Eutanasia: considerazioni

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Testo

Premessa
Il dibattito sull’eutanasia e il suicidio assistito si è notevolmente ampliato negli ultimi anni interessando sempre più da vicino tanto il grande pubblico quanto le categorie coinvolte nella cura dei malati inguaribili.
Il presente documento intende approfondire questa delicata materia. Il primo capitolo contiene la spiegazione dei termini impiegati nel dibattito e precisa il loro significato. Successivamente il documento espone lo stato del dibattito. In terzo luogo esso passa in rassegna le situazioni cliniche nelle quali il problema si pone. Il quarto capitolo discute alcuni orientamenti e proposte e l’ultimo capitolo infine esamina più da vicino gli aspetti di ordine etico e pastorale emersi nei punti precedenti.
Due sono le argomentazioni di maggior rilievo: la prima si appella al rispetto per l’autonomia del paziente (numeri 2.8 e 5.6); la seconda estende il concetto di cura fino a includervi l’aiuto offerto a chi intende morire dignitosamente (numeri 4.3 e 5.4).
1 – Definizioni
1.1 L’eutanasia può essere definita in senso lato come qualsiasi atto compiuto da medici o da altri, avente come fine quello di accelerare o di causare la morte di una persona. Questo atto si propone di porre termine a una situazione di sofferenza tanto fisica quanto psichica che il malato, o coloro ai quali viene riconosciuto il diritto di rappresentarne gli interessi, ritengono non più tollerabile, senza possibilità che un atto medico possa, anche temporaneamente, offrire sollievo.
1.2 L’eutanasia attiva consiste nel determinare o nell’accelerare la morte mediante il diretto intervento del medico, utilizzando farmaci letali (ad esempio un barbiturico ad azione rapida che induce il coma e una dose elevata di cloruro di potassio, che determina l’arresto cardiaco). Questo è il significato che attribuiremo al termine eutanasia nel proseguimento della discussione.
1.4 Il termine eutanasia passiva viene invece utilizzato per indicare la morte del malato determinata, o meglio accelerata, dall’astensione del medico dal compiere degli interventi che potrebbero prolungare la vita stessa: un esempio potrebbe essere rappresentato dall’astensione dal trattare con terapia antibiotica un malato di demenza di Alzheimer, oppure un neonato gravemente deforme, con breve aspettativa di vita, colpito da polmonite. In realtà, sarebbe opportuno non utilizzare il termine eutanasia in tal senso; è invece preferibile in questo caso parlare di astensione terapeutica.
1.6 La morte può anche essere causata o accelerata dall’impiego in dosi massicce di farmaci, come ad esempio la morfina o i suoi derivati, somministrati allo scopo di alleviare sintomi quali il dolore o la dispnea. In questi casi la morte non è la conseguenza di un atto volontario del medico, ma piuttosto un effetto collaterale del trattamento.
2 – Stato del dibattito
2.1 In oncologia, l’argomento trova sempre più spesso spazio nelle riviste specializzate e nei congressi medici. Fra il 1991 e il 1996 è possibile identificare 296 citazioni sul suicidio assistito in riviste oncologiche, mentre nel decennio 1981-1990 le citazioni erano solo 21. Nel numero di febbraio 1997 del Journal of Clinical Oncology, organo ufficiale dell’American Society of Clinical Oncology, troviamo un editoriale e due articoli sul suicidio assistito. Questo dato è particolarmente interessante, specie se si aggiunge alla crescente frequenza con cui è possibile trovare tale argomento nei programmi dei più importanti congressi di oncologia, in quanto fino a pochi anni fa esso non trovava posto in sedi dove la discussione riguardava esclusivamente le procedure diagnostiche e i protocolli terapeutici delle malattie neoplastiche.
3 – Situazioni cliniche
3.1 I malati di cancro sono le persone dalle quali più spesso può venire la richiesta di eutanasia o di assistenza al suicidio. Molti tumori maligni sono oggi suscettibili di essere trattati con diverse modalità terapeutiche: la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia, da sole o in combinazione, oppure in sequenza, sono in grado di prolungare notevolmente la vita dei malati di tumore, anche se il numero di quelli guaribili è ancora decisamente basso. Come conseguenza, nella maggior parte dei casi, questi malati vivono con la loro malattia per diversi anni, sottoponendosi a trattamenti rilevanti, che causano a loro volta disturbi (si pensi alle menomazioni prodotte da alcune chirurgie demolitive, oppure agli effetti collaterali della radioterapia e della chemioterapia). Nel momento in cui il tumore si diffonde progressivamente nell’organismo, esso determina l’insorgere di sintomi molto gravi: dolori spesso intensissimi, estrema debolezza, vomito, dispnea, paralisi e perdita di controllo degli sfinteri. Anche se le cure palliative correttamente impiegate sono in grado di controllare in parte questi sintomi, qualche volta il dolore o la dispnea sono tali che i farmaci a disposizione hanno solo degli effetti parziali. In questo stadio il paziente può considerare il suo stato intollerabile e richiedere al medico di intervenire per accelerare la morte.
3.2 La condizione dei malati di Aids è esemplificativa degli atteggiamenti possibili di fronte alla certezza della morte e alla previsione abbastanza precisa di quanto ci si può attendere nel resto della vita. Si tratta di persone consapevoli del fatto che la loro malattia può in certi casi essere prolungata per alcuni anni. Dopo un periodo anche abbastanza lungo di sieropositività, esse andranno soggette ad infezioni opportunistiche e a diverse forme di tumore maligno con effetti devastanti sulle condizioni di vita, fino alla fine.
3.3 La malattia di Alzheimer ha in genere un decorso di molti anni dal momento dell’esordio, caratterizzato da una perdita della memoria specie per i fatti recenti. Nell’evoluzione della malattia, le facoltà intellettuali si deteriorano progressivamente. Tuttavia, le persone colpite sono in grado di condurre, per tre o più anni, una vita relativamente piena. Solo negli stadi terminali si assiste a una totale incapacità di svolgere le funzioni vitali più elementari. È importante rilevare come in questo caso, come nelle forme più rare di demenza senile e presenile, non ci si trovi in pratica mai di fronte a un’esplicita richiesta di affrettare la morte. Piuttosto, è possibile che il medico debba decidere se ottemperare o meno ad un testamento biologico (living will) nel quale l’individuo abbia espresso in anticipo il desiderio di non essere curato per prolungare l’esistenza in una simile situazione.
3.4 In altre malattie neurologiche a decorso ingravescente, come la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, si assiste a una progressiva perdita delle capacità motorie dell’organismo. Eventi improvvisi, in genere dovuti a disturbi circolatori, possono analogamente rendere impossibile qualsiasi movimento tranne quello degli occhi. La persona colpita diventa quindi incapace di svolgere anche le più elementari funzioni della vita, come spostarsi, mangiare, provvedere all’igiene e ai bisogni corporali, mentre le facoltà intellettuali restano perfettamente integre. Di qui può scaturire la decisione consapevole del malato di richiedere al medico di porre termine alla sua esistenza.
3.7 Esistono poi molte situazioni nelle quali il medico non si trova di fronte a vere e proprie malattie gravemente invalidanti o a sintomi fisici intollerabili, ma che ugualmente possono determinare in una persona il nascere e il consolidarsi della convinzione che la sua vita si sia esaurita e non vi sia alcuna ragione di prolungarla ulteriormente. Si pensi in particolare alla situazione degli anziani, i quali spesso presentano gravi e multiple limitazioni delle capacità fisiche e psichiche, accompagnate dalla sensazione di essere "di peso" ai familiari. In queste circostanze un’eventuale richiesta di eutanasia ha da essere valutata con estrema cautela, anche perché spesso nasconde sintomi di depressione, curabili sia farmacologicamente, sia con un supporto psicologico.
5 – Considerazioni etiche e pastorali
5.1 Da un punto di vista pastorale la distinzione tra eutanasia attiva e astensione terapeutica è importante e merita di essere sottolineata. L’astensione terapeutica infatti rispetta, pur non completamente, il tempo di attesa della morte, con una sua propria ritualità che l’accompagnamento pastorale conosce dalla tradizione. L’eutanasia attiva invece non rispetta questo tempo di attesa, ma lo anticipa. E questo anticipare implica un’azione diretta, immediata, da parte dell’intervento medico, che deve essere assunta in tutte le sue implicazioni.
5.4 Fino ad oggi, in ambito cristiano, a parte alcune eccezioni, è prevalso un giudizio negativo nei confronti dell’eutanasia attiva. Esso si fonda sulla Bibbia e soprattutto sulla morale cristiana, e si riassume nell’affermazione che Dio solo è colui che dà la vita e la può togliere, da cui l’affermazione dell’intangibilità o della "sacralità" della vita. Intervenire in questa relazione di vita e di morte vorrebbe dire "prendere il posto di Dio". Ma significa veramente sostituirsi a Dio accogliere la domanda di un malato grave che intende porre termine alla sua vita? Si sottrae a Dio una parte della sua signoria sul mondo e sulla vita accogliendo la richiesta di un malato grave di poter morire? O si mette in questione il potere acquisito dalla medicina moderna di mantenere in vita un corpo che produce dolore senza più poter accedere a un senso della vita? E ancora, dietro a questa onnipotenza della medicina non si nasconde una difficoltà ad affrontare la propria morte?

Forme: come si evince dalla definizione: "azione od omissione mirante a ...." esistono due forme di eutanasia: 1°) una forma cosiddetta attiva e 2°) una passiva. Nella prima il medico, accogliendo la richiesta di un ammalato terminale, per il quale non vi siano più speranze, non solo di guarigione o miglioramento, ma di attenuazione delle sofferenze, somministra un farmaco ad azione letale dopo avergliene fatto sottoscrivere la richiesta.
La seconda, invece, consiste nel sospendere quella terapia abituale che serve a prolungare la vita e quindi le sofferenze del paziente. A tale scopo però bisogna fare un’importante distinzione fra sospensione della terapia della malattia causa della morte e sospensione della terapia di malattie concomitanti o intercorrenti. Esemplificando: in un ammalato di cancro che volge al termine e che abbia nello stesso tempo una malattia diabetica, la sospensione della terapia di quest’ultima conduce rapidamente a morte, ma non può essere considerata eutanasia, perché la vera causa della morte con le sue sofferenze è il cancro e non il diabete. Lo stesso può dirsi della terapia nutrizionale parenterale.
3°) Una variante dell'eutanasia attiva é il cosiddetto "suicidio assistito", che si verifica quando un medico o un'altra persona fornisce del veleno ad un ammalato, che ne abbia fatto richiesta, ed assista a che esso venga ingerito dal richiedente, senza prestare alcuna collaborazione.
Stato giuridico: Dal punto di vista legislativo, in Italia l’eutanasia, specie quell’attiva è considerata alla stregua di un omicidio volontario anche se con le attenuanti. L'articolo 579 del codice penale afferma " chiunque causi la morte di un uomo con il consenso di lui, é punito con la reclusione da 6 a 15 anni". La stessa pena é prevista per il suicidio assistito con la seguente formula" se si fornisce ad un ammalato un veleno che il paziente ingerisce da solo, si commette omicidio del consenziente". Sanzioni penali sono previste anche dall'art. 580 (istigazione ed aiuto al suicidio). Negli USA la Corte Costituzionale Federale ha sancito il diritto di ciascun Stato a poter legiferare in proposito; soltanto lo Stato dell’Oregon ha legiferato per la liceità e legalità. Clamoroso, sempre negli U.S.A., il caso del dott . Kervokian, processato e condannato per aver praticato l'eutanasia attiva su 100 pazienti terminali. In Olanda, tollerata da circa venti anni solo a determinate condizioni: reiterata richiesta da parte del paziente e compilazione da parte del medico di un questionario comprendente cinquanta domande (nel 1999 vi sono stati ben 2216 casi), nel novembre 2000 è diventata legale per legge del Parlamento. In Austria esisteva una legge regionale permissiva abrogata però nel 1997. In Svizzera é previsto e tollerato il suicidio assistito. E' operante e riconosciuta una associazione denominata " Exit, che conta circa 60.000 aderenti, il cui scopo é quello di assistere ed aiutare al suicidio coloro che ne facciano richiesta.
E’ recentissimo il pronunciamento in favore dell’eutanasia da parte della Chiesa Calvinista.

3. Aspetti legali e giuridici dell’eutanasia
Benché il Parlamento inglese avesse discusso già nel 1936 una proposta di legalizzazione dell’eutanasia, e con l’eccezione della legislazione nazionalsocialista, fino a un periodo molto recente essa non ha avuto posto nella legislazione come fattispecie a sé: la pratica eutanasica viene ricondotta, a volta a volta, ad altre fattispecie esistenti; in Italia, per esempio, essa configura i reati di omicidio del consenziente, previsto dal codice penale all’articolo 579, e di istigazione o aiuto al suicidio, di cui all’articolo 580.
In questo contesto giuridico si situano, con effetti non ancora pienamente prevedibili, sia la depenalizzazione dell’eutanasia nel Regno dei Paesi Bassi nel 1994, sia la sua legalizzazione nel Territorio del Nord della Federazione Australiana nel 1995.
Nel Regno dei Paesi Bassi la depenalizzazione dell’eutanasia è stata introdotta con una modifica all’articolo 10 del Regolamento di polizia mortuaria; esso ha stabilito, a partire dal giugno del 1994, la non punibilità dei medici che abbiano aiutato a morire i propri pazienti ma siano in grado di dimostrare di aver rispettato una serie di condizioni. L’atto eutanasico deve essere infatti documentato da una relazione scritta da cui risulti che il paziente sia stato affetto da malattia inguaribile, che vi siano state sofferenze insopportabili e che il malato l’abbia richiesto reiteratamente; tali condizioni devono poi essere confermate da parte di un collega del medico dichiarante; questo documento deve inoltre riportare la storia clinica del paziente e i mezzi utilizzati per l’eutanasia. La relazione viene notificata dal medico a un pubblico ufficiale, coroner, con funzioni giudiziarie.
Dal momento che nel codice penale olandese sono rimasti in vigore sia l’articolo 293, che punisce l’omicidio di consenziente, sia l’articolo 294, che punisce l’istigazione e l’assistenza al suicidio, per depenalizzare l’eutanasia il legislatore olandese ha fatto ricorso all’articolo 40 del medesimo codice, che prevede la scriminante della forza maggiore. La richiesta del paziente viene allora considerata come una "forza maggiore", che rende non perseguibile il medico che pratica l’eutanasia. Tale posizione introduce nell’ordinamento giuridico, a ben vedere, una discriminazione decisa fra vita sana — che il medico ha l’obbligo di tutelare — e vita malata, la cui tutela non è più obbligatoria.
Nel Territorio del Nord della Federazione Australiana a partire dal giugno del 1995 è entrata in vigore la "Legge dei diritti del malato terminale", che legalizza l’eutanasia. Questa legge legittima la possibilità per il paziente cosciente e maggiorenne di richiedere l’eutanasia nell’ipotesi in cui sia affetto da una malattia inguaribile e le sofferenze siano talmente forti che nessuna terapia sia in grado di alleviarle. A differenza della normativa olandese, quella australiana viene ad affermare l’esistenza di un "diritto alla morte", dal momento che l’eutanasia vi è considerata come un trattamento medico posto a tutela della persona, accettando così che anche altre persone, nel caso in cui il paziente sia incapace, possano firmare, in rappresentanza del malato e alla presenza dei testimoni, una richiesta di eutanasia. Tale normativa non prevede inoltre alcuna pena specifica per i medici che effettuino l’eutanasia in mancanza dei requisiti previsti.

Aggiornamento (luglio 2001)
Nel 1996, l’anno seguente alla sua approvazione, la legge del Territorio del Nord della Federazione Australiana che legalizzava l’eutanasia è stata abrogata.
L’11 aprile 2001 è stata approvata dal Senato olandese la Legge su eutanasia e suicidio assistito. La legge, già approvata dalla Camera dei Deputati nel novembre 2000, ufficializza l’impunità di fatto di cui hanno finora goduto i medici che ponevano fine alla vita dei pazienti gravi o morenti con la somministrazione di dosi letali di farmaci o interrompendo cure ordinarie necessarie alla vita. Unica condizione è il rispetto di una serie regole, sostanzialmente le 28 condizioni già indicate dalla legge nel 1994, con l’aggiunta di precisazioni sui minori (il limite minimo d’età per scegliere l’eutanasia è 16 anni, mentre dai 12 ai 16 e per i disabili mentali occorre il consenso di un genitore o tutore) e del riconoscimento del “testamento di vita”, nel caso il paziente non sia in grado di esprimere la sua volontà. La pratica dell’eutanasia ha smesso così di essere sottoposta al controllo della magistratura ed è stata affidata esclusivamente ai medici, come una qualsiasi forma di terapia.
Aggiornamento (gennaio 2003)
Il 28 maggio 2002 in Belgio è stata approvata una legge sull’eutanasia volontaria. La legge, che è entrata in vigore il 23 settembre 2002, sancisce la non punibilità per i medici che praticano l’eutanasia su pazienti maggiorenni – o su minorenni, purché capaci d’intendere e di volere – che la richiedano in modo libero, consapevole e ripetuto, in presenza di una patologia “grave e incurabile”, che rechi sofferenze considerate insopportabili e costanti.
Il testo di legge precisa che tali sofferenze possono essere sia fisiche che psichiche, dilatando così indefinitamente i limiti di applicabilità della normativa; esige inoltre che la richiesta dell’atto eutanasico sia messa per iscritto. In caso di incoscienza, hanno valore legale le direttive anticipate del paziente, che devono essere scritte, e che hanno validità quinquennale.
Il medico, per quanto tenuto a informare il paziente sulle terapie del dolore disponibili (cure palliative), viene di fatto a essere un mero esecutore della volontà del paziente: il suo intervento si risolve nell’attuazione – con mezzi non specificati dalla legge – dell’atto eutanasico e nella compilazione di un rapporto da sottoporre a una commissione esaminatrice, che è chiamata a valutarlo sulla base della sola correttezza procedurale.
LA LEGISLAZIONE ITALIANA SULLA MATERIA
L’eutanasia attiva non è assolutamente normata dai codici del nostro paese: ragion per cui essa è assimilabile all’omicidio volontario (articolo 575 del codice penale). Nel caso si riesca a dimostrare il consenso del malato, le pene sono previste dall’articolo 579 (omicidio del consenziente), e vanno comunque dai sei ai quindici anni.
Anche il suicidio assistito è considerato un reato, ai sensi dell’articolo 580.
Nel caso di eutanasia passiva, pur essendo anch’essa proibita, la difficoltà nel dimostrare la colpevolezza la rende più sfuggente a eventuali denunce.
CHI SI BATTE PER LEGALIZZARE L’EUTANASIA
Il concetto di legalizzazione (rendere legale un atto) si scontra spesso con quello di depenalizzazione (rendere non punibile un atto).
Il Comitato Nazionale di Bioetica, costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dovrebbe produrre dei pareri volti ad aggiornare la legislazione italiana: alla prova dei fatti si è rivelato un organismo soggetto alle pesanti ingerenze vaticane, estensore di sterili documenti in cui viene riproposta la strada delle cure palliative (importante, ma ovviamente non sufficiente).
Nel 1989 è nata la Consulta di Bioetica, che si propone di discutere sui temi della vita e della morte: recentemente ha proposto una nuova carta di autodeterminazione chiamata biocard.
Del 1996 è invece la costituzione di Exit-Italia, battagliera associazione che promuove, all’interno dell’opinione pubblica, diverse campagne per la legalizzazione dell’eutanasia: anch’essa ha stilato un testamento biologico. Del 2001 è infine Liberauscita, associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia, che ha presentato un disegno di legge volto a normare la materia.
La nostra rivista L’Ateo si è occupata più volte del tema: in particolare, il numero 2/2003 è stato dedicato a questo argomento e propone diversi interessanti articoli.
L’UAAR interviene inoltre ai dibattiti promossi per sensibilizzare la popolazione su questo argomento. Il 23 luglio 2002 il Segretario nazionale Giorgio Villella ha partecipato al convegno Diritto a Vivere, Diritto a Morire organizzato da Cittadinanzattiva. Fai click qui per il testo del suo intervento.
Ricordiamo che gli italiani sono massicciamente a favore della legalizzazione dell’eutanasia: secondo Corriere Salute del 14 marzo 1994, l’87% della popolazione è favorevole all’eutanasia passiva, e il 67% a quella attiva.
COSA SUCCEDE ALL’ESTERO
AUSTRALIA: in alcuni stati le direttive anticipate hanno valore legale. I Territori del Nord avevano nel 1996 legalizzato l’eutanasia attiva volontaria, provvedimento annullato due anni dopo dal parlamento federale.
BELGIO: il 25 ottobre 2001 il Senato ha approvato, con 44 voti favorevoli contro 23, un progetto di legge volto a disciplinare l’eutanasia. Il 16 maggio 2002 anche la Camera ha dato il suo consenso, con 86 voti favorevoli, 51 contrari e 10 astensioni.
CANADA: negli stati di Manitoba e Ontario le direttive anticipate hanno valore legale.
CINA: una legge del ’98 autorizza gli ospedali a praticare l’eutanasia ai malati terminali.
COLOMBIA: la pratica è consentita in seguito ad un pronunciamento della Corte Costituzionale, ma una legge non è stata mai varata.
DANIMARCA: le direttive anticipate hanno valore legale. I parenti del malato possono autorizzare l’interruzione delle cure.
GERMANIA: il suicidio assistito non è reato, purché il malato sia cosciente delle proprie azioni.
PAESI BASSI: forse il caso più famoso. Dal 1994 l’eutanasia è stata depenalizzata: rimaneva un reato, tuttavia era possibile non procedere penalmente nei confronti del medico che dimostrava di aver agito su richiesta del paziente. Il 28 novembre 2000 il Parlamento ha approvato (prima nazione al mondo) la legalizzazione vera e propria dell’eutanasia (clicca qui per il testo della legge). A partire dall’1 aprile 2002 la legge è entrata effettivamente in vigore.
SVIZZERA: ammesso il suicidio assistito. Il medico deve limitarsi a fornire i farmaci al malato.
STATI UNITI: la normativa varia da stato a stato. Le direttive anticipate hanno generalmente valore legale. Nello stato dell’Oregon il malato può richiedere dei farmaci letali, ma la relativa legge è bloccata per l’opposizione di un tribunale federale.
SVEZIA: l’eutanasia è depenalizzata.
2 ESEMPI
1) LECCO - «Non togliete il sondino che alimenta Eluana»: è questo il parere espresso dalla Procura della Cassazione sulla ragazza di Lecco che dal 1992 è in stato vegetativo permanente in seguito a un incidente stradale. La Cassazione ha anche dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal padre di Eluana, Giuseppe Englaro, per fermare l'alimentazione forzata. Un vicenda molto delicata, sulla quale arriva un giudizio pesante nello stesso giorno della morte di Terri Schiavo, la donna americana.
Eluana Englaro entrò in coma la notte del 18 gennaio 1992 a seguito di un incidente stradale. Da allora anche per lei, come per Terri, una «non vita» che i genitori vorrebbero finisse una volta per tutte. La ragazza aveva 19 anni e stata rientrando a casa dopo aver passato la serata con amici. L'auto su cui viaggiava finì contro un palo. Da quella notte non si è mai ripresa e finora inutili sono state le richieste di papà Beppino di «staccare la spina», «perché si sta compiendo una violenza inumana su mia figlia. Le si sta privando il diritto a morire». Da allora si trova in uno stato vegetativo, i suoi occhi si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non vedono. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile. Poi di nuovo a letto.
«Mantenendo in stato vegetativo Eluana, le viene garantita la dignità umana?». È questo il quesito contenuto nel ricorso presentato a metà gennaio alla Suprema Corte dall'avvocato Vittorio Angiolini che segue da vicino il caso. Prima della pronuncia della Procura della Cassazione, la richiesta di «staccare la spina» era stata già respinta quattro volte: due dal Tribunale di Lecco e due dalla Corte d'Appello di Milano. «Qui non si tratta di eutanasia - spiega Beppino -. Si chiede di smetterla con un inutile accanimento terapeutico, ma soprattutto di rispettare la volontà di mia figlia espressa prima di quel maledetto giorno».
01 aprile 2005
2)Era in coma da 15 anni, non più alimentata dal 18 marzo. Ora l'autopsia
È morta Terri Schiavo, allontanati i genitori
Bob e Mary Schindler non hanno potuto restare al capezzale della figlia, il marito Michael non ha acconsentito alla loro presenza
WASHINGTON - Terri Schiavo è morta. La donna aveva 41 anni, dal 1990 era in stato vegetativo persistente e dal 18 marzo non è più alimentata. Il 25 febbraio 1990 Terri ebbe un collasso per uno squilibrio del potassio e le si fermò il cuore, abbastanza a lungo per provocare danni irreparabili al cervello che la lasciarono in stato vegetativo: il suo caso ha innescato un dibattito sull'eutanasia che ha coinvolto l'opinione pubblica degli Stati Uniti e del mondo. Le sue condizioni si erano fortemente deteriorate nelle ultime ore e il decesso era considerato imminente.
Gli Schindler, famiglia di origine di Terri, chiedevano di poter essere al suo capezzale ma Michael Schiavo lo ha negato loro. «Siamo rimasti accanto a Terri fino a 10-15 minuti prima della fine - racconta padre Frank Pavone, consigliere spirituale della famiglia Schindler -. Poi ci è stato detto che dovevamo uscire, ed allora il padre di Terri ha chiesto a Michael Schiavo se potevamo rimanere e lui ha risposto: "No"».
Michael Schiavo era invece nella stanza con Terri, secondo quanto riporta la Cnn. Per l'emittente di Atlanta, Michael avrebbe vissuto nella clinica praticamente ininterrottamente dal 18 marzo, data in cui era stata rimossa la sonda. In precedenza il padre Paul O’Donnell, un altro dei sacerdato che hanno assistito Bob e Mary Schindler in questi giorni, aveva dichiarato di non aver visto Michael quando era entrato nella stanza circa dieci minuti dopo che Terri era morta. E’ stato proprio Michael a combattere perchè Terri fosse lasciata morire nel rispetto di un desiderio espresso prima che fosse colpita dalla sciagura, quindici anni fa. Michael Schiavo ha sempre sostenuto che Terri non avrebbe mai voluto vivere in condizioni del genere.
Momenti di disperazione, ma soprattutto preghiere e canti di inni sacri: così, l'America dei credenti e dei crociati «pro vita» ha accolto la notizia della morte di Terri Schiavo. E' successo fuori dalla clinica Woodside di Pinellas Park, in Florida, dove Terri era ricoverata, e nelle molte altre città americane dove si è vegliato e pregato in questi giorni per la sua vita.
Ma padre Pavone ha attaccato Michael Schiavo e i giudici: «È una morte, ma è anche un assassinio», ha detto il consigliere spirituale, uno tra più assidui della famiglia Schindler. Il sacerdote ha poi detto: «Preghiamo, perché una cosa del genere non accada più nel nostro Paese».
Ora il corpo di Terri Schiavo sarà sottoposto ad autopsia: il marito vuole ricavarne la prova che la donna non era più in grado d'intendere e di volere; i familiari vogliono, invece, dimostrare che c'era ancora speranza per lei. Dopo l'autopsia, che sarà compiuta con l'autorizzazione della magistratura dal medico legale della contea di Pinella, Michael vuole fare cremare Terri per farne poi inumare le ceneri in Pennsylvania, lo Stato natale suo e della moglie. I familiari avrebbero, invece, voluto seppellire Terri. Ma, anche in questo caso, la magistratura ha dato loro torto.
01 aprile 2005

Esempio



  


  1. Eel

    Hey, you're the goto epxert. Thanks for hanging out here.