Materie: | Appunti |
Categoria: | Chimica |
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Testo
Scienze
Alcune reazioni fra metalli e soluzioni acquose ioniche portano a un trasferimento di elettroni da una sostanza ad un’altra. Queste sono le ossido-riduzioni o redox interpretabili come scambio di situazioni, cioè il metallo passa da una condizione molecolare ad una ionica e le soluzioni passano da ioni a molecole. Quindi, poiché per passare da molecola ad ione si deve perdere un elettrone e per passare da ione a molecola bisogna acquisirne uno c’è stato uno scambio. Quindi per ogni elettrone perso un elettrone viene acquisito. Per esempio:
Cu → Cu²+ + 2e-
2Ag+ + 2e- → 2Ag
_____________________
Cu + 2Ag+ → Cu2+ + 2Ag
Nei casi in cui avviene questo scambio si verifica una ionizzazione, il metallo cede elettroni, diventa ione, e una deionizzazzione, lo ione acquista elettroni diventando metallo. Lo scambio è spontaneo e ogni tipo di metallo tende a cedere elettroni in modo diverso, come li tende a ricevere in forma ionica. Quindi risulta da esperimenti che lo zinco tende a cedere più elettroni e si trova che:
Zn > Pb > Cu > Ag
Nella reazione con l’idrogeno di questi metalli si vede che zinco e piombo cedono elettroni mentre rame e argento no; questo perché zinco e piombo tendono a cedere elettroni allo ione H3O+ secondo la reazione:
2H3O+ + 2e- → H2 ↑ + 2H2O
Quindi nella capacità di cedere elettroni l’idrogeno risulta dopo Pb e Zn (infatti nella reazione completa con l’HCl in cui Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2 Zn cede elettroni e H3O+ li acquista formando H2 che si disperde nell’aria). Quindi secondo lo schema di prima Zn > Pb > H > Cu > Ag. Si è quindi trovato che anche composti e ioni poliatomici reagiscono con lo scambio di elettroni. Una sostanza si può ossidare solo quando un’altra si riduce, per questo la sostanza che si ossida viene chiamata riducente, quella che si riduce ossidante. Nel caso di composti non ionici l’ossidazione e la riduzione è data dalla diversa elettronegatività: quella maggiore spinge i doppietti di elettroni a seguire quel nucleo, mentre quello minore ne risulta privato. Il numero di ossidazione indica i vari stati di un elemento e è un numero che indica gli elettroni scambiati preceduto dal segno + o – nel caso che li ceda o li acquisti. Quindi il numero di ossidazione (N.O.) rappresenta la carica elettrica se l’elemento è in forma ionica, o quella che assumerebbe se si attribuissero tutti i doppietti elettronici all’elemento più elettronegativo. Vengono dette reazioni di ossido-riduzione interna o di disproporzione le reazioni nelle quali una parte degli atomi dello stesso elemento si riduce e l’altra parte si ossida. Si formano 2 composti nei quali l’elemento a numero di ossidazione rispettivamente maggiore e minore di quello iniziale. Si può dimostrare che quando si immerge in acqua una laminetta di un metallo, alcuni ioni del metallo lo abbandonano creando una carica positiva nella soluzione (di acqua e ioni) e una negativa nel metallo (che riduce la sua massa). Si ha una differenza di accumulo di cariche elettriche, la differenza di potenziale (d.d.p.). Il numero di ioni che abbandonano il metallo è diverso per ognuno di questi e varia al variare delle condizioni a cui è sottoposta la laminetta. Se però la soluzione acquosa è formata anche da alcuni ioni dello stesso metallo si crea un equilibrio dinamico, poiché alcuni ioni che si staccano dal metallo sono sostituiti da quelli della soluzione. Quindi per l’equilibrio formatosi il numero di ioni presenti nella soluzione resta costante e quindi anche la differenza di potenziale resta costante ad una determinata concentrazione di ioni. Questo insieme formato da un elemento e dalla soluzione acquosa dei sui ioni è detto semielemento galvanico o semipila o semicella galvanica. La d.d.p. si indica con E. Il suo valore varia al variare del metallo e al variare della concentrazione degli ioni in soluzione. Una semipila si schematizza con l’espressione Me/Men+(conc.). Dove Me è l’elemento o elettrodo, Men+ è il suo ione con cariche positive n (n=elettroni persi) e conc. Rappresenta la concentrazione degli ioni. Il potenziale di un semielemento è l’espressione E Me/Men+(conc.). Questo non è direttamente rilevabile ma si manifesta se si costruisce una pila elettrochimica collegando due semicelle. Per esempio se si ha un elettrodo di zinco in una soluzione 1 F di solfato di zinco e un elettrodo di rame in una soluzione 1 F di solfato di rame si ha quella pila che Daniell ha usato nel suo esperimento (pila di Daniell). Durante il funzionamento della pila l’elettrodo di zinco si consuma: gli atomi di zinco abbandonano la lamina e vanno in soluzione sotto forma di ioni; lo zinco si ossida:
Zn(s) → Zn2+(aq) + 2e-
L’elettrodo del rame si ispessisce, gli ioni di rame passano dalla soluzione alla lamina; si riducono:
Cu2+(aq) → 2e- + Cu(s)
Il passaggio di corrente è dovuto al flusso di elettroni dall’elettrodo dello zinco verso quello del rame, che li acquista. Una pila può continuare a funzionare quando si chiude il circuito collegando gli elettrodi con un conduttore e stabilendo una continuità tra le soluzioni; la soluzione di Zn2+ acquista più ioni, quella di Cu2+ invece si impoverisce di questi; si crea uno squilibrio elettronico dovuto all’accumulo di cariche positive nella soluzione dell’elettrodo Zn e a quello di cariche negative nella soluzione dell’elettrodo Cu, rappresentate da SO42-. Il ponte salino mette in contatto le due soluzioni ed equilibra questo squilibrio. La d.d.p. tra i due semielementi è data dalla differenza algebrica tra potenziali di polo positivo e quello del polo negativo: ΔE=E+ - E-. Per convenzione il polo negativo si trova in corrispondenza dell’elemento che si ossida, quello positivo in corrispondenza con quello che si riduce. Per la pila di Daniell la d.d.p. è:
ΔE= E Cu/Cu2+(1 M) – E Zn/Zn2+(1 M)
Il suo valore è 1,10 V; inoltre dà una misura della tendenza a cedere gli elettroni dello zinco, infatti stabilisce la forza con cui gli elettroni vengono spinti nel circuito (forza elettromotrice). Ma i valori di d.d.p. fra pile diverse non darebbe alcuna indicazione sul potenziale della semipila. Per trovare quindi un valore e stabilire la tendenza ad acquistare o cedere elettroni si è usato per ciascun elemento un elettrodo di riferimento standard: è quello dell’idrogeno in condizioni standard, al quale è stato assegnato per convenzione potenziale 0. Si realizza facendo gorgogliare idrogeno molecolare alla pressione di un’atmosfera su una laminetta di platino platinata (spugnosa) immersa in una soluzione di ioni H3O+ alla concentrazione di una mole e alla temperatura di 25°C. Il gas avvolge la lamina formando una colonna di idrogeno in una soluzione contenente i sui ioni. Se si costruisce una pila con l’altro elettrodo con soluzione 1 M e a 25°C si ottengono alcuni valori di d.d.p. che corrisponde in valore assoluto al potenziale standard (E°) dell’elettrodo in esame. Quindi il potenziale standard è la d.d.p. che si stabilisce tra l’elemento e una soluzione di suoi ioni in concentrazione 1 M misurata con l’elettrodo di riferimento a idrogeno alla temperatura di 25°C. Per caratterizzare però il comportamento di una semipila rispetto all’idrogeno al suo potenziale si attribuisce segno + o -. Per attenersi alla IUPAC (secondo cui bisogna guardare la tendenza a ridursi) si considera positivo il potenziale che indica maggiore tendenza a ridursi, negativo quello che ha maggiore tendenza ad ossidarsi. Più alto è il valore del potenziale di riduzione standard, maggiore è la tendenza a ridursi (ed a essere quindi il catodo). Mediante i potenziali standard di ossido-riduzione è possibile calcolare il potenziale standard o forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila. Per presentare graficamente una pila l’anodo si trova a sinistra e il catodo a destra, separati da una doppia linea (il ponte salino):
Zn/Zn2+//Cu2+/Cu
La f.e.m. di una pila si determina, in condizioni standard, sottraendo al valore potenziale più alto (elemento che ha maggiore tendenza a ridursi) quello più basso (maggiore tendenza ad ossidarsi).
f.e.m. = E°(rid) – E°(oss)
Per calcolare il potenziale di riduzione di un elettrodo immerso in una soluzione di suoi ioni a qualsiasi temperatura e concentrazione ionica si ricorre all’equazione di Nernst:
E = E° +RT/nF * ln [oss]a/ [rid]b
In cui E è il potenziale di riduzione, E° il potenziale di riduzione standard, R la costante universale dei gas (8,31 J * K-1 * mol-1), T la temperatura assoluta, n il numero di moli di elettroni trasferiti, F costante pari a 96500 coulomb/faraday, ln il logaritmo naturale corrispondente a 2,3 * log10, [oss]a= concentrazione molare della forma ossidata elevata al proprio coefficiente stechiometrico, [rid]b= concentrazione molare della forma ridotta elevata al proprio coefficiente stechiometrico. Quindi per le varie relazioni risulta che:
E = E° + 0,0002 * T/ n * log10 [oss]a/[rid]b
Per gli elettrodi di metallo la concentrazione della forma ridotta si considera per convenzione uguale a 1. Una pila a concentrazione è formata da due semicelle con lo stesso tipo di elettrodo immerso in una soluzione di suoi ioni. Ma la concentrazione nelle due semicelle è diversa. All’anodo, la soluzione è più diluita qui, avviene l’ossidazione, al catodo la riduzione. La pila funziona fino a quando le soluzioni non risultano con concentrazione simile. Se si vuole calcolare la f.e.m. di questo tipo di pila la formula diventa:
f.e.m. = RT/nF * 2,3 log C1/C2
Dove C1 e C2 sono le concentrazioni delle due semipile. Mediante i potenziali redox si può trovare in che senso si verifica una reazione. Se ΔE è positivo la reazione avviene in quel verso spontaneamente. Se negativo non avviene, se minore uguale a zero è possibile in tutti e due i versi. Mediante le reazioni di ossido-riduzione spontanee è possibile trasformare energia chimica in energia elettrica, flusso di elettroni. Le reazioni opposte non sono spontanee ma è possibile farle avvenire se si fornisce energia elettrica alla cella elettrolitica. Il nome di elettrolisi è stato coniato da Michael Faraday per determinare i fenomeni fisici e chimici determinati dal passaggio di corrente in una soluzione acquosa ionica. Anche nell’elettrolisi l’ossidazione avviene all’anodo e la riduzione al catodo. Ai due elettrodi vengono formate sostanze chimiche. A circuito aperto (prima di collegare la corrente) in un esperimento con soluzione acquosa di KI sono presenti ioni K+ e I- insieme a pochi ioni H3O+ e OH-(per l’autoprotolisi). A circuito chiuso si ha un flusso di elettroni che abbandonano l’anodo e vanno verso il catodo. Come prima conseguenza si ha una migrazione di ioni tra i due elettrodi: il catodo attrae K+ e H3O+, l’anodo richiama I- e OH- (questo perché essi sono catodo e anodo rispetto alla batteria, - e + rispetto alla soluzione). La seconda conseguenza è la riduzione degli ioni positivi e dell’idrogeno e dell’ossidazione di quelli negativi e di OH- (infatti l’elettrodo negativo tende a cedere elettroni alla sostanza che può darli, quello positivo invece li sottrae alla sostanza che ha più tendenza a cederne. Le possibili semireazioni catodiche sono:
K+(aq) + e- → K(s) (E° K+/K = -2,93 V)
2H3O+(aq) + 2e- → H2(g) + 2H2O(l) (E° 2H3O+/H2 = 0,00 V)
2H2O(l) + 2e- → H2(g) + 2OH-(aq)
(E° 2H2O/H2 = -0.83 V; E° =-0,42 V a pH 7)
Si produce idrogeno, che ha potenziale di riduzione più alto rispetto al potassio; inoltre c’è un’elevata concentrazione di ioni OH- vicino al catodo. Quindi quest’ultima (la terza) è la più probabile delle reazioni. Porta quindi alla produzione di idrogeno a partire dalle molecole di acqua. Le possibili reazioni anodiche sono:
2I-(aq) → I2(s) + 2e- (E° I2/ 2I- = + 0,54 V)
4OH- (aq) → O2(g) + 2H2O(l) + 4e-
(E° O2/4OH- = +0,40 V; E° = +0,81 V a pH 7)
6H2O(l) → O2(g) + 4H3O+(aq) + 4e-
(E° O2/6H2O = +1,23 V; E° = +0,81 V a pH 7)
L’esperienza dice che si produce iodio, che ha potenziale standard più basso dell’ossigeno. Perciò finché è abbastanza alta la concentrazione di I- e bassa quella di OH- la reazione più probabile è la prima delle tre solo in un secondo momento quando la concentrazione di I- è scesa e quella di OH- è aumentata la reazione più probabile è la seconda. Quindi si ha la produzione di iodio solido. La reazione complessiva è quindi:
2H2O(l) + 2e- + 2I-(aq) → 2OH-(aq) + I2(s) + 2e-
2H2O(l) + 2I-(aq) → H2(g) + I2(s) + 2OH-(aq)
2H2O(l) + 2K+I-(aq) → H2(g) + I2(s) + 2K+OH-(aq)
Quindi per mezzo delle reazioni di riduzione catodica e di ossidazione anodica c’è una continua sottrazione (al catodo) e addizione (all’anodo) di elettroni ai due elettrodi. Non c’è un flusso di elettroni attraverso la soluzione ma di ioni positivi e negativi che permettono di chiudere il circuito e che ci sia un passaggio di corrente. Per la prima legge di Faraday che riguarda la relazione fra effetto chimico (sostanza depositata o sviluppata agli elettrodi) e quantità di corrente nell’elettrolisi, si ha che:
m = k Q
Dove m è la massa in grammi, k la costante di proporzionalità, Q la quantità di corrente in coulomb. Per la seconda legge invece, essendo le quantità di masse depositate o sviluppate diverse per ogni sostanza (in verità le masse sono in rapporto tra loro come lo sono le masse equivalenti), a parità di corrente elettrica la quantità di massa depositata o sviluppata è direttamente proporzionale alla sua massa equivalente:
m = k M.E.
Dove m è la massa in grammi, k la costante di proporzionalità e M.E. la massa equivalente della sostanza. Si può quindi calcolare la massa creata dai gas con la formula PV = nRT. Moltiplicando poi il numero delle moli per la massa molare di ciascun gas si ricavano i valori della massa di idrogeno e ossigeno. In tal modo si può verificare la suddetta legge. Aumentando per la stessa sostanza il numero degli elettroni aumenta il numero delle particelle che si ossidano o che si riducono (prima legge); se il numero degli elettroni rimane costante le masse delle diverse sostanze prodotte sono proporzionali al numero di elettroni (seconda legge). Queste due possono essere ricondotte ad un solo enunciato: la quantità di sostanze depositate o sviluppate è direttamente proporzionale alla quantità di corrente impiegata e alla relativa massa equivalente; in formula:
m = k * Q * M.E.
Tramite questa si può arrivare alla quantità di corrente, denominata faraday, necessaria per trasformare agli elettrodi una quantità di sostanza pari alla sua massa equivalente. Si è arrivati a capire che questa quantità è 96500 C per qualsiasi massa equivalente, pari ad un faraday, una mole di elettroni.