Storia Romana

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Testo

Storia Romana dall'origine sino agli Antonini
1. L’Italia antica.
Il nome di Italia designava anticamente solo la parte meridionale dell’odierna Calabria. Esso si estese gradatamente, nei secoli posteriori, verso settentrione, in modo che, al tempo delle guerre puniche, designava già tutta la penisola fino ai fiumi Arno e Rubicone. Alla fine il nome Italia si estese a tutta la penisola fino alle Alpi. I Greci designavano talora l’Italia anche col nome di Esperia (terra del tramonto) a causa della sua posizione rispetto alla Grecia; Enotria, Ausonia, Iapigia ecc., secondo i diversi popoli che i loro coloni incontrarono sulle coste dell’Italia meridionale e della Sicilia dall’VIII secolo in poi.
Virgilio nelle Georgiche designa l’Italia col nome di Saturnia.
Posizione geografica: l’Italia, posta nel centro del Mediterraneo, tra la penisola balcanica ad est, la penisola iberica ad ovest, l’Africa a sud, fu sempre il più opportuno ponte di passaggio tra tutte queste regioni e quindi fu aperta all’intenso traffico di scambi materiali e culturali tra i popoli rivieraschi del Mediterraneo e alle immigrazioni e alle colonizzazioni, sia per via di terra, sia per via di mare. E poiché il Mediterraneo, sia per il clima temperato, per le sue coste frastagliate e propizie alla navigazione, per la fertilità delle terre che esso bagna, l’Italia si venne ben presto a trovare al centro di sviluppo della civiltà.
Geografia dell’Italia antica: l’Italia aveva per confine ad ovest il mar Tirreno, il fiume Varo e le Alpi occidentali; a nord le Alpi centrali; ad est le Alpi orientali, il fiume Arsia e il mare Adriatico; a sud il mare Ionio. La Sicilia, la Sardegna e la Corsica furono considerate dai Romani come province conquistate e non come parte dell’Italia propria. L’Italia si divideva in 3 parti:
a. Italia settentrionale, che comprendeva 4 regioni:
1. la Liguria, che comprendeva la Liguria, e il Piemonte a sud del Po;
2. la Gallia Cisalpina, che comprendeva tutto l’odierno Piemonte a nord del Po e gran parte della Lombardia e dell’Emilia, confinava ad ovest con le Alpi occidentali. Essa si suddivideva in Gallia Tranpadana (odierno Piemonte del nord) e in Gallia Cispadana (odierna Emilia).
3. la Venezia, che comprendeva l’odierno Veneto.
4. l’Istria comprendeva la zona tra il golfo di Trieste e il golfo del Quarnaro, sull’Adriatico.
b. Italia centrale, che comprendeva 8 regioni:
1. l’Etruria, che comprendeva l’odierna Toscana, l’Umbria e parte del Lazio;
2. il Lazio, che si suddivideva il Latium vetus abitato dai Prisci Latini, le cui città principali erano Roma, Alba Longa e Tusculum (Frascati) e in Latium novum, abitato da Equi, Ernici, Volsci, Ausoni.
3. la Campania, che comprendeva solo una breve striscia della Campania. Essa era dotata di una fertilità prodigiosa e di un clima incantevole.
4. l’Umbria, che comprendeva oltre l’odierna Umbria ad oriente del Tevere, parte delle Marche fino all’Adriatico
5. il Piceno, che comprendeva parte delle odierne Marche e dell’Abruzzo
6. la Sabina, che comprendeva l’Abruzzo settentrionale
7. il Paese delle Tribu’ Sabelliche, che comprendeva l’Abruzzo centrale, ed era abitato da 4 tribù: i Verstini; i Marrucini; i Peligni e i Marsi.
8. il Sannio, che comprendeva l’Abruzzo meridionale e il Molise.
c. Italia meridionale, che comprendeva 4 regioni:
1. la Lucania, che comprendeva l’odierna Basilicata e parte della Campania fino al Tirreno;
2. il Bruzio, che comprendeva l’odierna Calabria,
3. l’Apulia, che comprendeva la Puglia,
4. la Calabria, che i Greci chiamavano Iapigia.
La Sicilia, la Sardegna e la Corsica non furono mai considerate parti dell’Italia vera e propria, ma come province conquistate.
Le popolazioni delle età preistoriche: la penisola italica che si protende nel bacino del Mediterraneo tra la Grecia e la Spagna fu abitata sin da tempi molto antichi. Nella penisola si succedettero diverse civiltà alle quali diedero vita gente diverse. Nel periodo preistorico vi furono diverse età dette
1. l’età paleolitica,
2. l’età neolitica,
3. l’età eneolitica,
4. l’età del bronzo e
5. l’età del ferro.
1. età paleolitica: l’uomo paleolitico ha lasciato tracce della sua presenza e della sua attività in Liguria, in Emilia, in Campania (isola di Capri), in Puglia, in Sicilia (presso Trapani). Troviamo caverne naturali, oggetti di pietra o d’osso lavorati rozzamente. L’Italia in questa età fu abitata da popolazioni di razza sconosciuta (la cosiddetta razza dell’Olmo). In questo periodo i morti vengono seppelliti nelle stesse caverne in cui hanno vissuto attraverso il rito funebre dell’inumazione, ponendo accanto ad essi gli oggetti e le vivande che dovevano servire alla loro vita d’oltretomba.
2. età neolitica: che ha lasciato abbondanti tracce in Sicilia, in Toscana. Troviamo caverne naturali o artificiali, capanne rotonde, oggetti di pietra levigata. L’Italia in questo periodo fu abitata da popolazioni appartenenti alla cosiddetta razza mediterranea (o euroafricana), formata da bruni, la quale si era già venuta formando dalla fusione tra la precedente razza dell’Olmo e popolazioni negroidi, provenienti dall’Africa settentrionale. Molti antropologi ritengono che tali popolazioni si debbano identificare coi Liguri, coi Sardi, coi Sicani, con gli Elimi( concentrati nell’estremità nord - occidentale della Sicilia); coi Reti.
Tutta la penisola appare popolata da gente più progredite: le loro armi e i loro strumenti sono ancora di pietra, ma lavorati e finemente levigati. Abitavano nelle capanne rotonde ben piantate nel suolo, usavano utensili di pietra e vivevano di caccia, di pesca e di raccolta, praticando l’allevamento e alcune forme elementari di agricoltura. Il rito funebre è ancora quello dell’inumazione, ma i morti vengono per lo + deposti sul fianco sinistro, ponendo accanto ad essi gli oggetti + cari e vasi ripieni di vivande per la vita d’oltretomba.
3. età eneolitica: che ha inizio verso il 2500 a. C., si può considerare un’età di transizione tra quella della pietra e quella dei metalli. Compaiono i primi oggetti in rame (pugnale triangolare). Un sistema assai diffuso di abitazione è quello delle palafitte, cioè capanne costruite su pali piantati in acqua, soprattutto nei laghi dell’Italia settentrionale, che offrivano maggior sicurezza contro gli animali e facilitavano la pesca. L’Italia in questo periodo fu probabilmente invasa da popolazioni di razze indoeuropea, da identificare coi Protoitalici. Il rito funebre è ancora quello dell’inumazione.
4. età del bronzo: che ha inizio verso il 2000 a. C., presenta numerosi oggetti di bronzo, tra i quali il pugnale, la spada, il rasoio, il pettine. Troviamo accanto alla palafitte numerose terramare, ossia villaggi di capanne, costruiti su pali piantati (palafitte) nella terraferma e circondati da fossati per la difesa. L’Italia in questa età fu nuovamente invasa da una nuove popolazioni di razza indoeuropea (una specie di seconda ondata), appartenenti ad un grado di civiltà nettamente superiore, le quali penetrarono nella penisola in parte sottomettendo le precedenti popolazioni. Alcuni antropologi ritengono che tali popolazioni si debbano identificare ancora con gli Italici del gruppo umbro-osco, o (poiché gli Umbri si fusero quasi ovunque con gli Oschi, dando origine ai Sabelli) col nome di gruppo umbro-sabellico.
L’età del bronzo presenta 2 civiltà principali che sono:
- quella appenninica, così definita perché si estendeva lungo la dorsale dell’Appennino dall’Emilia alla Campania e alla Puglia, caratterizzata dalle ceramiche, in Italia centro-meridionale;
- e quella nuragica in Sardegna.
Il rito funebre è ancora quello dell’inumazione, ma nelle terremare appare per la prima volta, quello dell’incinerazione, ossia cremare i loro morti e raccogliere le ceneri in urne che erano collocate in necropoli (cimiteri) eretti su palafitte accanto al villaggio.
5. età del ferro: ha inizio verso il 1000-900 a. C., presenta 2 civiltà, che sono in parte coeve:
• civiltà di Villanova (sec X-V) cosiddetta da una necropoli a incinerazione rinvenuta a Villanova (sobborgo di Bologna). I villanoviani conoscevano l’uso del ferro e praticavano l’incinerazione, ossia bruciavano i corpi e ne conservavano le ceneri in urne, a forma di doppio cono coperte da una ciotola o da un elmo da guerriero, che seppellivano ai margini dell’abitato; alle ossa incenerite erano mescolati gli ornamenti personali: fibule, spille, braccialetti, perle d’ambra, mentre intorno all’ossario venivano sparse le stoviglie del morto. In questo stesso periodo si ebbe in Italia la terza ondata di invasione: per via di terra, vennero i Veneti, popolazione di razza indoeuropea; mentre per via di mare gli Iàpigi, anch’essi di razza indoeuropea, che si stanziarono nell’odierna Puglia.
• civiltà di Marzabotto (sec VIII in poi), cosiddetta per alcune tombe scoperte a Marzabotto (sull’Appennino bolognese). All’inizio di questa civiltà approdarono in Italia gruppi di razza sconosciuta, ma di provenienza orientale, i quali si stabilirono sulle sponde tirreniche della penisola, cacciando o sottomettendo le precedenti popolazioni italiche o indigene. Tali popolazioni furono gli Etruschi, che + tardi, si restrinsero in quella regione che da essi prese il nome di Etruria (Toscana - Umbria occidentale). Per il rito funebre, gli Etruschi adottarono sia il rito dell’inumazione (in questo caso i morti venivano deposti in sarcofaghi di terracotta o di marmo) sia quello dell’incinerazione(i morti venivano posti in vasi di terracotta o di bronzo).
Popolazioni dell’Italia storica: l’Italia nell’età di poco anteriore alla fondazione di Roma, presenta le seguenti popolazioni:
a. nell’Italia settentrionale i Liguri, gli Etruschi, i Veneti.
b. nell’Italia centrale vi erano principalmente gli Etruschi (in Etruria) e gli Italici. Questi ultimi si dividevano in Latini, Ausoni, che abitavano il Lazio; gli Umbri, che abitavano l’Umbria fino all’Adriatico; gli Oschi, assorbiti dagli umbri abitavano nel Lazio e nella Campania; e i Sabelli, che abitavano l’Abruzzo settentrionale e meridionale ed il Sannio(Molise). In Abruzzo centrale ci stavano le 4 tribù sabelliche: Vestini, Marruccini, Peligni e Marsi.
c. nell’Italia meridionale vi erano gli Etruschi, che abitavano parte della Campania; gli Enotri, che abitavano la Lucania e l’Abruzzo; gli Iapigi, che abitavano la Puglia e la Calabria.
La Sicilia era abitata dai Siculi (parte orientale), i Sicani e gli Elimi (parte occidentale);
La Sardegna dai Liguri e dai Sardi;
La Corsica dai Liguri.

Gli Etruschi.
La prima grande civiltà a fiorire sul territorio italiano è quella degli Etruschi. Fra i popoli dell’Italia antica gli E,. raggiunsero un alto grado di civiltà rispetto a tutti i popoli antichi. Sappiamo poco su di essi, perché la loro lingua è stata decifrata solo di recente e presenta ancora molti punti oscuri. Possediamo iscrizioni funerarie. Non si è finora riusciti ad accertare nemmeno la loro razza (che non fu indubbiamente indoeuropea).
Lo storico greco Erodoto riteneva gli E. originari della Lidia (Asia Minore) e li faceva venire in Italia per via di mare; mentre per Dionisio di Alicarnasso gli E. erano un popolo indigeno dell’Italia, quindi indoeuropei, con costumi e lingua diversi da quelli delle altre popolazioni.
per cultura sembravano essere stati influenzati dalla cultura egeo-cretese (decorazione pittorica con motivi di tigri, leoni, leopardi, sfingi) in sostanza gli E. si formarono come popolo nell’Italia centrale e qui formarono la prima vera grande civiltà indigena italiana. Gli E. tra l’VIII e il VI sec. a.C., dominarono gran parte dell’Italia, dalla pianura padana (tra il Ticino e l’Adige) fino al Lazio e alla Campania. Nel corso dell’VIII sec. dalla Toscana cominciarono a spostarsi verso il Lazio lungo le coste del Tirreno dove fondarono le città di Cere, Tarquinia, Vulci, Vetulonia, Populonia, Volterra; per poi spostarsi più a sud dirigendosi verso la Campania dove fondarono la città di Capua. Verso la fine del VI secolo si stabilirono in Emilia fondando le città di Parma, Modena e Piacenza. Infine pure in Sardegna settentrionale. Con la fondazione di Roma (21 aprile 753 a.C.) alla fine i Romani si liberarono del dominio etrusco e gli etruschi nel 265 caddero sotto il potere di Roma.
Religione: veneravano 3 divinità principali: Tinia (corrispondente al Giove latino), Uni (corrispondente a Giunone) e Menerva (corrispondente a Minerva).Veneravano inoltre i geni buoni (come le 3 Lase o Parche, che assistevano l’uomo in vita e in morte) e i geni cattivi (come le Larve o Lèmuri, spiriti degli uomini malvagi). I sacerdoti avevano una grande autorità e nulla si intraprendeva senza la loro approvazione. Tra essi si distinguevano gli àuguri, che ritenevano di intraprendere alla volontà degli dèi osservando il volo degli uccelli; e gli arùspici, che ritenevano di interpretare tale volontà scrutando le viscere degli animali. Il rito funebre dovette essere originariamente quello dell’inumazione ma fu adottato in alcuni luoghi quello dell’inumazione, e in altri luoghi quello dell’incinerazione.
Orientamento politico: non era molto forte perché gli E. non costituirono mai un grande stato unitario, saldamente organizzato, ma ogni città costituiva uno stato a sé. Queste città etrusche indipendenti tra loro si riunivano solo in casi particolari: ad es., nel IV secolo, al tempo delle guerre contro Roma, si riunirono, nel numero di 12, formando delle vere e proprie leghe (lega di Voltumna). Ogni città era governata da magistrati annui, i quali venivano assistiti da un lato dal consiglio degli anziani, scelti tra i capi delle famiglie nobili, dall’altro da un’assemblea popolare, che veniva convocata periodicamente per approvare le loro decisioni. In caso di guerra veniva eletto un comandante unico, una specie di re o dittatore, che assumeva il comando supremo di tutte le forze collegate.
Condizioni economiche: furono indubbiamente il popolo più progredito dell’Italia. erano dediti all’agricoltura e alla pastorizia, ma ancor di più allo sfruttamento delle miniere, al commercio. Erano abili nella lavorazione dei metalli (specialmente del bronzo), nella tessitura della lana, nella produzione del vetro.
- Cultura: furono attenti soprattutto alle arti divinatorie. Erano inoltre studiosi di matematica, fisica e astronomia. Fra le opere nel campo della scultura ricordiamo: la Lupa capitolina (bronzo); l’Apollo di Veio (terracotta); la Chimera di Arezzo (bronzo). Nel campo dell’architettura introdussero l’uso dell’arco e della volta, che verranno perfezionate in seguito dai Romani. Anche nella costruzione di ponti , strade, fognature, gli E. costituirono per i Romani un primo importante modello. Costruirono molti tempi per gli dei e sepolcri sotterranei.
2. Il periodo regio.
2.1. Origine di Roma.
- Divisione della storia romana: la storia romana si suol dividere in 3 periodi secondo le diverse forme di governo che ebbe la città:
a. periodo regio, dalla fondazione di Roma (753 a.C.) alla cacciata di Tarquinio il Superbo (509 a.C.);
b. periodo repubblicano, dalla cacciata di Tarquinio il Superbo alla fondazione dell’impero per opera di Augusto (30 a.C.);
c. periodo imperiale, dalla fondazione dell’impero(30 a.C.) alla caduta dell’impero d’Occidente (476 d.C.).
storici delle origine di Roma: i maggiori storici, che trattano delle origine di Roma, furono:
1. Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), latino, vissuto nell’età di Augusto. Egli scrisse una Storia Romana (Ab urbe condita libri), che narra in 142 libri la storia di Roma fino alla morte di Druso (9 a.C.). Nel Medioevo tali libri furono raggruppati in deche, ma ci restano solo 3 deche e mezza: i libri I - X, che comprendono la storia di Roma fino alla terza guerra sannitica (293 a.C.) e i libri XXI-XLV, che comprendono la storia di Roma dalla seconda guerra punica (218 a.C.) fino al trionfo di Emilio Paolo (167 a.C.).
2. Dionisio d’Alicarnasso, greco, vissuto anch’egli nell’età di Augusto. Egli scrisse una storia romana (Antichità romane), che narra in 20 libri la storia di Roma dalle origini fino alla prima guerra punica (264 a.C.). ci restano solo i primi 10 libri e una parte dell’undicesimo.
Tanto Livio che Dionisio si valgono delle stesse fonti, ma sono dotati di scarso senso critico, tanto che accolgono una quantità di notizie leggendarie o inesatte. Fonti principali erano le note degli annalisti, cioè gli storici che dal sec III al I a.C. avevano elaborato le notizie contenenti negli annali dei pontefici, nelle memorie familiari, ecc.
Inoltre Livio è un romano che partecipa intimamente alla restaurazione augustea e ha un senso profondo del destino di Roma, mentre Dionisio è soprattutto un retore che si preoccupa di scrivere un’opera retoricamente perfetta.
- Formazione di Roma secondo la leggenda: secondo la leggenda, riportata dallo storico romano Tito Livio nei suoi Annali dalla fondazione della città, l’origine della fondazione di Roma è collegata col più famoso dei miti greci: la guerra di Troia. Secondo questa leggenda, Enea, figlio della dea Afrodite e del troiano Anchise, riuscì a porsi in salvo mentre la sua città era in preda alle fiamme. Intorno a lui si raccolse un gruppo di troiani scampati alla distruzione di Troia, decisi a fuggire lontano con la speranza di poter fondare una nuova patria. Dopo lunghe peregrinazioni giunsero sulle rive del Lazio, ma solo dopo molte lotte coi popoli indigeni Enea poté fondare la città di Lavinio. Quindi suo figlio Julo (o Ascanio) fondò, presso i Colli Albani, una nuova città, Alba Longa, che divenne il centro più importante del Lazio. Dopo Ascanio regnarono su Alba Longa altri 12 re, di cui l’ultimo fu Proca, che lasciò morendo 2 figli, Numitore e Amulio. Il buon Numitore successe al padre nel regno, ma il fratello Amulio, ambizioso e crudele, lo cacciò, usurpandone il trono e gli uccise i figli, tranne Rea Silvia, alla quale ordinò di diventare sacerdotessa della dea Vesta, impedendole così di sposarsi e di generare. Rea Silvia ebbe invece da Marte 2 gemelli, Amulio allora comandò che la madre fosse sepolta viva e che i 2 gemelli fossero gettati nel Tevere in piena. Ma il cesto in cui erano stati messi rimase impigliato nei rami di un fico, ai piedi del colle Palatino, vicino alla riva; quando le acque del fiume calarono, il cesto restò insabbiato all’asciutto. I 2 gemelli furono prima allattati da una lupa, scesa dai monti per dissetarsi. Poi furono raccolti dal pastore Faustolo, che li condusse a casa e diede loro il nome di Romolo e Remo. Divenuti grandi e conosciuta la loro storia, i 2 gemelli uccisero Amulio e restituirono il trono al nonno Numitore.
Quindi decisero di fondare una nuova città presso il luogo dove erano stati esposti: Romolo voleva fondarla sul Palatino e darle il proprio nome, mentre Remo voleva fondarla sull’Aventino e darle il suo. Per stabilire che dei 2 dovesse darle il nome, si affidarono al volo degli uccelli e si appostarono su 2 alture vicine. Remo vide per primo dall’Aventino 6 uccelli, Romolo dal Palatino ne vide 12. Toccava quindi a Romolo dare il nome alla città. Romolo allora aggiogò un toro e una giovenca all’aratro e tracciò un solco quadrato, per delimitare i confini. Remo però saltò il solco in segno di sfida e Romolo lo uccise. Questa è la leggenda.
- Fondazione di Roma secondo la critica: in realtà Roma sorse a poco a poco tra il IX e il VII secolo a.C. dalla fusione di alcuni villaggi posti sui colli lungo la riva sinistra del Tevere.
La vasta pianura del Lazio (da latus = lago), fertile, ma periva di confine naturali, era esposta agli attacchi dei nemici, i suoi abitanti preferirono quindi risiedere in luoghi elevati, più facili da difendere e lontane dalle vallate interne, spesso paludose e malsane.
Gran parte dei centri abitati dai Latini, una delle stirpi italiche stanziate nel Lazio, sorse sui Colli Albani: Tuscolo, Ariccia, Alba Longa. Questi villaggi si raccolsero in una confederazione di carattere religioso, la lega latina, che aveva il suo centro sul monte Albano, dove sorgeva il tempio di Giove Laziale. Qui ogni anno si riunivano i rappresentanti dei villaggi latini e sacrificavano al dio un toro bianco.
Alcuni di questi Latini si erano stabiliti anche sui Colli Tiberini che fiancheggiavano il basso corso del fiume Tevere. In particolare sul Palatino era sorto il primo di quei villaggi che poi avrebbe formato la città di Roma.
Durante l’VII e il VI secolo il villaggio del Palatino si fuse (unì con vincolo federale) con la comunità degli altri colli: l’Esquilino, il Celio, il Viminale, il Quirinale, il Capitolino e, infine, l’Aventino. I villaggi furono spinti a darsi un’organizzazione unitaria anche per difendersi dalla pressione esercitata a nord dagli Etruschi e a sud dalle colonie greche.
È incerto quando la città abbia assunto il nome di Roma, ed incerta ne è l’etimologia. La città fin dalle origini, ebbe importanza:
a. strategica, come fortezza di confine verso gli Etruschi,
b. economica, come posto commerciale fra il mare e il centro della penisola.
2.2. I re di Roma (753-509 a.C.).
Secondo la tradizione Roma, nei primi 2 secoli della sua storia, fu governata da 7 re. Le figure di questi sovrani sono leggendarie e così pure le imprese ad essi attribuite. I primi re che si succedettero sul trono di Roma furono alternativamente scelti tra i Latini e i Sabini.
1. Romolo: il primo re di Roma provvide, prima di tutto, a popolare la città, offrendo asilo a tutti coloro che cercavano un rifugio, perché banditi o esuli dalla loro patria. Mancavano però le donne e Romolo ricorse all’astuzia: bandì grandi feste in onore del dio Conso e vi invitò tutti i popoli vicini; ma mentre questi erano intenti agli spettacoli, i giovani romani rapirono le fanciulle intervenute, senza che i parenti, colti alla sprovvista, potessero difenderle. Fra di esse particolarmente numerose erano le Sabine (ratto delle Sabine). In seguito a questo episodio scoppiò una guerra fra i Romani e Sabini, terminata con la conciliazione e l’unione dei due popoli, sui quali regnarono uniti Romolo ed il re dei Sabini, Tito Tazio. Fu stabilito che i Romani e i Sabini formassero un solo popolo col nome di Quirìti, cioè “armati di lancia” (dal vocabolo quiris, lancia) e che i Romani continuassero ad abitare sul Palatino e i Sabini occupassero il Quirinale. Morto Tito Tazio, Romolo rimase solo sovrano e dette a Roma le prime leggi e le istituzioni fondamentali. Improvvisamente Romolo scomparve: figlio di un dio, il fondatore di Roma fu assunto fra gli dei ed i Romani lo venerarono da allora in poi, come il loro nume tutelare col nome di Quirino.
2. Numa Pompilio: sabino, re pacifico. Viene ricordato dalla tradizione come l’ordinatore della regione romana, egli edificò templi, fra cui quello di Giano, le porte del quale si tenevano aperte in tempo di guerra, e chiuse in tempo di pace; istituì feste religiose e istituì alcuni collegi religiosi fra cui quello:
• dei pontefici, che controllavano e governavano il culto religioso pubblico e privato, avevano inoltre a capo il pontefice massimo a cui spettava di ordinare il calendario, compilare gli annali, ecc.; (fissò il numero dei sacerdoti, a capo dei quali pose il Pontefice Massimo).
• dei flàmini, che erano addetti al culto di Giove, di Marte e di Quirino;
• degli àuguri, che interpretavano la volontà degli dèi, osservando il volo, il canto e il modo di mangiare degli uccelli;
• degli aruspici, che interpretavano la volontà degli dèi, scrutando le viscere degli animali;
• dei vestali, addetti al tempio di Vesta e dovevano mantener sempre vivo il fuoco sacro, simbolo della vita dello stato;
• dei salii, che erano addetti al culto di Marte

3. Tullo Ostilio: latino, re guerriero. Sotto il quale fu combattuta la guerra contro Alba Longa, la città più potente del Lazio, a capo della lega latina, che venne distrutta. Questo conflitto fu deciso da un combattimento fra 3 guerrieri romani (i fratelli Orazi) e 3 guerrieri albani (i fratelli Curiazi). Due degli Orazi perirono, ma il terzo riuscì ad uccidere i 3 Curiazi, che erano rimasti feriti; la vittoria fu così dei Romani, che distrussero Alba e ne trasferirono gli abitanti nella propria città, a Roma, sul monte Celio. Roma si mise a capo della lega latina..
4. Anco Marcio: sabino. Si distinse in guerra ma anche nelle opere di pace. Vinse i Latini, ordinando di trasportare gli abitanti a Roma, dove assegnò loro per dimore il monte Aventino. Ingrandì Roma, includendovi altri colli, e costruì una fortezza sul Gianicolo. Egli aveva congiunto, per la prima volta, le 2 rive del Tevere, con un ponte di legno. Alla foce del fiume Tevere, in territorio da lui conquistato, fondò la prima colonia romana, a cui diede il nome di Ostia, che significa appunto “le bocche del fiume”.
Alla fine dell’VII secolo Roma cadde sotto il predominio etrusco.
5. Tarquinio Prisco (cioè primo): etrusco, già consigliere di Anco Mancio. Ad egli il re morendo lasciò la tutela dei suoi 3 figli, ancora giovanissimi. Usurpando i loro diritti, T. si fece proclamare re. Vinse nuovamente i Latini, che si erano ribellati; sottomise i Sabini, che minacciavano Roma, estese il suo dominio sugli Etruschi, occupando gran parte del loro territorio. Ingrandì il senato di altri 100 membri e aprì il Lazio all’influenza delle civiltà etrusca e greca. Ma soprattutto furono notevoli le opere pubbliche che egli compì: prosciugò la zone più bassa della città con dei condotti, o cloache, che si riunivano in un canale, detto Cloaca massima; edificò il Circo Massimo, tra il Palatino e l’Aventino, dove si svolgevano le corse dei cavalli ed i giochi pubblici; creò il Foro, la piazza principale di Roma, per le pubbliche relazioni; il Tempio di Giove sul Campidoglio. I figli di Anco Marcio, divenuti adulti, uccisero l’usurpatore, sperando di riacquistare il trono, ma la loro speranza fu delusa, perché la moglie di Tarquinio, Tanaquilla, riuscì a porre sul trono una persona di sua fiducia, il figlio di una sua ancella, Servio Tullio.
6. Servio Tullio: etrusco, fece sì che la plebe potesse partecipare alla vita pubblica. È ricordato come il più grande dei 7 re per la riforma costituzionale che egli avrebbe dato allo Stato: egli suddivise in distretti tutto il territorio dello Stato e gli abitanti di ciascun distretto vennero divisi secondo le ricchezze e non più secondo le stirpi. A Servio Tullio si attribuisce anche la costruzione delle mura che cinsero i 7 colli (Palatino, Capitolino, Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Aventino), sui quali sorgeva Roma, che rimasero salda difesa della città fino all’età imperiale. Nella zona paludosa del foro furono eseguite opere di bonifica e si iniziò la costruzione di nuovi templi, per decorarli vennero chiamati i più famosi artisti etruschi.
7. Tarquinio il Superbo: etrusco e ultimo re di Roma. Figlio di Tarquinio Prisco e genero di Servio, lo uccise per occuparne il trono. Fu chiamato “il Superbo” per i suoi modi sprezzanti e per la durezza nel governare. Introdusse in Roma i greci libri sibillini, che si dovevano consultare nelle circostanze difficili dello stato. Sostenne varie guerre vittoriose con i popoli vicini (Volsci, Rùtuli), ma odiato da tutti per le sue prepotenze, venne cacciato dal trono da una ribellione popolare nel 509 a.C. Da allora in poi Roma si resse con ordinamenti repubblicani.
Una sufficiente base storica hanno gli ultimi 3 re e le opere loro attribuite. È certo infatti che nel VII e nel VI secolo a.C. la potenza etrusca, nel pieno del suo vigore, si fece sentire anche a Roma, dove appunto il governo della città era controllato dagli Etruschi attraverso loro principi o comunque uomini politici a loro favorevoli. I Romani sotto l’influsso della civiltà dell’oltre Tevere, impararono a scrivere, a bonificare le paludi, a lavorare il legno e il ferro, a sperimentare nuove tecniche edilizie, a esercitare nuove pratiche religiose.
- La fine della monarchia: secondo la tradizione, Tarquinio il Superbo, arrogante e violento, fu cacciato da Roma, nel 509 a.C., da una improvvisa rivolta dei cittadini, stanchi della prepotenza del re e dei suoi familiari. La causa della rivolta, secondo la leggenda, fu l’oltraggio recato da Sesto, figlio di Tarquinio, alla virtuosa Lucrezia, moglie del nobile Collatino, la quale, non potendo sopportare l’offesa subita, si uccise. Collatino allora spinse l’esercito alla rivolta e costrinse Tarquinio il Superbo alla fuga.
Ma gli storici ritengono che il crollo della monarchia, oltre che dalla rivolta popolare, fu provocato da motivi ben più complessi. Roma, infatti, era divenuta nel 500 la città più importante del basso Lazio. La popolazione aumentava e gli impegni di governo si facevano sempre più difficili e gravosi. Il re, quindi, per provvedere a tutte le incombenze quotidiane, si era dovuto circondare di collaboratori scelti anche tra i plebei benestanti, commercianti e artigiani in ascesa e tra gli amici di origine etrusca. Di qui la gelosia e lo scontento dei patrizi. La rivoluzione, che abbatté la monarchia, si può considerare come una reazione del patriziato contro la monarchia plebea dei Tarquini. La monarchia, quindi, fu abbattuta dal patriziato che intendeva riaffermare la piena egemonia e il diretto controllo sull’apparato statale, contro il tentativo dei plebei di partecipare al governo. La repubblica perciò nacque aristocratica e non ebbe affatto carattere popolare.

- istituzioni sociali: la popolazione di Roma, al tempo della monarchia, era divisa in 2 classi: patrizi e plebei
• patrizi: membri che discendevano dalle più antiche e potenti famiglie romane ed erano suddivisi in gentes (genti), cioè in gruppi di famiglie che si riconoscevano discendenti da un stesso capostipite. Le famiglie patrizie furono poi raggruppate in 30 curie (quartieri o contrade), ed ogni 10 curie in tribù per cui si ebbero 3 tribù: quella dei Ramnesi (Latini), dei Tiziensi (Sabini) e dei Lùceri (stranieri, per lo più Etruschi). Questi genti patrizie dominavano la vita politica dello Stato, obbligando il re ad accertare la loro collaborazione nel governo di esso, e, a tal scopo, formarono coi loro capifamiglia (patres familias) il “consiglio degli anziani” (senes), cioè il Senato.
• plebei: erano invece coloro che non appartenevano a famiglie patrizie, ed erano per lo più artigiani, commercianti, contadini. Formavano la parte più numerosa del popolo. I plebei non godevano di nessun diritto politico (non potevano cioè accedere alle magistrature) né potevano sposarsi coi patrizi o trattare affari con essi.
Oltre ai patrizi e ai plebei c’erano a Roma i clienti e gli schiavi.
• clienti: d’origine plebea, erano coloro che si erano posti alla dipendenza dei patrizi, che divenivano il loro patrono, in cambio di protezione.
• schiavi: erano per lo più prigionieri di guerra o di figli di altri schiavi, considerati di proprietà del padrone e utilizzati soprattutto nei lavori dei campi. Quando veniva loro concessa la libertà, prendevano il nome di liberti, e prendevano il nome del padrone.
- Istituzioni politiche: i poteri dello stato furono divisi tra:
• il re: che veniva eletto dal senato tra i capi delle principali famiglie patrizie. Egli aveva i supremi poteri politici, militari, giuridici e sacerdotali. Il potere politico consisteva nella facoltà di convocare il senato per chiedere i suoi consigli o l’assemblea popolare per provocarne le deliberazioni, di proporre le leggi, ecc. il potere militare consisteva nella facoltà di dichiarare la guerra o di fare la pace, di comandare l’esercito. Il potere giudiziario consisteva nel sentenziare nei processi penali. Il potere sacerdotale consisteva nel compiere le cerimonie religiose.

• il senato, che veniva eletto dal re fra i capi delle principali famiglie patrizie. Esso fu formato dapprima di 100 membri (presi dalle genti dei Ramnes); poi di altri 100 membri (presi dalle 100 genti dei Tities); mentre i Lùceres, forse perché entrati per ultimi nella comunità, furono lasciati da parte. Esso aveva l’attribuzione di dare il proprio parere al re, ogni volta che questi lo richiedeva; di proporre le leggi all’assemblea popolare; e di ratificare o respingere le deliberazioni dell’assemblea medesima.
• i comizi curiati: ossia l’assemblea popolare, costituita da patrizi e plebei, riunite in curie (curia = riunione di uomini). Le curie erano 30, 10 per ognuna delle 3 grandi tribù in cui era allora divisa la popolazione romana. L’assemblea popolare aveva il triplice compito di conferire l’imperium (piena e assoluta autorità di comando) al re; di approvare o rifiutare le leggi; di dare il proprio parere sulla pace e sulla guerra.
- istituzioni militari: l’esercito romano è costituito dalla legione, composta di 3.000 fanti e 300 cavalieri. Ogni curia doveva fornire, all’atto della leva, una centuria (100 uomini) di fanti e una decuria (10 uomini) di cavalieri. A capo della legione stava il re; a capo dei fanti 3 tribuni militari (uno per ogni 1.000 uomini); a capo dei cavalieri un comandante della cavalleria (magister equitum), che dopo il re era il primo magistrato della città. Ogni cittadino doveva provvedere da sé alle proprie armi, e, se cavaliere, al cavallo; doveva mantenersi le proprie spese per tutta la durata della guerra e non riceveva alcun stipendio. La riforma dell'ordinamento militare è attribuita a Servio Tullio. L'intera popolazione maschile viene suddivisa non più in base alla nascita, ma in base al censo e si formano 5 classi di reddito: ogni classe deve fornire all'esercito un certo numero di centurie (una centuria conta in origine 100 uomini armati), più una classe è ricca maggiore è il numero di centurie che deve fornire. A queste classi si aggiungono i cittadini al di sopra della prima classe, che formano le centurie dei cavalieri, e i cittadini al di sotto della quinta classe (i capitecensi, i nullatenenti iscritti nelle liste di censo solo come persone), che formano le centurie di operai militari, come fabbri, falegnami e musici. Tutte le centurie si riuniscono nei comizi centuriati, cioè l'assemblea del popolo in armi, che diverrà nel periodo repubblicano la più importante assemblea popolare. Il comizio centuriato votava per centurie e non per testa, ogni centuria aveva un voto. Le 98 centurie della prima classe poteva avere la maggioranza sulle 95 centurie delle altre classi, rendendo inutili le votazioni delle medesime.
2.3. Civiltà romana nel periodo regio.
- Religione: i Romani credevano a tanti dèi (polietismo naturalistico), che rappresentavano le forze della natura. Ad essi si affidavano per es. per avere un buon raccolto, per proteggere la famiglia, difendere lo stato. Gli dèi romani si dividevano in 2 categorie: dèi paesani (di indigetes), che erano più antichi; e nei nuovi insediati (di novensides), che avevano preso dagli Etruschi e dai Greci.
Gli dei del periodo regio sono dèi indigeti: Giano: dio che presiede a tutto ciò che si apre e si chiude, quindi a tutto ciò che inizia e finisce; Saturno: dio dell’agricoltura; Marte: dio della guerra, e in quanto padre di Romolo, fu protettore di Roma e dei romani; Vesta: dea del focolare domestico e dello Stato; Nettuno: dio del mare; Giunone: dea del cielo e protettrice della vita coniugale e moglie di Giove.
Tra le divinità minori ricordiamo: Flora: dea dei fiori; Fauno e Fauna: divinità dei campi; Pale: dea dei pastori. Fra le divinità domestiche ricordiamo: i Geni: che accompagnavano la vita di ogni uomo dalla nascita fino alla morte; i Penati: erano protettori del patrimonio familiare; i Lari: che proteggevano la famiglia; i Mani: cioè le anime dei defunti.
I Romani credevano nell’immortalità dell’anima e consideravano la vita d’oltretomba come una pallida continuazione della vita terrena in un luogo piuttosto triste, retto da Orco, re degli dèi infernali. Il rito funebre era sia quello dell’incinerazione, sia quello dell’inumazione; nelle tombe si deponevano gli oggetti utili alla vita del defunto.
Inoltre si offrivano sacrifici agli dei, che potevano essere di 2 tipi:
a. incruenti, in cui si offrivano le primizie della campagna, focacce, latte, vino, ecc.;
b. cruenti, in cui si sacrificavano animali, come, ad es., il cavallo a Marte.
Oltre ai collegi sacerdotali istituiti da Numa Pompilio, ci furono:
1. i Frates Arvales, collegio di 12 sacerdoti, che si occupavano della benedizione dei campi;
2. i Feciali, collegio di 25 sacerdoti, che presiedevano ai riti relativi alla dichiarazione di guerra o alla conclusione dei trattati di alleanze e di pace;
3. i Duoviri Sacris Faciundis, collegio di 2 sacerdoti, a cui era affidata la custodia e l’interpretazione dei libri sibillini.
- Costumi: la famiglia dipendeva interamente dal padre (pater familias), il quale aveva autorità assoluta (patria potestas) non solo sulla moglie ma anche sui figli che poteva vendere e sugli schiavi. Nei pasti i Romani erano molto frugali e vegetali mentre facevano poco uso di carni.
- Cultura: Appresero l’arte della scrittura dai Greci tra l’VIII e il VII secolo, adattando l’alfabeto greco al proprio linguaggio.
3. La Repubblica Romana.
il periodo repubblicano va dalla cacciata di Tarquinio il Superbo (509 a.C.) fino alla nascita dell’impero nel 300 a.C. A sua volta questo periodo si può dividere in 3 periodi:
1. periodo del consolidamento della repubblica, che va dalla cacciata della monarchia fino alla prima guerra punica (509-264 a.C.). Periodo in cui vi furono lotte civili (interne) tra patrizi e plebei, e lotte esterne lotte per la conquista dell’Italia peninsulare.
2. periodo delle grandi conquiste esterne, che va dalla prima guerra punica fino al tribunato di Tiberio Gracco (264-133 a.C.). Esso è caratterizzato dalle 3 guerre puniche, con la conquista di tutto il bacino del Mediterraneo.
3. periodo della decadenza e della caduta della repubblica, che va dal tribunato di Tiberio Gracco fino alla battaglia di Azio (133-30 a.C.). È caratterizzato dalle lotte civili tra partito aristocratico e partito democratico (Mario e Silla, Cesare e Pompeo, Ottaviano e Antonio).
3.1. Costituzione repubblicana (509-300 a.C.). Caduta la monarchia, in Roma si formò un governo repubblicano di tipo aristocratico, nel quale il potere era concentrato nelle mani delle famiglie patrizie. Nella Roma monarchica il sovrano, eletto a vita, accentrava tutti i poteri nelle proprie mani; invece, nella Roma repubblicana le cariche ebbero carattere temporaneo e collegiale. Altra caratteristica costituzionale fu la divisione dei poteri: il potere militare ed esecutivo era affidato ai consoli, capi dell’esercito e tutori della sicurezza della città; il potere giudiziario ai pretori; il potere legislativo ai comizi; il potere religioso al pontefice massimo. Magistrati annuali erano gli edili, incaricati all’inizio di sovrintendere ai lavori pubblici (acquedotti, strade) e in seguito anche ai mercati e agli spettacoli. A capo della repubblica vi erano:
1. consoli: erano 2 magistrati a capo della repubblica che duravano in carica 1 anno: essi comandavano l’esercito ed esercitavano il potere esecutivo, facevano cioè eseguire le leggi. Inoltre i consoli dovevano esercitare quei poteri “collegialmente”, dovevano cioè procedere nei loro atti di governo l’uno col consenso dell’altro. Queste 2 limitazioni dei poteri (principi) dei consoli (annualità e collegialità) avevano lo scopo di salvaguardare la Repubblica dal pericolo che il consolato potesse trasformarsi in tirannide. Ai consoli spettava il supremo comando dell’esercito; ad essi era inoltre affidata l’amministrazione della giustizia. Per aiutarli nelle loro funzioni, vennero istituiti dei magistrati minori, i questori, eletti anch’essi di anno in anno, incaricati specialmente di amministrare il tesoro dello Stato. I primi consoli, secondo la tradizione, furono L. Giunio Bruto e L. Tarquinio Collatino.
2. senato: composto di 300 membri scelti tra le più antiche famiglie patrizie, e tra gli ex magistrati, rimase l’assemblea più importante della repubblica romana. I senatori erano uomini di grande esperienza politica e militare: essi si riunivano nella curia, un edificio prospiciente il foro, e discutevano sull’organizzazione interna del paese e sui rapporti coi popoli confinanti e stranieri. Il senato, infine, poteva nei momenti di grave pericolo per lo stato imporre ai consoli la nomina di un dittatore, che era investito di pieni poteri civili e militari sostituendo i consoli, ma durava in carica non più di 6 mesi.
3. comizi centuriati: assemblea ove venivano eletti i magistrati e votate le leggi. Hanno il compito di eleggere i consoli, i censori, i pretori, e in genere i magistrati superiori; di esercitare il potere legislativo mediante la lex, e di esercitare il potere giudiziario. Ogni 5 anni venivano eletti 2 censori che duravano in carica 18 mesi: essi dovevano valutare il censo (ricchezza) di tutti i cittadini, in base al quale era stabilito l’ammontare delle imposte da pagare allo Stato. Due magistrati eletti annualmente, i pretori, amministravano la giustizia: in principio erano 2, Silla li portò a 8, Cesare a 16.
4. comizi curiati: assemblea popolare, persero importanza politica perché trasferirono molti dei loro poteri ai comizi centuriati. Sono interpellati in caso di dichiarazione di guerra.
SCHEMA
NUMERO
MAGISTRATO
DURATA
POTERI
1
DITTATORE
6 mesi
- Tutti i poteri
(in caso di guerra o rivoluzione)
2
CONSOLI
1 anno
- Comando militare
(propongono leggi ai comizi centuriati)
2
CENSORI
18 mesi
- Redazione della lista dei cittadini e stima dei beni
- Giudizio sulla moralità, con sanzioni per i trasgressori; il giudizio dei Censori era molto importante per l'accesso alle cariche pubbliche
2
PRETORI
1 anno
- Potere giudiziario
- Governo delle province
4
EDILI
1 anno
- Cura dei mercati, delle vie e degli archivi e dell'approvvigionamento
- Organizzazione giochi pubblici
8
QUESTORI
1 anno
- Amministrazione del denaro pubblico a Roma e nelle province
10
TRIBUNI DELLA PLEBE
1 anno
- Controllo, con diritto di veto, sulle attività dei magistrati

- Lotte interne fra patrizi e plebei.
In questo ordinamento politico i patrizi detenevano il potere poiché monopolizzavano tutte le cariche dello Stato. Roma in quest’epoca sosteneva inoltre continue lotte contro i popoli vicini e le conseguenze di tale situazione pesavano soprattutto sui plebei. Le campagne erano continuamente devastate dalle operazioni militari e trascurate dai contadini impegnati a combattere. Molti plebei cominciarono a indebitarsi, e ben presto la loro situazione divenne intollerabile. Esasperati dalla miseria e dalla crudeltà dei creditori, essi chiedevano l’abolizione dei debiti e la distribuzione delle terre conquistate e reclamavano la parità dei diritti politici coi patrizi. I contrasti tra plebei e patrizi si fecero sempre più drammatici, finchè non sfociò in una violenta lotta politico - economico. Le principali tappe di questa lotta furono:
a) la questione dei debiti e la secessione della plebe sul Monte Sacro (494 a.C.): la lotta tra pratizi e plebei ebbe inizio, secondo la tradizione nel 494. Durante la guerra coi Volsci, il senato aveva promesso alla plebe miglioramenti economici in cambio del loro arruolamento nell’esercito. ma finita la guerra le promesse non vennero mantenute e i soldati plebei invece di tornare a Roma, si ritirarono su una collina che prese il nome di Monte Sacro, poco distante da Roma, minacciando di costituire una nuova città, con una nuova organizzazione sociale. Il senato, spaventato, inviò Menenio Agrippa che riuscì a convincere i plebei a tornare alle loro case. Alla fine i plebei ottennero le leggi sacrate (leges sacratae), cioè la liberazione dei plebei che erano stati fatti schiavi per debiti, il condono dei debiti ai plebei che non potevano pagare e infine fu concessa l’istituzione di 2 magistrati plebei, chiamati tribuni della plebe, che li difendessero contro gli abusi dei patrizi: ai tribuni era riconosciuta l’inviolabilità nell’esercizio delle proprie funzioni. I tribuni della plebe avevano il potere di annullare qualsiasi deliberazione dei magistrati e di opporsi alle decisioni prese dai comizi. Essi ebbero il diritto di aiutare i plebei contro l’arbitrio dei patrizi (l’ius auxilii); il diritto di veto ad ogni legge che ritenevano nociva ai plebei (l’ius intercessionis); il diritto di agire in sede penale contro chiunque contravvenisse meno alle leggi sacrate (l’ius coercitionis). I plebei ottennero anche di eleggere gli edili plebei incaricati di amministrare il tesoro della plebe. La plebe inoltre organizzò un’assemblea propria: i concili della plebe, in cui si raccoglievano i plebei delle varie tribù territoriali per eleggere i propri magistrati. Le loro deliberazioni furono chiamate plebisciti.
b) la questione dell’ “ager publicus” e la legge agraria di Spurio Cassio: nel 486 a.C. il console Spurio Cassio per evitare gli abusi dei patrizi fece una legge agraria che riguardava l’ager publicus secondo la quale i patrizi dovevano pagare un canone d’affitto allo stato: con i proventi di questi affitti si dovevano dare compensi ai plebei durante il servizio militare. Inoltre le terre già occupate dai patrizi dovevano essere distribuite ai plebei più poveri.
c) la questione delle leggi scritte, i 2 decemvirati e la legge delle XII Tavole (451-449): i patrizi spadroneggiavano anche in campo giudiziario. Le leggi si tramandavano oralmente da generazione a generazione (a memoria) e i magistrati erano tutti patrizi e quindi andavano sempre contro i plebei. Nel 481 il tribuno Terentillo Arsa chiese che fosse nominata una commissione di 5 cittadini con l’incarico di raccogliere le leggi per iscritto. Ma soltanto nel 451 il tribuno Siccio Dentato ottenne dal senato la nomina di una commissione di 10 magistrati, tutti patrizi, i decemviri legibus scribundis con l’incarico di compilare un codice di leggi scritte. Rimanevano in carica 1 anno, e in questo arco di tempo, la plebe non doveva eleggere tribuni. I decemviri alla fine presentarono le leggi incise in 10 Tavole di bronzo esposte nel Foro. L’anno successivo al 451 a.C. venne nominata un secondo Decemvirato misto tra patrizi e plebei per completare le leggi che alla fine furono incise su tavole di bronzo prendendo il nome di Legge delle XII Tavole. Quest’opera legislativa delle XII Tavole segna il passaggio dal diritto orale al diritto scritto. In questo periodo, un patrizio, Appio Claudio, si appropriò del governo e soppresse il tribunato della plebe. Il tentativo di Appio fallì per opera del patriziato, che riuscì a sollevare la plebe contro il “tiranno”.
Le 12 tavole concedevano però solo una parte dei diritti civili alla plebe e questa dovette continuare a lottare per abbattere gli altri privilegi ai patrizi.

d) matrimonio tra patrizi e plebei: nel 445 a.C., con la lex Canuleia, la plebe ottenne che fosse abolito il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei.
e) tribuni militari con podestà consolare (444 a.C.): il tribuno Canuleio chiese anche la partecipazione dei plebei al consolato. Ma il senato preferì creare una nuova magistratura, i tribuni militari, uno dei quali poteva essere anche plebeo, ma privo di ogni dignità religiosa. Così i plebei cominciarono ad entrare nella maggiore assemblea del patriziato romano.
f) ammissione dei plebei al consolato e alle altre magistrature: nel 367 a.C. i tribuni della plebe riuscirono a far approvare la proposta secondo la quale uno dei 2 consoli doveva essere plebeo. E poiché il senato era composto di ex magistrati, a questo punto anche i plebei, in quanto ex consoli, poterono entrare a farne parte.
g) agli inizi del III secolo a.C., si stabilì che i plebisciti, le decisioni votate nelle adunanze della plebe, avessero valore di legge. In tal modo la plebe acquistava la parità dei diritti con i patrizi.
h) nel 300 a.C. le cariche religiose, che erano state da sempre un monopolio dei patrizi, ora potevano essere ricoperte anche dai plebei.
i) Con la Lex Hortensia (2187 a.C.) le delibere delle assemblee della plebe (i plebisciti) acquistano valori di legge. I concilia plebis si trasformano in comitiva populi tributa, cui partecipano tutti i cittadini romani, patrizi compresi, suddivisi in 35 tribù territoriali.
3.2. La conquista dell’Italia peninsulare.
- La conquista del Lazio: al tempo della fondazione della repubblica, il territorio dei Romani si riduceva ad una piccola parte del Lazio. Nel Lazio oltre ai Romani ci stavano: a sud i Volsci; a est gli Equi; a nord gli Etruschi.
Durante il lungo periodo di lotte tra patrizi e plebei, Roma dovette combattere per assoggettare questi popoli irrequieti e bellicosi e per estendere il suo dominio su tutto il Lazio.
Tutto ebbe inizio con i tentativi di impossessarsi di nuovo del trono da parte di Tarquinio il Superbo che nel 507 a.C. incaricò il lucumone etrusco Porsenna di invadere invano Roma.
- Guerra contro i Latini: dal 498 al 493 a.C. Roma affrontò diverse lotte con le principali città del Lazio che facevano parte della lega latina. Vi fu quindi la guerra contro i Latini portata avanti dai dittatori romani Tito Larzio prima, Aulo Postumio poi. Lo scontro fatale avvenne presso il Lago Regillo (494) dove si evidenziò la supremazia romana.
Nel 493 a.C. fu stipulato un trattato di pace tra i Romani e i popoli appartenenti alla lega latina, detto Trattato Cassiano: in questa alleanza latini e romani si impegnavano in una pace perpetua, reciproco aiuto contro eventuali aggressioni di altri popoli e assistenza militare. In tal modo però Roma perdeva ogni diritto e dominio su Etruria, Sabina e Lazio, ma assumeva una posizione di egemonia sulla lega latina.
- Guerra contro i Volsci e gli Equi (492-430): la pace tra Romani e Latini era stata imposta dall’apparire di un nuovo pericolo. I Volsci, che abitavano a sud di Roma, e gli Equi, che abitavano ad est di Roma, migravano verso occidente, nel Lazio giungendo fino alla costa tirrenica. Alla fine dopo una lotta durata parecchi decenni, Roma riuscì a liberare il Lazio dagli invasori, occupando, coi Latini una parte del territorio nemico. La tradizione collega alle guerre contro i Volsci e gli Equi le figure di G. Marcio Coriolano e di Quinzio Cincinnato.
Marcio Coriolano avrebbe guidato i Romani contro i Volsci, conquistando la città di Corìoli. Tornato in patria viene condannato all’esilio come violatore della legge sacra. Si rifugia presso i Volsci, contro i quali Roma era in guerra, e ne guida l’esercito contro la sua stessa patria. Arrivato sotto le mura della città, riconduce indietro l’esercito nemico e ritenuto dai Volsci un traditore fu ucciso.
Quinzio Cincinnato, eletto dittatore nel 458 a.C., in sole 24 ore liberò l’esercito romano dagli Equi. Rientrato a Roma, molto umilmente depose il titolo di dittatore e tornò al suo campicello.
- Guerre contro gli Etruschi di Veio (482-396): ma i maggiori nemici di Roma erano gli Etruschi che abitavano la valle del Tevere e la città di Veio, la più potente delle città etrusche meridionali. Tra il 482 e il 474 scoppiò la prima guerra tra Roma e Veio che si concluse con un armistizio col quale Veio rinunciava al dominio su Fidene. Ma nel 438 a.C. Fidene si ribellò a Roma, si alleò nuovamente con la città di Veio e quindi scoppiò una guerra tra Roma e Fidene, ma la città di Fidene venne distrutta.
Verso il 400 a.C. scoppiò una nuova guerra tra Roma e Veio. I Veienti non potendo contare sull’aiuto di altre città etrusche si chiusero entro le mura in un assedio che durò per 10 anni. Dopo anni di sanguinose guerre, nel 396 la città fu espugnata dal dittatore Furio Camillo che fece entrare i Romani nella città scavando una galleria sotterranea. Roma estese così il suo dominio su tutto il territorio del Lazio.
- Invasione dei Galli (390 a.C.): dopo pochi anni un nuovo pericolo si abbatteva sulla repubblica romana: le tribù dei Celti (dai Romani chiamati Galli), stanziate nella Gallia (Francia) e nella parte settentrionale della nostra penisola (che i Romani chiamarono più tardi Gallia Cisalpina). Le principali tribù galliche che l’abitavano furono quelle dei Taurini in Piemonte, degli Insubri in torno a Milano, dei Cenòmani tra l’Oglio e l’Adige, dei Boi nell’Emilia, e dei Sènoni nelle Marche. Essi si erano mosse in movimento verso sud e verso est. Dopo aver travolto le città etrusche della valle padana, i Galli scesero lungo la costa adriatica. Nel 390 a.C. un’ondata di Galli Sènoni, circa 30.000, guidata da Brenno, posero l’assedio alla città etrusca di Chiusi e quindi marciarono contro Roma. Vinta ogni resistenza, i barbari entrarono in Roma e non l’abbandonarono se non dopo averla saccheggiata e distrutta (ma solo dopo 7 mesi riuscirono ad espugnare il Campidoglio). Minacciati dall’invasione dei Veneti i Galli per la mancanza di viveri si ritirarono da Roma dietro pagamento. Roma era così devastata che i Romani si volevano trasferire a Veio. Ma Furio Camillo la fece ricostruire e per questo venne inteso come il secondo fondatore di Roma.
Nel 360 a.C. e nel 357 a.C. ci furono rispettivamente la seconda e la terza invasione dei Galli, ma i Romani riuscirono entrambe le volte a sconfiggerli definitivamente.
- Conquista della Campania e dell’Italia centrale.: Roma ormai sicura contro nuovi eventuali attacchi dei Galli, conquistò la Campania, famosa per la fertilità delle terre e per la ricchezza della città.
- La prima guerra sannitica (343-341 a.C.): i Romani iniziarono quindi l’espansione verso la ricca e fertile terra della Campania, ma si trovarono di fronte ai fieri Sanniti, un popolo di pastori che abitava la montuosa regione del Sannio (odierni Abruzzo e Molise) e anch’esso ansioso di occupare il territorio campano. Nel 343 a.C. la richiesta si soccorso da parte della città Capua, minacciata dai Sanniti, offrì a Roma l’occasione per intervenire. Iniziò così una serie di guerre che dovevano durare una 50ntina di anni, guerre che misero a dura prova l’esercito romano, continuamente molestato dalle improvvise incursioni dei Sanniti, abituati a combattere sui monti. I Sanniti, sconfitti negli scontri vicino il Monte Gauro, presso Saticula e a Suessula, conclusero rapidamente la pace (341 a.C.), riconoscendo ai Romani il diritto di includere le città campane nella loro egemonia. (lasciando Capua ai Romani).
- Rivolta dei Latini (340-338): appena terminata la prima guerra sannitica, Roma dovette fa fronte alla ribellione dei Latini, preoccupati della sempre maggiore potenza che essa andava acquistando. Nel 338 i Latini con l’aiuto dei Campani combatterono contro Roma ma vennero sconfitti dall’esercito romano guidato dai consoli Manluio Torquato e Decio Mure a Trifàno (ai piedi del Vesuvio) e presso Sinuessa (sul colle tra il Lazio e la Campania). La vittoria di Sinuessa portò come conseguenza lo scioglimento della lega latina e l’estensione del dominio romano sulla Campania. In definitiva la lega latina venne sostituita da un organismo federale romano-latino-campano.
- Seconda guerra sannitica (326-304 a.C.): la seconda guerra sannitica scoppia nel 326 a.C. a causa dell’occupazione di Napoli da parte dei Romani. I Sanniti videro chiusa così ogni loro possibilità di giungere ad uno sbocco sul mare. Così i Sanniti decisero di occupare la colonia romana di Fregelle (330). I Romani, in questa nuova guerra contro i Sanniti, vollero affrontarli nel loro stesso territorio, cioè nel Sannio (odierno Abruzzo meridionale). Nel 321 a.C. i Romani subirono una dolorosa sconfitta in quanto, addentratisi incautamente nelle montagne del Sannio, furono sorpresi dai Sanniti, guidati dal condottiero Ponzio, in una stretta gola presso Càudio (alle Forche Caudine); costretti ad arrendersi, essi ottennero la libertà solo a patto di sgomberare il Sannio e di sottostare a una gravissima umiliazione: quella di passare, tra lo scherno dei nemici, sotto un giogo formato da 2 lance conficcate nel terreno e sormontate da una terza lancia posta orizzontalmente. Questa pace non venne accettata dal senato romano e nel 304, sempre sotto il comando del dittatore Cursore, i Romani entrarono nuovamente nel Sannio, sconfissero i Sanniti, presero la loro capitale Boviano (presso Campobasso) e costrinsero i Sanniti alla pace. I Sanniti conservarono la loro indipendenza, ma con delle clausole territoriali che li chiudevano nelle loro montagne impedendo ad essi di espandersi al di qua o al di là dell’Appennino.
La Confederazione Sannitica era costretta ad entrare nell’alleanza romana ed a riconoscere il possesso romano della Campania.
- Terza guerra sannitica o prima guerra italica (298-290 a.C.): la pace fu rispettata per qualche anno. Nella terza guerra i Sanniti si allearono contro Roma con le popolazioni dell’Italia centrale e meridionale (Sanniti, Umbri, Etruschi e Galli Sènoni) che temevano il potere di Roma. Così Roma si trovò circondata da nemici molto più numerosi. I Romani non si persero d’animo e affrontarono in un primo momento i nemici separatamente, sfruttando la posizione centrale di Roma e spostando il proprio esercito da un fronte all’altro. Battuti gli Etruschi a Volterra nel 298 a.C., gli eserciti romani si rivolsero contro i Sanniti tenendoli, per 2 anni, lontani dai confini del Lazio. Sul finire del 296 a.C., però, un esercito sannitico, al comando di Gellio Egnazio, riuscì a passare nell’Umbria ricongiungendosi alle forze degli Umbri, dei Galli Senoni e degli Etruschi, muovendo contro Roma. I Romani decisero di affrontare la coalizione nemica in campo aperto che subì la decisiva sconfitta a Sentìno, in Umbria, nel 295 a.C. Etruschi, Galli Umbri e Sanniti dovettero entrare nell’alleanza romana e cedere alcuni territori, ove vennero stanziate colonie romane e latine.
Roma, dopo la vittoria sui Sanniti, aveva il controllo di gran parte dell’Italia centrale. I Romani inoltre conquistarono il territorio dei Sabini (a sud dell’Umbri), dei Peligni (a est dell’Umbria), dell’Etruria centrale e tutto il paese dei Galli Senoni, che si estendeva lungo l’Adriatico.
- Conquista dell’Italia meridionale: avendo ormai il controllo dell’Italia centrale, Roma conquistò pian piano anche l’Italia meridionale, dove fiorivano le più importanti città della Magna Grecia, che si trovavano in una fase di decadenza perché osteggiate dalle genti italiche (Lucani, Bruzi) dell’Italia meridionale. Esse avevano invocato più volte l’aiuto della madre patria ma senza alcun beneficio. Taranto, la più ricca e potente di tutte le città greche, che aspirava all’egemonia delle Puglie, nel 303 a.C., strinse con i Romani un trattato di pace che le garantiva la piena indipendenza: in esso i Romani si impegnavano a non oltrepassare con le loro navi il promontorio Lacinio (presso Crotone) e a non navigare nel golfo di Taranto e nell’Adriatico. Roma, impegnata nella terza guerra sannitica, accettò la clausola svantaggiosa per assicurarsi la neutralità di Taranto.
- guerra contro Taranto (282-272 a.C.): Tale impegno non fu però rispettato. Nel 282 Turi, città greca, venne assalita dai Lucani e chiese aiuto ai Romani che mandarono un presidio e una flotta nel mar Ionio contravvenendo al trattato di navigazione. I Tarantini attaccarono le navi romane che avevano trasgredito al patto e Roma rispose dichiarando la guerra nel 281 a.C. Sul piano militare però i Tarantini non erano in grado di competere con l’esercito romano. Così chiesero aiuto a Pirro, re dell’Epiro (uno degli stati nati dallo smembramento dell’impero di Alessandro Magno, odierna Albania), che giunse in Italia con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti provenienti dall’Egitto. Grazie alla sua abilità strategica, Pirro riuscì a battere i Romani 2 volte in campo aperto: a Eraclèa presso Taranto (280 a.C.) e ad Ascoli (279 a.C.), dove gli elefanti, che i Romani non li avevano mai visti portarono grande scompiglio. Mentre i Romani riorganizzavano le loro milizie, Pirro offrì ripetutamente la pace, ma Roma non accettò, anzi si alleò con Cartagine contro Pirro. Quest’ultimo tornò a combattere contro i Romani nel 275 a.C. dove fu sconfitto definitivamente a Maleventum (in seguito alla vittoria riportata, i Romani cambiarono il nome della città in Benevento) e Pirro abbandonò per sempre l’Italia. Nel 272 a.C. Taranto si arrense e fu costretta ad accogliere un presidio romano, mentre le altre città vennero indotte all’alleanza con Roma. Verso il 270 a.C. Roma si trovò così ad avere in saldo controllo quasi tutta la penisola, dall’Appennino tosco-emiliano alla punta calabra.
3.3. La conquista del Mediterraneo.
- Cartagine e il suo governo: Cartagine, la grande rivale di Roma, era stata fondata nel IX sec. a.C. (814 a.C.) dai Fenici di Tiro. Essa, per la sua posizione centrale e per la sua attività commerciale, era riuscita ad affermarsi come grande potenza e il suo predominio marittimo si estendeva su tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. Aveva un’intensa attività commerciale ma anche agricola.
Come Roma anche Cartagine era una repubblica di tipo aristocratico, ma la classe dominante al contrario di quella romana (ricchi proprietari terrieri) era formata da commercianti e finanziari. A capo dello stato vi erano 2 magistrati annuali, detti Giudici, che esercitavano il potere esecutivo. Vi era poi un senato, composto dai rappresentanti delle più potenti famiglie, che ha potere legislativo. Vi era anche un consiglio di 30 uomini, che vigilava su tutta l’amministrazione dello stato. Vi era infine un’assemblea popolare, composta dai cittadini di un dato censo, che eleggeva i giudici, i membri del senato ed altre magistrature. Lo stato cartaginese fu tuttavia sempre politicamente e militarmente debole, sia perché Cartagine a differenza di Roma, non concesse mai i diritti di cittadinanza ai popoli vinti (per cui l’Africa fu facile preda degli invasori), sia perché i suoi cittadini non formarono mai un esercito veramente nazionale, ma preferirono assoldare milizie mercenarie.
I Cartaginesi professavano una religione barbara e sanguinaria: essi veneravano il dio Moloch, rappresentato da un colosso di bronzo con la testa di toro, al quale, in particolari circostanze, sacrificavano vittime umane, anche fanciulli.
- Cartagine e Roma: assoggettate le colonie greche dell'Italia meridionale, Roma si trovò a dover lottare per il dominio del Mediterraneo contro Cartagine, grande potenza marinara. All’inizio i rapporti tra Roma e Cartagine erano buoni e anzi le 2 città avevano stipulato sin dalla fine del VI sec. a.C. un trattato di navigazione e di commercio (ai tempi di Tarquinio il Superbo): con esso Cartagine permetteva ai romani di trafficare nel mar Tirreno e in Sicilia, mentre Roma riconosceva ai cartaginesi il diritto di trafficare con tutta la costa italica del Tirreno, e un trattato di alleanza militare durante la guerra contro Pirro (278 a.C.). In base a questi trattati, Cartagine si era impegnata a non intervenire in Italia e Roma a non commerciare coi paesi del Mediterraneo (cioè il reciproco riconoscimento dell’Italia come sfera esclusiva di Roma e della Sicilia come sfera esclusiva di Cartagine).
Quando però Roma conquistò le città greche dell’Italia meridionale che, per un accordo con Cartagine, avevano libero transito nel Mediterraneo, automaticamente i trattati tra Roma e Cartagine si trovarono ad essere violati. Il conflitto tra Roma e Cartagine durò più di un secolo (264-146) e finì con la sconfitta e distruzione di Cartagine.
- Prima guerra punica (264-241 a.C.): la scintilla del conflitto s’accese in Sicilia. La causa della prima guerra punica fu l’invito che nel 265 i Mamertini, una comunità di mercenari campani, padroni di Messina, rivolsero ai Cartaginesi, affinché intervenissero in loro aiuto contro Gerone, tiranno di Siracusa. Ma poi, i Mamertini, insofferenti del presidio cartaginese, pensarono di liberarsene rivolgendosi ai Romani, che inviarono un contingente militare. Nel 264 a.C. il console Appio Claudio occupò la città di Messina, allontanando il presidio cartaginese e determinando la rottura dell’alleanza con Cartagine e le guerre per l’egemonia sul Mediterraneo. Aveva inizio in tal modo la prima guerra punica che sarebbe durata 23 anni e sarebbe finita con la vittoria di Roma.
la guerra: i Cartaginesi, cacciati da Messina, strinsero alleanza con Siracusa che, però, trattò subito la pace con Roma. Negli anni seguenti i Romani, partendo da Siracusa, conquistarono quasi tutte le città della Sicilia, tra le quali Agrigento (262), roccaforte cartaginese grazie alla quale mantenevano il contatto per mare con la madre patria. Tuttavia se gran parte della Sicilia era caduta in mano ai Romani, il mare attorno all’isola era controllato dalla potente flotta cartaginese. I Romani si resero conto che con una potente flotta avrebbero potuto tagliare le comunicazioni fra la Sicilia e Cartagine. Costruirono una grande flotta di 120 navi (100 quinqueremi, navi a 5 ordini di remi, e 20 triremi). Inoltre, poiché l’esercito romano non era abituato al combattimento sul mare, le navi furono munite di ponti mobili (detti corvi) che, agganciati alle navi nemiche, avrebbero permesso ai Romani di battersi come sulla terraferma.
Fu così che nel 260 a.C. il primo scontro navale nelle acque di Milazzo fu vinta dalla flotta romana guidata dal console Caio Duilio. La vittoria di Milazzo non fu decisiva. Allora i Romani decisero di portare la guerra in territorio africano (combattendo così nel paese nemico). Nel 256 a.C. la flotta romana si scontrava, vincendo, con quella cartaginese presso il capo Ecnomio (oggi Capo Sant’Angelo, presso Licata). L’esercito romano sbarcò in Africa, da dove poteva minacciare direttamente Cartagine. Il console Attilio Règolo, dopo aver ottenuto buoni successi, respinse la richiesta nemica di pace, anzi pose condizioni durissime e del tutto inaccettabili. Così i Cartaginesi continuarono la guerra. Nel 255 i Cartaginesi guidati da Santippo vinsero a Tunisi e successivamente la flotta romana fu battuta presso il promontorio di Pechino, distrutta da una tempesta. La spedizione in Africa si risolse, così in un vero disastro. Si tornò quindi a combattere in Sicilia e nel 254 si riuscì ad occupare Panormo (Palermo). I Cartaginesi nel 250 tentarono invano di riprenderla e furono costretti a chiedere la pace che non ottennero.
Molte città siciliane passarono allora a Roma e le forze cartaginesi si ritirarono nelle fortezze di Lilibeo e di Drepena (Trapani). Nel 242 a.C. l’armata romana, al comando del console Lutàzio Càtulo, occupò Drepena. La lotta si trascinò stancamente per altri anni finchè presso le isole Ègadi nel 241 a.C. fu combattuta la battaglia navale decisiva che si risolse in una vittoria romana.
Pace: dopo questa sconfitta i Cartaginesi cedettero a Roma la Sicilia, si impegnarono a pagare in 10 anni, come risarcimento per le spese di guerra, una forte somma di denaro (indennità di guerra) e a non far guerra a tutti gli alleati di Roma. I Romani fecero della Sicilia la loro prima provincia, cioè il primo possedimento romano fuori dalla penisola, governata da un pretore mentre il controllo amministrativo viene affidato a un questore.
- Conquiste romane tra la I e la II guerra punica (241-218 a. C.): in questo periodo i Romani affermano il loro predominio sul Mediterraneo occidentale, sul Tirreno e sull’Adriatico.
- Conquista della Sardegna e della Corsica (238-235 a.C.): dopo la pace del 241 i rapporti fra Roma e Cartagine furono abbastanza distesi perché a Cartagine aveva preso piede il partito della pace capeggiato da Annone. Ma all’improvviso i mercenari che erano invece ben propensi a combattere per essere pagati si ribellarono e nello stesso anno scoppiò la guerra dei mercenari(241-239). I Cartaginesi combatterono contro di essi mettendo Amilcare Barca al comando e i Romani sentendosi minacciati accettarono l’invito, offerto loro dai mercenari ribelli di Sardegna, di combattere nell’isola nel 238. Allora anche i Cartaginesi mandarono una loro flotta e così Roma dichiarò la guerra che si concluse col pagamento di 1.200 talenti d’argento da parte dei Cartaginesi. Negli anni successivi alla fine della prima guerra punica Roma sottrasse ai Cartaginesi anche la Sardegna e la Corsica che, unite, costituirono la seconda provincia romana.
- Conquista dell’Illiria (230-228 a.C.): nel 230 i Romani dovettero riprendere le armi per combattere gli abitanti dell’Illiria (Dalmazia), che compivano atti di pirateria nell’Adriatico. Inizialmente si cercò di trattare con la regina degli Illiri, mandando 2 ambasciatori romani, ma la regina ne uccise 1 e i Romani inviando una flotta di 200 navi, li sconfissero conquistando dopo il Tirreno anche l’Adriatico che divenne un mare romano.
- Conquista della Gallia Cisalpina (225-222 a.C.): in questi anni Roma dovette anche sventare una nuova invasione dei Galli, che abitavano nella valle padana, e che invasero l’Italia centrale e puntavano su Roma. Ma il loro esercito fu vinto e distrutto nella battaglia di Talamone (225 a.C.). Successivamente i Romani decisero di conquistare la Gallia Cisalpina: i Galli Boi si arresero subito mentre gli Insubri chiesero aiuto ai Galli d’oltralpe ma persero a Clastidium (Casteggio) e i Romani guidati dal console Claudio Marcello, occuparono la loro capitale Mediolanium e così la Gallia Cisalpina divenne la terza provincia romana.
- Seconda guerra punica (218-201 a.C.): causa della II guerra punica fu la conquista della Spagna da parte dei Cartaginesi, ma lo spunto venne dato da Annibale che assediò Sagunto, alleata di Roma. Perduto il controllo del Mediterraneo, i Cartaginesi cercavano nuovi sbocchi alla loro attività commerciale. Ricca di metalli preziosi e di ferro, coperta di pianure adatte alla coltivazione, la Spagna era diventata per i Cartaginesi un importante obiettivo di conquista. Qui essi fondarono la città di Nuova Cartagine (oggi Cartagèna). Anche in Spagna, però, Cartagine si trovò presto a dover fare i conti con Roma. Non si arrivò subito allo scontro. Nel 226 un trattato stabilì che il fiume Ebro dovesse segnare il confine trai territori controllati dalle 2 potenze. Quando tuttavia Annibale, figlio del generale Amilcare Barca, che aveva combattuto contro i Romani nella prima guerra punica, assunse il comando dell’esercito, la situazione precipitò. Annibale, nel 219, assediò ed espugnò Sagunto, che era alleata dei Romani. Roma chiese allora la consegna di Annibale come violatore della pace, ma ciò non avvenne e nel 218 iniziò la seconda guerra punica.
guerra: conquistata Sagunto, Annibale portò la guerra in Italia, sperando di riuscire a sollevare le popolazioni italiche alleate di Roma. Egli organizzò quindi un poderoso esercito di oltre 30.000 uomini, dotati di 37 elefanti, attraversò la Spagna e la Gallia meridionale e varcò le Alpi. L’esercito cartaginese dilagò quindi nella pianura padana riuscendo a sollevare le tribù galliche. I Romani, colti di sorpresa (richiamarono in Italia i 2 consoli, Scipione e Longo, partiti alla volta di Spagna ed Africa), vennero battuti prima sul Ticino, poi sulla Trebbia (218 a.C.). Persa la Gallia Cisalpina, essi tentarono di organizzare un nuovo fronte di difesa, ma al lago Trasimeno subirono una nuova umiliante sconfitta (217 a.C.). La via di Roma, praticamente indifesa, si apriva davanti ai Cartaginesi. Tuttavia Annibale, benchè avesse la via libera, non marciò contro Roma, mas si diresse verso l’Italia meridionale per sollevare le popolazioni e ristabilire per via mare le comunicazioni con la madre patria.
Tuttavia, mentre nell’Italia settentrionale le popolazioni galliche si erano schierate con Annibale, quelle italiche dell’Italia centrale (umbre ed etrusche) rimasero fedeli ai Romani i quali, per far fronte alla grave situazione, aveva intanto nominato un dittatore: Quinto Fabio Massimo. Questi evitò di affrontare Annibale in campo aperto, cercando invece di impedirgli i rifornimenti e di logorare l’esercito cartaginese con un estenuante guerriglia. Annibale fu così indotto ad avanzare nell’Italia meridionale, dove gli era più facile ottenere aiuti via mare da Cartagine. A lungo andare però la pur accorta tattica di Quinto Fabio Massimo, che gli era valsa il soprannome di Temporeggiatore, provocò le proteste delle popolazioni italiche, esposte alle scorrerie dell’esercito cartaginese, e di quei Romani che volevano una rapida soluzione del conflitto. Roma cercò allora la battaglia decisiva: i consoli successivi Marrone e Licio Paolo decisero di attaccare direttamente. Un esercito romano affrontò nel 216 a.C. a Canne, in Puglia, quello cartaginese, ma ancora una volta Annibale trionfò: egli riuscì ad accerchiare le legioni romane e ad annientarle. La battaglia di Canne aprì nuovamente ad Annibale la via di Roma, ma anche questa volta non lo fece.
Rivincita romana: la notizia della sconfitta gettò lo sgomento tra i Romani e tra le popolazioni alleate. Alcune città come Capua, Taranto e Siracusa, passarono dalla parte dei Cartaginesi. Roma tuttavia seppe reagire e riorganizzò l’esercito, arruolando tutti i cittadini validi e promettendo la libertà agli schiavi che avevano partecipato alla lotta. Tornati alla tattica di guerriglia di Quinto Fabio Massimo, i Romani da un lato conquistarono, nel 211, Capua e Siracusa (che resistette per 2 anni grazie soprattutto alle geniali macchine inventate da Archimede), nel 209 fu ripresa anche Taranto e nel 210 Agrigento (Annibale fu così chiuso in Calabria); dall’altro, penetrarono in Spagna con un esercito che aveva il compito di togliere ai Cartaginesi ogni possibilità di ricevere rinforzi via terra. In Spagna nel 210 a.C. l’esercito romano, sotto la guida dei 2 Scipioni, fu sconfitto e gli stessi comandanti uccisi. Fu mandato allora Publio Cornelio Scipione, (l’Africano) il quale riuscì ad espugnare Cartagèna e conquistare tutta la penisola iberica. Nel frattempo però, nel 208, un esercito cartaginese guidato da Asdrubale, fratello di Annibale, era riuscito a penetrare dalla Spagna in Italia attraverso le Alpi e tentava di ricongiungersi con le truppe cartaginesi stanziate in Puglia. Ma nel 207 a.C., scontrandosi con i Romani,guidati dai consoli Nerone e Salinatore, sul fiume Metàuro, subì una dura sconfitta. Annibale si trovò così isolato. Anche ogni aiuto via mare da Cartagine gli era impedito dalla flotta romana.
Per costringere Annibale a lasciare l’Italia, Roma decise allora di spostare la guerra in Africa, attaccando direttamente Cartagine. Eletto console nel 205, il giovane Publio Cornelio Scipione (chiamato l’Africano), nel 204, sbarcò così in Africa e riuscì a ottenere l’aiuto di Massinissa, re dei Numìdi, sino ad allora alleato di Cartagine.
Cartagine, indifesa, fu costretta a chiedere una tregua e a richiamare dall’Italia Annibale con il suo esercito. Lo scontro tra Annibale e Scipione avvenne nella pianura di Narragarra, presso Zama nel 202 a.C.; la vittoria fu dei Romani.
Pace: i Cartaginesi furono allora costretti a chiedere la pace (202), ma le condizioni di pace dettate da Roma furono durissime: Cartagine rinunciava alla Spagna (che nel 197 a.C. fu divisa in 2 province romane) e a tutte le proprie colonie (Malta, isole Baleari), consegnava ai Romani gran parte della flotta, riconosceva il regno di Massinissa loro alleato; inoltre si impegnava a non intraprendere guerre senza l’autorizzazione di Roma, e a versare una indennità di guerra.
In tal modo Cartagine scompariva per sempre dal novero delle grandi potenze e Roma diventava la signora di tutto il bacino occidentale del Mediterraneo.
Sconfitti i Cartaginesi, Roma completò la sua espansione nel bacino del Mediterraneo, strappando la Grecia ai Macedoni e respingendo un tentativo del re di Siria Antioco di riconquistarla. Più tardi i Romani sottomisero anche la Macedonia e distrussero Cartagine.
- Conquiste romane tra la II e la III guerra punica (200-133): La vittoria sui Cartaginesi aveva posto il Mediterraneo occidentale sotto il dominio di Roma; il Mediterraneo orientale, invece, restava sotto il controllo delle monarchie ellenistiche di Macedonia, di Siria e d’Egitto, nate dalla divisione dell’impero di Alessandro Magno. Uno di questi Stati, la Macedonia, aveva stretto durante la seconda guerra punica un’alleanza con Annibale.
- Prima guerra macedonica (215-205 a.C.): Filippo V di Macedonia, quando apprese che i romani erano stati sconfitti al Transimeno, si era alleato con Cartagine. La guerra si protrasse x parecchi anni e alla fine Filippo V fu indotto a stipulare la pace di Fenice (205 a.C.): i Romani cedettero a Filino una parte del territorio il lirico, ma conservarono i possedimenti dell'Illiria + importanti, tra cui le città greche della costa.
- Seconda guerra macedonica e liberazione della Grecia (200-196 a.C.): finita la seconda guerra punica, i Romani si rivolsero contro Filippo V di Macedonia che, si era schierato a fianco di Annibale. Alcuni Stati greci, minacciati dalla sete di potere di Filippo V, chiesero aiuto ai Romani in particolare la repubblica di Rodi e il regno di Pergamo. Roma intimò a Filippo di cessare ogni atto ostile verso le città greche e, siccome il re di Macedonia oppose un deciso rifiuto, gli dichiarò guerra (seconda guerra di macedonica). Le ostilità ebbero inizio nel 200 a.C.: inizialmente i Romani ebbero scarsi risultati, ma poi nel 197 a.C.: Filippo V, scontratosi con l’esercito romano, guidato dal console Quinzio Flaminino, nella piana di Cinoscèfale, in Tessaglia, subì una disastrosa sconfitta e fu costretto a firmare la pace impegnandosi a consegnare la flotta ai Romani, a ritirarsi in Macedonia e a pagare una forte indennità di guerra. Ai Greci i Romani non imposero né tributi né guarnigioni militari e la Grecia, per breve tempo, s’illuse di essere libera.
- Guerra siriaca (191-188 a.C.): Roma, presentandosi come tutrice dell’indipendenza greca, richiese poi ad Antìoco III di Siria di liberare le città greche che si trovavano sotto il suo dominio: il rifiuto del re provocò la guerra. Quasi tutti gli stati greci si schierarono contro Antioco tranne la lega etolica, che invitò Antico a passare in Grecia. Il re fu sconfitto dai Romani alle Termopili (191 a.C.). Roma decise però di abbattere definitivamente la potenza siriaca. I Romani inviarono contro Antioco un esercito al comando di Lucio Cornelio Scipione aiutato dal fratello Scipione l’Africano, che nel 189 a.C. inflisse al re di Siria una grave sconfitta a Magnèsia, obbligando Antioco a chiedere la pace che fu firmata nel 188 nella città di Apamèa, in Frigia. Come Cartagine e la Macedonia, anche il regno di Siria dovette consegnare la propria flotta ai Romani. Antioco fu costretto inoltre a cedere gran parte dei suoi territori al regno di Pergamo, alleato di Roma, a pagare una forte indennità e ad allontanare dalla propria corte Annibale, il quale, dopo essersi rifugiato in Bitinia, per non cadere in mano ai Romani, si uccise. Solo molto più tardi, dopo la morte dell’ultimo re di Pergamo (133 a.C.), questi territori costituirono la provincia romana d’Asia. L’ambizioso disegno di Roma di controllare il Mediterraneo si era così in gran parte realizzato.
- Terza guerra macedonica (171-168 a.C): nonostante gli accordi con i Romani, il nuovo re di Macedonia, Persèo, figlio di Filippo V, continuò l’opera che il padre aveva iniziato, e cercò di riconquistare la Grecia, facendo leva sull’insofferenza dei Greci alla potenza romana. Così nel 171 Roma gli dichiarò guerra. I Romani inviarono in Grecia un esercito al comando di Lucio Emilio Paolo, il quale, nel 168, a Pidna sconfisse le truppe macedoni. Nel successivo trattato di pace, la Macedonia fu sottoposta a tributo.
Vent’anni dopo, nel 149, in seguito a un’insurrezione, scoppiata per opera di un certo Andrisco e vinto dai Romani nella seconda battaglia di Pidna nel 148 a.C. sotto la guida del console Cecilio Metello, la Macedonia fu trasformata in provincia romana.
Analoga sorte subì nel 146 a.C. la stessa Grecia, che venne aggregata alla Macedonia.
- Terza guerra punica (149-146 a.C.): seppur lentamente Cartagine si era intanto risollevata dalla catastrofe della seconda guerra punica. La sua posizione di unica importante città sulla costa africana, le risorse del ricco retroterra, furono gli elementi fondamentali di questa rinascita, prima commerciale e poi politica. Ma quando Cartagine, dopo aver più volte richiesto invano l’intervento di Roma, rispose con la guerra a una provocazione di Massinissa, re della Numidia, il quale voleva impadronirsi del suo territorio, il senato romano, rifacendosi a una clausola del trattato di pace che vietava a Cartagine di dichiarare guerra senza l’approvazione di Roma, decise di intervenire. Un esercito guidato da Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio adottivo di Scipione l’Africano, dopo un assedio durato 3 anni, conquistò Cartagine e, per ordine del senato la rase al suolo (146). La sua popolazione fu in parte massacrata e in parte condotta a Roma in schiavitù e il territorio fu ridotto a provincia col nome di Africa. La potente rivale di Roma era così eliminata. Ad essa rese omaggio il poeta Virgilio nell’episodio di Didone del quarto libro dell’Eneide.
- Insurrezione della Spagna e distruzione di Numanzia (154-133 a.C.): la Spagna dopo la seconda guerra punica (218-201), mal digeriva il dominio romano, soprattutto mal lo digerivano le popolazioni ribelli e bellicosi dei Celtìberi e dei Lusitani che nel 179 furono costretti alla pace da Tiberio Sempronio Gracco che li trattò con molta generosità. Ma nel 154 per la tirannide dei governatori romani insorsero i Lusitani e l’anno dopo pure i Celtiberi, guidati da Viriato, un pastore rivelatosi un valente condottiero. Alla fine i Romani vinsero corrompendo 2 suoi ufficiali che lo uccisero mentre dormiva. Dopo che Viriato fu assassinato e la Spagna meridionale definitivamente conquistata, le lotte si spostarono a settentrione nelle città di Numanzia: la città resistette a lungo e fu espugnata nel 133 da Scipione Emiliano che fece capitolare le città per le fame.

GUERRE IN ORIENTE (II SECOLO)
205 a.C. I guerra macedone Filippo V- vittoria dei Romani- pace di Fenice
197-196 a.C. II guerra macedone alleanza tra Filippo V e Antioco- attacco dei romani contro Filippo a Cinocefale
191-188 a.C. guerra siriana 191 = invasione Siria
189 = sconfitta a Magnesia
188 = pace di Apamea
168 a.C. III guerra macedone Perseo sconfitto a Pidna
149-146 a.C. III guerra punica distruzione Cartagine e Corinto
3.4. Organizzazione del dominio romano.
- Ordinamento politico dell’Italia: con la conquista della penisola, Roma era diventata una grande potenza, ma politicamente non era uno stato unitario, perché le città e i popoli d’Italia erano governati da Roma in maniera diversa. Bisogna perciò distinguere:
a) Roma, che era il centro politico, i cui cittadini godevano diritti politici (il diritto di partecipare ai comizi, di eleggere e quello di essere eletti alle cariche dello stato), e diritti civili (diritto di avere proprietà, del matrimonio con cittadini romani e quello di commercio libero). Il territorio di Roma fu diviso in 35 tribù, di cui 21 erano costituite dagli antichi cittadini.
b) Municipi, o città incorporate, erano chiamate le città già esistenti prima della conquista romana, in cui i cittadini erano considerati cittadini romani, ma erano autonomi dal punto di vista amministrativo. I municipi erano amministrati da un governo simile a quello di Roma: 2 magistrati che avevano il potere esecutivo, come i consoli, e poi c’era il prefetto nominato dal pretore con potere giudiziario. Queste città si distinguevano in
- municipi con suffragio, i cui abitanti avevano pieni diritti civili e politici, compreso quindi il diritto di voto (cioè eleggere o essere eletti) in Roma, e in
- municipi senza suffragio, i cui abitanti godevano dei diritti civili ma non di quelli politici: erano cioè esclusi dal voto e dalle cariche pubbliche.
Gli abitanti dei municipi con o senza suffragio avevano l’obbligo di prestare servizio militare e di pagare le tasse, e non potevano dichiarare guerra né concludere alleanze senza l’autorizzazione di Roma.
c) le città federate, legate a Roma da trattati di alleanza, che si governavano da sole, potevano commerciare con Roma ma non tra di loro e avevano l’obbligo di fornire a Roma un certo numero di soldati. L’alleanza stipulata da Roma con questi socii, cioè alleati, era di 2 tipi: una concedeva agli alleati uguali diritti, l’altra riconosceva invece la supremazia di Roma.
d) le colonie erano invece città fondate, nei territori conquistati da Roma, da cittadini romani. Questi conservavano la piena cittadinanza romana e avevano quindi diritto di voto in Roma anche se, a causa della lontananza, potevano servirsene raramente. Le colonie, che sorgevano spesso in punti strategici, allo scopo di dominare una vasta zona e poterne così controllare la sottomissione a Roma, contribuirono a diffondere nei luoghi conquistati la lingua, i costumi e la civiltà romana.
Pertanto l’Italia al tempo della repubblica si presentava come una grande confederazione di città, sulle quali Roma esercitava la sua supremazia politica. A tutte queste città Roma imponeva:
- obblighi militari: i cittadini romani venivano incorporati nelle legioni; quelli federati (socii) costituivano una specie di truppa ausiliaria sotto il comando di ufficiali romani.
- Imposte e tasse: i cittadini romani pagavano imposte sul capitale; i federati pagavano imposte in natura, consistenti in prodotti dell’ager Romanus, provenienti cioè dai terreni che Roma possedeva nei singoli stati federati e di cui cedeva a questi l’uso.
con l’estendersi dei domini romani progredì la costruzione delle strade (vie) militari che univano Roma alle colonie. Le principali tra esse furono: la Via Appia, la prima costruita nel 312 a.C., la Flaminia, la Latina, Tiburtina, l’Aurelia, la Cassia. Tutte queste vie, larghe da 4 a 5 metri, erano formate da un solido strato di ghiaia.
- Ordinamento delle province: ogni provincia aveva una sua costituzione fatta in rapporto ai costumi del paese dal senato di Roma. Le province erano governate da un pretore, che aveva i poteri amministrativi, giudiziari e militari. Dopo Silla le province, invece del pretore ebbero un propretore o proconsole, cioè un pretore o un console che, dopo il loro anno di governo in Roma, amministravano le province con gli stessi poteri del pretore. I provinciali non erano cittadini romani o federati, e non potevano far parte dell’esercito.
3.5. i Gracchi (133-121 a.C.).
- Necessità di una riforma agraria: scomparendo le classi medie agricole Roma necessitava al più presto una efficace riforma agricola che ripristinasse queste classi medie ponendo fine alla piccola proprietà. L’estendersi continuo dei latifondi a danno della piccola proprietà terriera, il grave stato di povertà in cui si trovava la gran massa del popolo, in seguito alla concentrazione delle ricchezze nelle mani della nobiltà senatoria e dei cavalieri, le condizioni di inferiorità degli alleati italici privi di cittadinanza romana, esigevano urgenti riforme. In questo clima di tensione si colloca Tiberio Gracco. I tentativi di Tiberio e Gaio Gracco di imporre queste riforme aprirono a Roma un periodo di violenti contrasti che sfociarono poi in sanguinose guerre civili.
- Tiberio Gracco: nel 133 a.C. fu eletto tribuno della plebe Tiberio Gracco, di ricca famiglia plebea e nipote di Scipione l’Africano. Tiberio, nell’intento di ricostituire la piccola proprietà terriera, appoggiandosi alle masse dei proletari, propose che fosse applicata un legge agraria secondo la quale:
1. nessun proprietario poteva possedere più di 500 iugeri (125 ettari) di agro pubblico (aumentato di altri 250 iugeri x ogni figlio maschio, fino ad un massimo di 1.000 augeri complessivi).
2. La terra eccedente doveva essere restituita o distribuita ai cittadini più poveri in piccole proprietà di 30 iugeri ciascuna. Tali proprietà dovevano essere inalienabili, non potevano cioè né essere vendute, né essere cedute in altra forma.
3. una commissione di controllo di 3 persone (triumviri) avrebbe vigilato sull’esecuzione della legge.
La riforma proposta da Tiberio mirava ad ottenere 4 risultati fondamentali: risollevare l'agricoltura, allontanare dalla città la massa degli oziosi e dei disoccupati e liberare i poveri dalla miseria.
Naturalmente la proposta trovò una violentissima opposizione da parte dell’aristocrazia terriera che non riuscì, tuttavia, ad impedire, tra violenti contrasti, l’approvazione della legge e la nomina della commissione di triumviri per la nuova ridistribuzione dell’ager publicus. Il partito aristocratico (senatori) per togliere di mezzo Tiberio, valendosi del fatto che deporre un magistrato era illegale, lo minacciarono di metterlo sotto accusa per violazione della costituzione. Tiberio per difendersi si ricandidò per l’anno successivo come tribuno, ma di nuovo i nobili aristocratici gridarono all’illegalità (perché i magistrati non venivano rieletti allo stesso ufficio se non dopo l’intervallo di un decennio). Così mentre l’assemblea popolare (cioè i comizi tributi) ormai sciolta lo ascoltava, i senatori, guidati da Cornelio Scipione Nasica, uccisero molte persone e Tiberio stesso venne ucciso.
- Gaio Gracco: il tentativo di riformista venne ripreso con maggior energia e con più ampie vedute dal fratello di Tiberio, Gaio Gracco. Questi, eletto tribuno dalle plebe nel 123 a.C., dopo aver rimesso in efficienza la legge agraria, presentò una legge frumentaria, con la quale veniva stabilito che ogni cittadino povero, residente in Roma, avesse diritto a ricevere ogni mese dai granai dello Stato una certa quantità di grano a basso prezzo. Inoltre per ottenere l’appoggio dei cavalieri e indebolire, d’altra parte, il potere della nobiltà senatoria, propose una legge giudiziaria che permetteva ai cavalieri di partecipare all’amministrazione della giustizia, fino allora in mano ai soli senatori.
L’anno successivo (122 a.C.), Gaio Gracco fu rieletto tribuno.
Egli propose allora la legge che chiedeva l’estensione della cittadinanza romana a tutti gli Italici, i quali (senza la cittadinanza romana erano esclusi dalla ridistribuzione delle terre), combattendo nelle file romane, avevano largamente contribuito alla grandezza di Roma.
Ma la proposta scatenò l’opposizione oltre dal senato (che non voleva dividere i suoi privilegi), anche quella della plebe, la cui sola ricchezza era appunto la cittadinanza romana e quindi temeva che poi tutti i cittadini sarebbero venuti a Roma; e dei cavalieri perché non voleva intromissioni nei loro affari.
Di questo malcontento ne approfittarono i senatori per iniziare una lotta decisa contro di lui. Mentre Caio si trovava in Africa per presenziare alla fondazione della colonia, Iunonia, nel territorio della distrutta Cartagine, il senato fece presentare dal tribuno Livio Druso leggi ancora più favorevoli al popolo di quelle di Gracco, col proposito di diminuire il favore verso quest’ultimo. Così quando Gaio ritornò a Roma per porre per la terza volta la sua candidatura al tribunato, non fu rieletto.
Non solo, ma il senato, deciso a risolvere definitivamente la situazione, dichiarò la repubblica in pericolo e nei tumulti che seguirono scatenò una vera e propria caccia all’uomo contro Gaio e i suoi seguaci. Assediato sull’Aventino, Gaio per non cadere in mano dei nemici si fece uccidere (121 a.C.).
Il tentativo dei Gracchi era così sostanzialmente fallito: la riforma agraria venne quasi subito soppressa e la crisi delle campagne romane continuò con gravi conseguenze per la storia di Roma, mentre aumentava lo scontento degli Italici. Dalla lotta dei Gracchi uscirono rafforzati i cavalieri: la legge giudiziaria non fu abolita ed essi riuscirono a confermarsi come nuova forza politica a fianco della nobiltà senatoria.
SOSTENITORI POPOLO RIFORME CONSEGUENZE
TIBERIO GRACCO propone la legge agraria lotta tra democratici e aristocratici tribuno nel 133 a.C. della classe senatoriale.
CAIO GRACCO ripropone la legge agraria e guerra sociale e concessione
tribuno nel 123 a.C. l'estensione della cittadinanza della cittadinanza a tutto il
a tutti gli italiani territorio italiano
3.6. L’età di Mario e di Silla (111-79 a.C.).
- Guerra giugurtina (111-105): nel 111 a.C. iniziò in Africa la guerra giugurtina. I Romani, vinta Cartagine, avevano assegnato il regno di Numidia al loro alleato Massinissa. Alla sua morte il regno passò al figlio Micipsa, che morendo, aveva lasciato il regno, che si trovava sotto il protettorato romano ai suoi 2 figli ed al nipote Giugurta. Questi fece assassinare i 2 cugini e, sfidando il Senato romano che vi esercitava il protettorato, si dichiarò unico re della Numidia. Roma allora dichiarò guerra all’usurpatore che, soprattutto corrompendo generali e funzionari romani, riuscì a prolungare a lungo la conclusione della guerra. Allora fu posto a capo dell’esercito il valoroso console Cecilio Metello, che vinse il re numida conquistando tutto il paese (108-107). Ma l’alleanza del Numidia col proprio suocero Bocco, re di Mauritania (odierno Marocco), impedì una rapida conclusione del conflitto.
A Roma la plebe, indignata, pretese allora che la direzione della guerra fosse affidata a Caio Mario, già valoroso combattente in Spagna con Scipione e luogotenente di Metello. Eletto console nel 107, Mario prese il comando della guerra contro Giugurta: nella battaglia presso Cirta (106), Giugurta ed il suocero Bocco, re di Mauritania, vennero in breve sconfitti e, dopo lunghe e difficili trattative condotte con Bocco da Lucio Cornelio Silla, Giugurta fu condotto a Roma e qui giustiziato. La Numidia fu in parte ceduta a Bocco, come prezzo del suo tradimento; in parte annessa alla provincia d’Africa e in parte consegnata ad un fratellastro di Giugurta.
Gaio Mario, ritornato a Roma, si fece eleggere console per 5 anni consecutivi (104-100 a.C.).
- Guerra contro i Cimbri e i Teutoni (104-101): nel frattempo si affacciava su Roma la minaccia di un'invasione di Cimbri e di Teutoni (104), che dalle loro terre si spingono verso sud x cercare nuove terre. I Cimbri, popolazione di stirpe germanica, originariamente stanziate nelle regioni baltiche, avevano emigrato verso sud alla ricerca di nuove terre dove stabilire la loro sede, ed erano comparse nel 113 a.C. sui valichi delle Alpi orientali, ove avevano travolto un esercito romano. I Romani subirono svariate sconfitte: l’ultima battaglia si svolse presso Arausio (105), sul Rodano, dove un intero esercito romano fu sconfitto. Mario, eletto nuovamente console per l’anno 104, riordinò l’esercito romano su basi completamente nuove: reclutò i soldati anche tra i cittadini sprovvisti di censo accogliendo cittadini di qualunque condizione, trasformando l’esercito da cittadino a mercenario, composto cioè di soldati che prestavano quel servizio non per dovere di cittadini ma per professione, che quindi vedeva come ricompensa della guerra il solo bottino. Frattanto i Cimbri e i Teutoni si allearono con l’intento di invadere l’Italia: i primi dalle Alpi settentrionali i secondi dal litorale ligure. Ma Mario affrontò e sconfisse prima i Teutoni ad Aquae Sextiae nel 102 a.C. e poi, riunite le sue forze a quelle dell’altro console Catullo, affrontò i Cimbri presso Vercelli ai Campi Raudii, nel 101 a.C.
- Predominio di Mario (106-100): dopo queste vittorie Mario fu salutato dai romani come salvatore della repubblica ed ebbe il titolo di terzo fondatore di Roma (dopo Romolo e Furio Camillo). Egli a Roma chiese il sesto consolato per l’anno 100. Si unì a tal scopo con 2 ambiziosi capi della fazione popolare Appuleio Saturnino e Servilio Glaucia, che aspiravano anch’essi alle pubbliche cariche. Tutti e 3 riuscirono nei loro scopi: Mario ottenne il sesto consolato, Saturnino divenne tribuno della plebe, e Glaucia conseguì la pretura. Saturnino, riprendendo la politica dei Gracchi, presentò una nuova legge agraria che prevedeva l’assegnazione di terre ai cittadini poveri fuori dall’Italia, nelle province romane (Gallia); inoltre propose la fondazione di colonie in Grecia, in Sicilia e in Macedonia. Tali proposte trovarono l’opposizione del senato ma alla fine, dopo l’aggiunta di una clausola, la legge fu approvata. Glaucia nel frattempo si era candidato per console e poiché stava per essere battuto da un altro candidato, quest’ultimo venne assassinato per volere di Saturnino. Il senato allora ordinò a Mario di ucciderli. Così dopo Tiberio e Caio Gracco, fu abbattuta per la terza volta la parte popolare. Le leggi di Saturnino furono abrogate e Mario, che aveva perso la stima del popolo si ritirò in Asia.
- Guerra sociale o italica (90-88 a.C.): nell’anno 91, il tribuno Livio Druso propose l’estensione della cittadinanza romana agli italici, venendo così incontro alle giuste aspirazioni dei socii di Roma, ai quali erano ormai riservati i doveri più gravosi, ma non i diritti e i privilegi del cittadino romano. Ma le leggi di Druso vennero respinte e il tribuno ucciso. La morte di Livio Druso segnò l’inizio della cosiddetta guerra sociale o italica, perché sostenuta quasi esclusivamente da popoli di razza italica. Gli italici, vista fallire ancora una volta la possibilità di ottenere la parità di diritti con i Romani, decisero di cercare e ottenere con le armi quanto le leggi non potevano dare loro. La goccia che fece traboccare il vaso e portò allo scoppio della guerra sociale partì da Ascoli, nel Piceno, dove molti Romani vennero trucidati insieme al proconsole.
Scoppiò così il conflitto: gli Oschi e i Sabelli dell’Italia centrale e meridionale, con a capo le tribù dei Marsi e dei Sanniti, insorsero contro Roma; fedeli ai Romani si mantennero gli Etruschi, i Galli, i Greci Italioti. I ribelli si unirono in una grande confederazione, stabilirono la loro capitale a Corfinio, negli Abruzzi, che prese il nome di Italica, dove organizzarono un governo modellato su quelle delle leghe greche, mentre le loro milizie furono ordinate sul modello di quelle romane. Benché guidati dai migliori generali di cui disponesse allora la repubblica (Mario, ritornato dall’Asia, Silla, Pompeo Strabone), gli eserciti romani, in un primo tempo subirono gravi sconfitte, tanto che il governo decise di concedere qualche concessione e così
1. nel 90 fu approvata una prima legge, la lex Iulia de civitate (dal console L. Giulio Cesare), con la quale veniva concessa la cittadinanza romana agli alleati rimasti fedeli e a quelli che avessero deposto subito le armi.
2. nell’89 fu approvata una seconda legge, la lex Plautia-Papiria, con la quale veniva concessa la cittadinanza romana a tutti coloro che entro 60 giorni si sottomettevano a Roma. Con queste leggi gli italici entravano nellel iste dei cittadini e le loro città divenivano municipia.
3. nell’88 fu approvata la terza legge, la lex Pompenia, con la quale veniva concesso la ius Latii a tutti gli abitanti della Gallia Transpadana.
I Sanniti non accettarono l’offerta di Roma e continuarono da soli la guerra fino a quando furono sconfitti nell’88 a.C. dal console Lucio Cornelio Silla, un generale di nobile famiglia che era stato luogotenente di Mario nella guerra giugurtina. Al termine della guerra sociale praticamente tutti gli Italici liberi, abitanti nella penisola fino al Po, ottennero la cittadinanza romana.
- Guerra civile tra Mario e Silla (88-86 a.C.): la causa della guerra civile tra Mario e Silla fu il comando della guerra contro Mitridate, re del Ponto. Il senato decise di affidare nell’88 a.C., al console Cornelio Silla il comando della guerra in Oriente contro Mitridate, che approfittando delle lotte interne di Roma, aveva invaso la provincia d’Asia. Ma mentre Silla si trovava lontano da Roma per porre fine agli ultimi sussulti della guerra sociale, Mario riuscì con abili manovre a ottenere per sé, togliendolo a Silla, il comando della guerra. Silla non esitò allora a marciare con i suoi eserciti contro Roma, costringendo Mario a fuggire, con pochi dei suoi, in Africa. Assicuratosi l’appoggio del senato, e lasciato il presidio a Roma, Silla partì per l’Oriente.
Tuttavia, mentre Silla era in Oriente, in Grecia e nell’Asia Minore per condurre le operazioni militari contro Mitridate che l’avrebbero condotto alla vittoria, il partito mariano riprese il suo sopravvento col console Cornelio Cinna. Questi insieme a Mario, tornato dall’Africa, si impossessò di Roma, uccidendo tutti gli amici di Silla. Mario venne nominato console per la settima volta nell’86 a.C., ma morì pochi giorni dopo lasciando la città in mano ai suoi fedeli.
- Prima guerra mitridatica (87-85 a. C.): Mitridate, re del Ponto, aveva esteso il suo dominio sulle coste del mar Nero. Nell’88 a.C. le truppe del re occuparono la Bitinia e la Cappadocia e invasero poi la provincia romana d’Asia. Assicuratosi così il dominio dell’Asia Minore, Mitridate sbarcò con un esercito in Grecia occupando Atene, che, da tanto fedeli a Roma, si schierò in suo favore. Sbarcato in Grecia nell’87 a.C., in breve Silla riuscì a riconquistare Atene (86), che fu saccheggiata e devastata, ed il Pireo; sconfisse l’esercito di Mitridate ad Orcòmeno (86) e Cheronea (85) costringendo Mitridate alla pace di Dardano (85): Mitridate accettò di rientrare entro i confini del proprio regno e pagò una forte indennità e consegnò parte della flotta ai Romani. Silla impose forti tributi alle città della Grecia e della Asia Minore che si erano ribellate all’autorità romana.

- Dittatura di Silla (82-79 a.C.): nell’83 a.C., sconfitto Mitridate e ristabilito il potere romano in Oriente, Silla rientrò con l’esercito romano a Roma e, superata la resistenza dei partigiani di Mario ormai privi del loro capo, riprese in mano la situazione soffocando nel sangue ogni tentativo di opposizione.
Silla sbarcò nell’83 a Brindisi e conquistò tutta l’Italia meridionale. I popolari non si scoraggiarono: da ogni parte i veterani di Mario accorsero intorno al console Caio Mario, figlio adottivo del defunto console e loro generale Gaio Mario, e ottennero rinforzi dagli Etruschi e dai Sanniti, ostili a Silla che sapevano avverso alla loro causa sulla questione della cittadinanza. Silla sconfisse Mario nel Lazio costringendolo a rinchiudersi in Preneste. Si combatté poi nella Gallia Cisalpina, nell’Etruria, nell’Umbria e nel Lazio. Più volte sconfitti i popolari abbandonarono Roma. Mario tentò poi una marcia su Roma con le truppe sannitiche: alla Porta Collina (Porta Pia) queste furono sconfitte ed Mario, assediato nel Preneste, si uccise. Questa battaglia vede la vittoria di Silla, ormai signore della penisola.
Silla, padrone ormai dello Stato, punì i suoi avversari, con le proscrizioni, lunghe liste nelle quali erano elencati tutti coloro che erano stati sostenitori di Mario e che dovevano venire eliminati: questi vennero uccisi o cacciati e i loro beni confiscati e distribuiti ai veterani di Silla.
Per riordinare lo Stato, nell’82 a.C., Silla si fece proclamare dittatore a tempo indefinito (la carica veniva assegnata solo in tempo di guerra e durava 6 anni) con l’incarico di riformare la costituzione romana.
Silla operò importanti riforme (le leges Corneliae), proponendosi di restaurare economicamente e politicamente la Repubblica:
- nel campo economico, Silla seguì la via segnata dai Gracchi e favorì il formarsi di piccole proprietà agricole, distribuendo gran parte delle terre a ciascuno dei suoi veterani.
- nel campo politico, il numero dei membri del Senato fu portato da 300 a 600, chiamando a farne parte, però, i cavalieri. Al Senato fu dato poi il potere di approvare o respingere tutti i progetti di legge presentati dai tribuni della plebe. Il compito di giudicare le cause portate dinanzi ai tribunali straordinari fu tolto ai cavalieri ed affidato esclusivamente ai senatori.
Ridusse però i poteri dei consoli, dei censori e dei tribuni della plebe e tolse ogni potere di decisione ai comizi. I comizi tributi perdettero il potere legislativo e si limitarono a nominare magistrati secondaria importanza. I consoli e i pretori, dopo il loro anno di governo in Roma, dovevano amministrare le province in qualità di proconsoli e di propretori.
Ogni cittadino poteva ottenere la questura a 30 anni, la pretura a 40 anni e il consolato a 43 anni.
Inoltre Silla divise il potere civile da quello militare.
Venne infatti stabilito che i consoli ed i pretori dovessero restare, nell’anno in carica, in Italia a svolgere i propri uffici specifici e che, solo nel secondo anno, venissero inviati, come proconsoli e propretori, a governare le province e a comandare le truppe ivi stanziate in spedizioni militari da compiere ai confini dello Stato. Venne stabilito inoltre che nessuno esercito in armi potesse trovarsi nella Penisola, a sud dei fiumi Arno e Rubicone.
Dopo aver riordinato lo Stato, Silla depose, nel 79 a.C., la dittatura e si ritirò a vita privata, dove un anno dopo, nel 78, morì a 60 anni.
Dittatura Silla 82-79
La costituzione sillana prevedeva:
- liste di proscrizione
- dittatura perpetua (non + x 6 anni)
- consolato all'età di 40 anni con la seconda elezione dopo 10 anni
- senato da 300 a 600
- tolto il divieto di veto ai tribuni della plebe
3.7. L’età di Pompeo e di Cesare (78-44 a.C.).
Dopo la dittatura di Silla emersero le personalità di Pompeo e Crasso: Pompeo che aveva domato una rivolta in Spagna e Crasso che aveva soffocato la rivolta servile guidata da Spartaco.
- Guerra contro Sertorio in Spagna (80-72 a.C.): il senato, dopo la morte di Silla, si trovò a dover affrontare una rivolta militare scoppiata in Spagna ad opera dei partigiani di Mario guidati da Sertorio, e affidò il comando delle operazioni in Spagna a Gneo Pompeo, di origine nobile, che si recò nella penisola e vi combatté per oltre 6 anni, fin quando Sertorio fu ucciso a tradimento nel 72 a.C. Pompeo, era destinato a conquistarsi in breve una posizione preminente nella vita politica di Roma.
- Spartaco e la guerra dei gladiatori (73-71 a.C.): durante l’assenza di Pompeo e del suo esercito, impegnati in Spagna, in Italia scoppiò una grave ribellione di schiavi guidati da un gladiatore, Spàrtaco, schiavo dotato di grande doti militari e di capo, che sconfisse i Romani ben 4 volte. Il senato romano affidò allora il comando dell’esercito al pretore Licìnio Crasso, anch’egli un tempo luogotenente di Silla, il quale, con l’aiuto di Pompeo, tornato vittorioso dalla Spagna, riuscì a domare la rivolta.
- Consolato di Pompeo e di Crasso (70 a.C.): nel 70 a.C. Pompeo e Crasso ottennero il consolato. Entrambi cercarono di assicurarsi l’appoggio popolare abrogando le più significative leggi di Silla (leges Corneliae): venne restituito ai cavalieri il controllo dei tribunali penali (quaestiones) e i tribuni della plebe riottennero il diritto di far approvare leggi ai comizi anche senza il beneficio del Senato.
- Guerra di Pompeo contro i pirati (67 a.C.): i Romani occupati nelle lotte civili, avevano trascurato la flotta, e ora i pirati, approfittando dell’indebolimento della potenza navale romana, dominavano su tutto il Mediterraneo. Infatti tutto il Mediterraneo era percorso da predoni che paralizzavano il commercio marittimo e minacciavano di affamare Roma, impedendo i rifornimenti di grano che la città importava soprattutto dalla provincia d’Asia. A Pompeo fu affidato il comando della guerra contro i pirati. In 3 mesi egli annientò i pirati eliminandoli tanto nel Mediterraneo occidentale che in quello orientale (distrusse tutte le basi dei pirati nel Medit.)
- Seconda guerra mitridatica (74-63 a.C.): alla minaccia dei pirati si era aggiunto poi un nuovo pericolo. Mitridate, re del Ponto, aveva ripreso la lotta contro Roma, dopo le sconfitte subite per mano di Silla. La guerra si riaccese nel 75 quando Nicomede III, re di Bitinia, lasciò morendo il suo regno ai Romani. Mitridate invase allora la Bitinia. Il senato affidò il comando della guerra al console Licinio Lucullo che diresse con successo le operazioni militari, tuttavia non riuscì a concludere la guerra. Il comando fu allora affidato a Pompeo. Penetrato con la sua flotta nel Mar Nero, attaccò il sovrano per terra e per mare e questi, abbandonato dall’alleato Tigrane, si ritirò nella Colchide, sulla costa settentrionale del mar Nero, ove, tradito anche dal figlio Farnace, si suicidò (63 a.C.). Pompeo riordinò allora i nuovi territori orientali: l’antico regno del Ponto, che era stato di Mitridate, fu unito con la Bitinia, formando la nuova provincia romana di Bitinia-Ponto, la Siria divenne un’altra provincia. Così Roma estendeva anche in Oriente la propria egemonia.
- Cicerone e la congiura di Catilina (63-62 a.C.): mentre Pompeo era impegnato in Oriente (contro Mitridate), a Roma venne scoperto una congiura contro la repubblica ordita da un giovane patrizio, Lucio Sergio Catilina. Ma scoperto e accusato pubblicamente in senato dal console Marco Tullio Cicerone, uomo di cultura e grande oratore, fuggì x raggiungere le sue truppe in Etruria, ma presso Pistoia fu sconfitto.
- Cesare e il primo triumvirato (60 a.C.): in questo stesso periodo, mentre Pompeo si trovava ancora in Asia, cominciò ad emergere in Roma, uno dei più grandi genii della storia: Gaio Giulio Cesare.1 Pompeo alla fine del 62 a.C., ritornato in Italia dall’Oriente con il suo esercito, si trovò a dover affrontare l'ostilità del senato che respinse la proposta di concedere terre ai suoi veterani. Pompeo si schierò allora coi nemici del senato alleandosi segretamente con il ricco Crasso, che godeva dei favori dei cavalieri, e con Giulio Cesare, appartenete alla prestigiosa gens Iulia, che aveva l’appoggio del partito popolare. L’alleanza conclusa da questi 3 uomini fu chiamata primo triumvirato: si trattava di un patto privato stipulato allo scopo di condurre una politica comune al di sopra dell’autorità del senato. Ognuno metteva a disposizione i mezzi di cui disponeva: Cesare, il partito dei democratici; Crasso, l’ordine dei cavalieri; Pompeo i suoi veterani.
- Consolato di Cesare (59 a.C.): il risultato immediato di questo accordo fu il consolato di Cesare per il 59 a.C. Appena entrato in carica, Cesare fece passare una legge agraria sulla distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo e alcuni provvedimenti a favore della classe dei cavalieri, accontentando così Crasso. Quindi fece assegnare mediante plebiscito, a partire dall’anno successivo, per 5 anni (58-54), il governo della Gallia Cisalpina (odierna pianura padana) con l’Illirico (odierna Jugoslavia) e la Gallia Narbonense (odierna Francia meridionale).
Nel 56 a.C. l’accordo fu riconfermato e Cesare si assicurò la proroga del governo delle Gallie per altri 5 anni. Per equilibrare il potere dei triumviri, a Crasso fu affidato il governo della provincia di Siria e a Pompeo quello delle 2 province di Spagna.
- Conquista della Gallia (58-51 a.C.): al tempo della conquista di Cesare, la Gallia era divisa in 3 parti:
1. la Gallia centrale, fra la Garonna e la Senna, abitata dagli Arverni, dagli Edui, dai Sèquani.
2. la Gallia nord-orientale, fra la Senna ed il Reno, abitata dai Belgi.
3. la Gallia occidentale, posta fra i Pirenei e la Garonna, abitata dagli Aquitani e dagli Armòrici.
Questi territori erano abitate da tribù guerriere. Roma aveva sempre mantenuto buoni rapporti con le popolazioni galliche, minacciate da tentativi di invasione da parte degli Elvizi, popolo celtico, e degli Svevi, popolo germanico. Quando il pericolo divenne imminente, i Galli si rivolsero al senato, che affidò il compito di respingere gli invasori a Cesare, governatore della provincia narbonese.
Nel 58 a.C.; Cesare, battuti gli Elvizi, sconfitti presso Bibracte, impegnò gli Svevi in una dura battaglia sulla riva sinistra del Reno. Cesare fece quindi una spedizione militare oltre il Reno per dissuadere i Germani da ulteriori tentativi di invasione la Gallia. nel 57 a.C., dopo aver stretto alleanza con le popolazioni della Gallia centrale, Cesare si volse contro le regioni settentrionali (Belgi e Armorici); successivamente Cesare si volse contro i Veneti. Convinto di aver ormai sottomesso tutta la Gallia, Cesare sbarcò in Britannia, l’attuale Inghilterra, per incutere nelle popolazioni celtiche, che la abitavano, il timore delle armi romane, scoraggiandoli così dall’intervenire in Gallia. Nel 52 a.C. la Gallia si ribellò contro Roma e tutte le tribù galliche si unirono sotto la guida di un capo valoroso, Vercingetorìge (comandante), re degli Arverni. L’insurrezione costrinse Cesare a tornare in Gallia precipitosamente, impegnandolo in una guerra breve ma difficile. I Romani dopo aver perso a Gergovia, capitale dell’Arvernia, riuscirono a domare la rivolta e a catturare Vercingetorige, che si era rifugiato con i suoi nella città di Alèsia (52 a.C.). Così Cesare riconquistò tutta la Gallia, che fu totalmente sottomessa: divenne provincia romana.
- Rinnovazione del triumvirato (56 a.C.): nel 56 a.C. Cesare si incontrò con Pompeo e Crasso x rinnovare l'accordo del 60 a.C. Si ebbe così il convegno di Lucca. Fu stabilito che Pompeo e Crasso avrebbero richiesto il consolato per l’anno seguente (55), e finito il consolato, Pompeo avrebbe avuto per 5 anni il governo della Spagna e Crasso quello della Siria con l’incarico di far guerra ai Parti, mentre Cesare avrebbe avuto per altri 5 anni il governo della Gallia. Ma le cose non andarono come Cesare aveva disposto. Pompeo e Crasso ottennero il consolato, mas, alla scadenza di esso, Pompeo restò in Roma, mentre faceva governare la Spagna da suoi legati, e Crasso, recatosi in Siria, veniva sconfitto a Càrre, in Mesopotamia, dai Parti e poi ucciso a tradimento (53 a.C.).
- Guerra civile tra Cesare e Pompeo (49-45): la morte di Crasso, avvenuta nel 53 a.C., pose termine al triumvirato, lasciando di fronte Cesare e Pompeo. Intanto Pompeo riuscì a guadagnarsi il favore del senato. Ben presto l’atteggiamento di Pompeo fu nettamente ostile a Cesare e tale si rivelò in pieno, quando egli fu d’accordo col senato nel negare al conquistatore delle Gallie la proroga dei poteri proconsolari. Cesare comprese che ci si voleva sbarazzare di lui: divenuto privato cittadino, i suoi avversari avrebbero facilmente trovato un motivo per accusarlo e condannarlo. Per eliminare l’avversario, Pompeo fece emanare dal senato un decreto che imponeva a Cesare di lasciare il governo delle Gallie e il comando dell’esercito, pena la qualifica di nemico dello Stato. Cesare si rifiutò di obbedire e attraversò il fiume Rubicone vicino a Rimini, che segnava il limes oltre il quale non ci si poteva avvicinare a Roma con l’esercito in armi, ebbe inizio la guerra civile (49 a.C.).
Pompeo fuggì a Brindisi per imbarcarsi con le truppe fedeli alla volta della Grecia dove costituì un grande esercito. Cesare, entrò in Roma, accolto trionfalmente dal popolo che lo elesse console dei comizi. Egli riorganizzò il governo; concesse alla Gallia Cisalpina la cittadinanza romana; grazie a questo provvedimento, infatti, avrebbe potuto reclutare eserciti regolari. Partì quindi per sottomettere la Spagna rimasta fedele a Pompeo, sconfiggendo i pompeiani della Spagna presso Ilerda (Lerida).
Presso Fàrsalo, in Tessaglia, nel 58 a.C., la vittoria di Cesare fu schiacciate: Pompeo fuggì in Egitto, dove il re Tolomeo XIV lo fece uccidere a tradimento sperando così di ottenere il favore di Cesare. In Egitto Tolomeo e la sorella Cleopatra si contendevano il trono: Cesare destituì Tolomeo e al suo posto mise sul trono Cleopatra (47). Cesare si diresse poi in Oriente ove Farnace, figlio di Mitridate e re del Bosforo, era insorto contro di lui. La vittoria fu tanto rapida che Cesare ne informò il senato con il celebre messaggio: veni, vidi, vici (venni, vidi, vinsi).
Ciò gli permise di ritornare a Roma x organizzare una spedizione contro i seguaci di Pompeo che sconfisse prima a Tapso, in Africa (46 a.C.), e poi a Munda in Spagna (45 a.C.). Cesare rimase padrone incontrastato del campo.
- Dittatura di Cesare (48-44 a.C.): dopo la battaglia di Munda, nel 45, Cesare divenne il solo e assoluto padrone della repubblica. Cesare cercò di dare allo Stato nuove leggi che garantissero la pace e rendessero più stabile il suo potere. Non abolì le istituzioni della repubblica, ma di fatto riservò per sé un potere simile a quello di un monarca.
Egli iniziò la trasformazione del regime repubblicano: fu più volte eletto console e dittatore, poi fu proclamato nel 46 a.C. dittatore per 10 anni, che gli dava un potere assoluto, infine nel 44 dittatore a vita, cui venne aggiunta la potestà tribunicia, ottenendo così i diritti ed i privilegi dei tribuni della plebe. Gli fu assegnata inoltre la podestà proconsolare, per la quale egli si riconosceva il diritto di governare le province per mezzo dei suoi fiduciari e di comandare gli eserciti che vi erano stanziati. Gli venne concessa anche la facoltà di designare coloro che potevano presentarsi candidati alle magistrature e di coniare monete con la propria immagine. Fu anche pontefice massimo. Ottenne inoltre il diritto di indossare in permanenza la veste trionfale (toga di porpora) e la corona di d’alloro (che spettavano all’imperatore,). Gli fu conferito il titolo di Imperator, titolo sino allora dato solo dai soldati al generale vittorioso. Accettò che alla sua persona fosse riconosciuta un’origine divina: egli affermava inoltre di discendere da Julo, figlio di Enea, l’eroe troiano nato dalla dea Venere.
Cesare si dedicò ad una vasta opera di riforme.
1. il senato divenne un organo puramente consultivo, subalterno, e i suoi membri furono portati da 600 a 900: vi furono ammessi molti cavalieri, numerosi Italici e rappresentanti della Gallia e della Spagna.
2. i cavalieri furono tenuti a freno nelle loro speculazioni, stabilendo che i tribunali penali fossero composti per metà da senatori e per metà da cavalieri.
3. I comizi mantennero la facoltà di votare le leggi, ma Cesare, assumendo il potere di tribuno che mai nell’antica repubblica avrebbe potuto riunirsi nella stessa persona a quella di console o di dittatore, aveva il diritto di porre i veto alle deliberazioni del senato.
In campo sociale ed economico vennero riprese le iniziative promosse dai Gracchi: vennero presi provvedimenti in favore dei capi delle famiglie più numerose; furono distribuite terre ai veterani; vennero presi provvedimenti per impedire che la concorrenza dei grandi proprietari di terre rovinasse i piccoli agricoltori.
In campo politico Cesare concesse la cittadinanza romana a tutta la Gallia Cisalpina e a molte popolazioni della Gallia Transalpina, della Spagna e dell’Africa. Per rendere più stabile il dominio di Roma sulle province, Cesare fece fondare numerose colonie; coloni si recarono il Gallia, in Africa, in Grecia e sulle coste del mar Nero ed ebbe così inizio un vero processo di romanizzazione del mondo.
Furono eseguiti anche numerose opere pubbliche come la costruzione di numerosi edifici monumentali, il taglio dell’istmo di Corinto, il prosciugamento delle Paludi Pontine e del lago Fùcino, solo in parte realizzati; Roma doveva trasformarsi in una città monumentale ed abbellirsi di un tempio e di un teatro oltre che di una biblioteca pubblica in sostituzione di quella di Alessandria, distrutta da un incendio nel 47 a.C.
Fra le altre iniziative, Cesare riformò il calendario, dividendo l’anno solare in 365 giorni, con l’aggiunta di un giorno ogni 4 anni (anno bisestile).
- Uccisione di Cesare (44 a.C.): ma i senatori, che si erano visti privati delle proprie funzioni, e i sostenitori della repubblica, che non intendevano accettare la concentrazione di tante cariche in una sola persona, decisero di porre freno alla sua ascesa. Il 15 marzo 44 a.C., al suo ingresso in senato, Cesare venne pugnalato dai congiurati, capeggiati da Caio Cassio, seguace di Pompeo, divenuto poi cesariano, e Giunio Bruto, anch’egli pompeiano e amato da Cesare come un figlio.
3.8. L’età di Antonio e di Ottaviano (43-29 a.C.).
- Marco Antonio, padrone di Roma (43 a.C.): dopo l’uccisione di Cesare, Roma ricadde nelle guerre civili. Durante i funerali, dopo la lettura del testamento di Cesare, in cui il dittatore lasciava erede il popolo di una parte dei suoi beni, Marco Antonio, uno dei più fidati collaboratori di Cesare, seppe suscitare contro i congiurati un’indignazione popolare, che li costrinse a fuggire in Oriente.
- Ottaviano, padrone di Roma (43 a.C.): nel testamento Cesare nominava suo Gaio Ottavio, un giovane di 18 anni, pronipote e figlio adottivo di Cesare, che assunse il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Antonio cercò di imporre la propria volontà nell'assegnazione delle province: x questo gli fu dichiarata guerra e venne mandato contro proprio Ottaviano, che lo sconfisse presso Modena (43 a.C.). Antonio si rifugiò nella Gallia Narbonese, dove si unì col suo amico Lepido, governatore di quella provincia.
Ottaviano chiese allora il consolato e al rifiuto del Senato, egli marciò su Roma e si fece proclamare console dal popolo. Revocò il decreto di bando contro Antonio e Lepido e istituì un tribunale contro gli uccisori di Cesare, che vennero dichiarati nemici pubblici e condannati in esilio.
- Secondo triumvirato (43 a.C.): nel 43 a.C., Antonio, Ottaviano e Lepido formarono un triumvirato, per la durata di 5 anni, con lo scopo di riordinare la Repubblica. Non si trattò di un accordo privato come il primo, ma fu riconosciuto ufficialmente come una magistratura al di sopra di tutte le altre. I triumviri si spartirono x 5 anni il governo delle provincie tenedo in comune Roma e l'Italia:
a Ottaviano furono assegnate l’Africa e la Sicilia;
a Antonio le Gallie, ad eccezione della Narbonese,
a Lepido la Gallia Narbonese e la Spagna.
Per liberarsi degli avversari politici, i nuovi triumviri fecero ricorso alle liste di proscrizione, nelle quali ciascuno di loro iscrisse, affinché fossero messi a morte, gli assassini di Cesare e i propri nemici personali. Una delle prime vittime fu Marco Tullio Cicerone il quale aveva attaccato violentemente Antonio con le sue orazioni, chiamate Filippiche.
- Battaglia di Filippi (42 a.C.): i triumviri infine pensarono a eliminare Bruto e Cassio, gli uccisori di Cesare. Nel 42 a.C. a Filippi Ottaviano ed Antonio vendicarono la morte di Cesare: Bruto e Cassio, sconfitti, si uccisero.
Dopo la battaglia di Filippi, Ottaviano rientrò in Italia per distribuire le terre ai veterani di 18 città italiane; mentre Antonio restò in Oriente, col compito di pacificare questa parte dell’impero.
- Ottaviano in Italia (41-35): Ottaviano, rientrato in Italia, distribuì ai veterani le terre di 18 tra le più fiorenti città d’Italia. Ma nel 41, il fratello di Antonio, Lucio Antonio, e la moglie di Antonio, Fulvia, provocarono una guerra civile, che prese il nome di guerra di Perugia, che ebbe fine con la resa di Lucio Antonio.
Antonio, che si trovava in Oriente, accorse con una flotta a Brindisi per vendicare i suoi amici, ma i 2 triumviri si riconciliarono. Nel 40 a.C., si ebbe la cosiddetta pace di Brindisi, in cui si divisero il territorio dello Stato: Antonio ebbe l’Oriente, Ottaviano l’Occidente e Lepido l’Africa. La pace fu suggellata dal matrimonio tra Antonio, rimasto vedovo di Fulvia, e Ottavia, sorella di Ottaviano.
Ottaviano intraprese la lotta contro Sesto Pompeo che si era impadronito della Sicilia, della Sardegna e della Corsica. Ottaviano lo confisse a Naulòco (36 a.C.), in Sicilia, ma Pompeo fuggito in Oriente con poche navi fu poi ucciso a Mileto (35).
Inoltre Ottaviano venne ben presto in conflitto con Lepido, il quale si voleva impossessare della Sicilia, ma Ottaviano riuscì a spogliare del titolo di triumviro, divenendo padrone di tutto l’Occidente. Il triumvirato era così sciolto: rimanevano Antonio in Oriente e Ottaviano in Occidente.

- Antonio in Oriente (41-32 a.C.): Antonio in Oriente riprese la guerra contro i Parti, ma l’impresa si concluse con un fallimento. Ritiratosi ad Alessandria, dopo aver ripudiato la moglie Ottavia, sposava Cleopatra, che Cesare aveva messo sul trono d’Egitto, e le donava gran parte delle province e degli Stati vassalli di Roma.
Questo matrimonio segnò l’inizio della rottura con Roma: Ottaviano fece apparire Antonio come un traditore della patria. Anzitutto lo privò del suo potere di triumviro, quindi si fece conferire dal senato poteri straordinari e dichiarò guerra all’Egitto (32 a.C.).
- battaglia di Azio (31 a.C.): nel 31 a.C., le 2 flotte nemiche si affrontarono presso il promontorio di Azio, in Grecia, in cui Cleopatra e Antonio furono sconfitti. Inseguiti da Ottaviano in Egitto, entrambi si diedero alla morte. Ottaviano divenne il solo padrone dell’impero romano. L’Egitto venne aggregato all’impero romano come possesso personale di Ottaviano.
Ormai la repubblica era finita e incominciava quella monarchica che prese il nome di impero.
4. L’impero.
4.1. Augusto e la fondazione dell’impero (29 a.C. - 14 d.C.).
Augusto governò per 45 anni e diede un lungo periodo di pace allo Stato. In tutti questi anni non furono condotte guerre di espansione territoriale, ma solo poche e poco importanti guerre di confine; per questo gli anni di Augusto furono considerati fra i più felici e fra i più grandi della storia di Roma. Per la storia Augusto è il primo imperatore romano. Il passaggio da una forma di governo, repubblica, all’altra, impero, non fu netto. Negli ultimi decenni della repubblica si era visto il prevalere ora di un uomo ora di un altro e s’era in pratica spezzato l’equilibrio politico che le istituzioni repubblicane dovevano garantire: uomini come Mario, Silla, Pompeo e Cesare avevano opposto all’autorità del senato, organismo supremo della repubblica, l’autorità che derivava loro dalla forza delle armi e dal prestigio delle vittorie ottenute.
La fine di Cesare aveva però dimostrato nello stesso tempo che era impossibile governare con il solo appoggio dell’esercito, senza tener conto del senato e delle altre istituzioni repubblicane.
Uomo di grande saggezza politica, Augusto cercò quindi di consolidare il suo potere facendosi attribuire dal senato le principali cariche della tradizione repubblicana. In tal modo si conquistò la fiducia e l’appoggio di tutti e poté governare in pratica come un monarca assoluto.
- Riforma della costituzione (29 a.C.-2 d.C.): con la battaglia di Azio (31 a.C.) l’era della repubblica era finita: cominciava l’impero. Dopo 60 anni di guerre civili, senato e popolo si inchinavano di fronte a Ottaviano.
Nel 29, dopo la battaglia di Azio, il senato gli decretò il titolo di imperatore (imperator) a vita riservato al generale vittorioso. Questo nome fu usato in seguito per designare i capi dello Stato romano. Oltre al titolo di principe del senato (cioè primo tra i senatori), ottenuto nel 28, che gli dava il diritto di presiedere quell’assemblea, e alla carica di console, cui fu eletto per 10 anni consecutivi, Augusto ottenne anche il potere proconsolare che gli garantiva il comando dell’esercito e il controllo di tutte le province.
Nel 27 a.C. il senato gli conferì il titolo di Augusto con cui lo si dichiarava degno di venerazione e di onori come una divinità, che riconosceva il lui la possibilità di agire con il favore degli dèi per il bene della patria, e questo con questo nome fu poi sempre chiamato. Nel 23 il popolo gli conferì la podestà tribunizia a vita, cioè il diritto di veto sulle proposte di legge degli altri magistrati: di conseguenza nessuna legge poteva passare senza il suo consenso.
Ricoprì tutte le cariche dello Stato: infatti ebbe anche le prerogative dei censori e, infine, con l’elezione a pontefice massimo, divenne la massima autorità religiosa.
Nel suo governo Augusto era assistito dal consilium principis, un consiglio privato formato da alti magistrati, senatori, letterati, giuristi, membri della sua famiglia e da amici tra i quali occupavano il primo posto i fedelissimi Agrippa, valorosissimo ammiraglio, uomo privo di ambizioni personali, fu il più prezioso collaboratore di Augusto; e Mecenate, uomo sensibile e colto, poeta egli stesso, fu tra l’altro il protettore di tutti gli artisti del tempo.
Nonostante fossero mantenute le forme esteriori del regime repubblicano, il consiglio privato di Augusto, che in pratica sostituiva il potere consultivo del senato, dimostra come nei fatti lo Stato romano si andasse profondamente trasformando.
- Riforme amministrative: Augusto divise Roma in 14 rioni (regioni), che a loro volta furono divise in vie (vici).
A) Roma fu governata dai seguenti magistrati:
1. prefetto della città, scelto tra i senatori, che doveva provvedere all’ordine pubblico;
2. prefetto dei vigili, scelto tra i cavalieri, incaricato della vigilanza notturna e dello spegnimento (estinzione) degli incendi;
3. prefetto dell’annona, scelto tra i cavalieri, incaricato dell’approvvigionamento del grano e in genere di approvvigionare la città.
B) L’Italia, che già dal tempo del secondo triumvirato comprendeva la Gallia Cisalpina, che abbracciava tutta la penisola fino alle Alpi, fu divisa da Augusto in 11 regioni:
I Lazio e Campania; II Apulia e Calabria (penisola Salentina); III Lucania e Bruzio (Calabria); IV Sannio (Abruzzo); V Piceno (Marche); VI Umbria; VII Etruria; VIII Emilia (Emilia e Romagna);IX Liguria; X Venezia; XI Transpadana (Piemonte e Lombardia).
Ognuna di queste regioni era governata da un magistrato, che rappresentava il governo centrale di Roma. Le città conservavano i loro governi municipali e i magistrati locali.
C) una delle riforme più importanti fu la divisione delle province divise in:
1. le province senatorie, che erano quele pacifiche e erano amministrate dal senato ed erano rette dai proconsoli. Province senatorie furono la Sicilia, la Sardegna, la Macedonia, l’Africa;
2. le province imperiali, esse erano amministraste direttamente dall’imperatore per mezzo dei suoi rappresentanti (i legati di Augusto), i legati Augusti propretore, con funzioni amministrative e militari. Province imperiali furono la Siria, le Gallie.
- Riforme finanziarie: Augusto riordinò anche l’amministrazione finanziaria: aumentò le entrate dello Stato mediante la compilazione del catasto, cioè l’elenco di tutte le proprietà immobiliari dell’impero soggette a tasse, ed il censimento di tutti gli abitanti dell’Impero. Stabilì poi 2 tesori:
1. quello dello Stato (erario), amministrato dal senato, che riceveva le rendite delle province senatorie, che dovevano servire alle spese dell’amministrazione civile; e
2. quello imperiale (fisco) che era una specie di cassa privata dell’imperatore, indipendente da quello dello Stato: esso riceveva le rendite delle province imperiali, che dovevano servire al mantenimento degli eserciti e delle flotte.
- Riforme militari: Augusto portò anche mutamenti nell’organizzazione dell’esercito: trasformò invece l’esercito in una milizia permanente e addestrata, formato in gran parte da volontari, e distribuì le legioni, ridotte a 25, nelle province di confine, quelle in cui la loro presenza era continuamente necessaria per la protezione e la difesa dell’impero.
Per la difesa della persona dell’imperatore, Augusto creò una nuova milizia, i pretoriani, comandati da un prefetto del pretorio, scelto tra i rappresentanti dell’ordine equestre.
- Riforme religiose e morali: convinto che la religione è assolutamente necessaria alla vita e ala prosperità di un popolo, cercò di far rifiorire l’antico culto, restaurando vecchi templi e innalzandone di nuovi. Augusto cercò di rafforzare l’istituto della famiglia. Emanò una serie di disposizioni, con le quali si stabiliva l’obbligo del matrimonio per tutti i cittadini; la concessione di privilegi ai padri di numerosa prole; una tassa sui celibi.
- Politica estera di Augusto: Pur sviluppando una politica di pace Augusto fu costretto, per garantirla, a consolidare i confini dello Stato romano. Egli rafforzò i confini settentrionali, assoggettando la Rezia, il Norico, la Panninia e la Mesia ed estendendo quindi l’impero sino al Danubio. Non riuscì invece la conquista dei territori posti sulla destra del Reno.
Ma il confine meno sicuro dell’impero era da tempo la frontiera orientale. Augusto nel 22 si recò in Oriente per risolvere la guerra contro i Parti, ma ritenne più opportuno venire a un compromesso con essi e ottenendo che i Parti riconoscessero la supremazia di Roma. Augusto riordinò anche i territori della Palestina, dove la Giudea, già stato vassallo di Roma, divenne nel 6 d.C. provincia romana.
- morte di Augusto: nel 14 d.C. Augusto morì Nola, in Campania, dopo 44 anni di regno, all’età di 76 anni. Il corpo trasportato a Roma, fu arso nel Campo Marzio. Il senato riconobbe a Tiberio la stessa autorità e gli stessi poteri che il suo grande patrigno aveva esercitati.
4.2. Gli imperatori della casa Giulio - Claudia (14-68 d.C.).
- Successione per ereditarietà: alla morte di Augusto nel 14 d.C., a 76 anni, gli succedette il figliastro Tiberio, che prese il potere all’età di 56 anni. A lui passò l’imperium proconsolare, che metteva nelle sue mani l’esercito, e la potestà tribunizia, con cui poteva dominare il senato, in modo che alla sua morte avrebbe potuto facilmente, con l’appoggio dell’esercito, imporre, la propria volontà al senato.

- Tiberio (14-37 d.C.): Tiberio, in politica interna seguì scrupolosamente la linea segnata da Augusto; infatti cercò sempre di conciliare il principato con la libertà senatoria.
In politica estera, Tiberio preferì adottare una politica di pace. Pertanto venne evitata ogni estensione dei confini. Egli seppe mantenere l’ordine e difese validamente i confini.Egli incaricò il nipote Germanico, figlio del fratello Druso, di riprendere la guerra contro i Germani, per restaurare il prestigio di Roma. Successivamente inviò Germanico in Oriente dove si temeva una nuova guerra contro i Parti. Anche in Asia Germanico ottenne successi politici e militari, ma morì improvvisamente, a 34 anni, ad Antiochia (19 d.C.).
- Caligola (37-41 d.C.): morto Tiberio nel 37 d.C., per decisione del senato fu nominato imperatore Gaio Cesare, figlio di Germanico, detto Caligola, dal nome della calzatura militare (caliga) che soleva portare fin da fanciullo, quando viveva fra i soldati al Quartier Generale di suo padre. Dopo un breve periodo di saggio governo, egli, a causa di una malattia mentale, divenne crudele e sanguinario. Egli propose in maniera ossessionante il culto dell’imperatore, non solo dopo la morte, ma mentre era ancora in vita. Fece diffondere in Roma culti ed usanze orientali come il matrimonio fra parenti (egli sposò sua sorella).
- Claudio (41-54 d.C.): Caligola fu assassinato nel 41 d.C., dopo soli 4 anni di regno, e gli succedette Claudio, fratello di Germanico e zio di Caligola, nipote di Tiberio. Egli si dimostrò imperatore equilibrato e capace. Egli volle conciliare il principato con la libertà senatoria. Ma pur rispettando i diritti del senato, Claudio concesse il diritto di cittadinanza romana a molti abitanti della Gallia Transalpina, ammettendo nel senato alcuni cittadini di questa provincia. (poi anche Vespasiano e Troiano faranno lo stesso, ammettendo al senato i provinciali).
Creò inoltre una burocrazia di liberti imperiali, veri e propri ministri per l’amministrazione dei beni e degli interessi imperiali.
Inoltre Claudio fece costruire un superbo acquedotto; ampliò il porto di Ostia; prosciugò una parte del lago Fucino.
In politica estera conquistò la Britannia (43 d.C.); in Africa occupò la Mauritania (Marocco), divenuta in seguito provincia romana, divisa in 2 province. Morì nel 54 d.C., probabilmente avvelenato dalla moglie Agrippina, sorella di Caligola e nipote quindi dello stesso Claudio, che, con l’aiuto dei pretoriani, riuscì ad imporre come erede Nerone, figlio di un suo precedente matrimonio.
- Nerone (54-58 d.C.): salito al trono all’età di 17 anni. Governò inizialmente sotto la diretta influenza della madre e con il consiglio del filosofo Seneca e di Burro, prefetto del pretorio. Ma ben presto la sua personalità emersecon violenza, e il regno fu caratterizzato da un grande sperpero finanziario, a favore di spettacoli, giochi e feste e dalla crudeltà del sovrano, che uccise la madre, la prima moglie Ottavia e anche la seconda moglie Poppea.
Nel 64, durante il suo regno, scoppiò a Roma un terribile incendio che distrusse gran parte della città, e si disse, probabilmente a torto, che egli stesso lo aveva a provocato, per ricostruire la città tutta nuova e chiamarla Neronia. Per allontanare da sé ogni sospetto, Nerone rivolse l’accusa contro i seguaci della nuova religione cristiana e ne mise a morte molti: fu questa la prima persecuzione che lo Stato romano attuò contro i cristiani.
Il malcontento a Roma aumentò e si organizzò una congiura contro di lui, ma i congiurati, fra cui anche Seneca, furono uccisi. Malvisto dal senato e dall’esercito, minacciato da movimenti insurrezionali, abbandonato da tutti, nel 68 d.C., Nerone si fece uccidere da uno schiavo.
In politica estera Nerone dovette affrontare alcune guerre:
contro i Parti (53-63);
contro Britanni (59-60)
contro gli Ebrei (66): Nerone vi inviò Vespasiano, il futuro imperatore, che riuscì a riconquistare tutto il paese.
- Anarchia militare (68-69 d.C.): dopo la morte di Nerone si ebbe un anno di anarchia militare. La crisi del 68-69 vide l’avvicendarsi di ben 4 imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano).
Alla morte di Nerone, il senato proclamò imperatore Servio Sulpicio Galba, di 72 anni. Egli regnò solo 7 mesi, perché i pretoriani lo uccisero ed elessero in sua vece Marco Salvio Otone, governatore della Lusitania, mentre le legioni della Germania acclamavano sovrano il loro comandante Aulo Vitellio.
I 2 imperatori vennero a guerra fra di loro: lo scontro si ebbe a Bedriàco, presso Cremona, e e si concluse con la vittoria di Vitellio. Questi entrato in Roma, licenziò i pretoriani e, diventato imperatore, impiegò la maggior parte del suo tempo in gozzoviglie. Il regno di Vitellio fu brevissimo, perché le legioni dell’Egitto acclamarono imperatore il loro comandante: Tito Flavio Vespasiano, comandante delle legioni che combattevano contro i Giudei.
4.3. Gli imperatori della casa Flavia (69-96 d.C.).
- Successione per ereditarietà: gli imperatori della casa Flavia (Vespasiano, Tito, Domiziano) ripristinarono il sistema dinastico ereditario della casa Giulio-Claudia.
Con Vespasiano ha inizio la dinastia Flavia.
- Vespasiano (69-79d.C.): uomo integro, di origine plebea, diede un buona amministrazione all’impero. Riprendendo la politica di Augusto volle conciliare il principato con la libertà senatoria. La politica di Vespasiano si fondò sulla collaborazione con l'aristocrazia senatoria nel governo. Concesse il diritto di cittadinanza romana a tutta la Spagna, ammettendo nel senato cittadini di queste province.Si occupò poi delle finanze pubbliche: soppresse molte spese inutili; ridusse le spese della corte e del governo, ecc.
In politica estera portò a termine, affidandola al figlio Tito, la guerra giudaica (contro i Giudei): nel 70 d.C., Tito entrò in Gerusalemme e distrusse il Tempio della città santa, che venne incendiato. Da ricordare inoltre le opere pubbliche fra le quali la costruzione e la riparazione di strade per migliorare le comunicazioni; l’Anfiteatro Flavio (Colosseo), che, iniziato da Vespasiano, fu poi portato a termine dal figlio Tito. Vespasiano morì nel 79, dopo aver regnato 10 anni.
- Tito (79-81 d.C.): Vespasiano scelse come suo successore il figlio Tito, che governò con saggezza. Durante il suo breve regno vi fu una terribile eruzione del Vesuvio che distrusse le fiorenti città di Pompei, Ercolano e Stabia (79 d.C.). Tito morì dopo soli 2 anni di regno. La sua successione fu raccolta dal fratello.
- Domiziano (81-96 d.C.): a Tito successe il fratello Domiziano, che per la sua crudeltà venne soprannominato il Calvo Nerone. Egli volle affermare la supremazia del principato sulla libertà senatoria. Egli amò essere considerato esplicitamente padrone dell’impero e si fece chiamare dominus et deus (Signore e Dio). Inoltre intraprese una seconda persecuzione contro i cristiani, inferendo così contro giudei e cristiani.
Durante il suo regno il dominio in Britannia venne esteso verso la Scozia. Vanno ricordate le guerre contro la popolazione germanica dei Catti e contro i Daci. (con i Daci Domiziano fu costretto a riconoscere l’indipendenza della Dacia). La morte di Domiziano, avvenuta nel 96, all’età di 45 anni, ucciso da una congiura ordita dalla ex moglie Domizia, segnò la fine della dinastia.
4.4. L’età degli Antonini (96-192 d.C.).
Con il nome di Antonini (da Antonio, uno di essi) si considera per tradizione una successione di imperatori, tra i più importanti nella storia dell’impero.
- Successione per adozione: l’uccisione di Domiziano segna un momento importante nella storia dell’impero, perché tutti gli imperatori della casa Giulio-Claudia (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone) e della casa Flavia (Vespasiano, Tito, Domiziano), nel susseguirsi l’un l’altro seguirono un tipo di sistema ereditario, che fu spezzato dalla casa degli Antonini che invece di scegliere i figli o i parenti prossimi, scelsero il migliore secondo il sistema dell’adozione, cioè secondo il principio della scelta del migliore. L’imperatore regnante sceglieva come successore, non una persona a lui unita da vincoli di sangue, ma un uomo particolarmente degno e accetto al senato, e lo adottava come figlio: il senato poi gli avrebbe conferito i poteri imperiali. Il sistema per adozione assicurò al mondo romano quasi un secolo di pace.
- Marco Cocceio Nerva (96-98 d.C.): Alla morte di Domiziano il senato impose nuovamente la sua autorità ed elesse imperatore Coccèio Nerva, un uomo di 70 anni. Egli riuscì a conciliare la libertà del senato con il principato. Alleggerì i tributi nei confronti della piccola borghesia; abolì le leggi di lesa maestà (per primo Claudio le abolì, le istituì Tiberio); fece cessare le persecuzioni contro i Cristiani, ecc. Poco prima di morire adottò un valoroso generale Traiano che gli successe come imperatore.
- Marco Ulpio Traiano (98-117 d.C.): successore di Nerva, fu il primo imperatore romano di origine italica; egli proveniva dalla provincia di Spagna. Valoroso generale, Traiano meritò il titolo di optimus princeps (ottimo principe), conferitogli dal senato. Continuando la politica di Nerva, volle conciliare il principato con la libertà senatoria. Ma pur rispettando i diritti del senato, ammise in esso molti cittadini delle province, così come in precedenza avevano fatto Claudio e Vespasiano. Infatti nel 41 Claudio concesse la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Transalpina, concedendo loro di entrare nel senato per rompere la cerchia di interessi formatosi intorno al senato in opposizione al principato. Anche Vespasiano nel 69 concesse la cittadinanza alla Spagna permettendo ai provinciali di entrare in senato.
La sua attività all’interno fu volta soprattutto a risollevare le condizioni economiche dell’Italia; a sanare l’agricoltura, a costruire strade, acquedotti e grandiose opere di interesse pubblico. Arricchì infatti Roma di opere come il Foro Traiano. Egli bandì una nuova persecuzione contro i Cristiani. Con una serie di fortunate spedizioni militari Traiano estese i confini dell’impero, che raggiunse la sua massima espansione: la Dacia (Romania) fu ridotta a provincia romana e rapidamente colonizzata.
- Elio Adriano (117-138 d.C.): Troiano adottò come erede Adriano, anch’egli di origine spagnola, governatore della Siria, che divenne imperatore nel 117. Adriano volle affermare la supremazia del principato sulla libertà del senato: rafforzò il consilium principis, istituito da Augusto, che divenne un organo normale dell’amministrazione dello Stato ed ebbe il compito di assistere il sovrano nell’opera di governo. Adriano portò a compimento un vasto programma di riordinamento dell’impero; egli compì lunghi viaggi attraverso le province, con il proposito di conoscerne i problemi e le necessità. Adornò Roma di grandiose costruzioni fra le quali il Mausoleo di Adriano (Castel S. Angelo). Con lui non vi saranno più guerre di conquista: egli infatti si limitò ad assicurarsi i confini dell’impero. Pertanto abbandonò la guerra contro i Parti venendo ad un accordo con essi. Il suo fu quindi un regno di pace, tuttavia negli ultimi anni scoppiò una nuova rivolta dei Giudei in Palestina (132), che diede origine a una nuova repressione da parte di Roma. La rivolta fu domata dopo 3 anni, e gli Ebrei furono allontanati dalla città senza più potervi ritornare.
- Antonino Pio (138-161 d.C.): assicura un periodo di pace e di prosperità. Egli si mostrò tollerante verso i cristiani, pur avversati come nemici dello Stato. Per il suo zelo nel voler rinnovare i culti religiosi di Roma, passò ala storia con il soprannome di Pio e il popolo lo definì padre del genere umano. Egli dettò molte leggi a favore degli schiavi e degli orfani. Morì nel 161 a 73 anni.
- Marco Aurelio (161-180 d.C.): nel 161, l’impero passò a Marco Aurelio. Egli mostrò grande rispetto verso il senato, ispirò il suo governo a principi di bontà e di giustizia: istituì per gli orfani un pretore speciale per vigilare sui tutori; vietò la vendita degli schiavi destinati alle lotte nel circo, favorì l’emancipazione degli schiavi. Durante il suo regno si aggravò la minaccia ai confini, e quindi Marco Aurelio fu occupato in operazioni militari: contro i Parti (161-166), cui riuscì a strappare parte della Mesopotamia riannettendola all’impero, e soprattutto contro i Quadi ed i Marcomanni, popolazioni germaniche, che, varcando le Alpi, erano penetrate nei territori dell’impero giungendo fino ad Aquileia. La guerra ebbe 3 fasi:
1. nella prima fase (167-169), avendo le popolazioni germaniche invaso la Pannonia, Marco Aurelio riuscì a ricacciare i barbari nel loro paese.
2. nella seconda fase (172-175), avendo i Marcomanni invaso nuovamente la Pannonia e le province danubiane, Marco Aurelio costrinse i nemici a chiedere la pace e li costrinse a 6 miglia al di là del Danubio.
3. nella terza fase (178-180), avendo i Marcomanni iniziato a fare scorrerie nel territorio romano, Marco Aurelio, accompagnato dal figlio Commodo, riuscì a debellare i nemici.
- Commodo (180-192 d.C.): Marco Aurelio, rinunciando al sistema dell’adozione, lasciò il regno al 19enne figlio Commodo, uno dei più depravati tiranni, rinnovando le follie e le crudeltà di Caligola, di Nerone e dei Domiziano. Sorsero contro l’imperatore diverse congiure, che fallirono, però, l’una dopo l’altra, finchè una congiura nel 193 riuscì ad uccidere il tiranno.
- Anarchia militare (193 d.C.): dopo la morte di Commodo vi fu un periodo di anarchia militare in cui nuovamente ogni esercito eleggeva un suo imperatore. Così dopo alterne vicende Settimio Severo, valoroso soldato, diviene imperatore marciando su Roma e sconfiggendo i suoi rivali (Albino, Nigro). Alla morte di Commodo, i pretoriani acclamarono imperatore il senatore Pertinace, ma poi, dopo solo 3 mesi di regno, i pretoriani lo uccisero e misero l’impero all’incanto. Si ebbe pertanto la vendita all’asta dell’impero. Tra i vari pretendenti i pretoriani scelsero Didio Giuliano, ma la sua elezione suscitò il malumore nelle province. Sorsero allora altri 3 pretendenti: Albino, comandante le truppe di presidio in Britannia; Nigro, legato della Siria e Settimio Severo, che si trovava alla testa delle legioni in Pannonia. Severo marciò rapidamente su Roma occupandola, mentre Giuliano veniva ucciso. Proclamato quindi imperatore, si rivolse contro gli altri 2 pretendenti al trono e li sconfisse.
1 Nato da nobile e antica famiglia romana, la gens Giulia, Cesare era un uomo di intelligenza non comune, eccellente oratore, dotato di infaticabile energia. Parente di Mario, era entrato presto nella vita politica, (nel 68 ottenne la questura; nel 65 l’edilità, nel 63 il pontificato massimo, nel 62 la pretura).
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