitare che il presidente ambisca ad essere rieletto scioglie le camere sperando di poter ottenere, dalle nuove elezioni, un parlamento a lui favorevole. Lo scioglimento anticipato può aver luogo solo quando il parlamento non è più in grado di esercitare le sue funzioni. Ciò accade quando è impossibile formare all’interno del parlamento una maggioranza in grado di proporre e sostenere un governo. Sono anche gli stessi partiti che propongono lo scioglimenti anticipato quando si accorgono che i dissensi tra loro sono così ampi da non permettere una maggioranza. L’ultima parola spetta al presidente della repubblica che può approvare la richiesta o insistere per trovare un altro accordo.
Le funzioni del parlamento
Nelle forme di governo parlamentari il parlamento ha un ruolo centrale, in quanto è l’unico organo che rappresenta la diretta espressione della sovranità popolare. Le sue funzioni possono essere ricondotte a due fondamentali:
-la funzione di indirizzo e controllo politico, consiste nel definire gli orientamenti politici dello stato. Questa funzione si esprime nei confronti del governo. Al momento della sua formazione, il governo deve presentare il suo programma politico al parlamento che lo approverà attraverso una mozione di fiducia. In qualsiasi momento il parlamento può dare la sfiducia al governo nel momento in cui si trova in disaccordo con l’indirizzo politico, e dovrà quindi dimettersi. Il parlamento ha inoltre diversi strumenti per controllare l’operato del governo. Ogni parlamentare può presentare interpellanze e interrogazione ai membri del governo, attraverso i quali vengono chieste informazioni sul comportamento del governo e della pubblica amministrazione oppure sulle iniziative che il governo intende prendere. Inoltre il parlamento può chiedere ai membri del governo che rendano conto del loro operato.
Il parlamento può prendere l’iniziativa di discutere su qualsiasi tema politico e di formulare propri indirizzi politici, chiamati risoluzioni o mozioni, a cui il governo deve attenersi, altrimenti può ottenere la sfiducia nel parlamento.
Il parlamento può fare anche un controllo finanziari sul governo, infatti tutte le entrate e le uscite devono essere autorizzate dal parlamento attraverso l’approvazione del bilancio preventivo che si effettua entro il 31 dicembre.
La legge finanziaria contiene le procedure da seguire nella redazione del bilancio e nella gestione finanziaria dell’anno successivo e deve essere approvata dal parlamento entro la fine dell’anno precedente.
-La funzione legislativa consiste nel fare le leggi e questa funzione spetta solo al parlamento. Anche altri apparati pubblici hanno il potere di emanare norme che hanno la stessa forza delle leggi, ma queste assumono nomi diversi, come decreti legge e decreti legislativi, emanati dal governo, oppure le leggi regionali emanate dalle regioni. Il parlamento può disciplinare con legge qualsiasi materia e quindi ha competenza generale, a differenza delle regioni che possono legiferare solo su argomenti previsti dalla costituzione. Il potere del parlamento non è assoluto in quanto non può mai fare leggi che vadano contro la costituzione. Se così non fosse la maggioranza parlamentare potrebbe approvare leggi a suo vantaggio, privando l’opposizione dei suoi diritti.
Le leggi incostituzionali una volta approvate sono ugualmente efficaci, ma se la corte costituzionali le dichiara incostituzionali, vengono annullate. La costituzione stabilisce che alcuni argomenti possono essere regolati solo dal parlamento e si parla quindi di riserva legge. Questo perché la costituzione vuole impedire che su argomenti di grande importanza possa decidere il governo o un qualsiasi apparato pubblico. Per esempio le materie che riguardano le libertà dei cittadini e l’organizzazione dello stato sono coperti da riserva di legge.
Il procedimento legislativo
Il procedimento per far sì che una decisione del parlamento diventi legge si chiama provvedimento legislativo e si divide in 4 fasi:
-l’iniziativa;
-la discussione e approvazione ;
-promulgazione;
-pubblicazione.
Poiché in Italia c’è un sistema bicamerale paritario ogni legge deve essere approvata da ciascuna camera con lo stesso testo. Il procedimento può essere iniziato o dalla camera o dal senato; quando la prima camera approva la legge deve trasmetterlo alla seconda camera che inizierà la discussione e alla fine dovrà approvare lo stesso testo. Se, però, la seconda camera approva il testo con alcune modifiche, dovrà trasmetterlo alla prima camera perché lo approvi nella nuova versione. Questa può a sua volta modificarlo e quindi dovrà rinviarlo alla seconda camera per l’approvazione, fino a che il testo non verrà approvato da entrambe le camere. Questo passaggio può anche durare all’infinito.
L’iniziativa. È la facoltà di proporre una legge alla discussione del parlamento. Questa proposta deve essere redatta in articoli.
La costituzione stabilisce quali sono i soggetti che hanno la facoltà di proporre una legge, e sono: il governo, che non ha potere di fare le leggi, ma le propone perché sono a lui necessarie per realizzare il suo programma politico. Questa facoltà non spetta al singolo ministro, ma è il consiglio dei ministri che deve approvare una determinata proposta (le proposte fatte dal parlamento si chiamano disegni di legge).
La funzione di proporre le leggi spetta anche a ciascun deputato o senatore. Queste proposte sono molto numerose, e molte di queste sono avanzate dai partiti di opposizione sugli stessi argomenti dei disegni di legge.
Questa facoltà è attribuita anche ai consigli regionali e al consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (cnel), che però ha esercitato raramente.
Infine è prevista l’iniziativa popolare, e occorre che la proposta di legge sia sottoscritta da 50000 elettori. Lo scopo di tutto questo è quello di far arrivare al parlamento proposte sentite dalla società.
Discussione e approvazione. Una volta giunta a una camera, la proposta di legge può essere discussa e approvata attraverso due procedimenti, quello normale e quello speciale. La scelta tra i due procedimenti spetta al presidente della camera o del senato.
- Il procedimento normale prevede l’invio del progetto di legge a una commissione permanente a seconda dell’argomento trattato. In questo caso le commissioni permanenti si riuniscono in sede referente, cioè discutono sul progetto e poi ne riferiscono all’assemblea plenaria. Questa prima fase serve per confrontare le opinioni dei diversi gruppi parlamentari e trovare i punti in comune. Spesso si conclude con la riscrittura del nuovo testo. Nell’assemblea plenaria dopo aver sentito la relazione della commissione si procede a una nuova discussione e poi alla votazione. La votazione avviene prima separatamente articolo per articolo e poi sulla legge nel suo complesso. Prima della votazione il parlamentare può presentare degli emendamenti, cioè proposte di modifica, integrazione o soppressione che devo essere anch’essi votati uno per uno. è un meccanismo complesso che ha lo scopo di garantire a tutti i membri del parlamento la possibilità di esprimersi su ogni aspetto della legge e di contribuire alla sua elaborazione. Può capitare che l’opposizione usi gli emendamenti per rallentare o impedire l’approvazione di una legge. Questo può avvenire presentando per ogni articolo centinaia di emendamenti. Questa pratica viene chiamata ostruzionismo.
- Il procedimento speciale richiede molto tempo e consente l’approvazione di un numero limitato di leggi, anche perché ognuna deve essere discussa e votata nell’assemblea plenaria. Se il presidente della camera o del senato scelgono questo procedimento, si deve trasmettere il progetto di legge ad una commissione permanente, che ha il potere di approvare in via definitiva il progetto senza doverne discutere. In questo caso la commissione si riunisce in sede deliberante, e quindi la legge viene discussa e approvata solo dai membri della commissione. Questo metodo ha dei vantaggi, ma anche i rischi sono numerosi, infatti può capitare che una legge sia discussa da un numero limitato di parlamentari. La costituzione ha stabilito due regole per evitare questo inconveniente: -una volta iniziato il procedimento speciale è sempre possibile passare al procedimento normale, basta che questo passaggio sia chiesto dal governo, da un decimo dei componenti della camera o un quinto della commissione. In questa situazione, la commissione che si era riunita in sede deliberante si trasforma in sede referente e trasmette il progetto di legge all’assemblea plenaria per essere discusso e approvato. –il procedimento speciale non può essere mai adottano per un certo numero di materie indicate dalla costituzione.
Il procedimento speciale appare più adatto per le questioni meno importanti che riguardano categorie ristrette di cittadini, mentre si preferisce usare il processo normale per le leggi di portata generale o di grande rilevanza politica. Le leggi approvate tramite il processo speciale sono soprannominate “leggine”, ma sono comunque leggi a tutti gli effetti.
La promulgazione. Una volta che la legge è stata approvata da entrambe le camere con lo stesso testo, questa deve essere promulgata dal presidente della repubblica entro 30 giorni. La promulgazione è una dichiarazione solenne e formale con cui il presidente sella repubblica afferma l’avvenuta approvazione della legge da parte delle due camere e l’obbligo dei cittadini di osservarla. la promulgazione avviene secondo una formula che resta uguale per ogni legge.
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