Il Rinascimento - da Brunnelleschi a Bramante

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Categoria:Arte

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Testo

Il Rinascimento
Il Rinascimento quel periodo che va dal 1400 alla prima metà del 1500, fu un fenomeno europeo, ma le sue radici furono italiane, anzi fiorentine: infatti fu l’umanesimo fiorentino a promuovere il recupero dei testi latini e greci, a riassimilare per primo i modelli dell’antichità classica nei campi dell’arte e della vita intellettuale, a riscoprire il mondo, l’uomo e la natura, quali luoghi primari di elaborazione del sapere.
Le manifestazioni più emblematiche dell’estetica rinascimentale scaturirono dalle arti visive e dall’architettura (alle quali furono dedicati anche testi e trattati normativi sulla prospettiva e la città ideale), resi possibile grazie al mecenatismo sia delle corti italiane sia del papato romano. I centri più importanti dove si sviluppò il Rinascimento furono:
- Urbino sotto Federico da Montefeltro
- Ferrara sotto gli Estensi
- Mantova sotto i Gonzaga
- Rimini sotto i Malatesta
Il concetto di Rinascimento
Il concetto di Rinascimento come ripresa di ideali e dell’arte classica, dopo il medio evo trovò la sua esposizione sistematica nell’epoca letteraria di Giorgio Vasari.
Fondamentali sono la teorizzazione della prospettiva, l’antropocentrismo (l’uomo al centro dell’universo), l’antico come coscienza storica del passato.
Canone: è quel insieme di norme che regolano le parti ad un tutto. Al canone corrisponde un modello di bellezza e poiché questo modello cambia nel tempo e da luogo a luogo, gli artisti delle diverse civiltà hanno elaborato diversi tipi di canone per ottenere figure armoniose nelle loro opere.
Nel Rinascimento si studiano con interesse le proporzioni e si ha un nuovo modo di concepire e rappresentare lo spazio e in quanto l’uomo si sente al centro dell’universo, le sue facoltà intellettuali e la sua volontà di agire lo rendono protagonista della storia.
La prospettiva
Con il termine prospettiva siamo soliti indicare un insieme proiezioni su un piano, di oggetti, tale che quanto è stato disegnato corrisponda agli oggetti reali come noi li vediamo nello spazio.
Questo vuol dire semplicemente che, tramite un procedimento grafico, è possibile rappresentare qualunque oggetto o insieme di oggetti su un foglio, in modo che l’immagine disegnata sia quanto più simile a ciò che noi vediamo realmente.
Fu Filippo Brunelleschi, agli inizi del secondo decennio del ‘400, a scoprire le regole geometriche della rappresentazione prospettica.
Egli dette prova delle sue scoperte realizzando due tavolette prospettiche. In una di esse era rappresentato il Battistero di Firenze come visto dal portale centrale della Cattedrale di Santa Maria del Fiore; nell’altra, invece, erano raffigurati Palazzo Vecchio e la vicina Loggia de’ Lanzi visti da un punto situato lì dove l’attuale Via dei Calzaiuoli si immette in Piazza della Signoria.
Finalmente gli artisti potevano disporre di un metodo scientificamente corretto per la realizzazione delle loro opere. Ciò fu particolarmente importante in un momento in cui si riteneva che compito principale dell’arte fosse non solo l’imitazione della natura e, quindi, la realizzazione di opere simili al vero, ma anche la conoscenza scientifica della natura stessa.
La prospettiva, basandosi su leggi matematiche, consentendo una perfetta rappresentazione delle cose, costituiva lo strumento tecnico per eccellenza alla portata dell’artista per studiare e indagare la natura.
Successivamente tutte le operazioni necessarie per l’esecuzione di una prospettiva vennero semplificate e ridotte a opera di Leon Battista Alberti, grande umanista, pittore e architetto.
L’Alberti nel 1435 scrisse il primo trattato di prospettiva, il De pittura, l’anno successivo lo tradusse il latino e lo dedicò al Brunelleschi.
Con ciò l’Alberti riconosceva al Brunelleschi la priorità della scoperta della prospettiva.
Ma fu soltanto Piero della Francesca che, attorno al 1475, scrisse per la prima volta nel Rinascimento un trattato interamnete illustrato: il De prospectiva pigendi.
Alla fine del ‘400 Leonardo da Vinci che, considerava la prospettiva la base della pittura, aggiunse la teorizzazione della prospettiva aerea.

Le proporzioni
Il termine proporzione indica la corrispondenza di misura fra due o più parti in stretta relazione fra loro. Queste corrispondenze di misure sono quindi dei rapporti matematici. La disciplina a cui le proporzioni sono applicate con maggior frequenza sono l’architettura.
I rapporti numerici più usati sono l’unìsono (1:1), il diapason (1:2), il diapènte (2:3), il diatèssaron (3:4).

Filippo Brunelleschi (1377 – 1446)
Figlio del notaio Brunellesco Lippi, Filippo ebbe un’educazione che comprendeva anche lo studio della lingua latina.
Dopo aver iniziato la propria attività artistica come orafo ed essersi poi affermato pubblicamente, nel 1401, al concorso per la porta Nord del Battistero fiorentino, il Brunelleschi si dedicò tutta la sua vita all’architettura. Alcuni soggiorni a Roma, assieme all’amico Donatello, permisero a Filippo di avere una profonda conoscenza dell’arte e dell’architettura degli antichi.
Filippo partecipò al concorso per la realizzazione della Cupola di Santa Maria del Fiore. La cattedrale della città toscana era ancora senza copertura nella zona del coro e l’immane spazio ottagonale su cui era stata prevista una cupola aveva il considerevole diametro di 46 metri.
Brunelleschi propose di costruire una cupola che oggi noi chiamiamo auto portante, senza richiedere l’aiuto delle armature di legno.
La proposta sembrò folle e Filippo fu oggetto di scherno. Alla fine, il suo progetto ebbe la meglio su quelli, degli altri concorrenti. Nel 1420, dunque egli poté iniziare la costruzione della cupola della Cattedrale di Firenze.
A Filippo venne dato per compagno nell’impresa Lorenzo Ghilberti, ma questi, già nel 1425 non ebbe più nessuna parte di rilievo nella costruzione.
La cupola si erge su un tamburo ottagonale forato da otto grandi finestre circolari che danno luce all’interno.
Tamburo: è la parte della struttura a pareti verticali su cui s’imposta la calotta, costituisce perciò un elemento di raccordo tra le strutture delle navate e quella della cupola di coronamento.
La cupola è segnata da otto bianche nervature marmoree che convergono verso un ripiano ottagonale.
Su questo poggia una leggera lanterna cuspidata (cioè a forma di punta) stretta da otto contrafforti a volute.
La cupola è molto alta e maestosa, la magnificenza della struttura si avverte già salendo gli innumerevoli scalini che portano al ripiano su cui si imposta la lanterna.
La cupola è costituita da due cupole ben distinte, una interna e l’altra esterna. Fu Filippo Brunelleschi e volerla così per preservarla dall’umido e per farla apparire più gonfia e magnifica.
Le due calotte sono collegate da otto grandi costoloni d’angolo e da sedici costole intermedie disposte lungo le facce delle vele. Costoloni e costole intermedie sono anch’essi uniti per mezzo di anelli in muratura.
La salita si svolge fra le due cupole e cioè l’intercapedine. La costruzione della cupola tenne occupato il Brunelleschi per tutta la vita; ci vollero infatti ben 16 anni per poter concludere la struttura con l’anello di chiusura. Alla morte di Filippo la lanterna non era ancora stata completata.
Tuttavia non appena ultimata incominciò a lesionarsi. Le lesioni (profonde rotture della muratura che vanno dalla lanterna fin oltre il tamburo) interessano soprattutto quattro delle otto vele che sono continuamente monitorate con un sistema elettronico.
Donatello (1386 – 1466)
Donatello nasce a Firenze nel 1386, inizia il suo apprendistato artistico presso la bottega del già affermato Ghilberti, dal quale acquisisce magistralmente sia le tecniche della fusione del bronzo sia l’amore per l’arte classica. Con l’amico Brunelleschi compie il primo di molti viaggi a Roma, agli inizi del ‘400 e questo soggiorno si rivela fondamentale per la sua formazione.
L’attività di Donatello si svolge soprattutto a Firenze, alla cui nascita rinascimentale egli contribuisce forse più di ogni altro del suo tempo.
Egli lavora anche alla decorazione del Battistero e del Duomo di Siena. Nel corso di un sessantennio di intensa attività egli sperimenta tutte le possibili tecniche ( tuttotondo, bassorilievo, stiacciato) e tutti i possibili materiali ( marmo, bronzo, terracotta e legno).
San Giorgio
Vediamo innanzitutto il San Giorgio commissionatogli nel 1416, per una nicchia esterna della chiesa fiorentina di Orsanmichele. L’orgogliosa postura e la tranquillità gravità del volto, al contrario, già prefigurano la nuova sensibilità donatelliana. San Giorgio, infatti, ci appare solido e ben piantato al suolo, con le gambe leggermente divaricate e il grande scudo romboidale che funge da ulteriore punto d’appoggio. Alla fermezza fisica, poi, fa adeguato riscontro la fermezza morale.
Nel basamento Donatello realizza un basso rilievo con San Giorgio e la principessa. In esso l’artista mostra già di aver acquisito la piena padronanza delle tecniche brunelleschiane della rappresentazione prospettica. Al centro vi è il santo cavaliere che trafigge il drago, simbolo del peccato e della barbarie.
L’eroe è rappresentato naturalisticamente nel pieno della lotta. Sulla destra la principessa osserva il furioso combattimento a mani giunte
Il graduale passaggio dal basso rilievo dei personaggi allo stiacciato appena percepibile degli sfondi non ubbidisce solo alle regole della prospettiva geometrica, ma crea anche dei suggestivi effetti chiaro scuro in tutto simili a quelli ottenibili dalla pittura.
Profeta Abacùc
L’importanza chiaroscurale emerge anche nella statua del Profeta Abacùc, che Donatello scolpisce per collocarla in uno dei nicchioni della facciata meridionale del Campanile di Giotto.
Per realizzare l’Abacuc, Donatello si ispira a un popolano qualunque. Il volto, infatti, è un vero e proprio ritratto, e raffigura un uomo magro e calvo, lontano sia dai canoni di perfezione dell’arte classica sia da quelli decorativi del Gotico Internazionale. Si tratta di quello che è stato opportunamente definito naturalismo integrale.
Nella forte espressività di questo volto di concentra tutta la grandezza della nuova concezione artistica di Donatello. I lineamenti contratti e quasi disarmonici, non vogliono nascondere i segni di una vita di miserie e sofferenza. La bellezza nuova dell’uomo donatelliano, dunque non sta tanto nell’aspetto esteriore, che può essere sgraziato e dimesso, quanto, piuttosto, nella grandezza d’animo e nella dignità morale.
Banchetto di Erode
Tra il 1423 e il 1427 Donatello, artisticamente già affermato, chiamato a collaborare, insieme a Ghilberti e a Jacopo della Quercia, alla realizzazione del fonte battesimale del Battistero di Siena; in questa occasione realizza una straordinaria formella in bronzo raffigurante il Banchetto di Erode.
In essa l’artista pone ogni cura sia nella rappresentazione prospettica sia nella composizione dei personaggi. La scena mostra un servo inginocchiato che offre ad Erode la testa mozza di San Giovanni Battista.
Il vecchio sovrano, che pur ne aveva comandato la decapitazione, è rappresentato da Donatello nell’atto di ritrarsi quasi disgustato dalla vista. Anche gli altri partecipanti al banchetto si ritraggono, agghiacciati dalla crudele esecuzione di quel innocente.
Questo artificio, unitamente alla fuga prospettica del pavimento e della tavola imbandita, crea un senso di profondità e di realismo mai visti prima in un bassorilievo.
Il geometrico succedersi degli archi sullo sfondo, grazie all’uso graduale dello stiacciato e all’impiego di un secondo più elevato punto di fuga prospettico, contribuisce a dare un ulteriore rilievo alla scena. Questa, in relazione alle varie tecniche di modellazione, disegna un gioco intenso di luci e ombre, il racconto, così, assume aspetti di drammatico realismo e l’allegro banchetto sfociato in un turpe delitto diventa quasi un atto di accusa contro la superficialità umana.
Masaccio (1401 – 1428)
Masaccio nasce a San Giovanni Valdàrno (Arezzo) nel 1401, la formazione artistica e culturale avviene a Firenze, come molti artisti del suo tempo. Riallacciandosi alle grandi intuizioni di Giotto egli concepisce una pittura radicalmente nuova , arrivando subito, a porsi, insieme a Brunelleschi e a Donatello, come il terzo fondamentale punto di riferimento della rivoluzione antica del primo Quattrocento.
Egli morirà a Roma, appena ventisettenne, nel 1428.
Sant’Anna Mattèrza
Con Sant’Anna Mattèrza inizia la fortunata collaborazione artistica tra il giovane Masaccio e il più maturo Masolino, entrambi provenienti dallo stesso ambiente del Valdàrno. Si tratta di una pala di altare commissionata per la chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio dai Bonamici. Il dipinto rappresenta la Madonna in trono con il Bambino e Sant’Anna, madre di Maria, messa come terzo personaggio, circondati da cinque angeli.
Si noti al riguardo la sicurezza con la quale se pur giovanissimo il maestro delinea il corpo della Vergine. Esso, infatti, assume una massiccia compattezza piramidale che ce lo rende fisicamente percepibile anche attraverso i pannegi della veste.
Tutti i personaggi masacceschi, del resto, sono sempre dotati di un volume proprio e, di conseguenza, occupano uno spazio reale, non più quello simbolico caro alla tradizione tardo-gotica.

Madonna in trono con il Bambino e quattro angeli
La tavola centrale era quella della Madonna in trono con il Bambino e quattro angeli; in essa la vergine, analogamente a quella precedentemente descritta, non nasconde affatto la propria fisicità.
Questa, al contrario è messa in particolare e realistica evidenza da un panneggio pesante e fortemente chiaroscurato. Maria, contrariamente alla tradizione, non è rappresentata secondo i canoni di giovinezza e leggiadria. Il volto, ci appare stanco e segnato, come se la madre sapesse il destino di passione che sarebbe toccato al figlio.
È evidente, quindi, che il giovane Masaccio, avendo frequentato il già rinomato Donatello, abbia come lui preferito ispirarsi alla copia dal vero, piuttosto che ai modelli di bottega.
Il Bambino poi è colto nell’atto, dolce e naturalissimo del mangiare un acino d’uva che la mamma gli ha porto .
L’allusione è naturalmente al vino, simbolo eucaristico del sangue di Cristo. La spontaneità del gesto, però, impensabile in qualsiasi pittura precedente a Masaccio, mette straordinariamente in luce la natura umana del piccolo Gesù.
Donato Bramante
Donato Bramante nacque a Fermignano, presso Urbino, nel 1444. Dal 1478 era già attivo a Milano dove, dall’inizio degli anni Ottanta, fu in rapporti strettissimi con Leonardo da Vinci.
Bramante morì a Roma l’11 Aprile del 1514.
Nudo maschile
- ca. 1490 – 1495
- penna e inchiostro bruno, rilievi a biacca, tracce di matita nera su carta preparata in marrone
- Monaco, Staatliche Graphische Sammlung
Il disegno di Nudo maschile, attribuito al Bramante, mostra un uomo seduto con il braccio destro sollevato, quello sinistro con la mano appoggiata a un sostegno, le gambe flesse, e il capo sollevato.
Il corpo, che segue un moto di avvitamento che va dal basso verso l’alto e da sinistra a destra, è visto prospetticamente. Una grande attenzione è riservata alle proporzioni e alla resa anatomica: muscoli, articolazioni e nervi, specie quelli del tronco del collo, sono rilevati dal tratteggio con biacca. Infine, un segno sottile e leggero delinea in modo incisivo piedi, mani e avambracci.
Cristo alla colonna
- ca. 1490
- tempera su tavola
- Milano, Pinacoteca Brera
Il Cristo alla colonna è straordinariamente realistico, dipinto attorno al 1490 per l’Abbazia di Chiaravalle.
In un interno classicheggiante, rivelato da un pilastro decorato con motivi vegetali dorati, il mezzo busto di Cristo è trattato alla maniera fiamminga.
Il corpo però appare perfetto e classico nelle proporzioni. Un paesaggio con rocce e acque è minutamente dipinto oltre il vano della finestra sulla sinistra.
Santa Maria presso San Sàtiro
Qui possiamo ritrovare ancora una volta l’architettura prospettica del finto coro della chiesa milanese di Santa Maria presso San Sàtiro, alla cui ricostruzione il Bramante attese dal 1482 al 1486, anche se quasi certamente vi era già attivo dal 1480.
L’edificio è costituito da un corpo longitudinale a tre navate e un transetto. La navata centrale e il transetto hanno una monumentale copertura a botte. Una cupola emisferica cassettonata celata da un tiburio copre la crociera all’intersezione del corpo longitudinale con il transetto. Quest’ultimo con la cupola affiancata da volte a botte rinvia con ogni evidenza allo schema della Cappella de’Pazzi.
Le navate laterali sono proseguite su un lato dei bracci del transetto e anche sul lato opposto e sulle testate, dalla profondità delle arcate alla lieve concavità della superficie murario loro corrispondente.
La mancanza di spazio, dovuta alla presenza di una strada, costrinsero il Bramante a inventare un finto coro che razionalizzasse l’intera struttura.
Esso quindi si pone come una sorta di sostegno all’equilibrio della cupola, che altrimenti sarebbe apparso precario. Infatti, secondo le regole costruttive una cupola ha bisogno di ampie strutture ( navate, transetti, cori, absidi) tutt’attorno, affinché le tensioni che essa crea possano essere contrastate.
Allo stesso tempo, il finto coro ricompone visivamente un ampliamento dello spazio che se no sarebbe stato interrotto troppo bruscamente.
In uno spazio esiguo, Bramante ricavo un coro a tre arcate, che sembrano dare origine ad altri spazi dietro di esse, con ampia volta a botte.
A orientarlo verso l’impiego di forme architettoniche possenti e classiche e verso una concezione organica delle masse strutturali, tale che ogni parte dell’edificio risultasse in armonico equilibrio con tutte le altre e la funzione statica dei vari elementi progettai fosse chiara, contribuirono in seguito lo studio degli edifici dell’Antichità classica e tardo-antichi milanesi.
Tempietto di San Pietro in Montorio
Dopo il suo arrivo a Roma Bramante incominciò a rilevare i monumenti antichi della città e dei dintorni spingendosi, in questa sua voglia di conoscenza.
Questo suo studio fu messo a frutto nell’opera che è da considerare come la più rappresentativa dall’inizio del nuovo secolo, il Tempietto si San Pietro in Montorio che, commissionato nel 1502 dal re di Spagna per ricordare il luogo del martirio dell’Apostolo, dovette subire cambiamenti dopo l’esecuzione della cripta venne concluso, attorno al 1508 – 1509.
Il tempietto è di piccole dimensioni, sopraelevato rispetto al piano del cortile in cui è situato. Esso ricalca la forma degli antichi templi peripteri a forma circolare. Attorno a un corpo centrale cilindrico, scavato da nicchie conchigliate e sormontato da una cupola, corre un peristilio delimitato da 16 colonne tuscaniche trabeate, prelevate da un ignoto monumento antico.
Le metope del fregio recano decorazioni a tema liturgico; al di sopra della cornice anulare insiste una balconata.
Secondo Sebastiano Serlio il progetto di Bramante prevedeva una diversa realizzazione dello spazio circostante al piccolo edificio.
Il cortile avrebbe dovuto avere una forma circolare, con muri dotati di nicchie e preceduti da un portico su colonne di numero uguale a quello del tempietto. La realizzazione fu immediatamente interpretata come il ritorno alla vita classica.

Dal 1504 al 1512 Bramante è impegnato nella sistemazione della zona posta fra i Palazzi Vaticani e la villa di Innocenzio VIII sulla collina del Belvedere.
Progetto per San Pietro
A cominciare dal 1505, l’architetto pone le basi per l’edificazione della nuova basilica di San Pietro.
Se in San Pietro in Montorio Bramante si era mostrato capace di realizzare un piccolissimo edificio dall’aspetto imponente, per la basilica vaticana, invece, si cimentava nella progettazione di un immane struttura che avrebbe dovuto diventare il simbolo di tutta la cristianità.
Donato dovette progettare un edificio a pianta longitudinale. In particolare sono fondamentali per tale ricostruzione due fogli che si conservano agli Uffizi, universalmente noti come Fogli 20A e 1A, dalla loro collocazione nella collezione fiorentina.
Secondo progetto per la basilica di San Pietro
Il primo di essi è un vero e proprio foglio di lavoro, dove si possono seguire tutti i procedimenti progettuali dell’architetto, in esso infatti si possono riscontrare due distinte idee, e la prima genera la seconda, schizzate al di sopra di una base costituita dalla sovrapposizione della pianta della basilica e del progetto di ristrutturazione e di ampliamento risalente all’epoca di papa Niccolò V.
Nel quadrante inferiore destro si vede come Donato intendesse rispettare il tracciato delle navate dell’antica basilica, ma già includendo una grande cupola centrale e quattro perimetrali secondo lo schema quincunx.
Uno dei piloni che avrebbero dovuto sostenere la cupola è disegnato in sua prossimità e nello spazio delle due navate laterali di destra.
Queste includono anche due coppie di pilastri del corpo longitudinale.
L’irrobustimento del pilone e la sua definizione planimetrica, la creazione di tre ampie esedre con deambulatorio e l’ampliamento delle dimensioni della navata, costituiscono il cosiddetto secondo progetto per la nuova Basilica di San Pietro.
Primo progetto per la basilica di San Pietro
Il primo progetto è tracciato invece nel “piano di pergamena”, cosiddetto perché disegnato su quel tipo di supporto.
Si tratta di un disegno in bella copia, un disegno che possiamo definire di “presentazione”, eseguito probabilmente per soddisfare il desiderio di Giulio II di essere continuamente messo al corrente di ogni variazione al progetto.
Bramante avrebbe progettato questo edificio a pianta centrale caratterizzata da uno schema quadrato a croce inclusa. Tuttavia il taglio del foglio passa proprio per le due aperture disegnate sulle due tribune opposte e nulla autorizza a credere che la parte mancante fosse perfettamente identica a quella superstite.

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