Vita romana nella roma repubblicana

Materie:Riassunto
Categoria:Storia
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Testo

LA VITA QUOTIDIANA NELLA ROMA REPUBBLICANA

I) Il nome e l’onore.

Ogni cinque anni , il cittadino romano, deve presentarsi a Roma per essere censito. Denuncerà la sua famiglia, la moglie, i figli, gli schiavi ed il suo patrimonio, in caso contrario, le sue proprietà, verrebbero confiscate e lui stesso sarebbe venduto come schiavo.
Vengono eletti due censori,ai quali viene affidata l’aggiudicazione dei mercati pubblici e l’attribuzione di classi od ordini ai cittadini.
“Ingenuus” è un termine usato per indicare un figlio libero di un uomo libero. Il classico romano sarà volta per volta soldato, elettore, padre di famiglia, amministratore di un patrimonio e padrone di casa; celebrerà i sacrifici domestici, seguirà le cause e assisterà ai giochi; questa è la vita di un cittadino libero, il quale non ha che uno scopo: rendere illustre il suo nome agli occhi del popolo.
Il civis romanus, se non ci abita di già, passa la gran parte del suo tempo a Roma, poichè possiede un spirito più fermo e grande. Lo spirito romano ( in latino animus) ,corrisponde ai valori culturali interiorizzati, i quali strutturano la personalità romana psicologicamente e moralmente.
Inoltre l’uomo romano non è capace di conoscersi da solo, poichè ha bisogno degli sguardi degli altri, i quali lo spiano e lo giudicano ogni giorno della sua esistenza; a Roma non esiste altro bene che ciò che è onorevole, e non esiste altro male di ciò che è vergognoso, poichè si aspira sempre alla gloria, la quale va trasformata immediatamente in rendita, investendola in una nuova candidatura.
Tra le varie famiglie romane si può stipulare un amicizia, ovvero un insieme di doveri reciproci di assistenza e di non-aggressione, che è anche allo stesso tempo un forte legame affettivo con l’altra persona/famiglia. L’amicizia è assai diversa dagli accordi stipulati tra patrono ed il suo cliente. Il legame che unisce quest’ultimi al proprio protettore, è uno scambio di favori: il patrono garantise il suo appoggio e la sua autorità nelle tribolazioni con la giustizia, mentre il cliente lo accompagna nei luoghi pubblici dandogli una garanzia sociale.
A Roma ci furono due grandi partiti: i “popolari” e i “senatoriali”. I primi chiedono la terra, la soppressione dei debiti, l’estenzione del diritto di cittadinanza, e denunciano in continuazione i privilegi economici e politici della nobiltà. I secondi si oppongono ad ogni innovazione, cantano le lodi della tradizione e celebrano l’austerità dei bei tempi antichi, la disciplina rispettosa del popolo.
Tuttavia, i capi del partito popolare sono nobili, come quelli del partito senatoriale e la scelta politica è ereditaria. A Roma soltanto l’esercizio delle magistrature rende nobile qualcuno, perchè soltanto il nobile ha diritto di essere commemorato, cioè il “diritto alle immagini”.
L’immagine, (imago), è la maschera funebre, l’impronta di cera presa sul viso degli anziani magistrati subito dopo la morte, e soltanto loro posseggono questo privilegio. La famiglia conserva la maschera in una scatola chiusa a forma di tempio, appesa al muro dell’atrium.
Insomma, la vita sociale richiama continuamente il Romano ai suoi doveri: rinunciare equivale a tradire, tradire se stesso e le speranze della giovinezza, tradire la famiglia, i suoi antenati, tradire gli amici che lo hanno sempre sostenuto.

II) La ricchezza e l’opulenza

La povertà campestre comporta una vita senza grandi bisogni. Non ha importanza che la proprietà sia grande o piccola, il proprietario dormirà sulla paglia, mangerà verdura, pane, lardo, e camminerà a piedi nudi, vestito di una tunica corta. Per la mentalità romana, niente è più estraneo del benessere, delle comodità che aumentano insieme ai guadagni del padre di famiglia.
In tempo di pace, il romano, ha la sensazione di possedere più di quanto abbisogni, perchè è convinto che le raffinatezze eventualmente introdotte nella sua vita quotidiana non sarebbero un simbolo di progresso, al contrario. Le sole occasioni in cui sia legittimo spendere per delle raffinatezze inconsuete sono le feste ed i banchetti; soltanto la presenza di un estraneo può giustificare il lusso ed il fasto. In questi casi, non solo si può, ma si deve consumare ogni bene in eccedenza: vino, bestiame, ed ogni tipo di prelibatezza. Il contadino romano utilizza il maggese, ma il più delle vote alterna la produzione di fave, grano, lupini, in modo di avere più raccolti nell’anno. D’altro canto, la base della sua dieta non è il grano, ma le verdure; infattii contadino si nutre quotidianament5e dei prodotti dell’orto che viene reso produttivo tutto l’anno. A questi prodotti si aaggiungono, soprattutto dei momenti più duri, il pane, le fave lesse, il lardo, il formaggio: il tutto cucinato con sale, aglio, olio ed erbe aromatiche. Questo è il povero della campagna, anche se il povero della città vive allo stesso modo.
Va tutto bene, dunque, per i contadini poveri, fino a quando conservano le loro terre e quel minimo ndi relazioni sociali, che permettono loro di essere cittadini, sia per il censo che per la capacità a rispondere alle sollecitazioni della città. I guai cominciano quando il contadino perde la sua terra, rovinato dalle incursioni nemiche e dai debiti contratti per pagare le tasse o per comprare la semenza e gli strumenti agricoli;oppure, a partire dalla iforma di Caio , i contadini vengono mandati a combattere lontano da casa. Certo, le fattorie non sono più devastate dai nemici, ma il risultato è lo stesso, perchè in assenza dei padroni, vengono sfruttate male o impoverite da vicini disonesti.

III) I liberti

A Roma gli schiavi si danno da fare dovunque: in campagna ed in città, nei campi, nelle case, nelle botteghe ed in tutta l’amministrazione dello Stato, ma nè più nè meno dei liberti e degli uomini liberi. Possono vivere agiatamente e occupare dei posti chiave nell’economia e nell’amministrazione. Ogni schiavo sarebbe pertanto un liberto potenziale e la servitù un passaggio temporaneo fra lo status di prigioniero di guerra e quello di cittadino, inoltre, se il padrone acconsente, può farsi il peculio, che costituirà il prezzo della sua libertà.
Esistono due tipi di uomini liberi: i nati liberi ed i liberti. Inati liberi hanno diritto all’accesso agli onori a patto che abbiano il censo sufficiente, i liberti non hanno accessi, qualunque sia il loro patrimonio. In questa città, in cui l’onore è tutto, il liberto è più vicino agli schiavi, di cui era compagno, che ai cittadini fra i quali viene iscritto. Se il liberto non ha accesso agli honores, è perchè gli manca l’honos, il senso dell’onore, cioè quel rapporto diretto con i valori civili non mediato da un padrone o un protettore. Nel suo intimo resta schiavo, ed escluso da tutte le attività onorate e onorifiche. Benchè libero, il liberto resta in un rapporto di dipendenza nei rappori del suo ex padrone, diventato il suo patronus, cioè “colui che fa le veci del padre. Gli deve l’obsequium, come il figlio lo deve al padre: in altre parole deve seguirlo nei luoghi pubblici e sostenerlonella vita pubblica, e non può perseguirlo legalmente. Gli devele operae, cioè un certo numero di giorni di lavoro. Quando il protettore è artigiano, il liberto deve avorare con lui, oppure deve andarsene in un altra città.

IV) L’organizzazione dello spazio a Roma

Il romano si realizza nell’ambito della società, e perciò vive più volentieri fuori casa: nei campi, nelle strade, nelle piazze ed alle terme. Anche quando torna a casa il cittadino romano non dedica molto tempo all’intimità della famiglia. Passeggiare a Roma vuol dire percorrere i suo passato, vedere la capanna di Romolo, la cavern di Caco, il bosco di Egeria. Non si sa cosa sia successo veramente in quei luoghi; si raccontano delle storie molto diverse l’una dall’altra.Il numero degli dei romani non smette di aumentare, così come quello dei santuari costruiti sul territorio dell’urbe. Ogni divinità corrisponde a delle attività umane differenti, ed è perciò venerata in un punto preciso. Il romano passa la vita ad andare da una parte all’altra, cambiando dio e comportamento.
I due spazi fondamentali che strutturano l’universo entale dei romani, espressi in una coppia di termini opposti e allitterati, sono “l’urbe”ed il “mondo”, poichè l’urbe è al centro del mondo.
V) La casa

Per i romani, un uomo civile non può che essere legato alla sua casa. A Roma si presenta un focolare pubblico che è riprodotto in ogni casa romana, difatti la casa è costruita partendo da questo, e lega il padre di famiglia agli antenati tramite i culti domestici celebrati nella casa. Sono venerati tre tipi di divinità: ai Lari si offre il fuoco, al Genio il vino puro, ai Penati si brucia l’incenso.
Queste divinità sono legate fra loro dal fuoco domesticoi cui vengono presentate le offerte. Il fuoco non deve mai spegnersi, ogni sera viene ricoperto, ed al mattino viene ravvivato.
Come struttura la casa romana ha una forma rettangolare, è ad un piano ed il materiale dei muriè interamente di mattoni anche se precedentemente erano costituiti da argilla e paglia.
La domus romana è composta da due partila cui funzione è differente.Sul lato posteriore della casa c’è un insieme di stanze, senza finestre, per evitare il minimo contatto con l’esterno, che dà su un giardino interno. Questa parte della casa è riservata all’intimità, e vi si trovano le camere da letto, le dispense, la cucina ed il bagno. Nella parte anteriore non ci sono finestre, ma una grande sala con un’apertura sul tetto, l’atrio ed il portone d’ingresso. Le stanze sono piccole, scomode e poco decorate. Ci vivono le donne, i bambini e gli schiavi, mentre gli uomini liberi le frequentano solo per mangiare, lavarsi e dormire. Il letto è formato da una tavola di legno con delle brande, un pagliericcio, dei drappi di lana usati come coperte e dei cuscini. Talvolta la camera è preceduta da un’anticamera, dove dorme uno schiavo allo scopo di vegliare sul sonno del padrone.
Il lusso, gli affreschi, i mosaici, i candelabri di metallo prezioso, le vaste sale dai soffitti a cassettoniammobiliate con tavoli intarsiati, le stoviglie d’oro, i vasi greci, si trovano nell’atrio; questo ha sempre nel centro una grande apertura ( compluvium); in basso c’è un bacino destinato a raccogliere la pioggia ( impluvium).
Stanza piuttosto ambigua è la sala da pranzo( triclinium), la quale può trovarsi sia nella parte anteriore che in quella posteriore della casa, visto che certe volte il pasto viene consumato nell’intimità della famiglia, mentre altre volte diventa il contesto di un grande ricevimento; per questo motivo si trovano due sale da pranzo, una più piccola situata nella parte più intima e l’altra più vasta e sontuosa situata nella parte anteriore. In questa stanza speciale ci sono tre letti disposti a ferro di cavalloattorno ad una tavla centrale, ed ogni letto può accogliere tre invitati. I romani adulti, gli uomini,mangiano sdraiati, appoggiati sul gomito sinistro, uno accanto all’altro, come sardine, con la testa verso la tavola ( donne e bambini mangiano seduti).
Inoltre i Romani hanno la passione per l’orto, difatti sono legati al loro giardino, poichè esso fa parte giuridicamente, religiosamente, e perciò culturalmente, del territorio di casa.

VI) La famiglia

La famiglia nel senso latino della parola ( familia), coincide con la popolazione della casa sottomessa all’autorità del capofamiglia( pater familias): i bambini, gli sposi, e talvolta la sposa. Il modello idele di famiglia riunisce sotto lo stesso tetto tre generazioni i cui uomini restano sottomessi all’autorità del bisavolo. Alla sua morte, la famiglia si divide in tante nuove famiglie, quanti sono gli uomini della generazione successiva. Una casa è perciò abitata idealmente da tutti i figli, nipoti e pronipoti, con le loro spose e un antenato comune ancora in vita.
Inoltre che si tratti del primo matrimonio oppure no, la sposa viene vestita a casa sua dalle donnedella famiglia; il volto rimana nascosto da un velo rosso, mentre l’abito consiste in una semplice tunica bianca trattenuta da una cinta annodata in modo particolare, che il marito dovrà sciogliere. I capelli sono separati in sei ciuffi, pettinati con un ferro appuntito e legato con nastri. Il marito arriva nella casa del padre e prende nella sua mano destra la mano destra della sposa: in questo modo viene sancita la promessa di fedeltà. Successivamente a luogo un banchetto alla cui fine il marito finge di rapire la moglie strappandola dalle braccia della madre. Arrivata alla soglia di casa, la giovane sposa circonda la porta con dei fioli di lana e la spalma di lardo e olio. Lo sposo, che aspetta all’interno, le chiede il suo nome di battesimo, e siccome le donne non hanno il nome di battesimo gli risponde: “dove sarai Gaio, io sarò Gaia”!

VII) L’esercito

L'impero romano diventò così grande grazie all'abilità e alla forza del suo esercito. All'inizio i soldati erano contadini che lasciavano i campi quando era necessario andare in guerra. Diventando l'impero sempre più vasto, gli uomini rimanevano lontano da casa per lunghissimi periodi. Così nel 100 a.C. la maggior parte dell'esercito romano era ormai formato da soldati di professione.
Il famoso condottiero Mario introdusse una serie di leggi per garantire ad ogni soldato paga, armi e addestramento adeguati. Ogni soldato riceveva una divisa diversa secondo il grado ed il reparto di appartenenza. Ogni reparto denominato legione, aveva stessa strutture. Il "contuberium" era un gruppo di otto soldati che condivideva i pasti e la stessa tenda. Otto "contubernia" formavano una centuria, le centuria si raggruppavano a loro volta coorti e dieci coorti formavano una legione.
I romani erano esperti conquistatori e avevano strategie diverse per attaccare una fortezza. Costruivano torri su cui arrampicarsi per superare le mura e usavano macchine con cui lanciare grossi proiettili da lontani.

VIII) La simbologia dello spazio urbano

Ogni città romana possedeva un foro, che non serviva soltanto come luogo in cui si trattavano affari politici o commerciali, ma originariamente anche come arena per giochi pubblici, svaghi, rappresentazioni teatrali, combattimenti di gladiatori e gare. Di questo tipo era il foro principale di Roma, il forum romanum, dotato di portici che sostenevano gallerie per gli spettatori. A mano a mano che la città cresceva, tuttavia, divenne necessario creare un foro destinato appositamente agli affari legali e amministrativi (forum civile), oltre a diversi fori per i commerci (fora venalia), ciascuno destinato alla vendita di una merce particolare. In questi ultimi si vendevano bestiame, ortaggi, pesce, cereali e vino. I negozi (tabernae) erano situati attorno alla piazza del foro e spesso sulle strade che conducevano a essa. Oltre ai fori all'aperto, alcune città avevano anche mercati coperti. Il foro non è il solo centro dell’urbe. Intorno ad lui sono situati tutti i luoghi in cui un Romano vive.
Il Campidoglio è la sede del dominio romano dove stanno gli dei. Proprio qui i Romani volgono gli sguardi nei momenti di maggiore tensione.
I colli che i romani abitano sono il Palatino, sulla quale presiedano i nobili,e l’Aventino,il colle della plebe. Il circo massimo situato in mezzo a questi due colli unisce tutti nel gioco.
Attorno a Roma si estende il Tevere che non attraversa la città. Il Tevere è per i Romani al pari del mare, che li separa da un altro universo:la riva etrusca. Passare il tevere vuol dire per i Romani cambiare modo di vivere. Il Campo Marzio è il luogo in si effettua il censimento ogni 5 anni,in cui si votano i comizi centuriati,in cui si riunisce l’esercito del popolo e si scelgono i giovani soldati,in cui alloggiano i censori e gli ambasciatori,nella fattoria pubblica.
Il quartiere non è fatto per abitarci ma solo per viverci infatti esso ha una strada sola. Ogni quartiere è caratterizzato da persone che fanno lo stesso lavoro o simile ;ogni quartiere ha il proprio odore che ogni cittadino conosce ed è l’unico modo per ritrovarsi nell’interni dell’urbe. I soli limiti del quartiere sono i due incroci dove comincia e finisce. In entrambi questi punti vegliano gli dei che sono in comune agli abitanti dei quartieri che sfociano sulla stessa piazza. I Lari sono gli dei duranti dell’insediamento permanente degli uomini su un territorio.
I Romani non abitano solo in città infatti ci sono diverse abitazioni anche in campagna. Le case in campagna sono molto simili fra il ricco e povero soltanto per le dimensioni. Nella città le cose vanno diversamente ognuno vuole abitare in città solo per stare vicino al foro. Sul Palatino ,e fino ad un certo punto anche sul Campidoglio,si ergono le residenze dei principi. Per i Romani una casa costruita su una altura è un segno di smisurato orgoglio. Le residenze si sviluppano sui terreni liberi dei colli le stanze delle case più aristocratiche si affacciano su grandi giardini dove ogni nobile gode di una grande vegetazione. In contrapposizione dei quartieri più ricchi si estendano in città i quartieri poveri dove le persone vivono in palazzi a più piani chiamati insula,edifici poco stabili senza acqua né fognature.
Una città e sempre causa di malattie e febbri. Nel primi secoli le fognature si trovavano all’aria aperta successivamente furono costruite sotto terra con botole in prossimità delle case,la loro manutenzione è affidata agli edili. Le strade di Roma no sono illuminate ma i Romani possiedano dei bagni,delle fognature,ma soprattutto hanno acqua in abbondanza.

IX) Vivere la città

Roma è il centro del potere. Chi comanda è la classe dei senatori,magistrati,nobili. Ci sono però altri modi per partecipare alla politica. A Roma ,essere spettatori non significa essere passivo,perché è proprio il pubblico che decide come andranno a finire la cose.
Il centro di Roma è il foro,sede della sovranità popolare. Il di pomeriggio,il Foro è il luogo degli incontri personali. Si parla del più e del meno per il piacere del parlare.
Il foro è il luogo della sovranità popolare ,un individuo può far cambiare la legge a patto che abbia dalla sua parte la maggioranza della popolazione,in questo luogo si creano spesso alleanze per la causa di uno che diventa di tutti. A Roma i quartieri sono come villaggi ogni gruppo di persone è solidale fra loro,nascono società segrete che si radunano di notte e di cui non si niente. Queste società lavorano in segreto poiché le cose che fanno sono spesso illegali.
Molto spesso accade che a roma i plebei e i patrizi si “sfidino in gare di generosità”,queste azioni vengono riconosciute non solo a parole.
Quel che importa ai Romani è essere escluso dalla comunità,infatti la prigione e un luogo terrificante. Il rito di scarcerazione è molto importante perché è l’unica speranza per un cittadino.

X) I romani ed il tempo

Il tempo non è una forza divina. Il tempo non viene concepito in quanto stabilisce solo degli inizii. I Romani non fantasticano sull’origine del mondo e non possiedono uno spirito storico. Il tempo è suddiviso in momento sacro e momento profano.
L’anno è diviso in due stagioni. L’estate,stagione della guerra che va da marzo a ottobre,e l’inverno,da ottobre a marzo in cui normalmente il cittadino torna a casa.
L’estate è la stagione del lavoro che può consistere nella guerra o no.
L’inverno invece è la vera stagione del riposo,tempo degli inviti e delle feste.
La giornata è divisa in due:la mattina è il tempo dell’azione,la sera del riposo.
La metà della religione romana è dedicata alla ricerca e all’interpretazione dei presagi,i Romani non utilizzano indovini né profeti. Per loro questi segni sono veri e propri segni cause di catastrofi intere. I presagi sono sempre presenti nella vita di tutti i giorni,ci credano talmente tanto che hanno redatto libri,che vengono tramandati, su come sconfiggerli e sul loro significato. Gli interpreti dei loro segni sono gli auspici.

XI) Il tempo misurato

I Romani non hanno bisogno di contare il tempo che,e anche per stabilire i turni venivano usate delle candele. A loro interessa sapere solo quando è mezzogiorno e per questo usavano delle meridiane e un apparitore che suonava la tromba.
La mattina è dedicata al lavoro mentre la sera ,dopo il tramonto,era dedicata al riposo.
Il mese è calcolato secondo la luna. Il mese ha 29/30 giorni .
All’inizio anche l’anno era solare successivamente Giulio Cesare instaurò un anno puramente solare. Il secolo, i romani ,non lo consideravano poiché avevano appunto una visione solo del tempo presente.

XII) Il calendario e le feste

Pare che il più antico calendario romano fosse diviso in dieci mesi (come conferma il nome stesso rimasto ai mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre), seguendo le lunazioni, iniziasse a marzo e si concludesse a dicembre per la durata di 304 giorni.
Si ritiene che a Roma nessuno ignori il calendario che è prima di tutto politico e giudiziario. Ogni giorno aveva segnato se era un giorno fasto,nefasto o comiziale.
Nei giorni fasti gli uomini potevano svolgere un’attività ,nei giorni nefasti,invece gli uomini non hanno il sostegno degli dei e perciò non è consigliabile svolgere attività,ci sono anche giorni misti in cui un cittadino può svolgere un attività di mattina e pregare di pomeriggio. I Romani consideravano la preghiera momento di distensione e completa devozione. Sul calendari romano,accanto alle lettere in maiuscolo,ci sono dei nomi di feste scritti in maiuscoletto in corrispondenza di certi giorni. Si tratta di feste pubbliche,cioè celebrate da tutto il popolo. Le feste romane non hanno un vero e proprio ordine ma solo grandi cicli che le includono,come per esempio le feste di primavera dedicate alla dea del raccolto o per festeggiare i fiori degli alberi.
Marzo ,il primo mese dell’anno,è consacrato alla guerra,apre la stagione militare,che termina ad ottobre. Quando l’esercito ritorna in ottobre,viene fatto un pimo rito chiamato la “trave della sorella”trasforma i militari in civili e come a Marzo c’è una purificazione delle armi.
Con aprile comincia una serie di feste agricole e pastorali che riguardano da una lato la crescita,la fioritura,la eruttazione e la produzione,dall’altro la conservazione dei prodotti e la formazioni delle scorte per l’inverno.
Settembre,Novembre e dicembre sono consacrati alla vita in società.
Uno dei momenti più importanti è il periodo delle feste,dove i giochi consentano la fusione della società. Tutta la durata dei giochi è accompagnata da danze,cant,musica e spettacolo.

XIII)L’età della vita

Il bambino impara,l’adulto agisce,il vecchio trasmette:questi sono i grandi periodi della vita di un uomo o di una donna.
L’età del bambino si divide in due:il neonato e il bambino che impara.
Il bambino alla nascita deve essere accettato dal padre famiglia. Il bambino durante questa fase viene fasciato per dargli la giusta posizione,gli vengono fasciate le gambe e le braccia perché per loro è importantissimo che il bambino non sia deformato. Se il neonato supera questa fase al bambino comincia il periodo dell’insegnamento,importantissima perché lì comincia a essere un civile.
Al bambino viene insegna a scrivere,a leggere,il diritto,gli esempi morali e una preparazione fisica del futuro soldato.
Intorno ai 16/17 anni viene segnata con una cerimonia la fine dell’infanzia,il ragazzo diventa adulto e pronto alla vita pubblica.
La vecchiaia è segnata dalla fine del possibile servizio militare.
Per i Romani questo però non è che un punto d’arrivo poiché sono saggi trattati persino con più rispetto pronti per ruoli più seri e prestigiosi.
Quando un uomo è vicino alla fine si ritira in campagna dove si concede ad una vita più tranquilla lontano dalla città,un posto dove godersi finalmente la vita che rimane.

XIV) Il corpo e la persona

Il corpo non mentisce,perché a Roma non è un’apparenza,o come dicono alcuni filosofi greci,la tomba dell’anima,bensì la verità visibile dell’uomo. I Romani hanno un grande senso del pudore devono sempre apparire moderati nelle giuste occasioni. Infatti hanno la credenza che l’uomo è come appare o meglio come appare la sua anima. Loro non sono mai nudi poiché credono fermamente che le cose private deva no rimane tali e infatti non se ne può neanche parlare in pubblico.

XVI) Il cibo,i banchetti e i piaceri della sera
Per tutti il pasto principale era quindi la cena che molti immaginano come uno sfarzoso banchetto ma che in realtà, salvo quelli che potremo considerare come ricevimenti particolari, era per i più altrettanto frugale come i primi due pasti. L'ora incui iniziava la cena era per i più la stessa, quella che seguiva al bagno: l'ottava in inverno e dopo la nona in estate. Si cominciava con gli antipasti (gustatio) poi tre primi piatti, due arrosti e il dolce (secundae mensae). In questi grandi ricevimenti quello che importava non era soltanto l'abbondanza e la qualità dei cibi offerti ma anche la loro presentazione scenografica necessaria per stupire i commensali ma che comportava una mescolanza di cibi spesso incompatibili tra loro e dannosi per la salute. La cena è il pasto più importante per i Romani poiché dopo il tramonto comincia il periodo del relax. Durante il banchetto le donne preparano i cibi prelibati secondo le mode e invitano secondo i giorno degli ospiti. Durante il banchetto per gli uomini che rimangono soli praticamente sempre inebriati dal vino rilassati dal cibo sono disponibili ai piaceri dell’amore molto facilmente. Ci sono danzatrici,suonatrici di flauto. Ciò che succede durante i banchetti rimane nella sala.

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