Sviluppo delle attività produttive d'inizio 900

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Testo

RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
ANDAMENTO DEMOGRAFICO 1750-1900
nei vari continenti
Le migliorate condizioni igienico-sanitarie ed alimentari generali, conseguenti al progresso della medicina e della biologia e allo sviluppo economico, portano ad un generale aumento della popolazione, soprattutto nel Vecchio continente (Europa).
L'aumento della popolazione dell'America Settentrionale e Centro-Meridionale è dovuto soprattutto al gran numero di immigrati provenienti dall'Europa a dall'Estremo Oriente.
In particolare gli Stati Uniti si presentano come un luogo ricco di terre vergini da conquistare e coltivare, ricco di giacimenti auriferi (di oro) da scoprire, e dove nemmeno mancano
La nobiltà inglese, a differenza di buona parte di quella continentale, non aveva un atteggiamento di disprezzo verso le attività economicamente produttive. La mentalità generale era relativamente più aperta che negli altri Stati e la minor rigidità nella struttura sociale permetteva, in certi casi, il passaggio da una classe all'altra.grandi città industriali in cui trovare lavoro come operai.
Non ultima tra le cause della nascita dell'industria moderna fu la possibilita', in molti Paesi Europei e in primo luogo luogo in Gran Bretagna, di sfruttare vasti giacimenti di carbon fossile e di minerali metallici.
Ciò conduce a riflettere anche su gli altri fattori di carattere fisico-ambientale presenti in tutta l'Europa centro-occidentale e determinanti per il primo sviluppo industriale inglese:
· clima temperato adatto all'allevamento di ovini da lana, nelle zone meno piovose, e di bovini da latte, nelle zone più umide: le industrie laniere e quelle lattiero-casearie trovarono dunque presupposti favorevoli al loro sviluppo;
· numerosi corsi d'acqua sfruttati dapprima per azionare i mulini e, in un secondo momento, per operazioni di lavaggio difibre tessili, per il raffreddamento dei metalli e la produzione di vapore; laddove le condizioni lo permettevano, i fiumi furono usati come vie navigabili e collegati tra loro con una rete di canali;
· ampia disponibilità di pianure e assenza di rilievi molto pronunciati con la conseguente facilità di comunicazione e di insediamento degli stabilimenti industriali;
· la presenza di numerosi porti ben collegati con il retroterra e essenziali per gli scambi.
Con l'espressione rivoluzione industriale si intende un processo di rapida e intensa trasformazione nell'organizzazione tecnico-economica delle lavorazioni di materie prime accompagnato dalla meccanizzazione.
I. I. Rivoluzione industriale
A. A. Rivoluzione in Inghilterra
1. Fattori politici che sostennero la Rivoluzione Industriale in Inghilterra:
a. Sistema Politico e stabile
b. Proprietà fu Assicurata Completamente
c. Tasse Approvate da Parlamento
d. Le Colonie di Britannia permettono mercati del mestiere aumentati
2. Fattori economici che sostennero la Rivoluzione Industriale in Inghilterra:
a. Più grande area della Libero-mestiere in Europa
b. Economia trae profitto da Colonie in Nord America
c. Nessune Barriere Interne Commerciare
d. Tasse equamente e efficientemente raccolto
e. Suoni Sistema di Arginatura e Credito Pubblico permise investire
f. Ricchezza aumentata creò domanda per bene del consumatore
g. Base Agricola e stabile dovuto a avanzamenti dalla Rivoluzione Agricola
3. Fattori speciali che sostennero la Rivoluzione Industriale in Inghilterra:
a. Infrastruttura Interna e eccellente
b. Nessuni Diritti Sociali su Tassazione
c. Società britannica era Mobile; Persone con soldi potrebbero sorgere socialmente
d. Londra era la più Grande Città in Europa
e. Giornali britannici provvedono un mezzo per propagandare
4. Fattori geografici che sostennero la Rivoluzione Industriale in Inghilterra:
a. Grandi Depositi di Minerale metallico del Ferro & il Carbone
b. Le Isole britanniche tagliarono dal resto del Continente
B. Effetti della Rivoluzione Industriale
1. 1. Il vecchio Sistema Gerarchico Sociale fu cambiato
a. a. Sorga in potere della borghesia
b. Lavoratore della fabbrica diviene classe nuova, loro avevano nessuna fonte di reddito altra che i loro lavori
2. Urbanizzazione del Mondo
Struttura della famiglia cambiò
Il forte incremento demografico fu reso possibile dalle migliori condizioni alimentari e sanitarie che abbassarono il tasso di mortalità. Le epidemie infatti divennero meno frequenti e violente, mentre alcune malattie, come la peste, scomparvero del tutto grazie alla diffusione delle pratiche igieniche, all'attenzione riservata alla potabilità dell'acqua, alla costruzione di sistemi fognari efficienti.
La prima rivoluzione industriale (Età paleotecnica) consistette in una diffusa meccanizzazione attuata grazie all'applicazione della macchina a vapore in vari settori industriali e nei trasporti, utilizzando una nuova fonte di energia: il carbon fossile.
Diversi fattori favorirono l'inizio dei fenomeno nell'Inghilterra dei XVIII secolo. Iniziativa privata e libera concorrenza gettarono le basi dei liberismo economico. Si affermò il sistema di fabbrica a partire dal settore tessile. Il carbone fu richiesto anche dalla siderurgia e dalla metallurgia.
La rivoluzione dei trasporti usufruì dei miglioramento delle strade e dei canali navigabili, ma soprattutto delle invenzioni della nave a vapore e della ferrovia che si avvantaggiarono dell'uso di tipi di ferro più resistenti. I nodi ferroviari determinarono nuove localizzazioni industriali mentre i collegamenti tra regioni interne e porti marittimi favorirono il commercio mondiale.
Sul piano economico-sociale la prima rivoluzione industriale portò alla nascita della borghesia industriale e dei proletariato di fabbrica.
Nel secolo XIX l'industrializzazione si diffuse in Francia, Belgio, Germania.
Le esigenze della produzione industriale spinsero le potenze europee ad adottare politiche coloniali di tipo imperialista, specie nel Sud-est asiatico e in Africa.Il grande capitalismo si affermò negli Stati Uniti d'America nella seconda metà dei XIX secolo. La valorizzazione di materie prime e di fonti energetiche si accompagnò ad una massiccia immigrazione dall'Europa, alla creazione della rete ferroviaria, al popolamento da est verso ovest, all'ampliamento dei mercato interno, alla nascita di forti concentrazioni finanziarie.
LA VITA IN CITTA'


Molti arrivano in città, ma non riescono a trovare lavoro, così le strade si riempiono di mendicanti e di disperati che trovano consolazione nell'alcool.
In città la maggior parte della gente, operai e disoccupati, vive in case umide, poco aerate, poco illuminate, senza pavimenti rivestiti di piastrelle, senza bagno, senz'acqua; 8-10 persone vivono in una sola stanza. Le città non sono dotate di fognature.
Le case dei ricchi borghesi, invece, hanno molte stanze, molti domestici, sono belle, comode, divise in appartamenti per i padroni e appartamenti per i servi.
Le case degli operai si trovano in periferia, vicino alle fabbriche; mentre quelle dei ricchi si trovano nel centro della città, dove ci sono anche i negozi, le banche, gli uffici, ecc.
L'uso del combustibile fossile si deve anche ad un importante traguardo raggiunto nel campo chimico, la distillazione secca del litantrace, realizzata nel 1735 da Abraham Darby con la produzione del coke metallurgico, ottimo in siderurgia per produrre la ghisa mediante l'altoforno.
La maggior disponibilità di ferro a basso costo e la sua migliorata qualità permisero di fabbricare con questo metallo oggetti prima costruiti in legno nonché di realizzare prodotti molto resistenti, altrimenti impensabili: aratri, telai meccanici, macchine di vario genere, scafi delle navi, fino ad arrivare alle strade ferrate e alla locomotiva, i due elementi basilari del travolgente sviluppo delle ferrovie.
Queste ultime, come la nave a vapore, non furono altro che ulteriori applicazioni della macchina di Watt e nello stesso tempo costituirono la struttura portante dell'espansione dei trasporti che contraddistinse tutto l'800.
Nelle comunicazioni terrestri fu la ferrovia la vera protagonista della rivoluzione dei trasporti, grazie alla combinazione fra la locomotiva a vapore e le rotaie in ferro.
La locomotiva fu pronta ad essere adoperata per i trasporti su rotaia nel 1825.
In pochi anni la Gran Bretagna assistette alla costruzione di una vasta rete ferroviaria che collegava le città e soprattutto i centri industriali con i porti e i distretti minerari.
Il primo Paese a potenziare la navigazione fluviale con la costruzione di canali di collegamento fu la Francia che realizzò il canale "Du Midi'" già alla fine del seicento. Più tardi la Gran Bretagna raggiunse il primato europeo, spinta dalle proprie industrie che richiedevano mezzi poco costosi per il trasporto di materie prime ingombranti come il carbon fossile e i metalli.
La forza del vapore fu applicata alle navi fluviali a partire dal 1807 dopo che il "Clermunt" battello a ruote costruito in America da Robert Fulton, risalì l'Hudson da New York ad Albany. Ben presto la nave a vapore fu in grado di solcare i mari.
Si apriva così l'era dei grandi traffici marittimi che dura tuttora. L'invenzione dell'elica, intorno al 1840, insieme alla definitiva adozione dello scafo in ferro, resero fortemente competitiva la nave a vapore la quale, nella seconda metà dell'800, soppiantò quella a vela su tutte le grandi rotte. Questi progressi nella navigazione si cumularono con un importante avvenimento che favorì le comunicazioni marittime: l'apertura del canale di Suez del 1869 che permise un veloce transito tra il Mediterraneo e l'Oceano Indiano attraverso il Mar Rosso.
La spinta iniziale della rivoluzione industriale va ricercata tra le conseguenze della rivoluzione agraria: l'introduzione di nuove piante alimentari di provenienza americana, quali la patata e il mais, le rotazioni agrarie con le foraggere e quindi l'aumento del numero dei bovini e delle possibilità di concimazione naturale permisero un forte incremento delle produzioni agricole e casearie, consentendo di debellare gradualmente le carestie.
L'accresciuta produttività agricola e dunque la minor richiesta di manodopera provocarono l'allonatanamento di braccia da lavoro dai campi, braccia che si aggiunsero alle masse rurali costrette ad abbandonare le campagne per l'eliminazione delle terre comuni, che venivano trasformate in ampie proprietà private mediante le enclosures ossia le recinzioni (si tratta del passaggio dall'openfield al bocage). Questo flusso di manodopera si riversò nei centri manufatturieri alla ricerca di un lavoro, alimentado la formazione del proletariato urbano.
Il fenomeno si accrebbe anche in seguito al forte incremento demografico.
La rivoluzione dei trasporti maturò attraverso una lunga serie di miglioramenti intervenuti nella viabilità, ma ricevette l'impulso definitivo dalle nuove esigenze di scambio e dalla possibilità di usufruire di mezzi meccanici.
Nella seconda metà del secolo ci si preoccupò di predisporre un manto stradale idoneo al transito dei carri e delle diligenze: a questo scopo l'innovazione più importante si rivelò la massicciata di Mac Adam, costruita con schegge di pietra compressa da una macchina schiacciasassi e cementate da sabbia.
Il nuovo sistema permise notevoli risparmi di tempo nelle comunicazioni. Ma le merci voluminose e pesanti, non deperibili e di scarso valore unitario, non riuscivano a sostenere il costo del trasporto terrestre: furono perciò potenziate le vie d'acqua.
All'inizio del '700 la scienza europea aveva ormai compiutamente elaborato un metodo d'indagine moderno iniziato già nel secolo precedente con l'opera di Galileo e basato sull'esperimento e sulle misurazioni dei fenomeni. Questo nuovo clima culturale accrebbe la disponibilità ad accettare le innovazioni tecniche.
STORIA
Le invenzioni degli ultimi decenni del Settecento provocarono in Inghilterra quell’enorme sviluppo della produzione di manufatti che va sotto il nome di Rivoluzione Industriale. Tra queste invenzioni una nuova macchina per filare, la jenni , che consentiva a un solo operaio di azionare contemporaneamente 18 fusi anziché uno. La maggiore produzione ottenuta grazie ad essa fece diminuire il prezzo del filo, e conseguentemente dei tessuti. Al tempo stesso si diffuse la moda del cotone, che l’Inghilterra poteva facilmente procurarsi in India.
Le nuove macchine filatrici provocarono una profonda modificazione nell’organizzazione del lavoro. Prima la filatura e la tessitura si svolgevano specialmente nelle campagne: erano attività a domicilio svolte quasi sempre dalle donne e dai bambini, e organizzate dal mercante – capitalista che distribuiva la materia prima e ritirava il prodotto finito.
La jenni richiedeva la forza di un uomo per essere mossa e costava cara, ma rendeva bene. Molti contadini credettero di fare un affare vendendo la terra e comprando una jenni, alla quale lavorava tutta la famiglia.
Ma privandosi della proprietà della terra, divennero ben presto proletari, perché le macchine acquistate furono superate da nuovi modelli che essi non erano più in grado di procurarsi. Con i loro famigliari allora andare a lavorare come salariati alle macchine di qualche capitalista (a volte un collega più fortunato divenuto ricco).
La produzione tessile si spostò quindi dalla casa alla fabbrica, l’edificio dove il capitalista radunava le sue macchine, e dove ora confluivano lavoratori di più famiglie.
Questa concentrazione del lavoro fu favorita da nuovi sviluppi tecnici: all’inizio dell’Ottocento, alla filatrice meccanica si affiancò la tessitrice meccanica. Nelle fabbriche queste macchine non erano più mosse a mano, ma da motori idraulici, sorta di mulini a vento che ne azionavano contemporaneamente parecchie.

Un enorme passo avanti fu realizzato quando il motore idraulico fu sostituito dal motore a vapore, la macchina ideata da . All’inizio dell’Ottocento buona parte delle industrie tessili erano alimentate da un motore a vapore.
Il lavoro nelle fabbriche era ben diverso da quello nelle botteghe artigiane. Le macchine svolgevano ora molte operazioni che prima erano compito dell’artigiano. All’operaio erano riservati movimenti semplici e ripetitivi, ma non per questo meno faticosi.
Inoltre, i padroni delle fabbriche cercavano di attuare al massimo la divisione del lavoro, perché ne avevano scoperto la grande convenienza economica. La divisione del lavoro e la meccanizzazione produssero una profonda trasformazione della qualità del lavoro.
Col sorgere delle industrie iniziò infatti il lento ma inesorabile tramonto dell’artigianato. L’abilità manuale, che per secoli era stata il più prezioso patrimonio degli artigiani, andava perdendo la sua importanza ed era destinata a scomparire. Alla maggior parte degli operai di fabbrica non era richiesta alcuna particolare abilità, per questo molti lavori potevano essere svolti indifferentemente da uomini, donne o bambini.
In un’epoca in cui la popolazione andava rapidamente aumentando, trovare manodopera non era un problema per gli imprenditori, mentre era un problema per gli operai trovare lavoro. Per questo i primi decenni della rivoluzione industriale furono caratterizzati da un generale abbassamento dei salari, e da una gravissima condizione di miseria della classe lavoratrici.
Le condizioni di lavoro degli operai erano molto difficili, a volte drammatiche per diverse ragioni. Innanzitutto l’orario di lavoro poteva prolungarsi per 16-18 ore. Inoltre era sottoposto a rigidi regolamenti che rendevano la vita di fabbrica simile a quella del carcere.

Il lavoro degli operai era reso ancora più duro dalle condizioni in cui si svolgeva.Capannoni dai soffitti bassi, dalle finestre strette e quasi sempre chiuse. Nelle filande di cotone la borra aleggiava come una nube e penetrava nei polmoni causando col tempo gravi scompensi. Nelle filande di lino, dove si praticava la filatura ad umido, il vapore acqueo saturava l’atmosfera e inzuppava gli abiti. L’ammassarsi di numerose persone in ambienti chiusi provocava una febbre contagiosa.
Frequenti erano anche gli infortuni come l’asportazione di una falange del dito, a volte del dito intero, della metà della mano o della mano intera, stritolati dagli ingranaggi delle macchine.
Nelle fabbriche inglesi, erano assunti di preferenza donne e bambini che potevano essere pagati con salari inferiori e che possedevano quella manualità necessaria al lavoro nei telai meccanici.
Entravano dai cancelli delle filande alle cinque del mattino e ne uscivano verso le otto di sera, compreso il sabato. Tutto questo tempo stavano rinchiusi con una temperatura variante dai 26 ai 30 gradi.

I pasti venivano consumati nell’unica sosta di mezz’ora per la prima colazione e di un’ora per il pranzo. Ogni mancanza o ritardo veniva punita con feroci battiture.
Le denunce di questo brutale trattamento e le indagini condotte da alcune commissioni statali portarono all’approvazione di leggi che limitavano il lavoro infantile a solo 8 ore per i ragazzi di età inferiore a 13 anni e a dodici ore per i ragazzi al di sotto dei 18 anni. In particolare il Factory Act del 1833 vietò il lavoro notturno e ridusse le ore lavorative per consentire ai ragazzi dagli 8 ai 13 anni di frequentare la scuola.
Il successo della meccanizzazione in campo tessile spinse altre industrie ad adottare nuove macchine e a cercare di applicare ad esse il motore a vapore. Quest’ultimo doveva essere alimentato con carbone, mentre la costruzione delle macchine richiedeva l’impiego del ferro. Il primo effetto della rivoluzione industriale fu dunque lo sviluppo delle miniere di carbone e di ferro.
Le miniere di carbone potevano essere sempre più profonde, ma si rendeva necessario garantire l’areazione. Si cercava di fare in modo che l’aria entrasse da un pozzo e uscisse da un altro. Per regolarne il flusso si dividevano le gallerie con tramezze di legno. Spesso un bambino era addetto ad aprire e chiudere la porta al passaggio dei minatori.

La ventilazione era necessaria anche per evitare all’interno della miniera la formazione di gas, insidia mortale per i minatori.
Se nelle gallerie più superficiali si formava il "gas asfissiante" , nelle zone più profonde poteva formarsi la miscela esplosiva di metano e aria detta grisù. Le frequenti esplosioni provocavano decine o anche centinaia di morti.
Poiché l’esplosione era spesso causata dalla fiamma della lampada dei minatori, nel 1815 fu inventata una lampada di sicurezza.

Per trasportare poi i prodotti sempre più rapidamente si ricercarono e inventarono nuovi mezzi di trasporto.
L’invenzione della locomotiva (Stephenson, 1814) portò alla nascita della ferrovia. In una decina di anni circa, tutte le principali città inglesi furono collegate da una rete ferroviaria. Lo sviluppo ferroviario non trasformò solo i trasporti, ma aumentò enormemente la richiesta di minerali, poiché per costruire un solo chilometro di ferrovia erano necessarie circa 200 tonnellate di ferro.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’industria si diffuse in quasi tutta l’Europa e questo sviluppo fu reso possibile da un gran numero di invenzioni e dal rinnovamento delle tecniche per cui si parla di una seconda rivoluzione industriale.
Anche sul piano politico l'Inghilterra godette, nel corso del XVIII secolo, di alcune condizioni particolarmente favorevoli allo sviluppo industriale:
• creazione di un vasto mercato nazionale
• una nobiltà disponibile all'attività imprenditoriale
• una borghesia intraprendente, sufficientemente tutelata dalla legislazione
• una mentalità aperta alle novità, plasmata dall'etica protestante del lavoro
Una nobiltà disponibile all'attività imprenditoriale
La nobiltà inglese, a differenza di buona parte di quella continentale, non aveva un atteggiamento di disprezzo verso le attività economicamente produttive. La mentalità generale era relativamente più aperta che negli altri Stati e la minor rigidità nella struttura sociale permetteva, in certi casi, il passaggio da una classe all'altra.
Territorio favorevole
Non ultima tra le cause della nascita dell'industria moderna fu la possibilita', in molti Paesi Europei e in primo luogo luogo in Gran Bretagna, di sfruttare vasti giacimenti di carbon fossile e di minerali metallici.
Ciò conduce a riflettere anche su gli altri fattori di carattere fisico-ambientale presenti in tutta l'Europa centro-occidentale e determinanti per il primo sviluppo industriale inglese:
• clima temperato adatto all'allevamento di ovini da lana, nelle zone meno piovose, e di bovini da latte, nelle zone più umide: le industrie laniere e quelle lattiero-casearie trovarono dunque presupposti favorevoli al loro sviluppo;
• numerosi corsi d'acqua sfruttati dapprima per azionare i mulini e, in un secondo momento, per operazioni di lavaggio di fibre tessili, per il raffreddamento dei metalli e la produzione di vapore; laddove le condizioni lo permettevano, i fiumi furono usati come vie navigabili e collegati tra loro con una rete di canali;
• ampia disponibilità di pianure e assenza di rilievi molto pronunciati con la conseguente facilità di comunicazione e di insediamento degli stabilimenti industriali;
• la presenza di numerosi porti ben collegati con il retroterra e essenziali per gli scambi.
Creazione di un vasto mercato nazionale
Nel 1707, con l'unificazione delle corone inglese e scozzese, la Gran Bretagna divenne uno stato unitario e furono abolite le dogane interne. Si creo' cosi un mercato nazionale abbastanza vasto in cui le merci potevano circolare liberamente, perché non gravate da dazi. Il commercio si avvantaggiava della presenza di mercati esterni protetti, come quello irlandese e quelli delle colonie in Africa, nelle Indie occidentali e soprattutto nel nord America.
Rivoluzione industriale
Con l'espressione rivoluzione industriale si intende un processo di rapida e intensa trasformazione nell'organizzazione tecnico-economica delle lavorazioni di materie prime accompagnato dalla meccanizzazione.
FLUSSI MIGRATORI
dall'Europa all'America
(1860-1920)
Tra il 1860 e il 1920 c'è una grande ondata migratoria.
I maggiori flussi partono da Inghilterra, Irlanda, Germania, Scandinavia, Russia, Italia, Spagna, Portogallo ed Europa Orientale ed arrivano alle Americhe. I Francesi invece si dirigono verso le loro colonie d'Africa.
Gli emigranti viaggiano su navi in condizioni molto precarie e senza alcuna prospettiva sicura per il loro futuro.
Alcuni di questi Stati europei, come la Russia, l'Italia, la Spagna, il Portogallo e, in genere, quelli dell'Europa Orientale, soffrono di un basso grado di sviluppo economico - poche le industrie; prevalente un'agricoltura condotta secondo vecchi modelli feudali.
In altri Stati, invece, come in Francia, in Inghilterra e in Germania, lo sviluppo industriale è avviato da tempo, ma, assieme ad esso, si fanno sentire anche alcune conseguenze negative: la disoccupazione soprattutto per braccianti ed artigiani.
L'EMIGRAZIONE IN EUROPA
fino agli anni Settanta
Polacchi, Spagnoli, Italiani (meridionali e del Nord-Est), Slavi, ecc. emigrano verso le aree europee economicamente più sviluppate, come il Belgio, la Francia, la Germania, l'Italia del Nord-Ovest e verso le grandi città. Sperano di trovare un lavoro e una sistemazione migliore di quella che hanno nel loro paese d'origine.
Trovare lavoro è abbastanza facile perché, superate le difficoltà del dopoguerra, la ripresa economica marcia a ritmi serrati. Le grandi città industriali europee hanno bisogno di molta manodopera e attirano a sé grandi flussi migratori.
Forte incremento demografico
Il forte incremento demografico fu reso possibile dalle migliori condizioni alimentari e sanitarie che abbassarono il tasso di mortalità. Le epidemie infatti divennero meno frequenti e violente, mentre alcune malattie, come la peste, scomparvero del tutto grazie alla diffusione delle pratiche igieniche, all'attenzione riservata alla potabilità dell'acqua, alla costruzione di sistemi fognari efficienti.
La prima rivoluzione industriale

La prima rivoluzione industriale (Età paleotecnica) consistette in una diffusa meccanizzazione attuata grazie all'applicazione della macchina a vapore in vari settori industriali e nei trasporti, utilizzando una nuova fonte di energia: il carbon fossile.
Diversi fattori favorirono l'inizio dei fenomeno nell'Inghilterra dei XVIII secolo. Iniziativa privata e libera concorrenza gettarono le basi dei liberismo economico. Si affermò il sistema di fabbrica a partire dal settore tessile. Il carbone fu richiesto anche dalla siderurgia e dalla metallurgia.
La rivoluzione dei trasporti usufruì dei miglioramento delle strade e dei canali navigabili, ma soprattutto delle invenzioni della nave a vapore e della ferrovia che si avvantaggiarono dell'uso di tipi di ferro più resistenti. I nodi ferroviari determinarono nuove localizzazioni industriali mentre i collegamenti tra regioni interne e porti marittimi favorirono il commercio mondiale.
Sul piano economico-sociale la prima rivoluzione industriale portò alla nascita della borghesia industriale e dei proletariato di fabbrica.
Nel secolo XIX l'industrializzazione si diffuse in Francia, Belgio, Germania.
Le esigenze della produzione industriale spinsero le potenze europee ad adottare politiche coloniali di tipo imperialista, specie nel Sud-est asiatico e in Africa.Il grande capitalismo si affermò negli Stati Uniti d'America nella seconda metà dei XIX secolo. La valorizzazione di materie prime e di fonti energetiche si accompagnò ad una massiccia immigrazione dall'Europa, alla creazione della rete ferroviaria, al popolamento da est verso ovest, all'ampliamento dei mercato interno, alla nascita di forti concentrazioni finanziarie.
La rivoluzione "del carbone bianco"
La prima fase della rivoluzione industriale comincia in Inghilterra verso la metà del Settecento. Essa presuppone la rivoluzione agraria e si fonda sull'uso del carbone e dell'acciaio.
La seconda fase, che ha inizio intorno ai primi anni del Novecento, si basa invece sullo sfruttamento di una nuova fonte di energia, il cosiddetto "carbone bianco" cioè l'elettricità. E' nel contesto della ricerca di questa nuova fonte energetica che va collocato il disastro del Vajont.
La terza fase della rivoluzione industriale è quella tuttora in atto, ed ha a che fare con l'introduzione delle tecnologie informatiche nel mondo della produzione e degli scambi. A questa terza ed ultima fase, che non è strettamente collegata con l'argomento che ci interessa, dedicheremo solo dei cenni.
La rivoluzione permanente. Incontri e scontri in tema di rivoluzione industriale
Sino ad una quindicina di anni fa la rivoluzione industriale (R.I.) sembrava inscritta in via definitiva, nelle narrazioni storiche più disparate, come quella fase durante la quale si era disegnata una verticale ed irreversibile discontinuità nell'infinito segmento della storia umana: infatti veniva (e viene) considerata come l'età preindustriale. Fu nel 1981 -né personalmente dispongo di una accettabile spiegazione del perché proprio allora- che comparve un grappolo di studi, pur variamente impostati, finalizzati a negare la pur minima validità a quella espressione: con una fulminante battuta ad effetto di Bellini, -"(it) can now be seen for what it really was: a flash in the pan"- [1] ma soprattutto con riferimenti ed argomentazioni meditate e di natura prettamente storiografica, che raggiungevano il massimo di originalità e di forza eversiva in The Economic History of Britain since 1700 [2]. E’ un'opera che, al di là del proprio valore intrinseco, costituiva il primo, organico intervento su un tema cruciale come la R.I. da parte di un manipolo di studiosi, compartecipi di una scuola che aveva alle spalle un venticinquennio di vita, la new economic history, -aggregata e consolidata in alcuni dipartimenti statunitensi di economics, in sprezzante e inesausta polemica contro le pratiche dominanti nella disciplina, accusata di aver sempre ignorato o respinto quelli che dovevano invece rappresentarne i canoni fondanti e irrinunciabili. E cioè l'impiego costante e aggiornato di tecniche statistiche in grado di riordinare i dati statistici disponibili -come di integrarli laddove tali non fossero- e l'adozione di categorie e di concetti elaborati e sperimentati dalla teoria economica (che era poi quella neoclassica): gli unici adeguati a dar loro un senso logico-storico. E dunque una spiegazione rigorosamente irrefutabile, non letteraria, dei grandi processi storici. La sintesi della ricerca curata da Floud e McCloskey in merito alla R.I., sulla base di tali presupposti, può essere data, banalizzandola, dalla icastica affermazione del secondo per il quale la R.I. "was the central event of modern history, british or other, more in memory than in happening". Sta di fatto che si era aperta una breccia nel metaforico edificio, apparentemente stabile e compatto, costruito sull'idea di R.I. come discontinuità e come chiave di lettura dello sviluppo economico inglese nel '700, e perciò del processo di industrializzazione. Quella breccia si allargò in tempi estremamente contratti per una serie di studi e di ricerche di indole difforme ma globalmente convergenti in tale direzione: fra i quali sbalzavano in maniera vistosa, e non solo per la loro mole, quelli di un buon numero di storici sociali -eredi e rinnovatori di una tradizione particolarmente ricca ed autorevole nel mondo anglo- sassone, ma anche altrove- che affrontarono la questione ponendosi da un angolo visuale opposto rispetto ai new economic historians, del cui lavoro pure si avvalevano, ponendo l'accento sull'economia morale, sui valori e gli stili di vita, sulla demografia e sulle forme di lavoro delle classi subalterne, ed evidenziandone la permanenza e l'incisività. Il che li induceva a guardare ai cambiamenti in corso nell'Inghilterra del '700 come a una "story implying gradual metamorphosis and considerable elements of continuity with the past" [3]. Né di marginale importanza fu il contributo che a tale tendenza provenne dagli studi di storici della Tecnica da tempo consentanei con un punto di vista siffatto [4]. Sottoposto ad un attacco concentrico, condotto oltre tutto con notevole e ragionata aggressività, il metaforico edificio del quale abbiamo già detto, più che crollare, implose (anche per la distrazione -o la debolezza?- di chi doveva occuparsi della sua manutenzione) e apparve sempre più come un rispettabilissimo frammento di archeologia storiografica. Va detto che l'attenzione degli studiosi non cessò per questo; ma anche che gli interventi, mai in calo, si vennero indirizzando, in generale, verso una convalida della nuova ortodossia continuista: in ricerche di ambito locale, settoriale, demografico-storiche e di antropologia culturale da una parte; e, dall'altra, in una estensione e in ulteriori lavorazioni del materiale statistico [5]. Con gli impliciti avanzamenti, che non potevano non derivarne, emersero di conserva non pochi né trascurabili dissapori e contrasti fra quelle due direttrici di ricerca; e poi, ineluttabilmente, anche al loro interno [6]. Ma vanno almeno segnalati in merito alcuni lavori di spicco che investivano la solidità delle serie, i vuoti non apprezzati, la correttezza dei calcoli, l'efficacia delle categorie economico-statistiche fondamentali (PIL, produttività totale dei fattori, movimento dei prezzi, uso di astratti modelli socio-culturali) [7]. Fra ricerche e contrasti, riesame critico dei dati -insistito e non privo di esiti- e reciproci e pur parziali riconoscimenti, non sembrava da escludere una più o meno lontana simbiosi delle varie tendenze. Un libro di Mokyr, uscito nel 1990, poteva oltre tutto servire da ponte [8]. Appare piuttosto impressionante invece quel che accadde di lì a non molto. Non alludo tanto ad un saggio del 1993 di Landes -animato da una vena sarcastica fuori dell'ordinario, e affatto sorprendente nell'autore di "Prometeo liberato"- il quale, chiamando in causa i più autorevoli new economic historians, concludeva con un capitoletto dal titolo inequivocabile (e per niente conciliante): "La rivoluzione fu una rivoluzione" [9]. Mi riferisco invece alla comparsa nel 1992 di due saggi di antichi e fervidi sostenitori della continuità, nei quali si poteva leggere -con un po' di stupore, a dire il vero- che: "if this is done it should not be long before the notion of an industrial revolution, occurring in England in the late eighteenth and early nineteenth century is fully rehabilitated", nel primo; e che: "Finally we reaffirm the importance of the industrial revolution as an historical discontinuity", nel secondo [10]. L'armistizio, non diciamo la pace, era comunque ancora lontano. E chi voglia scorrere i numeri più recenti della Economic History Review ne scoprirà agevolmente i perché. Anche se va aggiunto che i motivi del contendere sono adesso prevalentemente altri, non pochi dei quali di dirimente portata [11]. Mentre, per quanto mi riguarda, proprio in tema di rivoluzione industriale, continuo a ritenere che, con essa -e in merito ad essa- converrà riabilitare, almeno in parte, un celebre "cane morto" [12].
Giorgio Mori
La seconda rivoluzione industriale

Nuove fonti energetiche (elettricità e petrolio) innescarono la seconda rivoluzione industriale, aprendo l'Età neotecnica.
Le prime centrali idroelettriche sorsero alla fine dei XIX secolo. Fattori geografici favorevoli consentirono la valorizzazione delle risorse idriche con la costruzione di centrali elettriche in Europa, Nord America, Russia e, più tardi, nelle zone equatoriali. La possibilità di distribuzione capillare a grande distanza (elettrodotti) originò la diffusione dell'industrializzazione in nuovi Paesi. L'invenzione del motore a combustione interna rese vantaggioso lo sfruttamento del petrolio come carburante. Esso divenne utile anche come combustibile per le centrali termoelettriche. Sorsero le industrie petrolchimiche e apparvero l'automobile e l'aereo. Lo sfruttamento petrolifero, iniziato negli Stati Uniti interessò ben presto il Medio Oriente, con riflessi geo-politici e geo-economici.
La seconda rivoluzione si accompagnò allo sviluppo delle fasce costiere dove sorsero porti industriali con lavorazione di base delle materie prime sbarcate, specie in Paesi, come Italia e Giappone, favoriti da una buona posizione geografica. Le industrie leggere si diversificavano intanto in numerosi settori e si espandevano grazie allo sviluppo della viabilità. L'Età neotecnica si manifestò in ritardo nell'Europa orientale dove si affermò il sistema socialista. Esso si fondava politicamente sul partito unico marxista ed economicamente sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione e sulla pianificazione. Il sistema si è sfaldato alla fine degli anni '80. E' in questa fase della rivoluzione industriale che va collocata la costruzione della diga e il disastro del Vajont.
LA VITA IN CITTA'
Molti arrivano in città, ma non riescono a trovare lavoro, così le strade si riempiono di mendicanti e di disperati che trovano consolazione nell'alcool.
In città la maggior parte della gente, operai e disoccupati, vive in case umide, poco aerate, poco illuminate, senza pavimenti rivestiti di piastrelle, senza bagno, senz'acqua; 8-10 persone vivono in una sola stanza. Le città non sono dotate di fognature.
Le case dei ricchi borghesi, invece, hanno molte stanze, molti domestici, sono belle, comode, divise in appartamenti per i padroni e appartamenti per i servi.
Le case degli operai si trovano in periferia, vicino alle fabbriche; mentre quelle dei ricchi si trovano nel centro della città, dove ci sono anche i negozi, le banche, gli uffici, ecc.
Disponibilità di nuove materie prime minerarie come il carbon fossile
L'uso del combustibile fossile si deve anche ad un importante traguardo raggiunto nel campo chimico, la distillazione secca del litantrace, realizzata nel 1735 da Abraham Darby con la produzione del coke metallurgico, ottimo in siderurgia per produrre la ghisa mediante l'altoforno.
La maggior disponibilità di ferro a basso costo e la sua migliorata qualità permisero di fabbricare con questo metallo oggetti prima costruiti in legno nonché di realizzare prodotti molto resistenti, altrimenti impensabili: aratri, telai meccanici, macchine di vario genere, scafi delle navi, fino ad arrivare alle strade ferrate e alla locomotiva, i due elementi basilari del travolgente sviluppo delle ferrovie.
Queste ultime, come la nave a vapore, non furono altro che ulteriori applicazioni della macchina di Watt e nello stesso tempo costituirono la struttura portante dell'espansione dei trasporti che contraddistinse tutto l'800.


Nascita della ferrovia e creazione della rete ferroviaria
Nelle comunicazioni terrestri fu la ferrovia la vera protagonista della rivoluzione dei trasporti, grazie alla combinazione fra la locomotiva a vapore e le rotaie in ferro.
La locomotiva fu pronta ad essere adoperata per i trasporti su rotaia nel 1825.
In pochi anni la Gran Bretagna assistette alla costruzione di una vasta rete ferroviaria che collegava le città e soprattutto i centri industriali con i porti e i distretti minerari.
Intanto le ferrovie avevano cominciato a diffondersi in molti altri Paesi europei, come la Francia, il Belgio, la Germania e l'Italia, ma si trattava di brevi tronchi non collegati tra loro. Solo intorno al 1870, quando si sviluppò una rete integrata a livello internazionale, la ferrovia fu in grado di esplicare in pieno le sue funzioni economiche e sociali.

Nascita della navigazione fluviale
Il primo Paese a potenziare la navigazione fluviale con la costruzione di canali di collegamento fu la Francia che realizzò il canale "Du Midi'" già alla fine del seicento. Più tardi la Gran Bretagna raggiunse il primato europeo, spinta dalle proprie industrie che richiedevano mezzi poco costosi per il trasporto di materie prime ingombranti come il carbon fossile e i metalli.
La forza del vapore fu applicata alle navi fluviali a partire dal 1807 dopo che il "Clermunt" battello a ruote costruito in America da Robert Fulton, risalì l'Hudson da New York ad Albany. Ben presto la nave a vapore fu in grado di solcare i mari.
Si apriva così l'era dei grandi traffici marittimi che dura tuttora. L'invenzione dell'elica, intorno al 1840, insieme alla definitiva adozione dello scafo in ferro, resero fortemente competitiva la nave a vapore la quale, nella seconda metà dell'800, soppiantò quella a vela su tutte le grandi rotte. Questi progressi nella navigazione si cumularono con un importante avvenimento che favorì le comunicazioni marittime: l'apertura del canale di Suez del 1869 che permise un veloce transito tra il Mediterraneo e l'Oceano Indiano attraverso il Mar Rosso.

Povertà
Condizione di carenza oggettiva di quei beni, materiali e non, che sono indispensabili per assicurare ad un individuo, ad un gruppo, ad una popolazione, il minimo livello di vita considerato socialmente accettabile. La povertà è quindi misurabile in modo oggettivo, in termini di alimentazione, cure mediche, scolarità ecc., ma è storicamente relativa. La linea della povertà, infatti, varia secondo le epoche e le società, e tende ad innalzarsi.
Il fenomeno divenne oggetto di studio delle scienze sociali in Inghilterra con la Rivoluzione industriale e fu attribuito alla sovrappopolazione ed alla disoccupazione. L’area di maggior concentrazione della povertà nel mondo, alla fine del XX secolo, si trova nei paesi cosiddetti sottosviluppati del Terzo mondo, dove la povertà deriva in buona parte dalla dipendenza economica imposta dai paesi del Nord.
La previsione marxiana di una pauperizzazione crescente si è avverata, nonostante la linea della povertà si alzi nei paesi avanzati con un buon Welfare State, ma nuove forme di povertà appaiono con prepotenza nei paesi industrialmente avanzati con il taglio dello stato sociale. Inoltre, sotto la linea della povertà cadono anche i lavoratori marginali, addetti ai settori non portanti dell’economia globalizzata
La rivoluzione agraria

La spinta iniziale della rivoluzione industriale va ricercata tra le conseguenze della rivoluzione agraria: l'introduzione di nuove piante alimentari di provenienza americana, quali la patata e il mais, le rotazioni agrarie con le foraggere e quindi l'aumento del numero dei bovini e delle possibilità di concimazione naturale permisero un forte incremento delle produzioni agricole e casearie, consentendo di debellare gradualmente le carestie.
L'accresciuta produttività agricola e dunque la minor richiesta di manodopera provocarono l'allonatanamento di braccia da lavoro dai campi, braccia che si aggiunsero alle masse rurali costrette ad abbandonare le campagne per l'eliminazione delle terre comuni, che venivano trasformate in ampie proprietà private mediante le enclosures ossia le recinzioni (si tratta del passaggio dall'openfield al bocage). Questo flusso di manodopera si riversò nei centri manufatturieri alla ricerca di un lavoro, alimentado la formazione del proletariato urbano.
Il fenomeno si accrebbe anche in seguito al forte incremento demografico.
Rivoluzione dei trasporti
La rivoluzione dei trasporti maturò attraverso una lunga serie di miglioramenti intervenuti nella viabilità, ma ricevette l'impulso definitivo dalle nuove esigenze di scambio e dalla possibilità di usufruire di mezzi meccanici.
Sviluppo di nuove vie di comunicazione
Nella seconda metà del secolo ci si preoccupò di predisporre un manto stradale idoneo al transito dei carri e delle diligenze: a questo scopo l'innovazione più importante si rivelò la massicciata di Mac Adam, costruita con schegge di pietra compressa da una macchina schiacciasassi e cementate da sabbia.
Il nuovo sistema permise notevoli risparmi di tempo nelle comunicazioni. Ma le merci voluminose e pesanti, non deperibili e di scarso valore unitario, non riuscivano a sostenere il costo del trasporto terrestre: furono perciò potenziate le vie d'acqua.

Rivoluzione industriale
Termine che indica lo sconvolgimento tecnico del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, quando la comparsa dell'energia meccanica (macchina a vapore, forni, ecc.) permise lo sviluppo delle tecniche di produzione industriali con forti aumenti di produttività.
Anche se si può sottolineare lo sviluppo precoce di alcune tecniche produttive in Francia (la macchina a vapore di Denis Papin, la chiatta a vapore di Jouffroy d'Abbans) o in Olanda (nel settore tessile), tutti gli storici sono concordi nel riconoscere che il luogo che ha dato i natali alla rivoluzione industriale è l'Inghilterra. Il problema però è stabilire le date precise e le ragioni di questo decollo industriale. Per quanto riguarda le date, senza risalire al Medioevo (nel corso del quale si sviluppò quella alcuni chiamano la «prima rivoluzione industriale»: invenzione del collare da tiro, diffusione dei mulini a vento), le invenzioni che hanno permesso la rivoluzione industriale sono in alcuni casi molto anteriori alla loro adozione concreta. E senza un'agricoltura efficiente non avremmo potuto avere lo spostamento di una parte della manodopera dall'agricoltura all'industria. Per questo motivo gli storici anticipano la data della rivoluzione industriale dal 1780 al 1730. Quanto alle ragioni, queste rimangono ancora oscure. Da un punto di vista logico, la rivoluzione industriale avrebbe dovuto nascere in Olanda, nelle città italiane o in Francia, dove il commercio era più attivo, i capitali più disponibili e le reti di approvvigionamento più efficienti. All'origine di questo evento ci potrebbe essere la conseguenza del puritanesimo (tesi di Max Weber), quella della rivoluzione agricola che ha liberato una manodopera a buon mercato (tesi di Marx), il ruolo attivo svolto dal commercio «avventuroso» grazie al dominio britannico sui mari (tesi di Braudel) o, ancora, il risultato della «fiducia», cioè l'assenza di una burocrazia centralizzatrice (tesi di Peyrefitte).
Sull'esempio di Schumpeter, molti ritengono che le nostre società industriali siano periodicamente investite da ondate di innovazioni prodotte da un nucleo centrale di cambiamenti tecnici. Si parla così della prima rivoluzione industriale, prodotta dal vapore, dal settore tessile e dalla siderurgia. Poi è stata la volta della seconda rivoluzione industriale, un secolo e mezzo più tardi, con la chimica, l'automobile e l'elettricità. Oggi saremmo sul punto di inaugurare la terza rivoluzione industriale, spinta dall'informatica, dalle biotecnologie e dai materiali compositi. Può darsi che sia così, ma questa visione tecnologica delle cose dà troppo spazio ai cambiamenti tecnici e ignora l'importanza dei cambiamenti sociali e culturali: perché non parlare allora di una rivoluzione dello stato assistenziale? I procedimenti produttivi svolgono indubbiamente un ruolo fondamentale nelle nostre società. Ma il modo in cui questi cambiamenti tecnici sono inquadrati, gestiti, o assorbiti dalle istituzioni, dalle norme collettive, dai rapporti di forza ha un ruolo altrettanto importante.
Una borghesia intraprendente, sufficientemente tutelata dalla legislazione

La borghesia britannica godeva di garanzie di carattere civile e politico che non avevano uguali sul continente. Il potere della Camera dei Comuni, dove era rappresentata la grande borghesia, si accresceva sempre più. Questa classe sociale si sentì perciò sostanzialmente garantita nella propria libertà di iniziativa e si trovò nelle condizioni migliori per affrontare i rischi di nuove imprese.

Una mentalità aperta alle novità, plasmata dall'etica protestante del lavoro
Nella formazione della mentalità imprenditoriale della borghesia, influi in modo rilevante l'etica protestante del lavoro, affermatasi anche nel nord America, in Olanda e in Svizzera, che considerava il successo economico un segno tangibile della Grazia divina. Inoltre era diffuso il senso della responsabilità nel rispetto del bene comune: la borghesia del tempo si sentiva chiamata a partecipare alla creazione di un mondo nuovo e perciò era stimolata a ricercare un progresso costante.
SI FERMANO I FLUSSI MIGRATORI
Durante il periodo del fascismo e della Seconda guerra mondiale i flussi migratori italiani si fermano. Il fascismo blocca l'emigrazione e pianifica forme di migrazione interna di braccianti disoccupati che vanno a bonificare alcune zone paludose del nostro Paese. Inoltre conquista territori in Africa, dove, si pensa, i disoccupati italiani potranno trovare lavoro coltivando la terra.
Quando scoppia la guerra poi, gli uomini trovano 'occupazione' come soldati o come operai nelle fabbriche di armi.
In questo periodo c'è un nuovo tipo di 'emigrazione': i dissidenti (antifascisti) sono costretti a scappare, a rifugiarsi all'estero
STORIA

Le invenzioni degli ultimi decenni del Settecento provocarono in Inghilterra quell’enorme sviluppo della produzione di manufatti che va sotto il nome di Rivoluzione Industriale. Tra queste invenzioni una nuova macchina per filare, la jenni , che consentiva a un solo operaio di azionare contemporaneamente 18 fusi anziché uno. La maggiore produzione ottenuta grazie ad essa fece diminuire il prezzo del filo, e conseguentemente dei tessuti. Al tempo stesso si diffuse la moda del cotone, che l’Inghilterra poteva facilmente procurarsi in India.
Le nuove macchine filatrici provocarono una profonda modificazione nell’organizzazione del lavoro. Prima la filatura e la tessitura si svolgevano specialmente nelle campagne: erano attività a domicilio svolte quasi sempre dalle donne e dai bambini, e organizzate dal mercante – capitalista che distribuiva la materia prima e ritirava il prodotto finito.
La jenni richiedeva la forza di un uomo per essere mossa e costava cara, ma rendeva bene. Molti contadini credettero di fare un affare vendendo la terra e comprando una jenni, alla quale lavorava tutta la famiglia.
Ma privandosi della proprietà della terra, divennero ben presto proletari, perché le macchine acquistate furono superate da nuovi modelli che essi non erano più in grado di procurarsi. Con i loro famigliari allora andare a lavorare come salariati alle macchine di qualche capitalista (a volte un collega più fortunato divenuto ricco).
La produzione tessile si spostò quindi dalla casa alla fabbrica, l’edificio dove il capitalista radunava le sue macchine, e dove ora confluivano lavoratori di più famiglie.
Questa concentrazione del lavoro fu favorita da nuovi sviluppi tecnici: all’inizio dell’Ottocento, alla filatrice meccanica si affiancò la tessitrice meccanica. Nelle fabbriche queste macchine non erano più mosse a mano, ma da motori idraulici, sorta di mulini a vento che ne azionavano contemporaneamente parecchie.

Un enorme passo avanti fu realizzato quando il motore idraulico fu sostituito dal motore a vapore, la macchina ideata da . All’inizio dell’Ottocento buona parte delle industrie tessili erano alimentate da un motore a vapore.
Il lavoro nelle fabbriche era ben diverso da quello nelle botteghe artigiane. Le macchine svolgevano ora molte operazioni che prima erano compito dell’artigiano. All’operaio erano riservati movimenti semplici e ripetitivi, ma non per questo meno faticosi.
Inoltre, i padroni delle fabbriche cercavano di attuare al massimo la divisione del lavoro, perché ne avevano scoperto la grande convenienza economica. La divisione del lavoro e la meccanizzazione produssero una profonda trasformazione della qualità del lavoro.
Col sorgere delle industrie iniziò infatti il lento ma inesorabile tramonto dell’artigianato. L’abilità manuale, che per secoli era stata il più prezioso patrimonio degli artigiani, andava perdendo la sua importanza ed era destinata a scomparire. Alla maggior parte degli operai di fabbrica non era richiesta alcuna particolare abilità, per questo molti lavori potevano essere svolti indifferentemente da uomini, donne o bambini.
In un’epoca in cui la popolazione andava rapidamente aumentando, trovare manodopera non era un problema per gli imprenditori, mentre era un problema per gli operai trovare lavoro. Per questo i primi decenni della rivoluzione industriale furono caratterizzati da un generale abbassamento dei salari, e da una gravissima condizione di miseria della classe lavoratrici.
Le condizioni di lavoro degli operai erano molto difficili, a volte drammatiche per diverse ragioni. Innanzitutto l’orario di lavoro poteva prolungarsi per 16-18 ore. Inoltre era sottoposto a rigidi regolamenti che rendevano la vita di fabbrica simile a quella del carcere.

Il lavoro degli operai era reso ancora più duro dalle condizioni in cui si svolgeva.Capannoni dai soffitti bassi, dalle finestre strette e quasi sempre chiuse. Nelle filande di cotone la borra aleggiava come una nube e penetrava nei polmoni causando col tempo gravi scompensi. Nelle filande di lino, dove si praticava la filatura ad umido, il vapore acqueo saturava l’atmosfera e inzuppava gli abiti. L’ammassarsi di numerose persone in ambienti chiusi provocava una febbre contagiosa.
Frequenti erano anche gli infortuni come l’asportazione di una falange del dito, a volte del dito intero, della metà della mano o della mano intera, stritolati dagli ingranaggi delle macchine.
Nelle fabbriche inglesi, erano assunti di preferenza donne e bambini che potevano essere pagati con salari inferiori e che possedevano quella manualità necessaria al lavoro nei telai meccanici.
Entravano dai cancelli delle filande alle cinque del mattino e ne uscivano verso le otto di sera, compreso il sabato. Tutto questo tempo stavano rinchiusi con una temperatura variante dai 26 ai 30 gradi.

I pasti venivano consumati nell’unica sosta di mezz’ora per la prima colazione e di un’ora per il pranzo. Ogni mancanza o ritardo veniva punita con feroci battiture.
Le denunce di questo brutale trattamento e le indagini condotte da alcune commissioni statali portarono all’approvazione di leggi che limitavano il lavoro infantile a solo 8 ore per i ragazzi di età inferiore a 13 anni e a dodici ore per i ragazzi al di sotto dei 18 anni. In particolare il Factory Act del 1833 vietò il lavoro notturno e ridusse le ore lavorative per consentire ai ragazzi dagli 8 ai 13 anni di frequentare la scuola.
Il successo della meccanizzazione in campo tessile spinse altre industrie ad adottare nuove macchine e a cercare di applicare ad esse il motore a vapore. Quest’ultimo doveva essere alimentato con carbone, mentre la costruzione delle macchine richiedeva l’impiego del ferro. Il primo effetto della rivoluzione industriale fu dunque lo sviluppo delle miniere di carbone e di ferro.
Le miniere di carbone potevano essere sempre più profonde, ma si rendeva necessario garantire l’areazione. Si cercava di fare in modo che l’aria entrasse da un pozzo e uscisse da un altro. Per regolarne il flusso si dividevano le gallerie con tramezze di legno. Spesso un bambino era addetto ad aprire e chiudere la porta al passaggio dei minatori.

La ventilazione era necessaria anche per evitare all’interno della miniera la formazione di gas, insidia mortale per i minatori.
Se nelle gallerie più superficiali si formava il "gas asfissiante" , nelle zone più profonde poteva formarsi la miscela esplosiva di metano e aria detta grisù. Le frequenti esplosioni provocavano decine o anche centinaia di morti.
Poiché l’esplosione era spesso causata dalla fiamma della lampada dei minatori, nel 1815 fu inventata una lampada di sicurezza.

Per trasportare poi i prodotti sempre più rapidamente si ricercarono e inventarono nuovi mezzi di trasporto.
L’invenzione della locomotiva (Stephenson, 1814) portò alla nascita della ferrovia. In una decina di anni circa, tutte le principali città inglesi furono collegate da una rete ferroviaria. Lo sviluppo ferroviario non trasformò solo i trasporti, ma aumentò enormemente la richiesta di minerali, poiché per costruire un solo chilometro di ferrovia erano necessarie circa 200 tonnellate di ferro.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’industria si diffuse in quasi tutta l’Europa e questo sviluppo fu reso possibile da un gran numero di invenzioni e dal rinnovamento delle tecniche per cui si parla di una seconda rivoluzione industriale.

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