Il sistema endocrino

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Categoria:Biologia

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Testo

Vi sono nell’organismo alcune ghiandole la cui funzione è essenziale per la vita. Esse vengono chiamate col termine di “ghiandole endocrine” o a secrezione interna, in quanto i loro prodotti passano direttamente nel sangue. Queste ghiandole non hanno pertanto un condotto escretore, ma sono gli stessi vasi sanguigni che capillarizzandosi in esse, ne raccolgono le secrezioni. Le ghiandole a secrezione interna o endocrine si distinguono così nettamente dalle ghiandole a secrezione esterna, dette esocrine; queste ultime sono infatti dotate di un condotto escretore e comprendono le ghiandole dell’apparato digerente, quali le ghiandole salivari, il pancreas, le ghiandole dello stomaco e dell’intestino, ecc.
Le ghiandole endocrine secernono delle sostanze particolari, che svolgono nell’organismo delle funzioni biologiche di importanza enorme: gli ormoni. Le principali ghiandole endocrine dell’organismo sono il pancreas, la tiroide le paratiroidi, le capsule surrenali, l’ipofisi, le gonadi.
Il pancreas è un organo ghiandolare costituito da una parte esocrina, che versa cioè il suo contenuto secreto all’esterno del sistema vascolare, e da una parte endocrina, che versa cioè direttamente il suo secreto nel sistema vascolare. È un organo impari e asimmetrico la cui conformazione esterna assomiglia vagamente a una struttura ovalare con asse maggiore trasversale; è disposto nella cavità addominale da destra a sinistra e dal basso verso l’alto, sotto il peritoneo e incastrato con la sua testa nella “C” duodenale. È situato a livello del margine inferiore della prima vertebra lombare iniziando subito a destra della colonna vertebrale e portandosi trasversalmente dal basso verso l’alto a sinistra, fin nell’ipocondrio di questo lato.
Nella ghiandola endocrina sono presenti dei lobuli e frammisto ad essi è distribuito un insieme di strutture cellulari dette isole di Langerhans che costituiscono il cosiddetto pancreas endocrino. Esso è composto da ammassi cellulari riuniti in cordoni racchiusi in una sottile membrana connettivale e permeati da numerosi sinusoidi entro quali viene riversato il secreto da loro prodotto che è costituito da due ormoni: l’insulina e il glucagone. Le isole del Langerhans sono maggiormente distribuite nella coda pancreatica e meno nella testa e nel corpo. Le isole di Langerhans sono costituite da due tipi di cellule: alfa e beta, entrambe aventi la struttura delle cellule produttrici di materiale proteico ed entrambi contengono all’interno dei granuli, più grossi nelle cellule beta e più fini nelle cellule alfa. È da tempo riconosciuto che le cellule beta sono quelle produttrici di insulina mentre le cellule alfa producono il glucagone. Sono presenti anche cellule delta o D che si colorano differentemente dalle prime e che secondo alcuni autori produrrebbero materiale molto simile alle secretine gastriche. All’interno delle isole di Langerhans si distribuiscono alcune fibre nervose amieliniche il cui significato prevalente sembra essere quello vesomotore.
Il pancreas endocrino produce due tipi di ormoni: l’insulina sintetizzata dalle cellule beta e il glucagone sintetizzato dalle cellule alfa. Si tratta di due ormoni polipeptidici che svolgono un’azione antagonista sul metabolismo glucidico in particolare, ma anche su quello lipidico e proteico. Dal punto di vista biochimico l’insulina è una proteina prodotta sotto forma di proormone a livello del reticolo endoplasmatico delle cellule beta ed è costituita da una catena da una catena di 34 amminoacidi piegata su se stessa e unita da due ponti disolfurici. Viene trasferita in questa forma all’apparato di Golgi dove un enzima proteolitico stacca un frammento di 33 amminoacidi trasformando la proinsulina nell’insulina attiva pronta per essere immessa nel circolo. Lo stimolo principale per questa immissione è il livello della glicemia: se per qualsiasi ragione questo aumenta, l’insulina già in forma attiva, viene immediatamente liberata in circolo. Di conseguenza l’azione principale dell’insulina consiste nel far diminuire la concentrazione ematica del glucosio. Ciò avviene principalmente a tre livelli: il fegato , il tessuto muscolare e il tessuto adiposo. A livello epatico il glucosio penetra nell’epatocita per gradiente di concentrazione, senza bisogno attivo dell’insulina. Questa però nell’epatocita favorisce la trasformazione del glucosio in glucosio – 6 – fosfato permettendo ad altro glucosio di entrare nell’epatocita, dove viene inoltre stimolata la glicogeno – sintetasi inibendo al contempo la via gluconeogenetica con il risultato globale di favorire il deposito epatico del glucosio, bloccandone la fuoriuscita dal fegato e stimolando indirettamente la produzione proteica in quanto una minore quantità di amminoacidi viene sottratta dalla via gluconeogenetica inibita dalla stessa insulina. A livello muscolare e adiposo l’insulina invece entra in azione già nel favorire il passaggio entro questi tessuti, inoltre ne favorisce il deposito sotto forma di glicogeno nel muscolo stimolando l’enzima glicogenosintetasi, mentre nel tessuto adiposo, inibendo l’enzima lipasi, obbliga in un certo senso questo tessuto ad utilizzare il glucosio per i suoi bisogni energetici oltre che a depositarlo come trigliceride.
L’azione dell’insulina è immediata e si protrae solo per circa 5 o 6 ore in quanto viene velocemente degradata. Dal punto di vista terapeutico, essendo una proteina non può essere assunta per bocca in quanto verrebbe digerita ancor prima di essere assorbita a livello della mucosa intestinale.
Il glucagone è l’ormone prodotto dalle cellule alfa – pancreatiche ed è un polipeptide costituito da 29 amminoacidi il cui compito principale consiste nel far aumentare il livello di glucosio nel sangue. Questo risultato viene ottenuto tramite la stimolazione della glicogenesi a livello epatico e muscolare, con il contemporaneo blocco dell’azione insulinica e la stimolazione della lipolisi negli adipociti, con simultanea inibizione dell’ingresso del glucosio in questo tessuto. In altre parole il glucagone non solo favorisce l’immissione di circolo del glucosio, ma ne blocca l’immagazzinemento rendendolo pronto per l’utilizzo da parte dell’organismo. La stimolazione pancreatica endocrina è praticamente dovuta al tasso di glucosio nel sangue.
Lo studio funzionale del pancreas si può effettuare tramite il posizionamento di un sondino duodenale più o meno al livello della papilla di Vater. Esso può rendersi utile nel corso di particolari malattie pancreatiche come la pancreatite cronica in cui un deficit produttivo pancreatico quantitativo e qualitativo può essere studiato al fine di attenuare o di eliminare i disturbi digestivi a carico dei grassi, degli zuccheri e delle proteine. Anche lo studio delle feci può dare indicazioni indirette sulla funzionalità pancreatica in quanto la presenza di amido, di grassi, e di proteine in quantità eccessiva può essere indice di mancata o deficitaria produzione enzimatica da parte del pancreas. La funzionalità del pancreas endocrino si effettua studiando il dosaggio e le variazioni dell’insulinemia e della glicemia in diverse condizioni metaboliche e in seguito a stimolazione con determinate sostanze.
L’insulinemia in condizioni di base è di 15 –20µU/ml e la glicemia varia tra i 50 e i 100mg. Le sostanze più comunemente impiegate per lo studio della funzionalità endocrina sono il glucosio, la tolbutamide e la leucina. Con il glucosio si determina la cosiddetta curva glicemica somministrando a digiuno 1g di glucosio per kg di peso corporeo del soggetto. In condizioni normali la glicemia raggiunge i valori massimi entro la prima ora e ritorna ai valori normali entro la seconda ora, mentre può scendere al di sotto dei valori di base dopo la terza e la quarta ora. Se esiste una scarsa efficienza funzionale endocrina del pancreas, la glicemia non ritorna ai valori normali anche dopo la seconda, terza , quarta ora. Questa prova da carico di glucosio può essere potenziata somministrando contemporaneamente sostanze come i cortisonici che accentuano il tasso di glucosio nel sangue. La tolbutamide è una sulfonilurea che stimola la liberazione in circolo favorirà l’abbassamento della glicemia: se se non c’è insulina o se le cellule beta ne producono una quantità insufficiente la glicemia diminuirà in modo non significativo mentre la produzione di abbondante insulina causerà una caduta del livello glicemico. Questa prova consiste nel somministrare a digiuno e per endovenosa 1g di tolbutamide determinando al contempo la glicemia di base ogni trenta minuti per tre ore di seguito. Nei soggetti normali già entro la prima mezz’ora si osserva una notevole diminuzione della glicemia che tende a normalizzarsi entro la seconda e la terza ora. Da questa risposta si può anche dedurre un buon funzionamento delle cellule alfa che, producendo glucagone, favoriscono il ripristino di una normale glicemia. Anche il glucagone può essere dosato, con sistemi radioimmunologici complicati e non sempre disponibili in tutti i laboratori. In termini più generali il pancreas può essere studiato anche con la tecnica scintigrafica o radiologica. La scintigrafia si pratica iniettando per via endovenosa una sostanza radioattiva, la seleniometionina marcata, che viene fissata elettivamente a livello pancreatico. La mappa scintigrafica ottenuta darà un’immagine omogenea nel caso di un pancreas normalmente funzionante, non darà immagini in caso di atrofia pancreatica o darà immagini parziali con delimitate aree di ipocaptazione del tracciante radioattivo o aree fredde quando esistono formazioni cistiche, zone necrotiche o zone neoplastiche. Con la tecnica radiologica si può effettuare una radiografia dell’addome senza mezzo do contrasto che permette di visualizzare la presenza di eventuali calcificazioni nella regione pancreatica, secondarie e pencreatiti. Lo studio radiografico del tubo digerente può rivelare eventuali dislocazioni gastriche e/o duodenali dovute a tumefazioni del pancreas che alternano i normali profili degli organi limitrofi come lo stomaco e il duodeno. La “C” duodenale in cui si incastra la testa del pancreas può essere studiata meglio con la tecnica della duodenografia ipotonica, nella quale la somministrazione di atropina annulla i movimenti peristaltici favorendo il contatto duodenale con il pancreas: se la ghiandola presenta deformazioni, queste potranno essere facilmente rilevate dall’alterato profilo duodenale la cui parete ipotonica si lascia facilmente deformare. Anche lo studio colangiografico delle vie biliari extraepatiche consente inndirettamente di osservare eventuali alterazioni del coledoco con riflessi negativi sul pancreas. La tecnica dello studio stratigrafico pancreatico dopo retro – pneumoperitoneo consente di visualizzare in toto il profilo del pancreas: questo esame ultimamente è caduto in disuso, sostituito dalla tomografoia assiale compiuterizzata. Recentemente oltre alla TAC è entrata nell’uso diagnostico la Wirsunggrafia o pancreatografia intraoperatoria che consente di visualizzare eventuali patologie del dotto escretore pancreatico o malformazioni a suo carico. Anche l’arteriografia selettiva dell’arteria celiaca consente di evidenziare eventuali anomalie vascolari soprattutto qualora si consideri l’opportunità di praticare interventi sul pancreas.
Ghiandola endocrina situata nella regione anteriore del collo davanti alla laringe e alla trachea, costituita da due lobi laterali grossolanamente ovalare riuniti da un ponte trasversalmente chiamato istmo. Contrae stretti rapporti con la laringe, la trachea, le ghiandole paratiroidi, con i nervi ricorrenti laringei e con il fascio vascolo – nervoso del collo. Nell’adulto ha un peso che oscilla tra i 20 e i 30 grammi in condizioni normali. La tiroide ha una struttura lobulare realizzata da setti connettivali in cui decorrono nervi e vasi nutritivi. La struttura di base è rappresentata da un follicolo tiroideo, formazione chiusa e rotondeggiante rivestita da un solo strato di cellule, cubiche o appiattite, a seconda del loro stato funzionale, che contiene una sostanza omogenea e densa di colore ambrato detta colloide. Nella compagine del tessuto tiroideo si osservano inoltre raggruppamenti di cellule non disposte a formare un follicolo chiamate cellule C o parafollicoli, produttrici di un ormone che interviene nel metabolismo del calcio: la tirocalcitonina. Dal punto di vista funzionale la tiroide è una ghiandola indispensabile per la vita. Gli ormoni tiroidei provocano infatti molteplici effetti metabolici e morfogenetici in numerosi organi ed apparati e la loro importanza è particolarmente rilevante durante lo sviluppo: essi regolano l’accrescimento corporeo e favoriscono lo sviluppo cerebrale nel bambino; nell’individuo adulto mantengono la termoregolazione e, più generale, partecipano al controllo di tutto il metabolismo cellulare, delle proteine, dei grassi e degli zuccheri in ogni organo e apparato. Per questo, la sua regolazione funzionale è estremamente complessa. I cardini di questa regolazione prevedono lo stimolo della tiroide da parte dell’ormone ipofisiario tireotropo o THS, la cui produzione viene influenzata dalla quantità di ormone tiroideo circolante; in tal modo una scarsa concentrazione ematica di questo stimola l’ipofisi a produrre TSH, il quale, a sua volta, fa aumentare la produzione di ormone tiroideo da parte della tiroide. L’ipofisi viene per contro inibita da livelli ematici elevati di ormone tiroideo. A sua volta il TSH ipofisario viene stimolato e regolato da centri nervosi cerebrali, particolarmente dall’ipotalamo con la liberazione di un altro ormone, il TRH (ormone di rilascio del TSH ).
La formazione degli ormoni tiroidei avviene attraverso varie fasi: lo iodio, introdotto con l’acqua e gli alimenti, viene accumulato all’interno della ghiandola, si unisce all’amminoacido tirosina formando monoiodotirosina diiodotirosina; successivamente due di queste molecole si uniscono a formare triiodotirosina o T3 e tetraiodotirosina o tiroxina o T4, che sono i classici ormoni tiroidei. L’amminoacido tirosina viene legato sin dall’inizio a una proteina, la tireoglobulina, con la quale rimane unito fino al momento dell’immissione in circolo dell’ormone tiroideo; a questo punto avviene una reazione enzimatica che stacca gli ormoni dalla proteina permettendo a questi di attraversare la barriera di cellule tiroidee che circonda il follicolo e di immettersi nel circolo sanguigno dove verranno legati ad un’altra proteina e trasportati in tutto l’organismo per esplicare la loro azione.
La valutazione della funzione tiroidea avviene, abbastanza semplicemente, sulla scorta del dosaggio degli ormoni tiroidei T3 e T4 circolanti nel sangue, nella loro quantità totale o, in modo ancor più specifico, nella loro sola frazione libera della proteina di trasporto (FT3, FT4), che è poi la vera quota ormonale attiva. Altrettanto importante sarà il dosaggio nel sangue del TSH, misurato oggi con metodi ultrasensibili, in condizioni di base o, nei casi in cui sia più difficile la diagnosi di alterata funzionalità tiroidea, con la prova di stimolazione con TRH sintetico. Tra gli esami strumentali, il più comune è la scintigrafia, mediante iodio o tecnezio radioattivo, che frequentemente si accompagna alla curva di captazione tiroidea, che informa sulla maggiore o minore capacità della ghiandola di assumere e concentrare lo iodio per poi dismetterlo all’interno degli ormoni tiroidei. Ultimamente è sempre più frequente il ricorso all’ecografia tiroidea , cioè all’esame con ultrasuoni, capace di definire in modo assai sensibile la struttura e la consistenza della ghiandola e, quando all’interno di questa siano presenti dei noduli, all’esame microscopico di un piccolissimo frammento di tessuto prelevato con un ago sottile (agobiopsia).
L’alterazione della funzione tiroidea provoca un’alterazione dei normali processi metabolici, trofici e funzionali dell’organismo, con il risultato di una tutta complessa sintomatologia, diametralmente opposta negli ipertiroidismi e negli ipotiroidismi. La patologia della tiroide comprende inoltre i processi infiammatori e i tumori. Tra i primi le cause più comuni sono di natura infettiva e autoimmunitaria. I tumori tiroidei, infine, possono essere benigni o maligni; i primi sono adenomi a invasività limitata, accrescimento lento, incapaci di dare metastasi, i quali possono essere tossici, ossia secernenti ormoni in eccesso, e non tossici. Maligno è invece il carcinoma, che assume aspetti istologici vari, avendo comportamento aggressivo con tendenza cioè a invadere i tessuti vicini e a metastatizzare a distanza. Talvolta si manifesta tardivamente con la sintomatologia da compressione degli organi vicini. La cura delle neoplasie tiroidee è affidata alla chirurgia.
Le paratiroidi sono ghiandole endocrine che, in numero di quattro, sono situate, due per lato, lungo i margini posteriori dei lobi tiroidei. Si distinguono in superiori e inferiori, hanno forma ovalare, colorito grigio rossastro e sono costituite da cordoni cellulari circondati da una capsula di tessuto connettivo. Tali ghiandole producono l’ormone paratiroideo o paratormone (PTH) che regola il metabolismo del calcio e del fosforo: la diminuzione della concentrazione di tale ormone nel sangue provoca la caduta della calcemia e l’aumento della fosforemia. Numerosi eventi patologici possono colpire le paratiroidi (tumori, asportazioni accidentali nel corso di interventi sulla tiroide, ipofunzionalità congenita o acquisita, ecc.) e provocare stati di iper o di ipoparatirodismo: nei casi di iperparatirodismo primitivo sono dovuti, nella maggior parte dei casi, a un adenoma delle paratiroidi e si manifestano con una grave distrofia generalizzata dello scheletro.
Gli stati ipoparatiroidei si identificano nella tetania paratireopriva, dovuta a una diminuzione della calcemia e caratterizzata da ipereccitabilità neuromuscolare cui si aggiungono, nelle forme croniche, alterazioni della cute, delle unghie e dei denti. Le forme acute possono essere temporaneamente risolte mediante iniezioni endovenose di preparati di calcio, mentre per quelle croniche si ricorre alla somministrazione di vitamina D o dei suoi derivati.

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