La protezione dell'ambiente

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Testo

Notizie dal televideo della RAI
Territorio; " Ricomincio dal parco".
Dissesto idrogeologico e salvaguardia ambientali come nuova occasione di sviluppo ed occupazione. Dopo le numerose tragedie accadute in Italia nel corso di questi venti anni fino all' ultima tragedia di Sarno, una nuova coscienza ambientale sembra notare nell' opinione pubblica italiana . Si cerca ora di conoscere strumenti e leggi utili a creare un nuovo assetto del territorio, una chance economica, un investimento per il futuro.
I parchi, occasione di lavoro.
I parchi come occasione economica per la creazione di nuovi posti di lavoro: nei cinque comuni all' interno del "Parco Nazionale dell' Abruzzo", infatti , così come risulta dalla ricerca "Un parco e la sua economia", curata dal WWF e dal centro ricerca e da studi economici, il tasso di disoccupazione è inferiore a quello dei comuni limitrofi, il reddito pro-capite è nettamente superiore, così come i depositi e gli sportelli bancari. Ottimi i dati dell' industria eco-turistica: 2 milioni di visitatori l'anno, 115 miliardi di spesa, 168 di produzione attiva.
I parchi, così ti difendo il territorio.
Contro i rischi del territorio, sempre in agguato con il maltempo, è necessaria una " rete di produzione" ambientale, che potrebbe essere assicurata dal sistema delle aree naturali protette. In un territorio vulnerabile e densamente popolato, dice il ministro dell' ambiente Landi, il sistema dei parchi naturali serve a prevenire i danno, tutelando il suolo a cominciare da montagne e colline. Il ministro ha poi annunciato che alla rete di parchi esistenti si stanno per raggiungere altre decine di ettari di siti di interesse comunitario.
Corpo forestale e la difesa dell' ambiente.
In prima linea nella difesa dei parchi e di tutte le superfici boscate del nostro territorio, il corpo forestale dello stato è impegnato 24 ore su 24 per qualsiasi tipo di emergenza ambientale.
Il bosco, un' idea per l' occupazione.
E' operativo il progetto per la promozione e la creazione di nuove imprese giovanili nel settore della manutenzione forestale. Da oggi, quindi , i giovani nel settore della manutenzione forestale. Da oggi, quindi, i giovani interessati a mettersi in proprio in questo settore possono preparare progetti e idee che, se rispondenti ai requisiti richiesti, potranno accedere ai finanziamenti previsti.
Secondo stime attendibili circa 2milioni di ettari di bosco potrebbero essere utilizzati ai fini produttivi, sia come manutenzione per la produzione di legname. Si tratta quindi di una nuova opportunità per le migliaia di giovani diplomati e laureati in Agraria o Scienze forestali, che potrebbero far fruttare al meglio le loro competenze avviando attività in proprio. A disposizione di questi futuri "imprenditori forestali" il supporto della Federazione Dottori Agrari e Forestali.
Salvare la terra, creare lavoro.
"Salvate un taglialegna, uccidete un gufo" esorta un adesivo popolare della regione nord-occidentale degli Stati Uniti affacciata sul Pacifico, dove le compagnie del legname sostengono che le misure per proteggere dall'estinzione una specie in pericolo costeranno il lavoro a decine di taglialegna. Come appare chiaro da questo slogan provocatorio, il gufo settentrionale dell' ambiente e delle tensioni esistenti più in generale tra la salute dell' economia e quella del mondo naturale, dal quale essa in ultima analisi dipende.
L' adesivo, però, presenta un falso dilemma suggerendo allarmisticamente che la salva guardia dell' ambiente può avvenire soltanto a spese della gente. In realtà, esistono prove convincenti proprio del contrario: proteggere la Terra è l' unico modo per garantire la sostenibilità di un'economia florida e quindi di floride condizioni di vita per le persone.
L'origine di questo falso dilemma è da ricercare nell'obiettivo della maggiore "produttività", ciò significa aumentare la produzione di ciascun addetto, di norma facendo un uso crescente di macchinari, materiali ed energia. A mano a mano che le industrie, negli ultimi decenni, aumentavano la loro produzione, il costo delle attrezzature utilizzate per ogni automobile, casa, o hamburgher prodotti è aumentato, mentre il costo del lavoro è diminuito. Durante questo processo, molti posti di lavoro sono scomparsi. Usare grandi quantità di materiali e di energie significa naturalmente sfruttare e inquinare sempre più l'ambiente. Il modello di sviluppo industriale tuttora predominante, ad alta intensità di materiali e di energia, non solo sta devastando l'ambiente, ma ha fatto crescere la disoccupazione di pari passo con l' inquinamento. La crescita economica, così, non solo è eccessivamente inquinante, ma non è più neppure sempre accompagnata da un corrispondente aumento di posti di lavoro. Tra il 1950 e il 1988, ad esempio, il prodotto nazionale lordo degli Usa si è più che triplicato, mentre l' occupazione è solo raddoppiata.
Negli ultimi anni, tuttavia, le industrie di alcuni settori - ad esempio, riciclaggio, isolamento termico ed energia solare - hanno più occupazione utilizzando al contempo minori quantità di energia e generando inquinamento, il tutto senza sacrificare la produzione. Le compagnie possono continuare a registrare profitti e le economie a prosperare - anzi possono prosperare di più - senza i sudditi nascosti a carico delle generazioni future o dei disoccupati.
Un ampio processo di riorientamento verso la sostenibilità, però potrebbe non riuscire, tra l'altro perché il cambiamento non potrà essere interamente indolore. Ci saranno problemi e alcune industrie ne risentiranno. La grande maggioranza, tuttavia, ne trarrà benefici significativi. A questo fine sono necessarie nuove politiche governative: per incoraggiare lo sviluppo di tecnologie produttive più sane dal punto di vista ambientale, per facilitare la transizione a un'economia sostenibile, per rimuovere gli attuali disincentivi alla creazione di posti di lavoro.
Ristutturare l' economia
Se vorremmo investire il processo di degrado ambientale, saranno inevitabili modificazioni fondamentali del modo di produzione, utilizzo ed eliminazione delle merci. La questione non è se le economie cambieranno per effetto delle preoccupazioni ambientali, ma è quella di stabilire in quale direzione si evolveranno, quali saranno le prospettive occupazionali e come i governi possano dirigere e facilitare questo processo.
Una società sostenibile porrà maggiore enfasi sulla conservazione e sull'efficienza, si affiderà di più mall'energia rinnovabile ed estrarrà risorse rinnovabili solo in misura tale da conservare la loro generazione. Svilupperà tecnologie produttive più compatibili con l'ambiente e proggetterà prodotti più durevoli e riparabili.
Le attuali economie non solo hanno scarso successo da questi punti di vista, ma non riescono neppure a creare sufficienti posti di lavoro. In realtà, l'elevata disoccupazione nasce dalle stesse forze economiche che determinano la distruzione dell'ambiente da parte delle industrie. Tra il 1950 e il 1986, la produzione industriale degli Stati Uniti, tenuto conto dell' inflazione si è più che triplicata La quantità di energia utilizzata si è quasi triplicata e la qualità del capitale (misurata dal valore degli edifici e dei macchinari) si è quadruplicata, ma il lavoro (misurato dal numero totale di ore lavorate) è aumentato soltanto di circa un terzo.
Per anni, l'industria ha indirizzato l'innovazione tecnologica verso la riduzione del lavoro umano. Questa strategia ha avuto successo per i manager interessati alla diminuzione dei costi, ma ha significato un onere notevole per la società nel suo complesso.
Oggi, la chiave per risolvere sia la crisi ambientale, sia la crisi occupazionale consiste nel dirigere l' innovazione verso il miglioramento della produttività degli altri fattori, verso la riduzione, cioè, delle quantità di capitale, energia e materiali necessari per generare ricchezza.
Vale la pena di esaminare qui quatto industrie manufattiere - metallurgica, cartiera, di raffinazione del petrolio e chimica - per il loro consumo elevato di energia e capitale e la scarsa necessità di manodopera. Insieme, esse utilizzano circa il 20% dell'energia consumata nell' economia statunitense, ma forniscono solo il 3% dei posti di lavoro. Sono anche i maggiori inquinatori: complessivamente sono responsabili dall' 88% delle sostanze tossiche liberate nel settore manufattiero Usa. Analoghi elevati livelli di consumo energetico e di inquinamento, accompagnati da bassi livelli di occupazione, si riscontrano nelle aziende elettriche, nell' industria dei trasporti e in quella mineraria.
Le industrie più sono quindi, nel migliore dei casi, una fonte marginale - e in calo - di posti di lavoro. Nel maggior parte dei paesi, l'industria energetica e quella chimica coprono ciascuna meno del 3% dell' occupazione totale. Anche in assenza di politiche ambientali, molti di questi posti di lavoro stanno scomparendo per la crescente automazione.
Il problema della sostenibilità ecologica ed economica, dunque, potrà essere affrontato in modo adeguato solo se la comunità mondiale lavorerà in cooperazione per le nuove industrie che salvaguardino l'ambiente e creino contemporaneamente nuovi posti di lavoro. Un elemento importante di una strategia mondiale per raggiungere la sostenibilità è la creazione, in ogni nazione, di standard ambientali comuni per garantire che nessun paese o corporazione possa acquistare un vantaggio sul mercato ignorando le norme sull' inquinamento.
Efficienza energetica ed energie rinnovabili.
La riduzione del consumo dei combustibili fossili è uno dei più chiari pre-requisiti di un sistema energetico sostenibile. E' anche un'area promettente per la creazione di nuovi posti di lavoro. La combustione su larga scala di petrolio e carbone rende pericoloso respirare in molte città, genera piogge acide che decimano i raccolti e le foreste ed è uno dei principali fattori del riscaldamento del globo. I modi pratici di affrontare questi problemi consistono nell'utilizzare l'energia in modo più efficiente nel passare alle energie rinnovabili.
Ridurre il consumo energetico migliorando l'efficienza è meno costoso e crea più posti di lavoro, rispetto al rifornirsi di energia da fonti convenzionali, parchè le loro esigenze di capitali sono molto più modeste e il loro bisogno di lavoro è maggiore.
Se, affidandosi di più alla conservazione, si riducesse la quantità (e il costo) dell'energia necessaria per il riscaldamento, il raffreddamento, il trasporto o la lavorazione industriale, il risparmio risultante potrebbe essere speso in qualche altro settore dell' economia. Ciò vale ugualmente anche per i sistemi a energie rinnovabili, sebbene possano essere costruiti con costi in conto capitale minori a quelli convenzionali. Nella misura in cui questo risparmio verrà speso in aree dell' economia a maggior densità di lavoro rispetto alle industrie energetiche convenzionali si verificherà un ulteriore incremento netto nell' occupazione.

Ferrovie contro autostrade
Quasi tutti i sistemi nazionali di trasporto, in gran parte fondati sull'utilizzazione delle automobili e dei camion, sono grandi consumatori di combustibili fossili e quindi fonti significative di inquinamento dell' area delle città, di piogge acide e dell'effetto serra. Le alternative al nostro attuale sistema di trasporto - vale a dire, i sistemi ferroviari urbani e inter-city - migliorerebbero la qualità dell' aria, offrendo anche eccellenti prospettive di aumento dell'occupazione. I recenti tentativi per alleviare la gravità di questi problemi si sono concentrati su misure limitate quali le marmitte catalitiche, i combustibili alternativi e - in misura minore - il risparmio di combustibile. Le dimensioni della sfida, tuttavia, suggeriscono che per rendere sostenibile l'industria dei trasporti è necessaria una sua ristrutturazione su larga scala. Gli obiettivi sono quelli di affidarsi sempre più ai sistemi pubblici di trasporto, andare in bicicletta, camminare e ridurre la necessità di servizi di trasporto riprogettando le città in modo tale che le abitazioni, i luoghi di lavoro, gli esercizi commerciali si trovino tutti vicini.
Considerando la priorità accordata alle automobili e ai camion, non sorprende che le industrie relative forniscano più lavoro dei trasporti pubblici. Le industrie dei motoveicoli è una pietra miliare nell'economia industriale moderna. Contribuisce alla produzione economica globale per il 7% circa e dà lavoro a oltre quattro milioni di persone. Nei paesi sviluppati, intorno alle automobili gravita il 4 - 9 % di tutta l'occupazione industriale.
Nella Germania occidentale, i 2.5 milioni di posti di lavoro dell'industria collegata ai veicoli - includendo la produzione e la riparazione, i concessionari di automobili, le stazioni di servizio e l'industria dell' auto trasporto - stanno ai posti di lavoro connessi all'industria ferroviaria in un rapporto che è circa di 3 : 1 e questo squilibrio è ancora più grave negli Stati Uniti, dove l'uso delle automobili è maggiore.
Sebbene l'industria automobilistica e dell' autotrasporto diano lavoro a milioni di persone, il loro contributo al mercato occupazionale complessivo, non è commisurato alla loro produzione in dollari. Tra il 1977 e il 1987, ad esempio, gli introiti delle vendite delle compagnie automobilistiche tedesco-occidentali sono più che raddoppiati, ma il numero di posti di lavoro è aumentato di meno di un quarto. Le cifre tedesche dimostrano anche che la costruzione di autostrade è tra gli investimenti pubblici quello che crea la minore occupazione.
Se si esaminano le modifiche delle priorità di trasporto, una delle più importanti questioni relativa alle occupazioni è quella di determinare in quale misura le abilità attualmente utilizzate nelle industrie automobilistiche siano adattabili alla messa in opera di sistemi ferroviari.
Alcuni ricercatori all' istituto di Wuppertal, sostengono che questo passaggio non dovrebbe essere troppo difficile, poiché esistono tra i due settori coincidenze e analogie di professionalità. Sia la produzione dei veicoli a motore, sia le costruzioni ferroviarie richiedono un'ampia distribuzione di occupazione. Il passaggio dalle automobili e dai camion alle ferrovie, alle metropolitane e ai treni leggeri, quindi, offrirebbe opportunità alternative di lavoro quantomeno a una parte degli addetti nelle industri automobilistiche.
Riciclare i materiali, conservare il lavoro
Le discariche e gli inceneritori liberano nell'ambiente metalli pesanti, diossine, furani, e altre sostanze inquinanti. Il riciclaggio costituisce un' opzione migliore, poiché riduce la quantità di rifiuti e le loro conseguenze nell'ambiente e contemporaneamente anche il consumo dell'energia necessaria per produrre merci dai materiale vergini. Il settore del riciclaggio è già un' importante fonte di occupazione, ma non sono ancora state compilate statistiche governative sui posti di lavoro che crea e le richerche in proposito sono ancora relativamente poche.
L' Alcoa, industria di punta nella produzione di alluminio, calcola che almeno 30.000 persone negli Stati Uniti lavorino nell'ambito del riciclaggio del solo alluminio: il doppio degli addetti dell' industria primaria di produzione dell' alluminio. Da tutto ciò consegue che aumentare le percentuali di riciclaggio creerebbe un numero di posti di lavoro molto maggiore. Negli U.S.A. si arriverebbe ad ottenere almeno 375.000 posti di lavoro se si riciclasse il 75% dei rifiuti.
Rispetto agli inceneritori e alle discariche, il riciclaggio offre più occupazione ed è meno costoso grazie alle minori esigenze di capitale. Costruire impianti di incenerimento e i macchinari in essi utilizzati crea più posti di lavoro "temporanei" rispetto alla costruzione dei centri di riciclaggio i quali, però, offrono un maggior numero di posti di lavoro "permanenti" nelle attività di gestione e di manutenzione. Gli impianti di riciclaggio del Vermont, ad esempio, occupano dalle 550 alle 2.000 persone per ogni milione di tonnellate di materiale lavorati. Per quanto riguarda gli inceneritori, si va dalle 150 alle 1100 persone e, per le discariche, dalle 50 alle 360.
Sebbene il riciclaggio presenti attraenti benefici economici, il guadagno non è però indolore. Dopotutto, riciclare di più significa estrarre, lavorare e trasformare meno materie prime. Riciclare le lattine di alluminio delle bevande, ad esempio, diminuisce la necessità di bauxite, con inevitabili ripercussioni sui paesi produttori quali l'Australia, la Giamaica e la Guinea. Riduce, inoltre, l'occupazione nell'industria energetica, dato che riciclare l'alluminio comporta un minore consumo di energia rispetto al produrlo dalle materie vergini. Lo stesso vale per il riciclaggio del vetro. Il riciclaggio della carta fa inevitabilmente diminuire la domanda di polpa di legno e determina una perdita di posti di lavoro tra i taglialegna e nelle cartiere.
Tali perdite, tuttavia, non dovrebbero essere grandi, dal momento che le industrie dell' energia e della polpa di legno non offrono molta occupazione; esse sarebbero inoltre più che bilanciate dagli aumenti di posti di lavoro in altri settori.
Dal disboscamento alla gestione.
Centri fondamentali di equilibrio biologico e di biodiversità, le antiche foreste sono diventate campi di battaglia della lotta sulle priorità basilari dell'umanità. I portavoce dell'industria del legname affermano che la trasformazione in habitat protetto per il gufo settentrionale di circa 1.2 milioni di ettari di terra forestale del nord-ovest sul Pacifico determinerà la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. L'industria del legname, tuttavia, stava eliminando posti di lavoro già prima che scoppiasse la controversia del gufo. E le prospettive di occupazione futura sono oscurate non tanto dalle restrizioni per tutelare l'ambiente quanto da altri tre fattori: L'industria del legname sta letteralmente esaurendo la sua più preziosa risorsa, continua a meccanizzare le operazioni, esporta grandi quantità di tronchi non lavorati.
Nel Nord-Ovest sul Pacifico, non resta oggi più del 15% della foresta originale che si calcola ammontasse a 6 - 8 milioni di ettari. I conservazionisti ritengono che, all'attuale ritmo di taglio, le attività di disboscamento nella regione scompariranno entro 20 anni.
Dal 1977 al 1987, il disboscamento nelle foreste nazionali dell' Oregon è aumentato del 16%, ma a causa dell'automazione sono andati persi oltre 12.000 posti di lavoro (il 15%). I lavoratori che hanno mantenuto il lavoro sono stati costretti ad accettare riduzioni della paga fino al 25% per competere con i taglia legna non sindacalizzati del Sud-Est degli Stati Uniti. Le perdite future di posti di lavoro causate dall'automazione saranno probabilmente superiori a quelle che potrebbero essere determinate da misure di protezione ambientale.
Le compagnie del legname trovano spesso conveniente esportare i tronchi non lavorati. Nel 1988, un quarto delle esportazioni di legname proveniente dall' Oregon e dallo stato di Washington era costituito da tronchi grezzi. Jeff Olson, economista alla Wilderness Society di Portland, ha calcolato che negli Stati Uniti perdono 4 - 5 posti di lavoro per ogni milione di tronchi non lavorati esportati. Secondo un recente rapporto il divieto di questa pratica creerebbe negli U.S.A. circa 105.000 posti di lavoro.
Se i taglialegna e i lavoratori delle cartiere licenziati non saranno assistiti nalla transizione a nuovi lavori, la disponibilità di posti di lavoro in altre industrie sarà di poca cosolazione.
L' U.S. Forest Service potrebbe alleviare il problema fornendo un sostegno finanziario temporaneo ai taglialegna, invece di sussidiare le operazioni delle compagnie del legname sui terreni federali, ma l' amministrazione Bush si oppone a qualsiasi programma speciale di assistenza.
Nonostante l' animosità esistente tra i taglialegna e gli ambientalisti, sono in atto alcuni tentativi di avvicinare i rispettivi punti di vista e di sviluppare un approccio congiunto.
Il rimboschimento, altre attivita di risanamento ambientale e le operazioni di disboscamento su piccola scala tendono ad essere attività ad alta intensità di lavoro. Ulteriori incrementi della occupazione potrebbero essere ottenuti riducendo l'enfasi posta finora sul tagli degli alberi in favore di altre attività quali la raccolta di frutti, di foraggio e di piante medicinali. Tutte queste attività non faranno arricchire le compagnie del legname, ma sono essenziali per la sopravvivenza di interi ecosistemi e non solo di specie in pericolo come il gufo settentrionale.
Attuare la transizione.
A mano a mano che il mondo si muove verso un' economia che pone l' accento sulla riduzione delle quantità assolute di materiali lavorati e sulla sostituzione di alcuni materiali consumati, saranno inevitabili profondi cambiamenti nel mercato del lavoro. L' automazione continua a rendere molti lavori obsoleti anche se milioni di giovani sono in cerca di occupazione ogni anno. Una ristrutturazione del sistema fiscale potrebbe far si che le aziende trovino più interessante assumere un maggior numero di persone piuttosto che installare un maggior numero di macchinari. Una proposta prevede l' imposizione di una tassa sul consumo energetico delle industrie come nuovo meccanismo di finanziamento dei fondi della previdenza sociale. L' imposta consentirebbe una riduzione - di un terzo circa - della quota d'imposta destinata alla previdenza sociale. Per i datori di lavoro, i costi del salario lordo diminuirebbero anche se i salari netti rimarrebbero immutati. Il lavoro umano diventerebbe relativamente meno costoso e quindi più attraente per gli imprenditori.
A prescindere dal numero di posti di lavoro che si potranno infine creare in una società sostenibile, esiste comunque la necessità di assistere quei lavoratori che perdono la loro occupazione a causa del declino delle industrie inquinanti. Incentivi mirati a livello regionale potrebbero attirare nuovi investimenti proprio in quelle aree che saranno più colpite dal declino delle industrie fortemente inquinanti. Le leggi sul lavoro esistenti forniscono in qualche misura formazione, sostegno al reddito, servizi di consulenza, uffici di collocamento e assistenza nella ricerca di una nuova occupazione, ma chiaramente non sono all' altezza della situazione. Le spese federali statunitensi per la riqualificazione dei lavoratori sono state dimezzate dal 1980. Nel 1987 la spesa pubblica per programmi di occupazione e di qualificazione, misurata in percentuale del prodotto interno lordo, è stata solo dello 0.3 % negli Stati Uniti, a fronte dello 0.7% della gran Bretagna, della Francia e della Spagna, dell' 1% della Germania Federale e 1.7% della Svezia.
Negli Stati Uniti la creazione di un " superfondo per lavoratori" con il compito di fornire alle persone licenziate dalle industrie distruttive per l'ambiente fino a quattro anni di sostegno finanziario per consentire loro di riqualificarsi o di cambiare percorso lavorativo anche tramite un serio programma di studi. Il costo annuale per un milione di lavoratori potrebbe sfiorare i 40 miliardi di dollari.
Non tutta la somma però, costituirebbe una aggiunta netta alla spesa pubblica, perché i fondi attualmente stanziati per l'indennità di disoccupazione e per altri programmi di assistenza potrebbero essere riorganizzati a questo scopo e perché un programma che consenta ai lavoratori licenziati di rientrare nel mondo produttivo significa anche entrate fiscali.
un' economia più sostenibile promette grandi benefici ambientali ed economici, anche se la transizione potrebbe rivelarsi avvolte difficile. Questo passaggio è un compito che eguaglia per complessità e importanza le profonde trasformazioni innescate dalla rivoluzione industriale. La differenza è che oggi l'umanità ha già a sua disposizione molte delle conoscenze e molti degli strumenti necessari per attuare tale transizione, che in alcune industrie è già in atto.
Ciò che ancora manca è la volontà politica di realizzare il tipo di strategie necessarie per effettuare questo cambiamento, non solo nel settore del riciclaggio o del controllo dell'inquinamento, ma in tutta l'economia. L' importanza pratica di politiche dirette verso la sostenibilità è che esse possono consentirci di avere l'una e l'altra cosa: Possiamo salvare i gufi e i posti di lavoro.
Il futuro del profitto.
Una volta un imprenditore puntava a crescere e a svilupparsi disponendo di un'ampia massa di risorse ambientali, senza porsi il problema della sostenibilità di tale sviluppo. Oggi si presenta alla ribalta la " distruzione creatrice", un processo ritenuto necessario e innovativo, che rischia però di tradursi nel suicidio dell' umanità. Nelle diverse tappe della storia dell' uomo, il cambiamento ha sempre "ucciso" un pezzo di passato. Oggi però il cambiamento ha a che fare con le nostre stesse ragioni di sopravvivenza. Hanno già adottato il " Job killing", vale a dire la soppressione delle vecchie attività e occupazioni, tante, per lasciar spazio ai nuovi mestieri e alle nuove professioni, poche. E così siamo ora obbligati a inseguire nuovi percorsi i creazione del lavoro per soddisfare le ragioni di vita dell' umanità. L'ambiente in senso lato, le professioni verdi, sono la nuova "ragione di scambio dell'umanità". Difficile è oggi quantificare le prospettive eco- occupazionali. Tutti concordano in ogni caso che sarà questo il settore ad alto assorbimento di competenze e professionalità del futuro.
Gli esperti parlano di 200 professioni verdi, di 2 - 300 mila nuovi posti di lavoro che nasceranno presto proprio dall' ambiente. Per onestà, non lo sappiamo. E' infatti difficile riconoscere le specificità professionali quando il tema dell'ambiente è e sarà "spalmato" su molte funzioni professionali, dentro e fuori i luoghi di lavoro. Quel che sappiamo dell' occupazione del futuro sono in fondo due o tre cose, fin troppo semplici: 1) Ad assorbire personale saranno soprattutto le piccole imprese; 2)La formazione diventerà una costante compagna di strada; 3) L'occupazione dipendente lascierà spazio all' occupazione indipendente, imprenditoriale, autonoma. I vecchi luoghi comuni ( la natura è buona, l'uomo cattivo, oppure all'opposto, Questo è il prezzo da pagare al progresso) non reggono più. I codici del "bisogno" vanno sostituiti dai codici del "progetto". Diventiamo subito imprenditivi del nostro territorio, l'ambiente ha bisogno di tutta la nostra intelligenza.
Nuovi mestieri, antiche virtù.
Ecolavoro. Ma quanto ce ne in realtà in Italia? Infatti è difficile delineare un quadro di insieme, ma è indubbio che si sta muovendo qualcosa anche al di la dei settori tradizionalmente intesi come ambientali.
Lo studio non riporta però nuovi settori che in questi ultimi tempi si stanno invece conquistando alcuni spazi significativi. Si pensi alla difesa e alla manutenzione del suolo, alla progettazione del territorio, all'agricoltura biologica. E ancora al lavoro nei distretti eolici ( dove l'energia è prodotta dal vento) o nel campo dell' utilizzo dell' energia solare.
Dall' inchiesta sull' eco lavoro emerge chiaramente che si stanno affacciando nuove professioni. Insomma qualcosa si muove, però si fa un po' di fatica a vederlo.
Quella dei rifiuti, dalla raccolta differenziata al riciclaggio è la sfida che l'Italia si trova costretta a vincere e che non può perdere.
"In futuro - dice Andrea Poggio, vice direttore nazionale di legambiente - invece di una sola discarica, con un posto di lavoro, ci saranno più contenitori, mezzi, stoccaggi, presse, vagli, apparecchiature elettroniche, bio filtri, compressori, uffici commerciali, piani di comunicazioni e molti più occupati, circa 15mila in tutta Italia " come conferma uno studio dell' Istituto di Ricerche Ambiente Italia. Un settore che si apre quindi grosse prospettive di sviluppo, non solo nel pubblico.
Riciclare di tutto e di più. A Busnago nel Milanese presso un impianto dell' I.B.M., nel '96 sono state trattate circa 3500 tonnellate di computer, corrispondenti al totale dei prodotti informatici dismessi sull'intero territorio nazionale dall' I.B.M. e da cui sono stati ricavati ferro, plastica e metalli preziosi. Nell'impianto Falck di Sesto San Giovanni si è creata occupazione riconvertendo parte delle vecchie attività siderurgiche al trattamento dei frigoriferi dismessi con recupero di materiali: Per un impianto di una potenzialità annua di circa 40 mila frigoriferi ( uno in ogni media città) possono essere impegnate dieci persone. Il ministero dell' ambiente ha avviato dei progetti "di lavoro socialmente utile per il riciclaggio degli elettrodomestici e dei materiali inerti. Nel primo caso sono stati creati in 12 città Italiane, anche al sud, delle stazioni per il deassemblaggio e l'avvio al riciclaggio di componenti di frigoriferi, TV, computer, lavatrici, condizionatori. Il progetto ha assorbito circa 700 lavoratori che il prossimo anno faranno parte di cooperative "private" entrando nel circuito del mercato. Questi sono solo alcuni esempi.
Città più vivibili e negozi a passo d' uomo.
Passeggiare per le strade del proprio quartiere senza dover soffocare nello smog o isolarsi mentalmente dal rumore assordante dei clacson non è solo un piacere psichico che ci riappacifica con il nostro habitat urbano: è una buona cosa anche per il portafoglio. Se si possiede un appartamento in una zona pedonale il suo valore potrebbe essere aumentato di oltre il 10% .Se il proprio negozio si trova in un tratto pedonalizzato e ben collegato ai trasporti pubblici il beneficio economico che si trae dalla maggiore viabilità e dalla qualità dell'aria va oltre il 20% dell'intero volume di affari. Sono i dati che emergono da uno studio realizzato dal Cresme e promosso da Legambiente e CONFCOMMERCIO. Addio quindi alle proteste dei negozianti che reclamavano il ritorno delle automobili davanti alle botteghe. Le aree chiuse al traffico privato non possono più essere considerate dei deserti abbandonati da Dio e dai clienti. Ma quando i negozianti si sono accorti che la pedonalizzazione può essere un business?
"Per i commercianti - risponde il presidente della CONFCOMMERCIO Sergio Billè - il buon governo dell' ambiente nel quale operano è fattore essenziale di successo: il valore ambientale è strutturalmente incorporato nelle loro aziende. E' evidente che una politica di pedonalizzazione deve essere costruita non solo sul piano dell 'emergenza ma con un processo equilibrato di attenzione al dato urbanistico, al fatto economico, al valore culturale e sociale. Ed è proprio la ricerca che conferma la necessità di interventi globali e di azioni trasversali strettamente connesse.
A scuola di ambiente.
Lo sviluppo del mercato "verde" offre certamente ai giovani opportunità di impiego professionale in settori nuovi e di grande interesse. La crescita di questo mercato non ha assunto probabilmente quel carattere rapido e impetuoso che le veniva attribuito qualche anno fa, ma il settore ambientale resta in ogni caso uno dei più promettenti. Il peso crescente che vanno assumendo le tecnologie ambientali in campo produttivo ed il proliferare di una normativa che allarga ogni giorno lo spettro delle competenze e dei controlli, assegnano infatti al mercato "verde" un posto di grande rilievo.
A fronte di questa crescita, anche l'offerta di formazione ambientale è andata vistosamente crescendo in questi ultimi anni.
Sul fronte universitario, ad esempio, sono moltissime le facoltà che hanno attivato recentemente insegnamenti di interesse ambientale, mentre non poche sono quelle ( Ingegneria e Architettura, soprattutto) che hanno dato vita a corsi di laurea interamente a vocazione ambientale. Vastissimo è anche il campo dei corsi "paralleli" all' Università o di quelli post- Universitari, mentre addirittura sterminato si presenta il quadro delle iniziative in materia ambientale nel settore della formazione professionale.
Per districarsi in questo labirinto di corsi e di scuole il Ministero dell' Ambiente ha pensato bene di pubblicare un rapporto sulle iniziative di formazione ambientale. Così facendo, il Ministero ha cercato di rispondere al mercato di orientamento e di informazione proveniente dalle fasce giovanili e da tutti coloro che manifestano intenzione e interesse al settore delle nuove professionalità e delle nuove opportunità lavorative riguardanti la salvaguardia ambientale.
C'è stato un aumento significativo dei corsi di laurea e di perfezionamento in campo ambientale. La crescita dell' offerta si rivela particolarmente importante perché il diffondersi della consapevolezza della necessità di proteggere gli eco sistemi e di coniugare ambiente e sviluppo, fa lievitare la domanda di tecnici preparati nelle aziende, nelle pubbliche amministrazioni e nelle libere professioni.
Con tutto ciò si è ancora lontani da una saturazione del mercato delle professioni ambientali, anche perché manca a tuttora nel nostro Paese una strategia operativa per la crescita ordinata di quadri e competenze nel campo ambientale. E tale carenza si rispecchia nello stesso rapporto ministeriale dove si coglie in maniera evidente una certa mancanza di coordinamento tra le varie proposte formative.
Corsi di laurea:
Nell' indagine curata dal Ministero, relativa all'anno accademico 1989-1990, risultavano attivati sul territorio nazionale 19 corsi di laurea strettamente afferenti alle discipline ambientali. Nel successivo anno accademico a vocazione ambientale sono diventati 27.
Anche con riferimento alle tipologie si sono verificate significative variazioni: Sono infatti scomparsi i corsi di laurea di Ingegneria Forestale ed è stato invece introdotto il corso di Ingegneria per l' Ambiente e il Territorio. Accanto ai corsi di laurea strettamente afferenti alle discipline ambientali, il rapporto del Ministero fornisce anche l'elenco di quei corsi di laurea "tradizionali" che pure presentano un rilevante interesse ambientale (Scienze Agrarie, Scienze Naturali, Scienze Geologiche ecc...). In totale vengono individuate altre 12 tipologie per un numero complessivo di corsi di oltre 150.
Scuole dirette a fini speciali:
Attraverso le Scuole dirette a fini speciali si consegue un diploma post - secondario per l'esercizio di uffici o professioni per i quali non sia necessario un diploma di laurea, ma sia richiesta ugualmente una formazione culturale e professionale nell' ambito universitario. A tali scuole, la cui istituzione è disposta nello statuto delle Università, vi si accede per tanto col titolo richiesto per l'iscrizione ai corsi di laurea. La durata è biennale o triennale, a seconda della tipologia disciplinare.
Corsi di perfezionamento:
Il fine di questi corsi è quello di rispondere ad esigenze culturali di approfondimento in determinati settori, ma anche a esigenze di aggiornamento o di riqualificazione professionale. Ai Corsi di perfezionamento possono accedere coloro che sono in possesso di un titolo di studio di livello universitario (in genere un diploma di laurea) in determinate discipline, indicate nello statuto del Corso.
Si tratta a corsi a numero chiuso, che non possono durare più di un anno e che prevedono, in genere, prove di ammissione. Al termine del corso si consegue un semplice attestato di frequenza che testimonia soltanto dell' avvenuta partecipazione e quindi dell'acquisizione delle specifiche competenze professionali che il corso intende formare. La quota di iscrizione è di entità paragonabile a quella dei corsi di laurea.
Scuole di specializzazione:
Tali scuole sono finalizzate al conseguimento, successivamente alla laurea, di diplomi che legittimano nei rami di esercizio professionale della qualifica di specialista. Si tratta, dunque, di scuole riservate a chi possiede un diploma di laurea e l'ammissione ad esse richiede sempre il superamento di un esame.
Lo statuto di ciascuna Università dispone l' istituzione delle Scuole di specializzazione, definendone i contenuti e la durata che risulta variabile da due a cinque anni.
Corsi di formazione:
L'ultimo capitolo dell'indagine del Ministero riguarda il settore della formazione professionale.
Il quadro dell' offerta si presenta qui particolarmente complesso sia in ragione della grande varietà delle iniziative sia in rapporto alla mancanza di una terminologia omogenea dei corsi tra le varie Regioni ed Enti. La distinzione fondamentale attiene al carattere pubblico o privato del corso. L'offerta formativa pubblica è quella curata dalle Regioni, dove si definiscono le relazioni della formazione professionale con il mondo produttivo e con il sistema scolastico. L'offerta privata riguarda invece una molteplicità di iniziative non incluse nei piani annuali delle Regioni ed assai differenti tra loro per livello, finalità, strutture ed organizzazione.
La distinzione tra pubblico e privato assume, naturalmente, particolare importanza riguardo al costo dell' iscrizione. Mentre i corsi previsti nei piani regionali sono gratuiti o prevedono quote limitate di partecipazione, l'offerta formativa privata presenta quote molto variabili ed, in alcuni casi, decisamente elevati.
Per quanto riguarda l'utenza, i corsi di formazione sono rivolti sia a persone non ancora inserite nel mondo del lavoro, sia a lavoratori che hanno l'esigenza di acquisire o di perfezionare talune competenze. Il livello di scolarità per l'ammissione è estremamente vario, passando da corsi che non richiedono alcun titolo di studio ad altri per i quali è addirittura necessaria la laurea.
Data la varietà degli obbiettivi, sia i corsi inclusi nei piani regionali, sia quelli a carattere privato presentano una durata ed una struttura didattica estremamente variabili. E diverse, infine, sono le certificazioni rilasciate al termine del corso.
Accanto alla semplice "frequenza" e alla "qualifica", che costituisce titolo di ammissione ai pubblici concorsi e agli uffici di collocamento per l'avviamento al lavoro, esistono anche le "specializzazioni", che sono in pratica certificazioni post - qualifica, e le "partecipazioni" con riferimento a quei corsi imposti per legge ai fini dell' esercizio di una professione.

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