TEORICI ILLUMINISTI

Materie:Riassunto
Categoria:Storia

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Testo

TEORICI DELL’ILLUMINISMO: MONTESQUIEU, VOLTAIRE, ROUSSEAU E BECCARIA.
I maggiori Illuministi si ebbero in Francia nel Settecento e furono Montesquieu, Voltaire e Rousseau. Tra questi Montesquieu fu il primo ad elaborare delle proprie teorie in merito all’organizzazione dello Stato e della società.
Montesquieu nacque a Bordeaux nel 1689 e compì numerosi viaggi per l’Europa, ma visse prevalentemente in Francia dove morì, a Parigi, nel 1757. Nel 1748 scrisse “Lo spirito delle leggi”, nel quale argomentò a favore del sistema politico liberale Inglese; appartenendo all’alta nobiltà di toga francese, base sociale delle alte magistrature parlamentari, egli fu un efficace avversario dell’assolutismo. Nel suo trattato comparò tre forme di governo: la repubblica, la monarchia e il dispotismo, intese come risultato di svariate condizioni storiche, sociali, geografiche e materiali.
Il titolo della sua opera si deve al fatto che Egli è convinto che ogni legge abbia un suo spirito, ossia una logica intrinseca e nascosta che limita le evoluzioni dello Stato stesso. Egli definisce la legge come “il rapporto necessario che deriva dalla natura delle cose” e crede che persino l’uomo abbia una propria legge, continuamente violata dalla sua intelligenza, che lo rende quindi un essere limitato e tendete all’ignoranza e all’errore. È in vista di ciò che Dio richiama l’uomo con le leggi della religione, i filosofi con le leggi della morale e i legislatori con le leggi politiche e civili. Appare evidente che anche l’ordine della storia non è un “fatto”, e tanto meno è estraneo ai fatti storici, ma esso è la legge di tali fatti: “il dover essere a cui essi possono più o meno avvicinarsi o adeguarsi”.
Egli riconosce il principio della Repubblica nella virtù, il principio della Monarchia nell’onore e il principio del Dispotismo nel timore, senza questi principi il relativo Stato non sarebbe impossibile, ma semplicemente imperfetto.
Ne “Lo spirito delle leggi” si propone anche di chiarificare a giustificare le condizioni che garantiscono la libertà politica individuale, libertà che non riguarda nessun tipo di governo suddetto, neanche la più perfetta democrazia, ma è propria dei governi “moderati” (in cui ogni potere trova i limiti che gli impediscono di prevaricare). Da qui giunge alla necessarietà della spartizione dei tre poteri, in assenza della quale il suo abuso ne annullerebbe ogni libertà; teoria che elaborò a partire dalle considerazioni del filosofo inglese Locke, durante i suoi viaggi in Inghilterra compiuti tra il 1729 e il 1734.
“In ogni Stato esisstono tre tipi di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose dipendenti dal diritto delle genti e il potere esecutivo delle cose dipendenti dal diritto civile. In forza del primo, il principe o il magistrato fa le leggi, […], in forza del secondo, fa la pace o la guerra, […], in forza del terzo, punisce i delitti o giudica le cause tra privati. […] La libertà politica in un cittadino […] deriva […] dalla propria sicurezza. Quando […] il potere legislativo è unito al potere esecutivo non c’è più libertà. […] Tutto sarebbe perduto se lo stesso corpo esercitasse insieme i tre poteri. ”
Montesquieu, “Lo spirito delle leggi”, 1748
Montesquieu, nonostante ammirasse tantissimo il sistema liberale inglese, capì che non sarebbe stato possibile trasferirlo completamente in Francia; per far ciò doveva prima capire se erano presenti processi evolutivi del dispotismo, individuarli, e bloccarne lo sviluppo: era consapevole che in assenza di istituzioni intermediarie autonome, interposte tra sovrano e sudditi, il dispotismo sarebbe stato inevitabile; perciò diede molta importanza all’aristocrazia e, nel caso Francese, ai parlamenti, come unici garanti del controllo monarchico.
Di fatto concluse che il sistema ideale dovesse essere una monarchia coadiuvata, come organo intermediario, dall’aristocrazia (ossia dalla nobiltà di toga). Di fatto accadde, nei secoli successivi, che gli illuministi persero fiducia nelle sue teorie, temendo che la riduzione del potere del sovrano si sarebbe tradotta in anarchia.
Uno dei primi filosofi dei lumi a distaccarsi lievemente da Montesquieu fu Voltaire. Egli nacque a Parigi nel 1694 e vi morì nel 1778. Partecipò anch’esso alla stesura dell’Enciclopedy, scrivendo la voce “Storia” e nel 1734 pubblicò “Lettere Filosofiche”, in seguito a un soggiorno in Inghilterra, nel quale analizza il pensiero di personalità come Newton e Locke.
In “Lettere filosofiche” egli fa conoscere, ancora prima di Montesquieu, il sistema inglese ai francesi. Ne illustra gli aspetti essenziali, difendendo la religiosità interiore e priva di riti dei quaccheri, esalta la libertà politica ed economica del popolo inglese, e la filosofia di Bacone, Newton e Locke, paragonando Cartesio con Newton, difendendo i meriti matematici del primo ma riconoscendo la superiorità dottrinale del secondo. Si oppone a ogni forma di intolleranza e di superstizione religiosa e propaganda una religione naturale fondata sulla ragione. Rifiuta le idee innate, elabora un suo Deismo e un Dio Newtoniano, grande “orologiaio del mondo”, e concorda con Locke il fatto che la materia sia capace di pensiero, e l’anima sia materiale e mortale.
Fu proprio lui uno dei primi a rendersi conto del fatto che la società francese era ancora troppo arretrata rispetto quella inglese, temendo anch’esso una potenziale anarchia.
Egli non ebbe tanta fiducia delle masse popolari, perciò ripose la sua attenzione ai vertici: alla nobiltà e all’alta burocrazia statale, e specialmente verso il re. Pensava che l’unico vero garante di un rinnovamento sociale potesse essere un monarca assoluto illuminato.

Le idee politiche di Rousseau furono ben più radicali di quelle dei due predecessori Montesquieu e Voltaire, e si diffusero a partire dal 1770. Egli inizialmente fu illuminista, ma si distaccò ben presto dagli altri, condannando il progresso materiale e civile della società e contrapponendogli l’idea di un’austera comunità repubblicana, nella quale le virtù morali e politiche contano più delle scienze, della tecnica e dei costumi. Erano proprio quest’ultimi secondo lui a causare i mali della società del tempo: la proprietà privata, la disuguaglianza, l’asservimento dei poveri ecc… e l’unico rimedio era, secondo Rousseau, uno stato in cui tutto il popolo fosse sovrano e dal popolo derivasse ogni legge. Era questa una prima idea di stato democratico.
Egli pur aderendo inizialmente alla posizione dei “philosophes”, se ne distacca là dove valuta il progresso delle scienze e della arti negativo al fine della vita morale e della libertà degli uomini (va perciò contro l’intero ideale dell’enciclopedy). Secondo lui lo Stato nasce per la “volontà” di ognuno di rinunciare alla propria libertà illimitata, per ricevere la stessa rinuncia da un altro membro della società: si origina così una persona sociale, il sovrano, il cui potere viene esercitato da tutti i membri riuniti, e le leggi hanno per oggetto il bene generale. Il potere di questo sovrano è indivisibile, inalienabile ed unico, contrariamente a quanto affermavano i due teorici precedenti. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, essa deve essere privata di ogni potere; e la religione civile deve avere come primo principio la tolleranza religiosa.
In Italia l’unico grande illuminista a venir riconosciuto, e anche ammirato, dal resto d’Europa, fu Cesare Beccaria. Egli non fu l’unico nel Bel Paese, ma con lui erano presenti i fratelli Alessandro e Pietro Verri, con i quali fondò la rivista “Il Caffè”. La sua fama si deve al grande saggio “Dei delitti e delle pene”, nel quale dimostra l’inutilità della tortura e della pena si morte al fine della giustizia, che ebbe una enorme eco in tutta Europa, soprattutto a Parigi, dove i fondatori dell’enciclopedia lo giudicarono come l’opera più significativa del periodo.
L’opera è un trattato nel quale l’autore esprime idee di stampo indubbiamente illuminista; i destinatari, a cui spesso si rivolge in modo diretto, sono i sovrani illuministi, chiamati anche «benefattori dell’umanità», sta a loro, infatti, il compito di assicurare al popolo un governo più giusto. L’autore viene oggi poco ricordato, eppure è a lui che dobbiamo molti dei principi civili a cui siamo abituati.
L’opera stupisce per la sua modernità. Beccaria esamina con estrema lucidità un certo numero di reati e le loro rispettive pene. Partendo dal contratto sociale, prosegue parlando dell’origine e dello scopo delle pene, le quali non sono una punizione, bensì un allontanamento dalla società a scopo rieducativo. Egli affronta temi attualissimi come l’interpretazione arbitraria delle leggi, la pena di morte, e la prontezza della pena. Il principio base di una legge è la chiarezza. La legge non deve aver bisogno di interpreti che la rigirino a proprio favore; la pena di morte è ingiusta in quanto immorale e antieducativa — non si può insegnare a un popolo a ripudiare l’omicidio, se lo Stato stesso ne fa uso —; la pena deve essere attuata prontamente, altrimenti perderebbe il suo effetto educativo, inoltre, non sarebbe giusto ritardare il giudizio per troppo tempo a discapito di un innocente (visto che il reo è tale fino a prova contraria). Egli parla ancora di proporzione fra delitti e pene, critica la tortura e la disuguaglianza tra le pene inflitte a un nobile e quelle inflitte a un povero. Interessantissimo è il ruolo che acquisisce l’educazione, in quanto essa serve a prevenire i delitti.

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