Modello atomico di Thomson

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Categoria:Chimica

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IL MODELLO ATOMICO DI THOMSON
Grazie agli esperimenti condotti con il tubo di Crookes furono scoperte le prime due particelle subatomiche quali l’ELETTRONE, di carica negativa, ed il PROTONE di carica positiva, si era dunque scoperto che il modello atomico proposto da Dalton (l’atomo come una sfera singola e compatta) non era valido, e si doveva capire dunque in che modo fossero disposte queste particelle subatomiche all’interno dell’atomo.
Thomson, lo scopritore dell’elettrone , comprese che se si riusciva a calcolare l’entità della deviazione che il fascio di luce negativo subiva sottoposto all’attrazione di un magnete, si poteva ricavare informazioni riguardo la carica e la Massa. Thomson stabilì dunque che vi era un rapporto CARICA/MASSA che per quanto riguardava l’elettrone rimaneva sempre lo stesso, pur sperimentando l’attrazione magnetica su altri gas . Il valore di questo rapporto rimaneva invariato qualsiasi tipo di gas si prendesse in considerazione.
Elaborò dunque il suo modello atomico che viene definito come una sorta di panettone: nello spiegare infatti come queste particelle si fossero distribuite egli ipotizzò che l’atomo FOSSE COSTITUITO DA UNA SFERA POSITIVA ALL’INTERNO DELLA QUALE ERANO POSIZIONATI GLI ELETTRONI DI CARICA NEGATIVA. Dal momento che l’atomo deve essere stabile (cioè ci dev’essere un’equivalenza delle cariche) il valore della sfera positiva doveva essere uguale al valore ottenuto dalla somma delle sfere negative: ma di fatto non si conosceva né la massa né la carica di elettroni e protoni, ed era pertanto discutibile l’ipotesi che gli elettroni si distribuissero in una sfera positiva.
THOMPSON idealizza un modello atomico che viene paragonato ad una sorta di panettone cioè una sfera di carica positiva in cui erano immersi gli elettroni
MILLIKAN E LA DETERMINAZIONE DELLA CARICA DELL’ELETTRONE
Andrews Millikan e la determinazione della carica dell’elettrone.
Viene considerato come colui che riuscì nel 1910 a determinare la carica dell’elettrone , fino ad allora ignorata poiché non si possedevano apparecchi in grado di poterlo fare.
In realtà l’apparecchio utilizzato da Millikan è piuttosto banale in quanto era costituito da uno spruzzatore di gocce d’olio circondato da una camera sottoposta a raggi x (i quali saranno in grado di ionizzare le gocce in positive e negative) . egli di fatto crea un CAMPO MAGNETICO e osserva che le gocce d’olio, che in realtà avevano fissato a sé gli elettroni, si sollevano verso l’alto per effetto del campo magnetico e che in seguito ricadevano per la forza di gravità. Variando l’intensità del campo magnetico le gocce variano il proprio sollevamento e in base al rapporto MASSA / CARICA elaborato da Thomson riesce a calcolare la Carica dell’elettrone. La calcola per ogni elettrone rendendosi conto che la risultante era sempre un numero multiplo di un certo valore.
IL MODELLO ATOMICO DI RUTHERFORD
Rutherford , lo scopritore del protone, idealizzò anche un nuovo modello atomico diverso da quello elaborato precedentemente da Thompson , in base ad un esperimento che lui stesso condusse.
Infatti egli si propose di sperimentare il fenomeno della RADIOATTIVITà NATURALE scoperto precedentemente da Becquerell sul modello atomico di Thomson, in modo da evidenziare maggiormente la reale posizione dei protoni all’interno dell’atomo. Secondo tale fenomeno infatti esistevano alcuni materiali in grado di produrre naturalmente radiazioni di cui ne furono individuate tre tipi:
- raggi β con carica positiva maggiore rispetto a quella dei raggi gamma
- raggi α di carica positiva
- raggi γ privi di carica
Nel suo esperimento egli utilizzò i raggi Gamma α di carica positiva forniti da una sorgente radioattiva per colpire bersagli costituiti da lamine d’oro, pose anche uno schermo per poter visualizzare meglio la traiettoria dei raggi. In base al modello atomico di Thomson i raggi gamma avendo una massa di circa 7000 volte maggiore degli elettroni non avrebbero dovuto subire deviazioni. Invece notò che una certa quantità di raggi veniva respinta o leggermente deviata, mentre la rimanente parte non subiva deviazioni : ne dedusse quindi che l’atomo dovesse avere al suo interno un centro, chiamato NUCLEO, di carica positiva in cui si concentrava quasi tutta la massa dell’atomo e che gli elettroni fossero disposti a distanza da esso lasciando una zona vuota e “soffice”. Per cui egli spiegò che i raggi gamma che erano tornati indietro avevano in realtà incontrato il nucleo, di massa maggiore e di carica uguale, perciò erano stati respinti. Altri raggi gamma che invece l’avevano soltanto sfiorato erano stati deviati, mentre quelli che non avevano incontrato il nucleo avevano attraversato l’atomo senza deviazioni, passando per lo spazio “soffice”. Inoltre Rutherford calcola anche il rapporto tra la dimensione del nucleo rispetto a quella dell’atomo 1:10.000 ovvero il nucleo era 10.000 volte più piccolo rispetto all’atomo.
MODELLO PLANETARIO di RUTHERFORD paragona l’atomo ad un piccolo sistema planetario: il sole è rappresentato dal nucleo ed i pianeti dagli elettroni che attorno vi descrivono orbite ellittiche

CONTRADDIZIONI e TESI DEL MODELLO ATOMICO DI RUTHERFORD
Per prima cosa le leggi della fisica classica applicate al modello atomico di Rutherford determinavano la sua instabilità: infatti ogni corpo sottoposto ad un moto rotatorio circolare perde gradualmente la propria energia cinetica andando incontro ad un processo di annichilimento,cioè le ellissi descritte dagli elettroni diventerebbero mano a mano delle spirali e gli elettroni stessi finirebbero per precipitare sul nucleo (per attrazione elettromagnetica essendo di carica opposta)
Egli si difese puntualizzando che il nucleo, pur essendo di carica opposta, non determinava alcuna attrazione: infatti teoricamente la forza centrifuga generata dal moto di rotazione degli elettroni avrebbe dovuto bilanciare l’attrazione del nucleo.
Inoltre non si riusciva bene a comprendere come fosse possibile che gran parte della massa dell’atomo si concentrasse nel nucleo: infatti secondo le leggi dell’elettromagnetismo cariche uguali si oppongono e allora come facevano i protoni del nucleo a non respingersi?
Rutherford non seppe dare un’esatta spiegazione anche se intuì la presenza obbligatoria di particelle (neutre che verranno chiamate appunto Neutroni) che bilanciassero in qualche modo la carica positiva del nucleo, impedendo ai protoni di respingersi .
LA QUANTIZZAZIONE DELL’ENERGIA
Gli esperimenti condotti con i tubi di Crookes avevano dimostrato la creazione di un particolare fascio di luce considerato sotto forma di energia luminosa, a cui però nessuno aveva saputo dare spiegazioni : agli inizi del 1900 interviene il fisico tedesco PLANCK il quale teorizzò una possibile spiegazione riguardo alcuni fenomeni di energia dei raggi. Egli di fatto ipotizzò che l’energia luminosa, così come la materia, potesse essere suddivisa in unità fondamentali misurabili che egli chiamò QUANTI. Un QUANTO è dunque UN PACCHETTO DISCRETO DI ENERGIA OVVERO LA PARTICELLA MINIMA DELL’ENERGIA LUMINOSA.
Dunque l’energia E secondo Planck è proporzionale alla FREQUENZA (v) con la relazione
E = h (costante di Planck) . v
Da questo si può dedurre che quando in natura avviene uno scambio di interazioni con la materia avviene in realtà uno scambio di energia che può essere solo equivalente ad un Quanto o ad un suo multiplo.
La teoria dei quanti trovò ampio riscontro grazie anche ad alcuni esperimenti sull’EFFETTO FOTOELETTRICO portati avanti da Einstein anni dopo. Infatti questi si servì della teoria dei quanti per spiegare l’EFFETTO FOTOELETTRICO, ovvero un fenomeno per cui alcuni materiali sensibili alla luce quando colpiti da radiazioni luminose emettono degli elettroni, misurabili con una particolare corrente elettrica. In realtà si sapeva che gli elettroni venivano emessi solo quando superavano un certo valore chiamato SOGLIA FOTOELETTRICA la quale variava in funzione del materiale preso in considerazione. Se dunque veniva aumentata l’intensità della radiazione luminosa quando le frequenze erano inferiori a questa soglia non si verificava alcuna emissione di elettroni. Einstein ipotizzò dunque che l’elettrone potesse essere espulso solo nel momento in cui la radiazione luminosa fosse dotata di una energia minima che gli impartisse una velocità,ovvero l’elettrone assorbe l’energia di un quanto (hv0)e acquista un’energia cinetica. Impiegando radiazioni con frequenza superiore al livello della soglia fotoelettrica venne osservato che aumentava gradualmente l’energia espulsa dagli elettroni. Venne dimostrato ulteriormente che i quanti dipendono dalla frequenza e non dall’intensità poiché mantenendo fissa la frequenza superiore al livello di soglia e aumentando l’intensità l’energia emessa dagli elettroni rimaneva costante.
IL MODELLO ATOMICO DI BOHR
Il modello atomico del fisico Bohr si basa sullo studio degli spettri visibili, in particolar modo su quello del idrogeno (che possiede un solo elettrone ed un solo protone) e sugli studi quantistici di Planck. Egli di fatto riprende da un lato il modello atomico planetario di Rutherford che però non garantiva la stabilità dell’atomo stesso, ed ipotizzò che l’atomo dovesse essere composto da un nucleo centrale circondato da orbite concentriche crescenti, in cui la prima cioè la più piccola vicina al nucleo, era abbastanza lontana da esso per non esserne attratta e così determinare l’instabilità dell’atomo . Queste orbite concentriche attorno al nucleo furono definite ORBITE STAZIONARIE perché a ciascuna corrispondeva un LIVELLO ENERGETICO ben definito e stabile. Queste orbite possono dunque essere considerate come livelli QUANTIZZATI di energia , che aumenta di livello energetico così come aumenta il raggio di ciascuna orbita.

Egli afferma dunque che quando un atomo è nel suo stato di quiete gli elettroni si trovano al livello energetico più basso , ma quando una forza interviene e disturba lo stato di quiete dell’atomo a causa dell’effetto fotoelettrico gli elettroni si eccitano salendo al livello energetico superiore. Quando poi la forza cessa la sua azione gli elettroni tendono a ritornare al livello di partenza (quindi stabili) e cominciano a cedere l’energia in eccesso all’esterno sotto forma di radiazioni luminose ed ecco quindi che si verificano gli spettri. Secondo l’equazione E 2 (livello energetico max) – E 1 (livello energetico minore) = h v (ovvero costante di Plank x frequenza).
Si conferma dunque che il modello atomico di Bohr si basa anche sulla quantizzazione dell’energia poiché la QUANTITà DI ENERGIA CHE UN ELETTRONE NECESSITA PER SALTARE DA UN LIV ENERGETICO AD UN ALTRO DIPENDE DALLA FREQUENZA (vedi equazione di sopra) E QUINDI DALLA SOGLIA FOTOELETTRICA, ma dal momento che anche la soglia fotoelettrica è diversa di sostanza in sostanza , si può dire CHE LE ORBITE DIFFERISCONO ( cioèpresentano un raggio e un liv energetico più o meno grande) a seconda della sostanza che si prende in considerazione.
Per calcolare le energie delle orbite Bohr elaborò la formula

m (massa) x v (velocità) x r (raggio dell’orbita) = n (numero quantico principale) x h (costante Plank)
-----------------------------------
2 π
cioè il numero che indica i livelli energetici e la loro energia
da questa equazione si comprende che tra un’orbita e l’altra aumenta il livello energetico ma diminuisce la differenza di energia necessaria all’elettrone per compiere il salto tra un’orbita e l’altra.
Bohr tentò di estendere il proprio modello atomico anche ad atomi con più elettroni stabilendo che essi ruotassero in livelli energetici (Detti GUSCI) che potevano essere max 7 (indicati con le lettere dell’alfabeto K, L ,M,N,O,P,Q) corrispondenti a livelli energetici crescenti.
Dunque si può anche calcolare il numero max di elettroni che ciascun guscio può contenere con l’equazione n (numero elettroni) = 2 n² , che tra le altre cose stabilisce che il numero max di elettroni sulle orbite più esterne può essere solo 2.
Ricordiamo inoltre che il modello atomico di Bohr si basa anche su studi portati avanti da 3 scienziati , ovvero sulle cosiddette serie di :
- LYMAN (n 1 = dal primo liv energ)
- BALMER (n 2 = dal secondo liv energ)
- PASCHEN (n 3 = dal terzo liv energ)
LE CORREZIONI DI SOMMERFELD AL MODELLO ATOMICO DI BOHR
Il modello atomico di Bohr, pur risolvendo in parte le contraddizioni presentate dal modello atomico di Rutherford, presentava anch’esso diversi punti oscuri:
- si basava sull’atomo di Idrogeno con un solo elettrone, non poteva quindi essere applicato ad atomi con più elettroni (altrimenti non si spiega come potessero stare su una medesima orbita senza respingersi)
- non spiega perché gli elettroni durante il loro moto non perdano energia e non vadano a callassarsi sul nucleo.
A tali propositi intervenne un allievo di Bohr, tale SOMMERFELD, che modificò senza sconvolgere più di tanto il modello atomico di Bohr secondo due parametri:
- FORMA (introduce le orbite di forma ellittica e dunque il NUMERO QUANTICO SECONDARIO che garantiva la distanza necessaria a due elettroni su una stessa orbita per evitare la collisione
- DIREZIONE attraverso il NUMERO QUANTICO MAGNETICO si comincia a parlare di orbite ellittiche INCLINATE
Le osservazioni di Sommerfeld si basano su studi quantistici applicati ai metalli: egli di fatto riuscì a dimostrare proprietà dei metalli come la conducibilità elettrica e la malleabilità, servendosi della teoria dei quanti scoprì che gli elettroni, che erano legati da un legame metallico, si disponevano, sottoposti a radiazioni luminose, come una gabbia : ciò spiega la
- MALLEABILITà gli elettroni grazie a questo legame lieve scivolano l’uno sull’altro permettendo di ridurre il metallo in lamine
- LUCENTEZZA disponendosi a gabbia gli elettroni respingono le radiazioni luminose (fanno una specie di specchio)

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