Violenza sulle donne

Materie:Riassunto
Categoria:Storia
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LA VIOLENZA SULLE DONNE
In quasi tutte le società tradizionali le donne furono discriminate; la loro istruzione fu limitata all’apprendimento di abilità domestiche, non ebbero accesso a nessuna posizione di potere. Il matrimonio fu quasi sempre considerato un mezzo necessario per garantire alla donna sostegno e protezione. Una donna sposata solitamente assumeva lo status del marito e andava a vivere con la famiglia di lui: in caso di maltrattamenti o di mancato mantenimento aveva scarse possibilità di rivalersi. Nel diritto romano, che influenzò il successivo diritto occidentale, marito e moglie erano ad esempio considerati un’unità, nel senso che la moglie era un vero e proprio “possesso del marito”; in quanto tale, la donna non godeva del controllo giuridico né della sua persona, né dei suoi figli, né delle sue terre, né dei suoi soldi. Anche durante il Medioevo, il diritto feudale prevedeva che la terra si tramandasse per discendenza maschile. Le eccezioni dell’antica Babilonia e dell’antico Egitto, dove le donne godettero dei diritti di proprietà, e a Sparta amministravano di fatto l’economia, furono dunque fenomeni isolati; solo durante il Medioevo in alcuni paesi europei le donne poterono entrare a far parte delle corporazioni delle arti e dei mestieri. In alcuni rarissimi casi le donne godettero dell’autorità religiosa, come nel caso delle sciamane siberiane e delle sacerdotesse romane. Nella seguente era industriale donne e bambini lavoravano anche per dodici ore di seguito nelle fabbriche. Infine, nel novecento, la donna sembra aver definitivamente aver raggiunto l’uomo, con la concessione di votare e col raggiungimento dei titoli più ambiti e dei lavori di solito riservati all’uomo (come ad esempio la carriera militare). Tuttavia anche nel ventunesimo secolo esiste ancora una forma di violenza sulle donne: quella fisica, economica e psicologica. Per analizzare questa nuova violenza molti enti pubblici hanno svolto ricerche, soprattutto per osservare l’espansione di questo fenomeno. Da un indagine condotta dalla regione Emilia Romagna risulta che nel 13% dei casi si tratta di violenza sessuale, nel 33% di violenza economica, nel 51% di violenza fisica e nel 65% di violenza psicologica. Il totale è superiore al 100% in quanto più donne hanno subito diversi tipi di violenza. In moltissimi casi (oltre l’88%) la violenza viene definita “domestica”, in quanto inflitta da partner o da ex partner (l’82%) oppure da parenti, nel 6,4% dei casi. Amici e conoscenti sono autori della violenza nel 4,5% delle occasioni, mentre il restante 7,1% ha come protagonisti sconosciuti. La violenza domestica è da intendersi come violenza maschile contro le donne in casa, che implica dunque una relazione di intimità o familiare. In questa ricerca le autrici femminili della violenza sono complessivamente 15, pari all’1% circa di tutti gli autori. La metà delle donne che si rivolgono ai centri per denunciare episodi di violenza si ritengono non autosufficienti dal punto di vista economico (questo dato emerge dalle percezioni delle stesse donne), e questo dato è tanto più negativo se si pensa che è spesso lo stesso partner a usare violenza. Metà delle donne non possono garantirsi l’indipendenza economica, e di conseguenza non possono garantirla ai figli. Il 77% (pari a 1041) delle donne che si sono rivolte ai centri a causa di violenze subite hanno figli, mentre il 23% (306) è senza figli. Queste 1041 donne hanno complessivamente 1746 figli e quasi la totalità delle donne con figli, 1039, ha figli minorenni. I figli minorenni sono in totale ben 1394. Da questi dati possiamo facilmente intuire che la violenza più comune è quella psicologica, collegata a quella economica, in quanto quasi tutte le donne che subiscono violenza, in parte acconsentono perché non si sentono economicamente autosufficienti.

LA VIOLENZA SUI MINORI
La violenza su minori, purtroppo, non è rappresentata solamente dalla pedofilia, in quanto i nuovi comportamenti su alcuni punti fanno molto male al bambino, anche più della pedofilia, in quando determinanti sulla sua crescita . Sicuramente il tema della violenza sul bambino è agghiacciante. Ma vogliamo allora tentare di considerarlo secondo tutti i suoi aspetti? Troppo facile è infatti limitarsi a stracciarsi le vesti per le "violenze da codice penale"( Su cento casi segnalati di violenza su bambini, 30 riguardano violenza fisica, meno di 10 violenza sessuale e ben 60 sono episodi di violenza psicologica o mentale, di incuria o negligenza).
In realtà, il primo atto di violenza nei confronti di un minore, avviene fin da quando egli si trova nell’utero, cercando di averlo perfetto e abortendo in caso contrario. Quante volte abbiamo sentito la frase :"Certo che voglio un figlio, ma questo non deve cambiare la mia vita"! Infatti "Nella civiltà occidentale non c'è preparazione ad avere un figlio". "Non si tratta solo di aspettarlo, ma di intrattenere con lui tutto uno scambio di sensazioni e di messaggi sin dall'inizio della gravidanza". Il bambino dentro l'utero "non è un bambino" Questo è uno dei due poli tra cui oscilla il comune sentimento rispetto al bambino non ancora nato: è un po' il protrarsi del potere paterno dell'antica Roma o dei germani ove finché il padre non aveva sollevato da terra o imposto le armi al figlio, questo non era riconosciuto e poteva essere fatto morire . Nell'utero il bambino non ha diritti, tantomeno quello di nascere, ma neanche quello di essere curato se affetto da patologia: tutto il suo destino è subordinato alla volontà dei genitori. Allora è comodo negarne se non la presenza, almeno la qualità. Vent'anni fa qualcuno asseriva addirittura che il feto è un'appendice della madre, non riconoscendo neanche che egli possiede un DNA che lo rende unico. Molti sono i dati chiarissimi in questo senso, ma forse non basteranno mai a chi non vuole vedere. Infatti dopo la sorpresa iniziale allo scoprire di essere incinta, insorge nella donna occidentale una sospensione dell'affetto, fino alla certezza della "perfezione" del feto. E questo il feto lo avverte, riducendo il numero dei movimenti in utero. Danni iatrogeni Dall'accanimento delle indagini per sapere se il feto è normale o no, nasce un senso di disagio per la donna e dei rischi per il feto: in particolare sono ben noti i rischi di abortività e di malformazioni indotte dall'amniocentesi. L'affermazione che certe pratiche recenti siano innocue per il feto ci lascia del tutto perplessi: la alterazione dell'imprinting provocata nelle fecondazioni in vitro o la coabitazione in utero del "graziato" assieme al cadavere del/dei fratelli "ridotti" nel caso della riduzione fetale.
Questo tipo di violenza può inoltre continuare anche sul neonato: nei reparti di neonatologia più avveduti è chiaro il fatto che il bambino, anche quello di 500 grammi, è una parte dell'unità familiare: non esiste una cura del bambino senza un'attenzione ai genitori. La presenza della madre, non è un diritto dei genitori, ma del bambino stesso. Eppure il rischio esiste sempre che questo approccio, difficile in caso di ricovero in rianimazione, non venga favorito (sempre nei limiti dettati dalle esigenze della cura del personale per il neonato e della sua peculiare fragilità e stato immunitario) E' difficile che lo sguardo del personale curante venga stimolato allo stesso modo da un grande prematuro o da un bimbetto di 5-6 anni. E' difficile comunque, ma non impossibile.
Quando invece il bambino ha ormai quasi un anno, senza un "plus" di attenzione, il bambino che non parla, non cammina, non sembra comprendere, viene considerato alla stregua di un "bagaglio" o di una cosa particolarmente buffa. Non si considera come avente diritto a orari, tipi di alimentazione, compagnia specifici per l'età e per QUEL bambino. A quest'età il bambino ha assoluta necessità di contatto fisico coi genitori. Nella società occidentale invece si tende ad autonomizzarlo troppo precocemente, mettendolo il prima possibile in un letto in camera da solo, privandolo della presenza della mamma che deve tornare al lavoro. L'asilo nido è un'ottima istituzione, ma forse fatta troppo ad uso e consumo delle mamme in carriera o pluri occupate cui non basterebbe certo un assegno di mantenimento, cosa che invece di certo risolverebbe molti problemi delle mamme con impieghi più "popolari". Che poi il bambino debba magiare agli orari e nelle quantità che vogliono i genitori e soprattutto ingrassare ed essere "belli paffuti", sembra rispondere più a un dettato pubblicitario che al bisogno del soggetto.
Quindi possiamo benissimo capire quando male faccia tutto ciò al bambino e, noi che siamo la nuova generazione, dovremmo imparare a trattare il bambino non più come un optional, bensì come un essere umano, uguale a noi e con i nostri stessi diritti

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