Storia: libera chiesa in libero stato

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Testo

23/11/1999

Libera Chiesa in libero Stato
Già all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, la discussione sulla scelta della capitale era all’ordine del giorno nel primo parlamento italiano. Cavour, tuttavia, riteneva indiscutibile il diritto di Roma di divenire la capitale del nuovo stato: era, infatti, l’unica città che per la sua storia e la sua fama internazionale potesse rappresentare il popolo italiano nei confronti delle potenze straniere.
Teoricamente il parlamento poteva convergere su questa scelta, ma per realizzare tale progetto occorreva affrontare due questioni spinose. La prima era rappresentata dal veto posto da NapoleoneIII sull’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia; la Francia esercitava infatti, una sorta di protettorato sul Papa (Pio IX) e ciò rendeva improponibile un’aggressione militare verso Roma. La seconda questione, quella che implicava le problematiche più complesse, era invece legata alla fine del potere temporale del Pontefice, cioè alla sua sostanziale sottomissione ad uno stato laico.
La Chiesa non avrebbe mai accettato l’idea di rinunciare alla propria sovranità ed era convinta di perdere, insieme al potere temporale, anche la propria indipendenza. Temeva che lo Stato Italiano, una volta insediatosi in Roma, avrebbe soffocato la libertà del Papa nell’esercizio delle sue funzioni spirituali; temeva che questi, cioè, anziché essere il capo di tutta la cristianità cattolica, venisse ridotto, citando il Cavour, al ruolo di “grande elemosiniere o cappellano maggiore”.
La soluzione, secondo Cavour, esisteva ed era rappresentata da un equo compromesso tra Stato italiano e Papato, che comportava delle rinunce da parte della Chiesa, ma impegnava l’Italia a garantirne la libertà e a non intervenire nelle questioni di ordine religioso.
A sostegno del suo progetto, Cavour afferma che il potere civile del Papa costituisce un’inutile limitazione alla sua autorità spirituale; mentre, rinunciando a tale potere, egli si sarebbe liberato di tutti gli impegni assunti mediante i molteplici Concordati. Dopotutto, se questo disegno fosse stato attuabile così come compariva nella mente del Cavour, nessun cattolico si sarebbe opposto alla sua concretizzazione, dato che per la Chiesa si prefiguravano unicamente vantaggi.
Invece, la maggioranza dei cattolici non era della stessa idea: vedevano l’inglobamento di Roma nello Stato italiano come la riduzione della Chiesa ad una semplice società, riconosciuta e tutelata dallo Stato alla stregua di ogni altro soggetto di diritto (persona giuridica), con la conseguente perdita di ogni privilegio.
Cavour offriva come garanzia dell’effettiva libertà del Papato, oltre alla formalizzazione delle garanzie legali da includere nello statuto, l’indole cattolica del popolo italiano, che non avrebbe mai voluto la distruzione del Papa, ma semplicemente la riforma del potere temporale.
Quello che Cavour proponeva nel 1861, e che venne efficacemente sintetizzato nella nota formula “libera Chiesa in libero Stato”, non trovò mai una realizzazione d’intesa con l’allora Papa Pio IX. Infatti, quando nel 1870, approfittando della caduta di Napoleone III, le truppe italiane entrarono in Roma, Pio IX si dichiarò prigioniero dello Stato Italiano; scomunicò poi i governanti italiani e proclamò il principio del non expedit, per cui la partecipazione dei cattolici alla vita politica del Regno d’Italia era ritenuta inopportuna. Nonostante questo rifiuto, il parlamento italiano approvò, nel 1871, la Legge delle guarentigie, ovvero quella serie di garanzie che il Cavour aveva promesso alla Chiesa. Si riconosceva, cioè, l’extraterritorialità dei palazzi del Vaticano e si garantiva l’indipendenza del clero, oltre al versamento di un’indennità per il mantenimento della corte papale.
Lo Stato Italiano, negli anni seguenti, si impegnò a fondo per rispettare con la massima lealtà gli impegni presi con la Santa Sede; tanto che, con il passare del tempo, i Papi presero coscienza dei vantaggi portati dalla nuova situazione e fecero cadere di fatto il non expedit (abolito nel 1919), riallacciando i rapporti con il Regno d’Italia. La storia, quindi, confermò sostanzialmente le ragioni del Cavour.

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