il cuore e l'infarto

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Categoria:Biologia

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Testo

L'infarto
Dott. Massimo Fioranelli - Specialista in Cardiologia e Medicina Interna
Casa di Cura Villa Flaminia - Via L. Bodio, 58 - Roma - Tel.: 06.362061 - Fax: 06.36301895
Ogni anno circa 160.000 italiani vengono colpiti da infarto del miocardio.
Riconoscere e trattare adeguatamente gli individui colpiti ha portato ad una riduzione netta della mortalità e soprattutto a garantire dopo l’evento acuto un ritorno ad una vita normale.
L’infarto è una riduzione acuta del flusso di sangue ossigenato ad una zona del cuore a causa di un coagulo di sangue che si forma spesso a livello di una placca aterosclerotica e porta ad un danno del tessuto miocardico. L’estensione e la gravità di questo danno dipendono da molti fattori: la sede della lesione, la durata dell’ischemia, l’eventuale conformazione anatomica delle coronarie, la presenza di altri fattori (diabete, ipertensione), la possibilità di eseguire determinate terapie nel più breve tempo possibile.
E’ pertanto importante riconoscere i sintomi ed intervenire rapidamente.
La comparsa di un dolore toracico, associato o meno a sudorazione fredda ed abbondante, con debolezza ed affanno deve portare immediatamente l’individuo a contattare il 118 per l’ambulanza oppure a farsi portare all’ospedale più vicino. Assolutamente non bisogna rischiare di guidare l’automobile.
Effetti di un trombo (15k) - clicca per ingrandire
Un dolore breve, una fitta o un dolore che cambia con i movimenti e con gli atti del respiro di solito non è sintomo di infarto.
A questo punto il ricovero in Unità Coronarica, il monitoraggio continuo di alcuni parametri, e l’instaurarsi di una adeguata terapia, è il normale iter nella fase acuta.
Le Unità Coronariche sono appunto nate per offrire agli individui colpiti da infarto del miocardio il trattamento più adeguato per questa grave malattia e per le sue complicanze, anche fatali.
Superata la fase acuta (in media 48 ore), si devono programmare una serie di accertamenti per valutare il rischio ischemico ed aritmico, conseguenza dell’infarto.
In base all’ecocardiogramma, al test da sforzo e all’Holter, si potrà avere un quadro più preciso della situazione creatasi e procedere ad un intervento mirato, che potrà anche portare ad esami come la coronarografia ed eventualmente ad angioplastica coronarica o bypass aortocoronarico.

Molto importante nella fase post ricovero trovare il sostegno adeguato dei familiari e degli amici, e prendere coscienza, con l’aiuto del cardiologo, del proprio stato di salute e delle proprie potenzialità (RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA). Infatti, è ormai noto che la depressione ed uno scarso supporto sociale ( o percepito come tale) aumentano il rischio di mortalità nel primo anno post infarto, a prescindere dalle condizioni cliniche. Il controllo dei fattori di rischio, di cui mai troppo si sottolinea l’importanza, un buon rispetto delle prescrizioni dei farmaci, una riduzione degli eventi stressanti ed un valido controllo cardiologico periodico portano l’individuo colpito da infarto al ritorno con soddisfazione ad una vita normale, anche lavorativa.
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Sito del Dott. Massimo Fioranelli, cardiologo, specializzato nel trattamento e nella risoluzione delle patologie del cuore, delle coronarie, dello scompenso cardiaco, dell'infarto in special modo sulla diagnosi e cura di: apparato cardiocircolatorio, patologia del cuore, plesso cardiaco, cardiopatia, cardiomiopatia, cardiomiopatia dilatativa, cardiomegalia, cardiomegalia ipertrofica, embolia, cardiopalmo, infarto del miocardio, infarto delle coronarie, infarto coronarico, sincope cardiaca, arresto cardiaco, scompenso cardiaco, angina pectoris, angiologia, cardite, carditi, miocardite, miocarditi, endocardite, endocardite batterica, endocarditi batteriche, pericardite, pericarditi, insufficienza cardiaca, ritmo cardiaco, aritmia cardiaca, tachicardia, brachicardia, fibrillazione cardiaca, fibrillazione ventricolare, cardiospasmo, cardiospasmi, asistolia, extrasistole, pacemaker, pace-maker, circolazione sanguigna, his, fascio di his, fasci di his, valvole cardiache, valvola mitrale, valvola aortica, pressione sanguigna, pressione arteriosa, mal di cuore in genere. Il Dott. Massimo Fioranelli ha il suo centro in Via Angelo Brofferio, 6 - Roma, Italia.
CUORE

Situato al centro della gabbia toracica, il cuore è l'organo del corpo umano che assicura la funzione circolatoria attraverso il pompaggio continuo del sangue. La sua costante azione di pompaggio mantiene irrorati in modo continuo tutti gli organi; questo lavoro si compie secondo un doppio circuito simultaneo. Un circuito passa attraverso i polmoni, dove il sangue cede l'anidride carbonica e prende l'ossigeno dell'aria attraverso le pareti degli alveoli polmonari; l'altro circuito interessa tutti gli altri organi, alimentati a partire dalla stessa arteria principale, l'aorta.
ANATOMIA E FISIOLOGIA
Il cuore è un muscolo, essendo costituito prevalentemente da fibre muscolari (miocardio), ha la forma di un ellissoide, con un asse longitudinale più lungo ed uno trasversale più corto. Il suo peso medio è di circa 350 g. nell'uomo e 300 g. nella donna.
È situato al centro del torace, più esattamente nel mediastino, con la punta o apice diretta in avanti e verso sinistra. L'organo non è libero nel torace, ma è contenuto in una specie di sottile sacchetto di rivestimento che è il pericardio, all'interno del quale c'è una piccola quantità di liquido sieroso. Anche la superficie interna delle pareti del cuore è rivestita da un sottile foglietto di tessuto, che è l'endocardio.
Al suo interno si riconoscono 4 cavità (o camere), 2 atri e 2 ventricoli, rispettivamente atrio e ventricolo destro, atrio e ventricolo sinistro. Gli atri formano la sommità del cuore e sono costituiti da tessuto muscolare più sottile rispetto ai ventricoli, che costituiscono la gran parte dell'organo e sono più spessi e robusti degli atri.
I due atri, destro e sinistro, sono separati fra loro dal setto interatriale ed i due ventricoli dal setto interventricolare; così che le sezioni destre e sinistre del cuore sono tra loro nettamente separate. Le cavità degli atri sono separate da quelle dei ventricoli dalle valvole atrio-ventricolari che sono la valvola tricuspide, situata tra atrio e ventricolo destro, e la valvola mitrale o bicuspide, fra atrio e ventricolo sinistro.
Rispettivamente dal ventricolo sinistro e dal ventricolo destro si dipartono l'arteria aorta e l'arteria polmonare, ed altre due valvole, aortica e polmonare, sono situate al punto di passaggio fra i ventricoli e i suddetti vasi.
La funzione delle valvole cardiache, con il loro alterno movimento d'apertura e chiusura, è quella di assicurare al sangue pompato dal cuore nella sua attività un flusso unidirezionale.
COME FUNZIONA?
Il cuore funziona come una pompa aspirante e premente, ricevendo il sangue dalla periferia e pompandolo nuovamente in avanti, ad ogni sistole, nel sistema circolatorio, fino alle estreme ramificazioni dell'albero arterioso.
In condizioni di riposo, dal ventricolo sinistro sono espulsi ad ogni contrazione (sistole) circa 70 centimetri cubici di sangue, vale a dire circa 5 litri al minuto, ma tale quota può aumentare fino a 4-6 volte durante l'attività fisica. Il sangue arterioso espulso dal ventricolo sinistro percorre l'aorta e le successive diramazioni arteriose e raggiunge i tessuti a cui cede l'ossigeno e da cui riceve l'anidride carbonica e gli altri prodotti del metabolismo.
Il sangue venoso, povero d'ossigeno e ricco d'anidride carbonica, ritorna al cuore attraverso le vene. Passando poi attraverso i polmoni, è depurato dell'anidride carbonica ed arricchito nuovamente d'ossigeno. Non c'è mai commistione tra sangue venoso e sangue arterioso.
Le contrazioni del cuore, che normalmente sono circa 72 al minuto (la frequenza cardiaca normale è compresa tra 60 e 100 battiti al minuto) in condizioni di riposo, ma che possono aumentare di più del doppio durante l'attività fisica, avvengono ritmicamente, automaticamente e spontaneamente. Il controllo della contrazione spontanea del cuore è dovuto ad una sorta di centralina che è situata nell'atrio destro e che si chiama "nodo del seno"; lo stimolo che qui si produce è condotto a tutte le regioni del cuore mediante un sistema di fibre di conduzione assimilabile ad un impianto elettrico.
Nell'immaginario popolare, il cuore è generalmente ritenuto un organo assai delicato ed alquanto fragile, probabilmente perché è tradizionalmente ritenuto il centro degli affetti e dell'emotività, e perché si confonde il suo controllo nervoso, complesso e delicato, con la sua funzione meccanica.
Il cuore è invece una pompa assai robusta ed incredibilmente duratura: basti pensare che esso effettua circa 100.000 contrazioni ogni giorno mediamente per circa 80 anni e talora per 100 e più anni. Ogni giorno, esso compie un lavoro meccanico pari al sollevamento di una massa di circa 1000 kg (una macchina di media cilindrata) ad un'altezza di 10 metri, e nel corso dell'intera vita compie un lavoro utile esterno pari a circa 1000 kw/h, un lavoro che consentirebbe di sollevare una portaerei di 3 metri sul pelo dell'acqua. Nessun congegno meccanico costruito dall'uomo è in grado di operare a questi livelli.

IL CUORE IN CIFRE

Contrazioni
Al minuto (media, a riposo):
In un'ora:
In un giorno:
In un anno:
In 74 anni (vita media)
72
4300
100.000
3.600.000
266.000.0000
Sangue pompato
In un minuto:
In un'ora:
In 24 ore:
In un anno:
In 74 anni:
5 litri
300 litri
7200 litri
2.600.000 litri
195.000.000 litri
Energia sviluppata
In 24 ore: solleverebbe 1 tonnellata ad un'altezza di 10 m
In 70 anni solleverebbe una portaerei a 3 m sull'acqua
Lunghezza totale di arterie, vene e capillari: 100.000 km (2 volte e mezzo il giro del mondo)

COME SI NUTRE IL CUORE?
Per compiere una tale mole di lavoro, il muscolo cardiaco ha assoluta necessità dell'apporto costante di ossigeno e sostanze nutrienti: è proprio questa la funzione, comprensibilmente "vitale", delle arterie coronarie. Esse sono dei vasi, all'origine abbastanza grossi, che, dipartendosi dall'arteria aorta subito sopra il cuore, lo raggiungono circondandolo e avviluppandolo in una sorta di rete o albero di ramificazioni sempre più sottili che, penetrando all'interno del muscolo, lo irrorano estesamente allo stesso modo di un ottimo impianto di irrigazione. All'origine, le arterie coronarie sono due, sinistra e destra; ma una di esse, la sinistra, destinata ad irrorare la parete anteriore del cuore, subito dopo la sua origine si divide in due rami, di cui uno raggiunge propriamente la parete anteriore (arteria discendente anteriore) e l'altro le regioni più laterali (arteria circonflessa); la coronaria destra, invece, irrora le pareti inferiore e posteriore. Ne consegue, in definitiva, che le coronarie sono funzionalmente tre. Vi possono essere, e generalmente vi sono, dei vasi più piccoli ed a vario livello i rami principali: questa rete di connessione viene denominata "circolo collaterale".

vasodilatatori ed antinfiammatori; da ultimo la simpaticectomia.
ATEROSCLEROSI
Il denominatore comune che sta alla base delle più frequenti e più gravi malattie cardiovascolari, come le malattie delle coronarie, lo scompenso cardiaco e le arteriopatie degli arti inferiori, è l'aterosclerosi, che per la sua enorme diffusione e la gravità delle sue conseguenze è stata definita l'epidemia del XX secolo. L'aterosclerosi è l'indurimento delle arterie dovuto ad ispessimento e perdita di elasticità; è caratterizzata da un aumento della consistenza della parete vasale che rappresenta l'esito in sclerosi di svariati processi patologici. Sotto questo nome vengono comprese diverse forme morbose che si possono trovare associate o isolate e che comunque hanno tutte come effetto finale una riduzione più o meno elevata dell'elasticità della parete arteriosa. E' un complesso e lento processo degenerativo vascolare sostenuto da una serie di fattori, fra cui soprattutto l'aumento persistente dei grassi nel sangue, ed in specie del colesterolo; tale processo, nel tempo produce una sorta di intasamento del lume dei vasi, con conseguente riduzione del flusso, fino alla sua completa abolizione.
Contrariamente a quanto si crede, l'aterosclerosi è un processo molto lento, che inizia addirittura intorno ai venti anni e progredisce lentamente e senza dare alcun segno di sé fino alle fasi più avanzate, quando compare l'evento caratterizzato dall'ischemia o dall'infarto.
Quello che si sa con certezza è che alla base delle alterazioni prodotte nel tempo sulla parete interna dei vasi coronarici dalla malattia aterosclerotica (placca), può formarsi bruscamente un coagulo di sangue più o meno grosso ed esteso - quello che si definisce trombo - che finisce con l'occludere completamente il vaso ed arrestare il flusso; questo trombo si forma in genere, ma non necessariamente, a livello di un preesistente restringimento del vaso di natura aterosclerotica; l'arresto prolungato del flusso, causato dal trombo occludente, finisce col provocare la morte delle cellule situate nel territorio di distribuzione del ramo vascolare occluso: è esattamente questo quel che si definisce infarto; è intuitivo che la porzione di muscolo cardiaco infartuata (o morta, o "necrotica") sarà tanto più estesa quanto più in alto sarà situata l'occlusione del vaso coronario rispetto alle sue successive ramificazioni.
Come si può evitare?
Nella prevenzione sia di un primo infarto (prevenzione primaria) che di eventuali ricadute successive (prevenzione secondaria) è molto più importante curare per tempo la malattia aterosclerotica causale piuttosto che cercare di individuare ed evitare l'eventuale causa scatenante dell'evento acuto.
INFARTO MIOCARDICO

Si verifica quando l'irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco (miocardio) diminuisce o viene a mancare in seguito all'occlusione di una o più arterie coronariche. L'infarto miocardico è una malattia che colpisce più di duecentomila italiani all'anno e che in 1/3 dei casi conduce alla morte.
Quali sono le cause?
Le arterie coronarie normali appaiono come dei tubi puliti. Ma vi sono dei fattori di rischio che predisporre alla formazione di lesioni aterosclerotiche che alterano le arterie. Molti sono i fattori che contribuiscono ad aumentare il rischio di infarto miocardico:
Età: l'aterosclerosi coronarica, come quella degli altri distretti vascolari, è una malattia di tipo degenerativo, dovuta essenzialmente alla inevitabile senescenza dei vasi; per cui si dice comunemente, non a torto, che abbiamo l'età dei nostri vasi; ed a dispetto di ogni disperata ricerca di ringiovanimento esteriore ed estetico, nessuno può venderci la pillola della giovinezza.
Precedenti familiari di infarti: le malattie cardiovascolari tendono ad aggregarsi in particolari nuclei familiari, per cui si finisce con l'ereditare la predisposizione ad ammalare, ed i discendenti di coronaropatici vanno guardati con particolare attenzione.
Sesso: per quanto riguarda il sesso, le donne, soprattutto in età feconda, sono relativamente protette rispetto agli uomini dalla aterosclerosi coronarica. Gli indici tendono poi gradualmente a livellarsi dopo la menopausa. Con una Ebct (tomografia a fascio di elettroni) sono state analizzate 541 donne con età media di 48 anni. Quelle in cui l'esame aveva rivelato calcificazioni iniziali (non visibili con esami radiografici tradizionali) dell'aorta e delle arterie coronarie sono andate incontro ad infarto od altra malattia coronarica nei 15 anni successivi l'esame. Un risultato inquietante questa capacità predittiva dell'esame che, proprio per questo, è una formidabile arma di prevenzione. Tutte le donne che hanno modificato il loro stile di vita a rischio (alimentazione ipercalorica e con eccesso di grassi animali) e hanno riportato nei limiti di sicurezza i valori di colesterolo cattivo (LDL) ed elevato quelli del buono (HDL) hanno abbassato il rischio di malattia cardiaca. Va anche detto, però, che l'infarto nelle donne tende ad essere in genere più grave rispetto a quello dei maschi.
Livello di colesterolo elevato: i grassi sotto accusa sono il colesterolo totale, la sua frazione LDL ei trigliceridi, il cui tasso aumentato nel sangue è un sicuro fattore di rischio; è un rischio anche la diminuzione del tasso di un'altra frazione del colesterolo, l' HDL, che ha funzioni protettive. L'ipercolesterolemia di per sé non è una malattia, ma solo un fattore di rischio ed il colesterolo non è un veleno, ma anzi è un costituente fondamentale di tutte le cellule dell'organismo. Il guaio è che per cattive abitudini alimentari il suo livello risulta abnormemente elevato; ciò, sul lungo periodo, può risultare dannoso. I livelli desiderabili di colesterolo sono intorno ai 200 mg/ml ed il dosaggio della colesterolemia rientra in una buona prassi di medicina preventiva, soprattutto nelle fasce di età a rischio (fra i 40 ed i 70 anni), anche se oggi sembra opportuno porsi il problema del suo controllo fin dall'infanzia. E' dubbio, invece, se valga la pena di effettuare ripetute e frequenti determinazioni del colesterolo in soggetti ultrasettantenni e spesso ottuagenari, anche se è dimostrato che la riduzione della colesterolemia è utile anche in età avanzata. Quello che va evitato è lo stato di ansia e di preoccupazione con cui taluni soggetti in tarda età e spesso abbondantemente di là del rischio "inseguono" affannosamente il loro tasso di colesterolo.
Ipertensione – Diabete - Obesità: piuttosto che di obesità è meglio parlare di eccesso ponderale. L'eccesso ponderale si accompagna con grande frequenza ad aumento della pressione, della glicemia, dei grassi nel sangue, ed a riduzione dell'attività fisica; inoltre, è un grosso fardello che affatica inutilmente il cuore. Secondo dati recenti nel mondo occidentale circa il 30% della popolazione avrebbe un eccesso ponderale di varia entità. Va precisato, a questo proposito, che si parla di obesità quando il peso corporeo superi del 15% il peso ideale. La determinazione del peso ideale si ottiene con varie formule. Un criterio abbastanza diffuso definisce come peso ideale il numero di chili pari ai centimetri oltre il metro di statura (quindi, per un uomo alto 1,80 m. il peso ideale sarebbe 80 chili), ma questo criterio è forse più adatto al ventenne che svolga attività fisica; per un sessantenne sedentario appare eccessivamente generoso, e sarebbe consigliabile una riduzione di almeno il 10%. E' stato anche sicuramente dimostrato che l'aumento del peso del 20% rispetto a quello ideale nei soggetti di media età raddoppia l'incidenza di malattie delle coronarie, e la triplica se l'obesità si accompagna a ipercolesterolemia o ipertensione. Gli obesi malati di cuore vivono in media 4 anni di meno del cardiopatico di peso regolare. L'essere fortemente sovrappeso anticipa poi di 7 anni l'inizio della malattia in chi è predisposto. Negli Stati Uniti è stato anche calcolato che se si riuscisse a debellare il cancro la vita si allungherebbe di meno di due anni, mentre se si eliminasse l'obesità si allungherebbe di 5 anni.
Fumo - Stress: l'importanza dello stress è generalmente sopravvalutata dai pazienti. In gran parte ciò è dovuto al fatto che è un termine che ha trovato grande successo e diffusione, essendo chiamato in causa per situazioni molto diverse.
Essendo utopistico e irrealizzabile l'intento di modificare positivamente l'ambiente in maniera sostanziale, è chiaro che i nostri sforzi sono diretti alla individuazione ed alla eventuale modificazione di quei tratti della personalità che, sottoposti all'influenza ambientale, possano costituire un fattore di rischio per gli eventi coronarici. Numerosi ed approfonditi studi hanno individuato uno specifico atteggiamento comportamentale, definito come personalità di tipo A, che costituisce un sicuro fattore di rischio coronarico. Gli elementi costitutivi del comportamento di tipo A sono rappresentati da una costellazione di atteggiamenti caratteriali che contribuiscono nel loro insieme a determinare uno specifico tipo di personalità.
In sintesi, i tratti distintivi del comportamento di tipo A sono la fretta, l'impazienza, l'eccessiva competitività ed un certo grado di ostilità verso l'ambiente sociale, lavorativo e familiare. Nell'ambito di una strategia riabilitativa globale, in cui gli atteggiamenti psicologici hanno un ruolo fondamentale, la ripresa graduale delle proprie attività, con un'ottica diversa e con una mentalità diversa, favorisce il totale reinserimento sociale, la chiusura di un periodo della vita difficile ed oscuro, culminato con un grave "incidente", e l'inizio della ricostruzione psico-fisica del paziente, su nuove basi. Sul piano pratico è consigliabile adottare una serie di atteggiamenti di difesa, che potrebbero essere riassunti nei seguenti consigli: eliminare l'eccesso di lavoro; affrontare e risolvere un problema alla volta; crearsi se è possibile un hobby.
Sedentarietà: il tema della sedentarietà, intesa come ridotta attività fisica, è strettamente connesso con quello dell'eccesso ponderale. Una riduzione del dispendio calorico, se si mantengono costanti le entrate, si traduce in un accumulo di grasso ed aumento di peso". Accurate indagini statistiche effettuate in un numero rilevante di pazienti hanno consentito di verificare che l'attività fisica si traduce in una diminuzione significativa del rischio cardiovascolare, sia nella prevenzione primaria, cioè nell'evitare un primo infarto, sia, e soprattutto, nella prevenzione secondaria, cioè nell'evitare un secondo infarto in chi ne abbia già subito uno. I meccanismi attraverso i quali l'attività fisica induce effetti benefici sono ben noti, e sono sia diretti che indiretti. Direttamente, l'allenamento fisico, cioè un'attività fisica regolare e costante, produce effetti benefici mediante la riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sotto sforzo, con conseguente risparmio del consumo di ossigeno del muscolo cardiaco, una migliore utilizzazione dell'ossigeno da parte dei muscoli scheletrici, un miglioramento della capacità lavorativa globale, uno spostamento del controllo nervoso del cuore a vantaggio del vago, sistema frenatore e di risparmio, a discapito del simpatico, sistema acceleratore e dispendioso, un innalzamento della soglia a cui compaiono ischemia ed angina durante lo sforzo, ed aritmie minacciose. Indirettamente, l'attività fisica ha effetti benefici attraverso un aumento del colesterolo protettivo HDL, una riduzione dell'aggregabilità delle piastrine, una riduzione della pressione arteriosa, degli ormoni circolanti che stimolano il cuore, della glicemia nel diabete e dei trigliceridi, dell'obesità, dell'abitudine al fumo. Non c'è dubbio, quindi, che l'attività fisica vada incoraggiata ed incrementata e che al contrario la vita sedentaria vada evitata invertendo, così, la radicata tendenza che imponeva periodi di lunga e pressoché completa, e talora definitiva inattività agli infartuati.
Nella maggior parte dei casi, l'infarto miocardico è dovuto alla formazione di un grumo di sangue (coagulo) che ostruisce un'arteria coronarica. Si tratta in questo caso di una trombosi coronaria. E' più raro che la contrazione temporanea (spasmo), di un'arteria coronaria possa scatenare un infarto.
Cos'è?
Si verifica quando l'irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco (miocardio) diminuisce o viene a mancare in seguito all'occlusione di una o più arterie coronariche.
L'infarto miocardico è una malattia che colpisce più di duecentomila italiani all'anno e che in 1/3 dei casi conduce alla morte. Se l'infarto colpisce solo una zona limitata del muscolo cardiaco, le conseguenze non sono gravi. Se la lesione del muscolo cardiaco è molto estesa, può provocare la morte o un'invalidità (di grado variabile).
Quando si verifica
L'infarto è in genere la conseguenza drammatica di una malattia che è iniziata molti anni prima senza manifestarsi fino a quel momento; le cause scatenanti, che in un determinato momento fanno bruscamente precipitare una situazione mantenuta in equilibrio fino ad un istante prima sono assai variabili e non sempre identificabili.
Talora il dolore si verifica durante un intenso sforzo fisico compiuto da un soggetto non allenato: la partita di calcio "scapoli-ammogliati" effettuata magari dopo un anno di lavoro a tavolino e magari sotto il solleone e dopo abbondanti libagioni, è responsabile di molte precoci vedovanze.
A volte, in associazione ad uno stress psicologico intenso e prolungato, come conflitti o litigi nell'ambito familiare o lavorativo; talora si tratta di forti ed improvvise emozioni a contenuto sgradevole, come aggressioni, rapine, coinvolgimento in incidenti stradali ed in disastri come terremoti, alluvioni, incendi, etc. In realtà, nella stragrande maggioranza dei casi non si riesce ad individuare il meccanismo scatenante dell'evento infartuale, e va anzi ricordato che studi ormai numerosi di cronobiologia hanno dimostrato in maniera inconfutabile che il maggior numero di infarti si verifica nelle primissime ore del mattino quando il paziente è in completo riposo. Gli infarti fatali avrebbero, inoltre, una stagionalità tra dicembre e gennaio.
Quali sono i sintomi?
La parola angina introduce l'elemento soggettivo della sofferenza ischemica del muscolo cardiaco: il sintomo dolore. Sia l'ischemia che l'infarto generalmente provocano dolore anginoso, ed in genere il dolore dell'infarto è più intenso e soprattutto più prolungato.
Il primo sintomo dell'infarto cardiaco è il dolore, si manifesta come un senso di fastidio al petto. La sensazione di oppressione, compressione, dolore o peso nel centro del petto si può irradiare alle spalle, al collo, alle braccia o alla schiena.
Spesso l'infarto si rivela con l'insieme dei seguenti sintomi:
Abbondante sudorazione fredda nella parte superiore del corpo, stordimento, mancanza di fiato e nausea.
La mancanza di fiato è dovuta all'impossibilità del cuore di pompare in modo efficace e determina, in alcuni pazienti, una sensazione di oppressione al petto come una corda che stringe. Se si è in grado di riconoscere i sintomi dell'angina e dell'infarto, si potrà essere in grado di salvare la vita a se stessi o agli altri. Se invece non si riconoscono i sintomi o si attribuiscono ad un altro disturbo (un'indigestione…) il trattamento dell'infarto arriverà troppo tardi.
Purtroppo, in una buona percentuale di casi, sia l'ischemia che l'infarto possono non accompagnarsi a dolore: condizioni queste rispettivamente definite ischemia silente ed infarto silente.
La prognosi, il decorso ed il rischio dell'ischemia e dell'infarto silente non differiscono sostanzialmente dalle forme che si accompagnano a dolore; non si tratta di forme "lievi" della malattia; anzi, l'assenza di un campanello di allarme come il dolore può esporre in definitiva il paziente ad un rischio maggiore.
Qual è la differenza tra infarto ed ischemia?
S'intende per ischemia lo stato di sofferenza del muscolo cardiaco non sufficientemente irrorato. C'è una differenza fondamentale tra infarto ed ischemia. L'infarto è un'interruzione totale del flusso del sangue al cuore, i cui sintomi durano più di 15 minuti, non scompaiono con il riposo o con i farmaci (con la nitroglicerina sono solo alleviati) ed una parte del muscolo cardiaco incomincia a morire. E', quindi, una condizione stabile ed irreversibile. L'ischemia è transitoria e reversibile; consiste in una temporanea interruzione del flusso di sangue ossigenato al cuore; i sintomi durano pochi minuti e si possono alleviare con il riposo o con i farmaci.
Ciò che determina il punto di passaggio fra ischemia ed infarto è la durata dell'assenza di flusso; infatti, il muscolo cardiaco riesce a tollerare l'assenza di irrorazione per un tempo limitato (meno di 30 minuti), al di là del quale comincia ad andare in necrosi, a morire.
Nella maggioranza dei casi, l'ischemia si determina quando, a fronte di una maggiore richiesta di ossigeno e materiali nutritivi, e quindi di un aumento di flusso, determinata da un'attività fisica più o meno intensa, questa richiesta non può essere soddisfatta a causa dei restringimenti (stenosi) prodotti all'interno delle arterie coronarie dalla malattia aterosclerotica.
Si crea così una discrepanza transitoria fra necessità di apporto e possibilità di adeguamento dei flussi; questa è la condizione detta "angina da sforzo".
Cosa succede nella zona del cuore in cui le cellule sono morte?
In alcuni casi di infarto la porzione di parete del muscolo cardiaco non più contrattile, cicatriziale ed assottigliata, protrude durante la contrazione (in sistole), dando luogo a quello che si definisce aneurisma ventricolare. Questa, comunque è una conseguenza abbastanza rara dell'infarto; generalmente, invece, l'assottigliamento della zona infartuata, pur senza dar luogo all'aneurisma, finisce col provocare un'alterazione più o meno grave della geometria ventricolare, che risponde a precise e rigorose leggi fisiche, ed un deterioramento della funzione meccanica della pompa.
E' intuitivo che le conseguenze "meccaniche" dell'infarto saranno tanto più gravi quanto più estesa è la zona assottigliata e non contrattile; generalmente, si ritiene che l'infarto sia più o meno grave in relazione alla sede (anteriore, o posteriore o inferiore). Tradizionalmente si ritiene che l'infarto posteriore o inferiore sia meno grave di quello anteriore; questo potrà anche essere vero, ma la cosa più importante nel determinare la prognosi sia immediata sia a distanza dell'infarto non è tanto la sua sede, quanto la sua estensione. È meglio, quindi, sotto questo aspetto, distinguere infarti piccoli e circoscritti da infarti estesi. Inoltre, i danni meccanici prodotti da un eventuale secondo infarto, soprattutto se questo interessa una zona diversa dal precedente, si sommano a quelli provocati dal primo.
Quando consultare il medico?
Ogni sintomo che segnali l'inizio di un infarto impone l'immediata consultazione del medico. Se il medico non è rintracciabile, chiamare un' ambulanza e raggiungere immediatamente il pronto soccorso dell'ospedale più vicino.
Cosa fanno al pronto soccorso?
Una volta chiarito che il confine fra ischemia ed infarto è solo temporale, e che vi sono dei tempi, anche se ristretti, e dei mezzi che consentono di arrestare l'evoluzione dell'ischemia in infarto, si capisce bene l'importanza del fattore tempo. Gli specialisti del pronto soccorso, dopo un elettrocardiogramma di conferma, avvieranno subito le analisi del sangue per dosare gli enzimi liberatisi durante l'infarto dal muscolo cardiaco (troponina, GOT, GPT, LDH, CK,CKMB).
Qual è la terapia per l'infarto miocardico?
Fino a poco tempo fa la terapia consisteva essenzialmente nell'alleviare il dolore e nel trattare le complicanze precoci.
La moderna terapia della malattia coronarica si basa su tre cardini: le cure mediche (nuovi farmaci, conosciuti con il nome di trombolitici, permettono oggi di sciogliere rapidamente i grumi di sangue all'origine della maggior parte degli infarti), la chirurgia del bypass aorto-coronarico, e la dilatazione con palloncino delle coronarie stenotiche (angioplastica coronarica).
Come evitare l'infarto miocardico?
Smettere di fumare;
Mantenere il peso ideale;
Alimentarsi con cibi poveri di grassi animali;
Praticare un esercizio fisico regolare e senza eccessi;
Mantenere a livelli normali la pressione arteriosa, il colesterolo e la glicemia.
Si può ritornare ad una vita normale?
Un infarto piccolo non ha conseguenze gravi. La riabilitazione ed una terapia appropriata permetterà al muscolo cardiaco di riprendere la propria funzione e lascerà solo strascichi trascurabili.
Il 50% delle persone colpite da un infarto miocardico ritornano ad una vita normale nel giro di pochi mesi.

I numeri del CUORE italiano
300: casi di infarto ogni 100.000 abitanti
80.000: infarti diagnosticati ogni anno
8%: casi di reinfarto ad un anno dal primo evento
200.000: persone con fibrillazione atriale … delle quali
il 5-7%: lamenta, ogni anno, embolie cerebrali con decadimento delle funzioni cognitive sino alla demenza
250: casi di ictus ogni 100.000 abitanti
35-40%: casi di ictus in meno con la riduzione di 5-6 mmHg di pressione sistolica
1.000.000: sopravvissuti ad almeno un infarto

A cura del Centro per la Lotta Contro l'Infarto

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